Critica Sociale - anno XLII - n. 20 - 16 ottobre 1950

280 CRITICA SOCIALE PIENA OCCUPAZIONE (co,nMnuaz,ione e fine) 5 Quali siano le enunciazioni e i limiti di questo • impegno, il Clark e i suoi colleghi dicono nella prima parte dello studio che oggi si pubblica. L'art. 55 e 56 della Carta delle N. U. afferma che « tutti i membri si impegnano ad agire. congiunta– mente e separatamente » per promuovere, tra l'altro, « la piena occupazione », oltrechè l'elevamento del tenor di vita e le condizioni di progresso e di svi– luppo economico e sociale: i tre obiettivi, secondo le risoluzioni dell'Assemblea delle N. U. (25 no- / vembre 1949) si condizionano a vicenda. Vi è quindi .un triplice impegno dei governi: esso inaugura una fase nuova. Il pieno impiego, allo scadere del primo mezzo secolo del novecento, non è più soltanto una aspirazione, è un obbligo; è considerato una con– dizione necessaria per il buon funzionamento di un sistema economico internazionale e per il manteni– mento della pace. E l'impegno viene ripetuto nei preamboli delle, maggiori convenzioni intemazio– nali, del dopoguerra, ed è oggetto di costante atten– zione da ,Parte degli istituti internazionali (O.I.T., O.E.e.E., G.A.T.T.). Si apre dunque quello che ab– biamo chiamato il tell'zo periodo n:eUa storfa della lotta co;n:tro la disoc-cupazione. 6 Frattanto la disputa non rimane confinata ai • libri, nè gli impegni giuridici alla formula scritta. L'esperienza vien tentata da alcuni governi. Il New Deal non è terminato certamente con la nota sentenza della 'corte Suprema: esso in realtà continua da quasi un ventennio negli Stati Uniti. Gli stessi tentativi che si richiamano al nome dello Schacht in Germania, a parte le considerazioni di condanna per la forma politica in cui sono ma– turati, si manifestarono come un'esperienza di lott;i. contro una disocuppàzione imponente. L'azione del Cripps e dei suoi amici, nel Regno Unito, segue la sua strada con risultati apprezzabili, se pure il -suo cammino sia seminato di àuguni che predicono ormai da cinque o sei anni catastrofi imminenti. Gli Stati Uniti, massimo paese creditore del mondo, si preoccupano vieppiù della loro immane responsa– bilità per l'avvenire sociale ed economico di cen– tinaia di milioni di uomini, e predispongono piani - di investimenti nelle aree sottosviluppate, e di assi– stenza tecnica. I Paesi comunisti, -per loro conto, con una pianificazione totale; affr9ntano -il pro– blema, sia pure sacrificando valori che la civiltà occidentale non intende sacrificare. E· nei paesi democratici si fa ·strada· la convinzione che se l'economia di mercàto non trova gli elementi' per correggere alcune sue contraddizioni palesi, lo stesso sistema democratico è destinato a fallire. (« Una comunità organizzata - dice il Beveridge - deve trovare altre soluzioni, che non quelle della miseria, .per mantenere Ia disciplina e l'efficienza industriale» .. E, in altro punto, aggiunge: « Lai piena occupazione, come la sicurezza sociale, deve _essere· realizzata dalla democrazia». Il Governo deve rea– lizzarla « a ogni costo, salvo quello del sacrificio delle 'libertà essenziali ii). . Quello della piena occupazione, insomma, diventa il p~oblema numero uno, ad un tempo dei singoli Stati e della comunità internazionale: è più che mai indispensabile però che esso esca dall'angustia delle soluzioni autarchiche nazionali per essere af– frontato su scala mondiale. Ma come? 7 L'impegno politico si manifesta infatti, ben • presto, assai più facile -da assumere che dà adempiere. Il compito in tal modo affidato ai governa è davver? di enorme ampiezza, specialmente quando la ma%gioranza dei paesi dispone di appa- BibliotecaGino Bianco rati amministrativi primitivi e segnala un accre– scimento demografico rapido. Ottenere i benefici di un'economia mondiale in espansione, assicurando una relativa stabilità, ma preservando ad un tempo gli incentivi ·al progresso e le capacità di ·adatta– mento ai mutamenti è invero obiettivo di cui ap– paiono ogni dì maggiori le difficoltà, e ogni di più imprevedibili alcune conseguenze o prevedibili al– cuni rischi. Tutto ciò va confessato anche da chi condivide l'aspirazione politica al pieno impiego. Le difficoltà appaiono naturalmente più spiccate all'economista che al politico. L'economista le giu– dica spesso insuperabili; o ritiene che per ovviarle si incontrino altre difficoltà ben maggiori, o con– seguenze funeste per un'economia progrediente. Ed è ~vidente che, a fianco di tali studiosi, si pongano poi _coloro che, chiamati a scegliere fra un tributo di controlli da subrre e un trrbuto di di-soccupazion.e da far ricadere su altri, preferiscano la seconda alternativa. Gli ostacoli sono molti. E' difficile, anzitutto dare una definizione del .concetto di « piena occupazio– ne ii. Era già difficile definire il 'disoccupato, in un determinato paese, in un determinato periodo di tempo: ma gli statistici hanno saggiato le difficoltà di definirlo internazionalmente, con criteri unifor– ~i.. E che dire del concetto « sotto-occupazione ii, dizione che pur dobbiamo utilizzare ogni giorno? Si t~atta di stabilire dei confini arbitrarii, ma suffi– cientem:mte ben delimitati, per non ragionare su termini troppo vaghi. Il tentativo è stato compiuto, n:-a finorn assai primitiva~ente, sia dal Beveridge, sia dal Balogh e _compagm, sia dal Clark e com– pagni (10). A parte l'arduo problema sociologico di chiarire ciò che può la volontà degli uomini, e ciò che non p_uò, è difficile poi conseguire la capacità e l'espe– rienza necessarie all'organizzazione statale ammini– strativa, affiµchè essa sia in grado di tempestiva– mente conoscere e tempestivamente provvedere. E' difficile mantenere a tale organizzazione ammini– ~trativa . snel~e.zza e duttilità. E' difficile scegliere i metodi; uhhzzare, ad esempio, con la prontezza necessaria, lo strumento fiscale, che pure è uno dei congegni reputati di primaria importanza per una ~o.litica di P·. o. ~ ancor_ più ardua appare una po– -hhca economica mternaz10p.ale che riesca, nel segno della cooperazione, ad evitare che eventuali autar. chie nazionali diventino più pervicaci e dannose. E la somma di .interventi chiesti per la « correzione ,, può. costituite, in paes_i impreparati, un viluppo cosi mtricato da mettere m serio pericolo - ove non si~ meditatamente preparata, ragionevolmente ap– phcata e cons_apev--0lmente accolta - l'esistenza stessa di una società libera. Gli uomini non sono pedi11;e da spostare su uno scacchiere; e la società non e un meccanismo, ma una cosa viva, Di tutti questi pericoli, di queste difficoltà, di (10) Il J{EYNES definisce « full employment » (piena occupaz.) « una situazione tale che i fattori di produzione desiderosi di lavorare siano tutti occupati ». La piena occupa~. P,UÒ ancora· e~s~re definita « il volume massimo dell'occupazione compa– tibile con un dato salario reale »; Il BEVERIDGE afferma che « piena occupazione non significa testualmente assenza di di– soccupazione »: « significa che vi sono più posti vacanti che dis?ccupat_i ». Invece il rapporto del Nuffield College suila politlca d1 occupaz. postbellica (Employmenl policy and or– ganization of ,industry afler the war) la definisce come « una situazione degli affari nella quale Il numero del posti vacanti non è notevolmente Inferiore al numero delle persone disoccu– pate ». Aggiunge il BEVERIDGE che « occorre non soltanto che la domanda sia sufficiente nel suo insieme, ma ancora che essa sia orientata, tenuto conto della localizzazione del lavoro di-

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