La Critica politica - anno VI - n. 10 - ottobre 1926

LA CRITICA POLITICA RIVISTA MENSILE ANNO VI ij OTTOBRE 1926 FASC. 10 Problemi interni del fascismo Non è a credere che• la vita politic~ non offra anche oggi lati molto interessanti. La vittoria del fascismo ha dato, sì, alle sue manifestazioni esteriori un aspetto ed un movimento più uniformi e tutto di fatto si riconcentra in un unico partito dominato dalla volontà di un solo : non ha però eliminato la diversità degli aspetti, la diversità degli interessi e la diversità di vedute. N è il fascismo, del resto, poteva proporsi di eliminarle. Anzi r attuale sistemazione della vita politica determina situazioni nuove degne di molta attenzione da una parte, motivo di incertezze e di preoccupazioni dall'altra. Non v'è mutamento senza scosse. In Italia il mutamento è stato troppo forte perchè non avesse ripercussioni profonde nelle idee, nei sentimenti, nella posizione stessa degli interessi. Al disotto della uniformità apparente alla superficie c'è, così, il movimento. Movimento delle idee, revisione di posizioni, e, in formazione, nuove aspirazioni, nuovi sentimenti, nuovi bisogni. Per arrivare dove, per concludere a che - se ad una stabilizzazione o ad un rovesciamento - questo lo dirà solo l'avvenire. Per ora il movimento non è e non può essere fuori e contro il fascismo. E non è certo il miglior modo di osservarlo quello di trattenersi su quanto sta avvenendo nei vecchi quadri delle opposizioni parlamentari. Bisogna anzi dire che quanto queste offrono palesemente agli occhi dell'osservatore estraneo starebbe a denunciare la loro incapacità congenita a porsi al passo . con la realtà. Nulla vi potrebbe, infatti, essere di più vano, inconcludente, antistorico e... passatista delle polemiche che si svolgono tra socialisti destri e sinistri, concentrazionisti e massimalisti a cui si riduce presentemente l'attività visibile di partiti che furono il nerbo principale delle opposizioni. ' E un po' la storia dei polli di Renzo. Il partito comunista poi, nella sua quotidiana campàgna contro tutti, nello sforzo diretto ad isolarsi e a ricacciare dalla parte opposta le forze che hanno conservato un certo spirito di autonomia, mostra di• non aver tratto proprio nessun profitto dalla tattica. . che valse a Lenin e al Bolscevismo la vittoria. Il particolarismo, con le sue misere gelosie di bottega, domina, più assai che nel passato, sui residui dei vecchi partiti politici. E non è dalla loro parte che - per ora Biblioteca Gino Bianco

) 338 LA CRITICA POLITICA almeno - può volgersi l'occhio con interesse. C'è solo da sperare che sotto quello che di se stessi mettono in mostra ci sia qualche cosa di meglio. Dal momento che, mentre tante cose sono mutate, solo i capi sono rimasti stabili, al riparo dai voti e dai dissensi dei gregari, si dovrebbe ritenerlo. Le opposizioni per o~a non ci dicono nulla. Per l'avvenire poi la · loro azione e le loro possibilità dipendono esclusivamente dalla realtà che s'è formata fuori e contro di esse. Ragione di più pe~ guardare ... dall' altra parte. Ma non si tratta solo di questo. V enti milioni di cittadini - secondo le ulti~e comunicazioni ufficiali - si trovano attualmente, per atto pià o meno volontario, inquadrati nelle organizzazioni sindacali, ossia, per usare l'espressione m,litare in uso, « marciano sotto i gagliardetti delle Corporazioni fasciste » : venti milioni che - quando se ne escludano i vecchi e i bambini, le donne di casa ecc. - sono qualche cosa come la totalità della popolazione italiana organizzabile. Se lo scopo del fascismo, oltre quello di sottoporli alla propria disciplina, era anche di imprimere a tutti gli italiani la propria impronta politica, lo scopo può dirsi raggiunto. Il popolo meno organizzato del mondo è adesso - nell'aspetto esteriore intanto - il più organizzato. Ecco un fatto che, comunque volgano gli avvenimenti,· avrà anche nell'avvenire una profonda influenza, Ma è un fatto che pone a eh~ lo ha voluto problemi di organizzazione di una difficoltà enorme, forse e senza forse non preveduti. Si tratta di un complesso imponente, ma al tempo stesso molto delicato, il quale potrà in avvenire essere dominato e guidato solo a patto di possederne tutte le leve di controllo e innumerevoli tasti di sensibilità. Necessità, quindi, di avere alla sua direzione un pers·onale numeroso, molto capace, fortemente addestrato e preparato, fornito di tutte le qualità necessarie per prevenire e superare gli ostacoli. Nella fretta di arrivare ad un risultato totalitario il fascismo non si era preoccupato eccessivamente di tale problema. Incomincia a preoccuparsene ora. Se l' organizzazione sindacale ha potuto prendere le attuali proporzioni in brevissimo tempo, . un buon personale dirigente invece non si improvvisa, si forma solo attraverso lunghi anni. Quello che s'era venuto formando nelle vecchie organizzazioni di classe, oltre ad essere scarso, non potrebbe essere adoperato. · Il fascismo ha bisogno, infatti, di organizzatori che gli siano scrupolosamente fedeli. Lo stesso dicasi per tutti gli altri posti di comando. Il partito è un uomo anzi tutto : Mussolini. Quando egli creò i fasci pochi erano gli uomini intorno a lui. Alla vigilia della « marcia su Roma » le forze del partito fascista, per quanto assai rapidamente ingrossatesi, non superavano i centomila iscritti, numero rispettabile, superiore a Biblioteca Gino Bianco

PROBLEMI INTERNI DEL FASCISMO 339 ,quello che nella stessa epoca poteva vantare il partito socialista che pure era dei vecchi partiti il più numeroso, ma assai inferiore alle cifre raggiunte di poi. Oggi il partito comprende quasi un milione d'iscritti (1); cioè non è pi~ quello della vigilia, è un'altra cosa. Se è al partito che nella vita politica deve essere riservata la fun.zione di comando è a vedere .se quanto il partito rifletta la vecchia anima, la mentalità, lo spirito, il programma del fascismo primitivo. Si pone così per il fascismo nei confronti del partito lo stesso problema che gli si pone nei confronti della organizzazione sindacale : identico nella forma e nella sostanza. ' E sotto tale aspetto e in relazione a tutte le questioni che vi sono connesse che la riforma dello Statuto del partito fascista attuata in .questi giorni ·merita di essere pure riguardata. Essa è bensì uno sviluppo logico ' del sistema. E il solo modo, infatti, nel quale Mussolini potesse assicurarsi un controllo sicuro e diretto del partito, sottraendolo alle variazioni e alle influenze dell'ambiente. Ma ha pure servito a porre in discussione la que- .stione essenziale : quella della formazione della classe dirigente. La riforma per se stessa non poteva incontrare contrasti o dissensi vivaci. Al contrario fu accolta . con soddisfazione oltre che dagli organi ufficiali delle Federazioni provinciali (e si capisce) da coloro stessi che non vi erano minimamente interessati. Non vi è stato che un solo fascista il quale abbia esplicitamente manifestato il proprio dissenso, l' on. Farinacci. « Dittatura del partito sulla Nazione, sì - ha detto il deputato cremonese - ma nel partito siamo costituzionali ». Altri hanno, invece, .spiegato come e perchè non si possa essere costituzionali nemmeno nel partito. Giova riprodurre la spiegazione come la troviamo riassunta in una pubblicazione fascista (2): « la nostra organizzazione nello stesso momento in cui avrebbe dovuto snellirsi, selezionarsi, affinarsi, come stumento di educazione e di esemplarità politica e morale, è venuta invece ad appe- .santirsi di una grossa, svariata e disutile massa di persone che dopo essere .state cinque o sei anni alla finestra hanno sentito d'un tratto l'affannoso entusiasmo di entrare nelle nostre file ». Secondo quanto è detto nella publicazione sopra citata e da altri scrittori fascisti (3) il grave difetto del ( 1) Ecco le cifre ufficiali pubblicate il 15. ottobre 1926 : « In totale i Fasci di combat.. timento sono 9472 con 937.967 tesserati: i Gruppi femminili 1158 con 53.391 iscritte: le Avanguardie 4390 con 211.189 inscritti: i Gruppi Balilla e Piccole Italiane 4058 con 269. 166 inscritti :o. (2) In Critica Fascista - 15 luglio - G. SECRETI : « Il Regime e il Partito ». (3) Si veda, infatti, quello che si è scritto a tale riguardo, appunto in questi giorni, oltre • che in « Critica Fascista », nel « 'Popolo d, Italia » ( 13-15 ottobre), nel «· ~evere » ( 15 ottobre), nell' « .flssalto » di Bologna, ecc, ecc. Biblioteca Gino Bianco

340 LA CRITICA POLITICA partito è quello di essere divenuto un partito troppo numeroso. Gli inser- ' zionisti vi sono innumerevoli. E l'ondata dei profittatori che ha provocato le crisi di questi ultimi tempi. I fascisti (quelli della vigilia) si troverebbero ora ridotti ad essere una minoranza in casa loro. Le nomine di tutte le cariche dall'alto· si sarebbe imposta così come una necessità per assicurare il fascismo ai fascisti, per impedire che le posizioni si rovesciassero e che gli sconfitti restassero i beneficati. I vecchi fascisti (alcuni dei quali sono altresì giovanissimi) hanno avvertito la gravità di simile situazione e hanno plaudito al nuovo Statuto, che fa dipendere da Mussolini la investitura di tutte le cariche direttive e abolisce ogni potere deliberativo delle assemblee, appunto perchè sperano che debba servire per potere procedere in. ogni fascio ad una opera energica di epurazione. Snellire il partito, riportarlo alle proporzio1.1iantiche, eliminare tutti gli ultimi arrivati, gli inserzionisti, i profittatori: è quanto da una parte si chiede e si attende. L'altra parte non può essere, come è naturale, dello stesso parere. Se di un contrasto può parlarsi esso è tra lo spirito del fascismo, necessariamente particolarista e cioè di partito, e la sua natura, necessariamente totalitaria. V'è chi ha visto nel nuovo Statuto del partito una sistemazione definitiva conforme allo spirito ed alla natura del fascismo. In tal senso lo· hanno prospettato e giustificato, ad esempio, il Lumbroso e il De Marsa-- nich ( 1 ). I precedenti, le tappe che hanno segnato le successive realizzazioni politiche del fascismo, la intima logica del sistema che si è venuto formando negli ultimi quattro anni, lasciano ritenere che i due scrittori siano nel vero. L'elemento volitivo e pensante del fascismo non può tuttavia sentirsi appagato ne' suoi dubbi, nelle sue preoccupazioni, nelle sue aspirazioni : sopratutto nelle sue aspirazioni. Il fascismo è per essi un ~ontinuo divenire, un susseguirsi di esperienze e di soluzioni. La riforma dello• (1) GIACOMO LUMBROSO: Le nuove funzioni e il nuovo aspetto del Partito 3'{.azionale Fascista in e Critica Fascista», 15 ottobre. A. DE MARSANICH : Governo e Partito in « Popolo d'Italia », 15 · ottobre. Il Lumbroso ritiene che fosse il solo modo per. evitare e le dannose interferenze e sovrapposizioni che hanno ridotto certe provincie italiane ad una specie di Babele ove tutti vogliono comandare e non si capisce più chi sia il legittimo rappresentante del potere centrale > e vi vede, intanto, un modo per rafforzare l'autorità dello Stato, la quale, secondo lui, verrebbe ad accrescersi maggiormente se all'organizzazione politica fascista « si toglierà il nome di partito > e cioè e ogni etichetta di faziosità ». Il De Marsanich vede nell'autonomia interna del partito un vero e proprio pericolo per il regime, sopratutto ·per le· infiltrazioni nemiche nelle linee che esso non ha potuto evitare e non potrà evitare nemmeno nell'avvenire: il partito secondo la dottrina fasèista, non può volere esso determinare e guidare la politica del governo (in tal caso si ripeterebbe il vecchio sistema) ma deve essctre « un organo, il massimo organo politico del governo•. Biblioteca Gino Bianco

PROBLEMI INTERNI DEL FASCISMO 341 Statuto deve avere quindi un carattere contingente, provvisorio, non può essere una soluzione, tanto meno una soluzione definitiva. Ed è in tal ·senso che l'accetta I' on. Bottai : venendo a cessare « le necessità di ca - rattere pratico e contingente », egli dice, << nulla potrà impedire che il partito riveda i propri ordinamenti ». Le l)ecessità pratiche a cui la riforma dello Statuto dovrebbe per ora servire sarebbero queste : << via i capi indegni, insufficienti, maneggioni, ipocriti»; dare « un concetto unico di disciplina che agisca come principio unificatore, non disgregatore »; « ricondurre un certo senso di giustizia per i rami dell'organizzazione sottratta all'arbitrio dei capoccia »; « dare un più vivace senso di unità alla azione fascista ». Ma l'essenziale è che tali scopi siano effettivamente perseguiti, che << la scelta dall'alto sia davvero una scelta e non l'accettazione di situazioni personali e di fatto », e che l'apparecchio del partito non si meccanizzi; non si burocratizzi. Qualcuno - aggiunge il Bottai - « potrebbe prospettarsi, dinanzi ai nuovi ordinamenti, i pericoli della burocratizzazione del partito. Un partito inerte, senza iniziativa, senza entusiasmo, senza impulso ali' elevazione è, per certo, uno dei maggiori malanni che possano capitare ad un Paese in pieno sviluppo di rinnovamento come il nostro». Per ciò egli si augura che - passato l'attuale « periodo d'irrigidimento del partito » - « si contraddicano i sistemi di oggi e ci si appigli proprio ai loro contrari >>. Il ritorno ~ alla iniziativa collettiva di azione, al diritto di libera critica, alla facoltà del partito di organizzare se stesso » si renderà, secondo Bottai, necessaria per impedire la « pietrificazione delle gerarchie », perchè si abbia veramente nel partito « una situazione dinamica, creatrice di nuovi valori, di nuovi uomini, di nuovi capi» (1). Un altro scrittore fascista, dal quale per la sua provenienza politica non potrebbero attendersi le conclusioni alle quali arriva il Bottai, non manifesta altrimenti i suoi dubbi e le sue preoccupazioni. Umberto Guglielmotti - in Roma F ascisla - vede infatti il pericolo di « cristallizzazione di taluni stati di fatto» e vorrebbe, egli pure, che il nuovo Statuto servisse a spezzare quelle che si sono già formate. « Vi sono - osserva - nel fascismo molti gerarchi, diciamo così, per forza di inerzia. E vi sono sopratutto dei cerchi chiusi, delle oligarchie {ci si passi la parola) che rifuggono da immissioni di nuova linfa, e anche delle gelosie le quali provocano l'allontanamento di quanti possono dare ombra per intelligenza, cultura, preparazione ». Quindi - dopo aver detto che ciò va ( 1) G. BOTTAl : La parola al giooani (Considerazioni intorno alla riforma dello Statuto) - in e Crillca Fascista >, 15 ottobre. Biblioteca Gino Bianco

342 LA CRITICA POLITICA eliminato - continua : « ma come può oggi un beli' ingegno che non sappia o non voglia esibirsi secondo i noti metodi, non diciamo affiorare alla superficie, ma soltanto farsi conoscere a chi di ragione? E su quali basi allora potrà sorgere la classe dirigente fascista, quella cioè che tragga i natali unicamente dal fascismo? La questione è, come ognun vede, fondamentale e noi ci limitiamo soltanto ad enunciarla : chè sarebbe un gravissimo pericolo se il nuovo ordinamento, anzichè costituire la possibilità di un accurato esame delle energie reali e feconde spesso antitetiche a ce1te qualità formali proprie dei politicanti consumati nel lavorio di corridoio. finisse per consolidare quei cerchi chiusi cui sopra accennavamo » ( 1). Come non c'è vita senza circolazione del sangue, non può un organismo politico conservarsi a lungo e fortemente vitale senza una attiva cir- ' colazione interna di élites, di forze pensanti operanti e rinnovantesi. E verità antica che non ha bisogno alcuno di essere nuovamente dimostrata. Non c'è proprio da meravigliarsi, quindi, che tale verità sia riconosciuta ' per certa nello stesso campo fascista. E anzi quanto mai spiegabile che i ' fascisti la sentano e ne discutano. E .da vedere, piuttosto, come si propongano di provvedervi. Le soluzioni possono essere diverse ; ma il problema stesso può essere posto in termini assai diversi. Tra gli scrittori che abbiamo sopra citato, il Lumbroso e il De Marsanich da una parte e il Bottai e il Guglielmotti dall'altra, è da rilevare una separazione assoluta di concezioni : per i primi il partito è in funzione del Governo, per i secondi è invece il Governo in funzione del partito ; per i primi il partito non è l'essenziale del sistema il quale avrebbe acquistato la sua autonomia e supremazia dal momento stesso in cui è venuto a stabilirsi, per i secondi il partito· è il perno del sistema ·e tutto deve ad esso riferirsi e da esso dipendere; per i primi il partito potrebbe pure sparire e anzi converrebbe che sparisse, per i secondi conviene potenziarlo migliorandolo e selezionandolo. Sarebbe quasi il caso di dire che v'è più larghezza di vedute nei primi, i quali sono per il sistema rigido ed autoritario, che nei secondi che sono per un sistema pressochè democratico. I primi hanno più sviluppato il senso della Nazione presa .nel suo complesso ; i secondi più sviluppato quello di partito. Con i prim~ si può arrivare persino alla democrazia nello Stato ; coi secondi non si può andare oltre ad una democrazia nel partito. Ad ogni modo è cosa molto diversa che la formazione delle élites ( e la loro circolazione) debba avvenire nella Nazione presa nel suo complesso o che debba restare un affare esclusivo del partito. (1) UMBERTO GUGLIELMOTII: Dopo la soppressione dell'elezionismo interno - io ~oma Fascista, 9 ottobre. · Biblioteca Gino Bianco

PROBLEMI INTERNI DEL FASCISMO 343 Anche volendo ridurre la questione a semplice affare interno del partito, essa va sempre definita nei punti di partenza : chi deve formare il· partito ? Quadri aperti o quadri chiusi? Deve considerarsi come fascista, e averne i diritti, l'iscritto del '19, o quello del '22, o quello del 1926? Sembrano disquisizioni piccine e sono invece assai serie, cioè punti fermi da stabilire. Non per nulla tali domande affiorano in ogni occasione. Esse implicano la questione se il fascismo deve restare al fascismo o passare in altre mani : in quelle degli ultimi arrivati, che fascisti non furono, che probabilmente non lo sono e èhe sono tuttavia, oggi, la grande maggioranza. L'ideale, che alcuni vagheggiano, sarebbe appunto di riportare l' organizzazione fascista ai quadri del '19 o al massimo a quelli del '22. Uno scrittore fascista non privo d'ingegno, il Pellizzi, batte inesorabilmente da alcuni anni su questo chiodo : bisogna creare una aristocrazia fascista a cui esclusivamente - statutariamente - siano riservate tutte le funzioni politiche. Dovrebbe essere una consacrazione « ad. personam » e anche « ad familiam »: quei soli e non altri, e con diritto ereditario. E porte chiuse per tutti gli altri: per quelli venuti dopo e per quelli. che fossero per venire, l' « Ordine del Littorio « insomma. L~idea non ha avuto fortuna, anzi è stata inesorabilmente combattuta (1); ma il Pelizzi non vi ha rinunziato, anzi ha preso occasione della nuova riforma dello Statuto per insistervi con maggiore vigore (2). Anche egli, però, allorchè si tratta di stabilire come questa ristretta aristocrazia dovrebbe internamente governarsi, ed esprimere i capi dal suo seno, ricade nei sistemi noti come democratici. E deve essere per ciò - perchè si fonda su un principio di scelta e di designazione - che la sua proposta non ha incontrato fortuna. ' Infine vi è un terzo modo di presentare la questione. E strano che quasi nessuno vi abbia ancora accennato. Eppure s'imporrà. Una realizzione politica del fascismo che è molto innanzi è lo Stato sindacale. Il sistema corporativo - per quanto in una forma molto indiretta ed esclusivamente consultiva - sostituirà tra breve ogni altra forma di rappresentanza. Ora occorre vedere: Corporazioni o Partito? Non è, evidentemente, la stessa cosa che la formazione e la rotazione delle elitès avvengano nelle une o nell'altro. Nè vi può essere prominenza delle une senza escludere la preminenza dell'altro. Una selezione, come quella che il Pellizzi ritiene possibile possibile e necessaria nel Partito, nelle Corporazioni non è possibile nemmeno I (I) In senso reazionario da VOLT: Impero e ari$tocrazia, in « Vito N_uo11a » di Bologna, maggio 1926, nonchè da altri scrittori. (2) Vedi i suoi articoli: Parlamento fascista in Critica Fascista del • 1 ° agosto, e Ordine del Littorio - nella stessa rivista, 1 5 settembre. Biblioteca Gino Bianco

344 LA CRITICA POLITICA immaginarla ; tanto è evidentemente impossibile, che il Pellizzi, con tutte le sue forze, e senza porsi nemmeno il problema, depreca la esistenza della progettata Camera Sindacale, come trasformazione dell'attuale Senato. « Fra cento anni - egli preconizza - quando noi tutti ed il Duce con noi saremo scomparsi, S. M. Il Re non potrà fare altro che chiamare... Giolitti ! Intendasi il Giolitti che ci sarà allora ; espresso se meglio vi piaccia dalla Camera Sindacale ». Ma il Pellizzi è un eretico! E quì facciamo punto, anche per ragioni di spazio. OLIVIERO ZUCCARINI I ' L'INDUSTRIA E LE SUE POSSIBILITA -------------------------- Che l'Italia possa divenire anche un paese industriale nessuno ha mai messo in dubbio. Quello di cui si è, qui, sempre dubitato è che l'Italia possa divenire un paese prevalentemente industriale e che le industrie capaci di svilupparsi e di consolidarsi da noi siano proprio le così dette industrie pesanti, le siderurgiche ad esempio. L'Italia è un paese prevalentemente agricolo e tale resterà a lungo e non si concepisce sviluppo industriale che non sia strettamente collegato alle condizioni naturali del paese. Tali condizioni offrono certe possibilità - e tali possibilità sono molte - non altre. Ecco perchè quando si vuole contribuire colla propaganda e l'opera allo sviluppo industriale non bisogna formulare programmi troppo assoluti, nè credere che basti solo la volontà per supplire ad alcune deficienze naturali o addirittura sostituire coli' immaginazione ciò che ci manca. Lo stesso on. Antonio Stefano Benni, presidente della Confederazione (ora fascista) delrindustria, è dovuto intervenire, in una lunga lettera pubblicata nel Popolo d'Italia del 2 ottobre u. s., a moderare il tono di alcuni giornalisti in una materia tanto delicata. Egli ha fatto, anzitutto, l'esaltazione dell'opera che gl'industriali vanno svolgendo in ogni senso, e qui ha <:ertamente esagerato alquanto. Ma ha fatto poi alcune osservazioni assai giuste. L •azione degli industriali - egli ha detto - « ha limiti in ostacoli che non possiamo superare e in condizioni di fatto che non possiamo distruggere ». Ed ha presentato qualche esempio. « Il legname della Calabria non può sostituire in molte regioni il legname estero ». Costa troppo. Ma se anche costasse meno, noi non sappiamo quanto economicamente converrebbe all'Italia un nuovo disboscamento, dopo quelli improvvidamente operati nel passato. ; In quanto ai combustibili nazionali - osserva poi il Benni - i tecnici ci dicono bensì che modificazioni più o meno costose di impianti li possono rendere meglio utilizzabili, ma gli altri ci aggiungono che il trasporto di molte qualità di ligniti darebbe luogo ad un consumo di carbone superiore alla resa del materiale trasportato». Si può continuare. L'Italia manca di grandi giacimenti di ferro. Non risulta ancora - nonostante le trivellazioni - che esistano forti sorgenti petrolifere. Bisogna quindi tener conto anche di tali deficienze. Non si può inventare quel che non c'è. Si può invece lavorare molto su quello che c• è. L'agricoltura è pur essa pna larga fornitrice di materie prime e una buona consumatrice. Si tratta dunque solo, anche in fatto d'industria, di adeguare i programmi alla realtà. Dovrebbe essere facile e invece sembra che sia tanto difficile ! Biblioteca Gino Bianco

Le ColonieAgricole Italiane nel Sud-Ovestdella Francia (Il problema i,isto da un /rancese) Il nostro amico e collaboratore Camille Pitoliet c'invia questo suo articolo sulle colonie agricole italiane in Francia. L'interesse dello scritto è, anzitutto, nel /atto che ri/1.etteun punto di 'Vistafrancese. Pur essendo dettato da simpatia per l'Italia e per gl' italiani e per quanto l'opera che i nostri coloni vanno svolgendo nel Sud-Ovest della Francia vi sia con'Venientemente valutata, vi si esprimono dubbi e preoccupazioni che è bene in Italia /ar conoscere. Noi sappiamo benissimo che tanfo gli uni che le altre non hanno fondamento nella realtà. Il fenomeno della nostra emigrazione è un fenomeno antico: naturale e spontaneo. Nelle sue mani/est azioni e nei suoi sviluppi non ha mai obbedito - l'amico Pitollet se ne convinca - ad uno scopo politico determinato. Si è volto in America avanti la guerra, e in proporzioni assai vaste; si volge in parte, ora che le vie d'America sono più difficili, 'Versoil Sud-Ovest di Francia. Le /orme di assistenz_ache la madre patria offre ai suoi figli sono poi quelle stesse sempre adoperate in- passato: abbiamo in Italia a tale scopo Istituzioni precedenti di molto al fascismo. Nulla vi è di nuovo o particolare alla Francia di cui i francesi debbano allarmarsi. I coloni italiani - come in tutte le nostre vaste colonie di emigranti - mentre sapranno restare buoni italiani, sapranno al tempo stesso addimostrarsi ottimi cittadini di Francia. Ma si errerebbe assai in Francia se .. per dubbi e preoccupazioni che, ripetiamo, non hanno ragione di essere - si ritenesse necessaria e opportuna nei confronti dei coloni italiani una speciale politica di rapida e /orzata assimilazione. Sarebbe la peggiore politica per la Francia e, di riflesso, per l'Italia. In Francia si leggono poco i giornali italiani, per non dire che non li si legge affatto. Ma alfine s'è trovato un giornalista francese che li ha letti! È · Charles Bonnèfon, redattore dell'organo conservatore bordolese « La Petite Gironde ». Ed ecco ciò che, nel numero del 18 maggio, egli scriveva nel primo dei suo.i articoli su « L'emigrali on italienne en Gascogne » : « Alcuni giornali ultrafascisti hanno intrapreso contro la Francia, a proposito dell'emigrazione italiana in Guascogna, una campagna di aspra critica. Essi vi presentano la nostra patria come agonizzante per difetto di natalità. Essi dipingono i nostri contadini come degli alcoolizzati infingardi, che abbandonano la terra, o che vi vivacchiano senza darsi la pena di coltivarla. Aggiungono che un gran numero di contadini italiani e di proprietari furono raggirati da intermediari senza scrupoli che hanno fatto loro pagare prezzi pazzeschi per terrèni incolti o argillosi. Li presentano di ritorno in Italia mezzo rovinati, alcoolizzati, indisciplinati e alle volte sifilitici. La risposta, a queste affermazioni, . non ha tardato a venire, definitiva, da parte degli stessi coloni italiani ed è Biblioteca Gino Bia- co

346 LA CRITICA POLITICA ---------===-- --- -- ---------- comparsa in tutti 1 grand;. giornali d'Italia. Anzitutto costoro hanno reso omaggio al coraggio dei contadini francesi che, malgrado la notoria insufficienza di mano d'opera, sono riusciti a coltivare diligentemente le terre più ricche e a mantenere in uno stato soddisfacente la maggior parte delle altre. Hanno aggiunto che, ben lungi dall'essere stati raggirati salvo ben rare eccezioni - per il 5 °/ 0 tutto al più degli affari conclusi - i proprietari italiani avevano fatto nella maggior parte affari eccellenti e se ne mostravano soddisfatti. Hanno affermato, infine,fche i proprietari e i contadini italiani avevano trovato in Francia l'accoglienza più cordiale e fraterna ; che gli operai agricoli in special modo si mostravano molto soddisfatti del trattamento alimentare che ricevevano: carne almeno una volta al giorno, caffè e perfino armagnac ; e che molti di essi preferivano prestare servizio presso i proprietari francesi piuttosto che presso i proprietari italiani giunti in Francia contemporaneamente a loro. Ecco dunque una faccenda liquidata. Il popolo italiano è oggi persuaso che i suoi contadini sono in Francia ben trattati e che i suoi proprietari, i quali hanno acquistato per circa 100.000.000 di lire di terra francese nell' Haute-Garonne, nel T arn-et-Garonne, nel Lot-et-Garonne e nel Gers, hanno acquistato proprietà di un valore molto superiore a quello pagato » • Lo stesso scrittore, che è persona seria, e senza partito preso di stretto chauvinismo, veniva dopo ciò ad alcune conclusioni: << Da queste inutili polemiche ecco - egli diceva - gli elementi che agli occhi· dei nostri vicini ed amici restano stabiliti. In primo luogo essi ritengono che l'Italia rende un grande servizio alla Francia infondendole una nuova giovinezza e un vigore più grande. In secondo luogo la perdita della nazionalità italiana appare loro come inevitabile, presto o tardi. Gli italiani che hanno acquistato terre francesi finiranno col diventare francesi se si troveranno bene nel nostro paese. Infine - ed è questo l'argomento meno inesatto di tutto questo esame critico - non v'ha dubbio che l'Italia, inviando alla Francia degli uomini fatti, le fa dono di un notevole valore produttivo e di tutto il denaro che ha costato la loro educazione » • .Questo, naturalmente secondo Ch. Bonnèfon, per presentare il punto di vista italiano, al quale egli opponeva subito alcune fondate obbiezioni. La questione della debole natalità francese è, come si sa, una specie di luogo comune che non si manca mai, un po' dovunque, di adoperare contro lo spirito « materialista > di noi francesi. Fu usato avanti la Grande Guerra, e dopo se n'è usato e se ne è abusato, a proposito e a sproposito. La tesi è nota. L'eccedenza delle nascite italiane sarebbe di 500.000: quella delle nascite francesi di 70.000. Da ciò ne segue che la nostra razza è « degenerata » • Ora si sa che le statistiche debbono sempre essere adoperate con estrema prudenza e con qualche scetticismo. Nel caso particolare non occorre molta fatica a rispon·dere che, se i rapporti tra le eccedenze francese e italiana si sono mantenuti in una proporzione identica, benchè in questi ultimi venti anni la natalità italiana si sia abbassata del 1 O per 1000 mentre la natalità francese durante lo stesso periodo aumentava del mezzo per mille, la ragione è che la mortalità si è abbassata in Italia del 14 per 1000 in 20 anni, mentre in Francia, a nostro grande disdoro, restava Biblioteca Gino Bianco

LE COLONIE AGRICOLE ITALIANE NEL SUD-OVEST DELLA FRANCIA 347 stazionaria o anche aumentava, di modo che la mortalità italiana è attualmente de) 3 per 1000 inferiore a la mortalità francese e che a mortalità eguale con l'Italia la Francia dovrebbe aumentare di circa 120.000 abitanti per anno, ciòche sarebbe quasi sufficiente. Quanto si riferisce poi al valore delle razze un paragone tra i due paesi non avrebbe alcuna probabilità di essere esatto, anche approssimativamente, se procedesse altrimenti che regione per regione. Impossibile, ad ogni modo, un raffronto in maniera globale. Durante la guerra, quando io occupavo il posto di ufficiale interprete presso la Missione Militare Marittima in Genova, ho spesse volte percorso la penisola in tutti i sensi, dal più estremo Nord al più estremo Sud ed ho constatato da questo punto di vista, della razza, fatti caratteristici. Mi sembra bene che la selezione naturale, che ha potuto esercitarsi in Francia in modo più efficace che in Italia, abbia prodotto da noi un popolo nel suo insieme più vigoroso del popolo italiano, del quale tuttavia io sono ben lungi dal negare i meravigliosi esemplari fisici, disseminati, in modo sporadico, attraverso l'Italia. Che il francese della classe media sia forse meno raffinato dello · italiano della stessa condizione sociale, non lo negherò. Ma sostengo che è generalmente più robusto, più resistente. Se i proprietari italiani hanno acquistato terreni nella nostra Guascogna, ciò dipende da diversi motivi, dei quali principali sono : 1•analogia del clima - riferendosi con ciò, fortunatamente per noi, al clima dell'Italia settentrionale - ~ il miglior mercato del terreno in Francia - un proprietario di 5 ettari in Italia può, vendendolo, acquistare da 15 a 20 ettari in Francia - ; e il tasso assai inferiore delle imposte fondiarie in Francia a paragone dell'Italia, ciò che permette a un modesto contadino nelle strettezze in Italia di divenire assai presto, - purché lavori con impegno - relativamente agiato, tra noi. Si deve, infatti, considerar bene che mentre i territori di collina· del bacino della Garonna. sono troppo rocciosi e non si prestano a culture produttive, le terre di pianura, di una fertilità più che media, sono invece propizie alla cultura della vite, del grano e del granoturco. Senza dubbio la Lombardia, il Piemonte e .il Veneto• posseggono terre più ricche e molto meg~io sfruttate. Ma con una cultura intensiva e tre anni di buona concimazione, con ingrassi chimici giudiziosamente· dosati, non è difficile restituire loro una nuova fecondità e creare dei centri di produzione agricola attivi e prosperi nelle campagne del Sud-Ovest fran-- cese, impoverite per l'assenza di mano d•opera, per la deficienza di bestiame e quindi di ingrasso naturale. Non già che ci sia da aspettarsi di vedere giammai lo spettacolo incantevole delle campagne dell'Umbria o della Lombardia, ove non un palmo di terreno è lasciato improduttivo, ove non si vedono siepi e alberi inutili,. o vincheti lasciati a invadere le prossimità dei ruscelli, o macchie di rovi e di arbusti spinosi lasciati a succhiare liberamente i succhi di un suolo• abbandonato, dove invece i gelsi e gli olivi, piantati di tre in tre metri, servono. di supporto vivente alle pergole da cui cadono i biondi rami su fili di ferro, . dove uno stesso pezzo di terra sopporta tre culture simultanee ; poichè ai piedi. Biblioteca Gino Bianco

348 LA CRITICA POLITICA -degli olivi e dei gelsi che si annodano, crescono il grano o il granturco o verdeggiano i pascoli ! Questo sistema di tre culture sovrapposte, benchè abbia i suoi inconvenienti, ha dato all'Italia, paese essenzialmente agricolo, quanto le occorre per la sua alimentazione, ( 1) mentre l'agricoltura francese venne lasciata, da un governo di avvocati e di giornalisti, quasi completamente ai tristi destini di una pratica consuetudinaria di sistemi antiquati, che solamente dopo la Grande Guerra furono abbandonati per un timido inizio di colture razionali e scientifiche. Chi volesse avere la documentazione dello stato d'incredibile abbandono nel quale vennero lasciate le nostre campagne, e dei metodi vecchi e retrogradi che vi venivano seguiti, non ha che a leggere, nel numero del 15 giugno scorso della rivista mensile parigina « Le Monde Nouveau» l'articolo, dell'ingegnere agricolo G. J. Stotz : « L' agriculture dans l 'Economie lnternationale «, articolo largamente documentato sulla base della ricca e varia esperienza dell'autore, nato a Strasburgo e antico direttore dell' « Eco le d' agriculture algérienne de Maison-Carrée » • Nulla di meglio fu scritto in questi ultimi tempi sulla necessità di una politica agraria in Francia, se si vuol salvare il paese dalle minaccie del comunismo che sta guadagnando ogni giorno più il proletariato, che diserta le campagne ove è nato appunto per le condizioni scandalosamente _meschine fatte agli operai agricoli in confronto degli operai dell'industria ai quali solamente andarono i benefici di una legislazione sociale parziale e unilaterale. Ci sarebbe pure da compiere un .altro studio sulle condizioni materiali di vita del contadino nelle diverse regioni francesi ; ma è uno studio difficile a compiere e per il quale, supponendo anche che si facessero larghe inchieste che senza dubbio, in questi tempi di caro vita, riuscirebbero assai costose, bisognerebbe tuttavia potersi appoggiare su buone monografie locali, che oggi mancano. Tutta via si son fatti in tal senso dei tentativi. Recentissimamente, per tenerci al Sud-Ovest della Francia che è la parte che c•interessa, un deputato della Gironda, l'Abate Bergey, ha compiuto un'inchiesta preziosa su le condizioni delle abitazioni rurali in Guascogna. Se lo spazio ·non ci ·facesse difetto meriterebbe che la riproducessi per intero. Si vedrebbe allora quali ostacoli si oppongano, in una regione pur tanto privilegiata, al progresso .di un'agricoltura razionale e le obiezioni, senza dubbio serie, che appunto a tale riguardo e a proposito dell'inchiesta dell'Abate Bergey, furono sollevate da un collaboratore agricolo della » Petite Gironde », il sig. Blasinon, agricoltore a Mauriac. A tali difficoltà primordiali e fondamentali, per i coloni italiani stabilitisi nel nostro Sud-Ovest altre se ne aggiungono di natura tutta particolare e « sui generis » che l'Abate Bergey, mentalità puramente francese, nemmeno sospetta. Coloro, infatti, i quali hanno qualche famigliarità con la vita del contadino italiano, sanno che questi è abituato a trovare nel suo paese numerose coope- ( 1) -Ciò deve tenersi per vero solo nel senso che l'Italia vive anzitutto sulla sua agricoltura, alcuni prodotti della quale sovrabbondano e possono essere esportati, mentre altri, come .il grano, sono assai inferiori ai bisogni normali delr alimentazione. N. d. R. Biblioteca Gino Bianco

LE COLONIE AGRICOLE ITALIANE NEL SUD-OVEST DELLA FRANCIA 349 ratives consorzi agricoli, nonchè, si può dire in ogni città, banche agricole, le quali, senza nulla perdere e rischiare, procurano loro il credito necessario. Essi acquistano così i concimi, le sementi, gli strumenti agricoli, il bestiame e, rimborsando gli anticipi avuti sul prodotto raccolto, pervengono a sviluppare le loro gestioni e, almeno, a superare le prove delle annate cattive. In Francia, invece, nulla di simile. Siamo ancora all'individualismo più assoluto, cioè ad un abbandono totale. Ciascuno si sbroglia a modo suo, senza alcuna facilitazione di credito. Le banche come i privati non prestano che su garanzie solide e a tali usurai. Da ciò la necessità per i primi coloni italiani di Guascogna di acquistare in Italia tutto il loro materiale e persino le sementi. Un'altra disillusione ancora qua da noi li attendeva. Poco abituati al clima, piuttosto piovoso, del Sud-Ovest e non trovando, d'altra parte, nelle campagne guascone che pochissimi canali di irrigazione, essi hanno passato annate d'incertezza e di angoscia su queste terre abbandonate ove, oltre all'appoggio materiale, mancava completamente ogni aiuto· spirituale - consigli pratici, informazioni precise - a cui s'erano assuefatti nei loro paesi d'origine. Nessuno specialista, nessun agronomo era, infatti, là per guidarli nei loro lavori, nella scelta degli ingrassi, per informarli sulla natura del terreno e sul modo migliore di coltivarlo. La Francia non ha ancora saputo creare quelle Cattedre Ambulanti che, senza nulla avere di professorale, offrono al contadino italiano aiuti preziosi. I professori francesi di agricoltura avrebbero bisogno, per convincersene, di andare a fare un buon tirocinio al di là delle · Alpi. Infine - fast but not least - le condizioni di rovina dei fabbricati dei poderi guasconi, il loro carattere di esiguità, inadatti, sprovvisti di tutto - villaggi senza acqua potabile, senza elettricità, senza sale di riunione, « castelli » in rovina nei quali solo il mobilio abbandonato testimonia tristemente di epoche migliori - non poteva che fare amaramente rimpiangere ai primi coloni quello che essi avevano lasciato indietro, oltre la barriera alpina: cioè stazioni civettuole e vicine del Nord italiano, abitazioni quadrate e massiccie a due piani, piccole città ospitali dalle vie ben lastricate e anche ben pulite, case di riunioni ecc. Il privilegio dell'istruzione primaria, che fino a ieri fu specialità della Francia, non è più oggi una realtà che si possa, qui da noi, contrapporre all'analfabetismo di un tempo in Italia. Il numero degli illetterati si accresce, da noi in modo desolante. Maestri e agitatori guadagnati al comupismo infine empiono l'anima ancora bambina, dei nostri contadini, di dottrine e di aspirazioni antisociali per eccellenza. Ovunque, poi, l'assenza di autorità, di ordine, di disciplina, di volontà, e un «menefreghismo» generale, dal primo all'ultimo gradino della scala sociale, disorganizzano l'edificio sociale... Tale è, brevemente riassunto, il quadro della situazione. Passiamo ora alla realtà della colonizzazione italiana del Sud-Ovest. Essa è avvenuta lentamente e per gradi. Furono gli operai agricoli della valle del Po, passati a stabilirsi in Guascogna, che iniziarono il movimento. Secondo la statistica prefettizia nel solo dipartimento del Lot e Garonne ne sarebbero venuti 7,592 nel 1921. È una cifra molto inferiore alla realtà. L'emigrazione, sempre crescente è, attualmente, rappresentata in Francia da non meno di un milione di uomini. I 311,000 km. Biblioteca Gino Bianco

350 LA CRITICA POLITICA quadrati d'Italia con i loro 39 milioni di uomini non potrebbero rivaleggiare, per quanto ha riguardo ali' agricoltura, con gli spazi francesi di terreno ancora da coltivare da una popolazione di 41 milioni di abitanti. È così che si sono popolate di italiani fattorie e castelli che i proprietari francesi hanno ceduto ai nuovi venuti in cambio di manate di biglietti bleu che hanno loro consentito di fare la grande vita nelle città in cui domina il lusso provocatore e sfrontato. Banche agricole, uffici per il collocamento di concimi chimici e di materiale agricolo si sono, poco a poco, fondati a Tolosa, ad Agen, a Montaubau, a Auch. I rovi, i ciottoli dai campi già incolti sono scomparsi. I tetti, che nell'abbandono s'erano sprofondati, sono stati rialzati, i pozzi sporchi ed infetti hanno ritrovato l'acqua chiara e fresca, i campi hanno rinverdito. Il francese con la sua fortuna di carta si diverte in città. L'italiano, sorridente e furbo, conduce l'aratro. Dei nomi? L'antico collaboratore parigino del Secolo, Luigi Campolonghi, divenuto signore dell'antico maniero di Douazan, coltiva ora le sue diverse centinaia di ettari a vigna e a grano nei luoghi stessi ove comandò l'Ammiraglio de Coligny e, dal s~o castello protestante a quattro torri aguzze e col torrione abitato dai piccioni, dà ordini a 8 fattorie disseminate nella campagna e abitate da lavoratori lombardi e piemontesi. Nella sua nobile dimora dai robusti muri egli ha il suo salone d'onore immenso, la sua sala da pra~zo infinita, il suo gabinetto da lavoro coperto da tappezzeria bleu a gigli d'oro da dove si scopre, attraverso tre -finestre, la bella vallata della Baise. Poco discosto il della Torre ha un dominio ancora più vasto. Il sig. Francesco Ciccotti, nella sua fattoria della Bouvée, ad alcuni chilometri d' Agen, divide le sue attività virgiliane con due colleghi di un'era italiana già preistorica: Baldini e Giacometti. E lasciamo pure . . 1 nomi ... Vi sono dei francesi suscettibili i quali si mostrano inquieti per questa marea che sale. Gli anticlericali per i primi. Nel Quotidien, l'estate scorsa, Louis Roubaud ha lanciato per esempio qualche grido di allarme. Pruden~e, attenuato, sia pure, ma errato! Forse che il fallimento di certo anticlericalismo borghese alla Aulard, alla Buisson, non è in Francia una esperienza fatta? A cosa ha servito l'aver privato i cervelli del popolo di quel poco di idee morali che potesse entrarvi? Il crudo materialismo, l' « après nous le déluge » che costituiscono oggi il concetto di vita della grande maggioranza dei francesi, sono forse altra cosa che non sia l'immediata e diretta conseguenza di" un laicismo gretto, senza ideali, sen-za consapevolezza delle realtà sociali? I preti italiani sono un danno? Non lo credo. Che importa che all' Arcivescovato francese di Auch sia designato un coadiutore italiano? Cosa c'è da temerne? Monsignor· Torricella, parlando ad Agen con Louis Roubaud il mese scorso, gli dichiarava: « Nessuno qui fa della politica. Noi non abbiamo opinioni politiche e non vogliamo averne. Il nostro ufficio è semplice e chiaro. Voi lo vedete: noi aiutiamo qui i nostri compatriotti emigrati, li guidiamo attraverso le formalità amministrative, troviamo loro l'occupazione che cercano. E non è forse naturale che da parte nostra si pensi ad assicurare loro anche l'esercizio del culto che essi praticano ed al quale sono attaccati? No, signore, la nostra Biblioteca Gino Bianco

LE COLONIE AGRICOLE ITALIANE NEL SUD-OVEST DELLA FRANCIA 35 J m1ss1onenon è ufficiale. Noi non ci proponiamo un particolare fine nazionale, ma operiamo dal punto di vista - se permettete la parola - dell' '' Internazionale cattolica , , . E molti dei nostri fanciulli frequentano, infatti, la scuola francese. Noi ci limitiamo a dare lezione di catechismo a coloro che vogliono seguire i nostri corsi ... ». Senza dubbio però - poichè i figli degli emigranti non sono in Francia soggetti ali' obbljgo scolastico - si istituiranno per essi delle scuole libere, ed è a questo riguardo da vedere se, al riparo della legge francese, non si verranno a formare dei focolai di propaganda e di azione politica, specialmente per l'opera e l'influenza dei fascisti. E questa possibilità - sarebbe inutile e puerile dissimularselo - è quella che effettivamente ci deve preoccupare. Confessiamo anzi che da questo lato siamo assai diffidenti. I metodi fascisti, se per caso dovessero trasferirsi in Francia, sarebbero - a nostro modo di vedere ·_ peggiori del male che dovrebbero servire a guarire. Il francese è già per natura autoritario e dispotico e ciò lo porta ad abusare dell~ libertà come della tirannia. Ma mentre il sistema della libertà trova una specie di temperamento nella naturale tendenza della nostra razza verso soluzioni di buon senso, il sistema autoritario, sviluppando l'altro aspetto del carattere francese di cui abbiamo detto sopra, porterebbe sempre agli estremi dell'abuso di potere. Senza entrare in esemplificazioni e per precisare il nostro pensiero a tale riguardo, riteniamo come stabilito che l'immensa maggioranza dei francesi guadagna a vivere sotto un regime liberale, mentre perderebbe, sotto un governo autoritario e tirannico, le sue più nobili qualità. Che tra gli italiani venuti a coltivare le nostre terre abbandonate del SudOvest vi siano dei rappresentanti della maniera forte non è possibile negare. Per essi il male di cui soffre la Francia proviene dalla sua libertà politica e religiosa e non già dall'abuso che se ne è fatto ultimamente per gli errori d'un regime dipendente dalla .compra-vendita elettorale. Non sapendo o non volendo discernere il legittimo esercizio della libertà dalla sua attuale parodia, costoro affettano di considerarsi in Francia come un gruppo di uomini in esilio i quali, avendo la missione di rappresentare le utopie della più Grande Italia, debbono fuggire ogni contatto con questa Francia decadente e, secondo loro·,moribonda. Essi non immaginano nemmeno che il male di cui noi soffriamo è una crisi di crescenza, l'effetto della esasperazione momentanea dei cattivi istinti eccitati da la guerra e che a poco a poco, anche da noi, si edifica una società nuova. A Tolosa, Louis Roubaud è andato ad intervistare il console d'Italia, sig. Emanuele Grassi, uomo di carriera venuto espressamente da Roma con un personale di consolato degno, ci dicono, di un'Ambasciata. Ebbene la loro conver- .sazione, che qui non riproduciamo, è rivelatrice di una mentalità che in Francia non è destinata ad avere favorevole accoglienza. Da noi infatti è permesso di criticare, di trascinare persino nel fango - salva poi, naturalmente, ogni azione .giudiziaria - qualunque uomo privato o uomo di Governo a voi piaccia. E non v'è dubbio che questa concezione della libertà di stampa abbia i suoi in- -convenienti; è anche vero, però, che essa è entrata oggi nei nostri costumi e io Biblioteca Gino Bianco

352 LA CRITICA POLITICA credo che abbia fatto più bene che male. A parte questa concezione, è certo che da Roma si ha per la colonizzazione italiana una particolare attenzione. Deputati - ispettori redigono rapporti, deputati - oratori tengono conferenze e riunioni. E come in Italia stessa vi sono due Italie, così anche in Guascogna si ritrova il duplice aspetto di un paese che ha attraversato una crisi dalla quale è oggi difficile dire cosa ne uscirà di definitivo. I I primi italiani non davano luogo a preoccupazioni. Si trattava di umili lavoratori venuti solo per lavorare. Dopo il 1921 le cose hanno molto cambiato. Oggi è l'élite che viene a noi: giovani intellettuali, figli di banchieri ed altri, specie industriali. Attivi, provvisti di un esteso bagaglio di conoscenze diverse, parlando assai bene il francese - almeno in generale - ci si domanda se si tratta solo di audaci coloni, desiderosi semplicemente di mettere le nostre terre a cultura per cavarne profitti sempre alquanto dubbi, o se, al contrario, non rappresentino i quadri di un'armata lentamente infiltrantesi in Guascogna. Per risolvere tale dubbio bisognerebbe andare di fattoria in fattoria, di castello in castello, cosa quasi impossibile. La Guascogna rurale ha guadagnato, in 5 anni, 60 mila lavoratori; che ne abbia avuto bisogno - ripeto - nessuno può negare. I cinque dipartimenti della Bordogna, di Gers, di Lot e Garonne, di T arn e Garonne e del Lot, che contavano al censimento del 1851, un milione e 703.496 abitanti, non ne avevano, in quello del 1921, che un milione e 177.568. Gli italiani possono dunque venire, il deficit è ben lungi dall'essere colmato r Le famiglie brettoni che vi furono inviate non sono che un espediente del tutto insufficiente. La prolifica Italia farà il resto. Se non v'è più terra in Italia per i contadini, in Francia non vi sono più contadini per le terre. Le statistiche del Commissariato Generale dell'Emigrazione a Roma ci informano che nell'anno scorso, 207 .617 italiani hanno lasciato il loro paese e che 174.445 di questi si sono stabiliti da noi ove, come ho detto sopra, raggiungono ora il milione ripartito attraverso la Francia. Tra dieci anni saranno due milioni. Bisogna, es-- serne lieti o addolorati ? Francesco Coletti nel Corriere della Sera c'invita a renderne grazie alla sua patria. Potremmo anche rispondere che dopo tutto sarebbero gli immigrati a dover render grazie alla Francia. La assimilazione da popolo a popolo è, del resto, un fenomeno vecchio quanto il mondo e se ~ Grecia capta Jerum lJictorem cepif « crediamo che la Francia s~prà assimilare i nuovi venuti e che, tra due generazioni, gli italiani non conserveranno della loro origine che. un vago ricordo. Tuttavia sussiste l 'enimma di questa formazione di nuovi quadri, dell 'organizzazione razionale, sistematica di questo grande movimento demografico. È dubbio inquietante.· Si vuol creare una piccola Italia nel seno della grande F rancia, impoverita dal massacro dell'ultima guerra? A giudicare da certi sintomi si potrebbe supporre di si. Una organizzazione quasi militare dei nuovi venuti colpisce l'attenzione di coloro che visitano i luoghi ove essi lavorano. Questi lavoratori che marèiano disciplinati sotto il comando di giovani uomini, ripetono, nella libera terra di Francia, i movimenti usuali delle moltitudini accasermate. Ove si vuol condurre i lavoratori d'Italia, accolti dalla Francia ospitale? Il Trattato franco-- Bibi ioteca Gino Bianco

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