La Critica politica - anno VI - n. 8-9 - ago.-set. 1926

LA CRITICA POLITICA RIVISTA MENSILE ANNO VI lt___}l AGOSTO-SETTEMBRE 1926 li==ll f ASC. 8-9 Le ultime riforme Siamo sulla via di nuove importanti trasformazioni costituzionali. Il fascismo non ha compiuto tutta la sua fatica. Dove arriverà fummo tra i pochi, anzi tra i pochissimi, a vederlo chiaramente, fin dagli inizi, quando, almeno per le dichiarazioni dei capi, altre sembrava dovessero essere le soluzioni. Nulla, quindi, del nuovo che verrà può giungerci impreveduto o meravigliare~. Ci meravig)ieremmo sì, fortemente, se il fascismo uscisse dalla sua linea. Ma esso procede spedito, un passo dietro l'altro, senza spostare di una linea, inflessibilmente. Forse non sarebbe così se una volontà individuale non vi dominasse. Quando ci si riferisce al fascismo bisogna sempre tenere presenti i due elementi : collettivo e individuale. L'elemento collettivo è rappresentato, piuttosto che dai sentimenti, dagli interessi che nel partito e nel regime si sono solidamente sistemati. In nessun caso l'azione politica economica e sociale dello Stato potrebbe essere diversa da quella che esigono ' gli interessi che nel partito trovano migliore e più efficace espressione. E in questo senso che l'azione individuale di chi è a capo del Governo trovasi limitata e, in qualche modo, diretta. Nel tempo stesso però tale azione si svolge nel senso di concentrare in sè il massimo dei poteri e del!'"autorità : anzi tutti i poteri e tutta l'autorità. Abbiamo così questo fenomeno caratteristico: che l'annullamento della individualità nei singoli si accompagna alla esaltazione dell'individuo fino all'assoluto. L'originalità vera del fascismo è appunto nell'aver fatto di un individuo solo il perno di tutto il sistema. In nessuna epoca, presso nessun popolo si è dato il caso che nelle mani di una sola persona ·fossero posti insieme poteri e funzioni di diversa e delicata natura in numero così imponente. Non si tratta tanto dell'autorità che a Mussolini viene riconosciuta (vi sono state e vi sono autorità più alte, più assolute e indiscusse) quanto della complessità e dell'imponenza del meccanismo statale che trovasi oggi •quasi esclusivamente nelle sue mani. Da questo lato non ci sono confronti da fare. Non ci si può riferire nemmeno ali' esempio di Lenin che fu, sì, un dittatore, e un gran dittatore, ma che non credette di poter assumere sulle proprie spalle anche la responsabilità Biblioteca Gino Bianco

298 LA CRITICA POLITICA della direzione tecnica e pratica dell'organismo statale. L'esperienza italiana è unica al mondo e bisogna seguirla attentamente nei suoi sviluppi, perchè non se ne dimentichino le caratteristiche principali, il che è possibilissimo quando si perda il filo del suo svolgimento. Ecco perchè l'indifferenza di una parte della stampa e di alcuni uomini politici di opposizione per le trasformazioni che via via si vanno operando nell'organismo costituzionale, oltre che essere ingiustificate, costituiscono un errore. Per quanto possa riuscire ostico, è sulla nuova realtà che bisogna pure muovere il passo : e per non inciamparvi bisogna conoscerla. Una novità ormai decisa è la estensione dell'istituto del Podestà a tutti i Comuni del Regno. La decisione fu presa nel Consiglio dei Ministri del 30 agosto. In conseguenza di essa, niente più sistema elettorale per i Comuni grandi come per i piccini, più nessuna distinzione tra popolazioni analfabete e alfabete .le quali d'ora innanzi si troveranno eguali nella incapacità di darsi degli amministratori. Si toglie così anche una grave stortura determinata dalla legge precedente : che cioè il Trentino, la Lombardia e le regioni del Settentrione avessero il massimo dei Podestà - e cioè pre· sentassero il massimo dei Comuni incapaci di autogovernarsi - e il minimo ne avessero proprio la Sicilia e quelle _regionidel Me;zzogiorno d'Italia ove massima è tuttora la percentuale degli analfabeti. Tra Nord e Sud, tra analfabeti e alfabeti non ci saranno così distinzioni, e non ce ne saranno nemmeno tra fascisti e antifascisti. I vecchi partiti, gli uomini del vecchio regime si vedono anzi, dopo tre anni, in certo modo riscattati dalle accuse c~e ad essi si faceva in modo specifico, dal momento che la loro sostituzione e la presenza di amministrazioni genuinamente fasciste non ha eliminato nei Comuni la incapacità, gli abusi e gli sperperi. Ha dichiarato appunto l' on. Federzoni, in una intervista al Popolo d'Italia ( 1) a giustificazione del nuovo provvedimento, che « le Amministrazioni, invece di ·dedicare la loro attività al bene della cosa pubblica, ali' organizzazione, allo sviluppo dei servizi, si esaurivano in dissensi faziosi a basi di clientele, di ibride coalizioni d'interessi più o meno confessabili... » onde - ha aggiunto il ministro - « sperperi, gravezze ingiustificate, applicazione _di tributi con violazione di ogni più elementare norma di giustizia distributiva ». L' accusa generica è grave e non sappiamo su quali e quanti elementi di fatto il Ministro si appoggi per poterla considerare fondata. Bisognerebbe vedere e distinguere. Ma sopratutto bisognerà vedere se in seguito, con la istituzione dei Podestà, gli stessi inconvenienti non si riprodurranno, e se in misura minore o maggiore. L' on. Federzoni assicura che il primo esperimento ha ( 1) 'Popolo d'Italia, 3 I agosto 1926. Biblioteca Gino Bianco

LE ULTIME RIFORME 299 dato risultati soddisfacenti, che le popolazioni sono pienamente soddisfatte e che « non una voce di rimpianto sincero è risuonata per il vecchio sistema ». Ora tre mesi di esperienza amministrativa, dove si e dove no, costituiscono uno spazio di tempo troppo breve per giudicare dei risultati. Bisognerebbe aspettare, per lo meno, la chiusura dei bilanci di un anno. E della popolazione nulla con certezza si può dire, fino a che almeno non le si offra l'occasione e il mezzo di manifestare la propria opinione. Certo : c'è, in genere, la curiosità per la cosa nuova. Che se poi dobbiamo riferirci alle manifestazioni che se ne sono avute nel partito, critiche e recriminazioni ~on sono mancate. In fondo il provvedimento, piuttosto che colpire l' elettoralismo in genere, già di fatto abolito, colpisce l'elettoralismo del partito. ' E infatti l'elettoralismo - nelle sue diverse forme - che il sistema fascista tende ad eliminare, grado a grado. Lo ha dichiarato l'on. Federzoni nella sua intervista. « L'abolizione del sistema elettivo » : ecco il còmpito che il fascismo si è posto nettamente. Nelle amministrazioni locali e al di fuori di esse. Il sistema elettoralistico - afferma sempre il Ministro - è « errato come principio di sovranità ». Il fascismo vi sostuisce a gradi un sistema diverso. in cui tutte le cariche sono << emanazione diretta del potere centrale », incominciando dagli enti locali, cioè dalle istituzioni più vicine e sensibili al popolo. Il Podestà è la espressione migliore del rovesciamento operato delle basi della sovranità. Nè crediamo sia destinato ad essere solo questo. Per qualche segno c'è da pensare che possa divènire anche il pernio di tutto il ·nuovo sistema. Ad ogni modo, anche se così non fosse, il criterio base che ha servito per istituire il Podestà nei Comuni, . resterà di base per le ulteriori riforme. Un'altra riforma che si annunzia vicinissima è quella delle Amministrazioni Provinciali. L' on. Federzoni, accennandovi nelle sue dichiarazioni, si è limitato a dire che i Consigli Provinciali dovranno essere ordinati nel senso che i poteri amministrativi siano affidati « ad organi che, come i Podestà, ripetano la loro origine direttamente dallo Stato ». Quel che non ha detto il Ministro ha però chiarito ed illustrato ampiamente, in una intervista col Popolo d'Italia ( 1), l'attuale presidente dell'Unione delle Provincie d'Italia, avv. Sileno Fabbri, il quale si è preoccupato di stabilire, intanto, che quanto al modo di costituzione della rappresentanza esso, per logica stessa del fascismo, non può essere che nella sostituzione del criterio del « cittadino scelto dall'alto per coprire cariche pubbliche» al criterio del « cittadino elettore ed eleggibile in quanto cittadino avente diritti civili e politici ». In altre parole, spiega l' avv. Fabbri, « le cariche inerenti ali'Amministra- ( 1) Popolo d'Italia, 1 ° settembre 1926. Biblioteca Gino Bianco •

300 LA CRITICA POLITICA ---·- ----- ----- zione della Provincia non saranno più coperte per elezione, ma in forza di nomina fatta dalle superiori gerarchie ». E così, mentre « il capo della Provincia non potrà essere che il rappresentante ufficiale del Governo, cioè il Prefetto, il quale conserverà i suoi poteri d'indole politica e di controllo amministrativo », il capo della Provincia, organo tecnico-amministrativo accanto alla Prefettura che è organo burocratico dello Stato, e cioè il Presidente dell'Amministrazione Provinciale, sarà pure esso « di nomina governativa per tempo determinato ». Accanto al Presidente ci sarà poi una Deputazione destinata a coadiuvarlo, composta di tanti deputati quante saranno le funzioni esercitate dalla Provincia. I deputati saranno di nomina prefettizia su proposta del Presidente dell'Amministrazione Provinciale : si capisce che la proposta parte dal Presidente in quanto i deputati provinciali debbono essere i suoi fedeli cooperatori. Infine << in corrispondenza ad ogni funzione della provincia sarà creata una Commissione consultiva, anch'essa di nomina prefettizia, su proposta del Presidente dell'Amministrazione Provinciale », Come si vede il sistema non potrebbe essere più semplice. ' E su questo sistema di nomina che s'innesta il principio della rappresentanza corporativa. Bisogna vedere come. Finora si sono fatte a tale riguardo le congetture più diverse e meno probabili. Si è persino supposto che il sistema elettivo, di scelta cioè delle cariche per libera designazione dal basso, si sarebbe d'ora innanzi applicato nel seno delle corporazioni; che cioè il cittadino produttore, come tale ed in quanto tale, sarebbe venuto a sostituirsi al cittadino astratto in quei diritti e in quelle facoltà che gli erano riconosciute nel vecchio sistema rappresentativo. Niente di ciò! Anche nell'ordinamento corporativo la scelta delle cariche e i diritti di rappresentanza vengono dall'alto : così se dal Capo del Governo parte la scelta e la nomina del Capo delle Corporazioni, da questo parte poi la scelta e la nomina dei Capi e dei rappresentanti minori, e così successivamente~ Un ~ongresso di corporazioni, ad esempio, è, si, un Congresso di rappresentanti come gli altri congressi che sono presenti alla nostra memoria, ma con la differenza che i rappresentanti vengono nominati con questo sistema originale e caratteristico del fascismo. Ora - per quel che riguarda le Amministrazioni Provinciali come pure per le Consulte çlei Comuni - sembra, almeno a quel che ne dice l'avv. Fabbri, che nelle C~rporazioni si procederà,· al modo stesso che per le altre cariche, alla designazione degli « idonei » a coprire pubbliche cariche consultive. Sulla base di tale designazione si formeranno gli albi degli « idonei » e la scelta dei deputati e dei cònsultori da parte del Presidente della Provincia dovrà sempre ' farsi sulla base di tali elenchi. E in questo modo solamente che ogni cor- . ' . poraz1one avra una propria rappresentanza. -iblioteca Gino Bianco

LE ULTIME RIFORME · 301 Quanto alle attribuzioni e alle funzioni delle Amministrazioni Provinciali, subiranno pure esse, secondo il Fabbri, una sostanziale modificazione. La Provincia, in conformità del concetto centralista, non avrà più funzioni proprie, ma solo funzioni delegate dallo Stato, anzi dai vari Ministeri : sarà organo di decentramento dell'azione e delle funzioni che lo Stato deve esercitare nella periferia. Dato questo nuovo rapporto giuridico il finanziamento della Provincia verrebbe fatto direttamente dallo Stato : la Provincia cioè perderebbe la facoltà di applicare essa, in corrispondenza ai propri bisogni, imposte e sovraimposte ai contribuenti. Con la riforma delle Amministrazioni Provinciali, unico organo di rappresentanza elettiva nello Stato resterebbe il Parlamento, sia pure enormemente diminuito nelle sue attribuzioni. Appunto però perchè organo elettivo, e' è da ritenere che esso sia destinato ormai a brevissima vita. Voci preannunciatrici della sua fine si sono fatte troppo frequenti perchè qualche decisione· in tal senso non sia in gestazione. Sarà la soppressione totale del Parlamento, o si addiverrà anche per esso ad una trasformazione ;> La soppressione sarebbe la sola soluzione logica. Dal momento che si è stabilito di fare del Senato l'organo della rappresentanza corporativa nello Stato, non si capisce cosa ci starebbe a fare il Parlamento che, lasciato come è, sarebbe una sopravvivenza pericolosa, e trasformato secondo i nuovi criteri di rappresentanza sarebbe un doppione inutile. Il fascismo finirà quindi col deciderne la soppressione. ' Niente elezioni! E un concetto che, del resto, è stato espresso e riaffermato nettamente nell'ultima tornata del Gran Consiglio Fascista e che sarà rigidamente applicata anche nel partito. L'altra riforma, a nostro modo di vedere ben più importante delle altre, che si annunzia come prossima è appunto quella dello Statuto interno del partito. Per quanto la pratica del partito avesse finito con il creare delle gerarchie pressochè stabili e tutto oggi vi soglia avvenire per determinazione dall'alto, tuttavia vi era rimasto in vita l'uso delle assemblee, ed era considerato come pacifico che in esse i sentimenti e le aspirazioni dei soci potessero esprimersi con piena libertà e persino con speciali votazioni, secondo la vecchia consuetudine de- - mocratica. In alto si pensa, invece, che l'uso sia deleterio e che si debba provvedere a farlo finire. Il Foglio d'ordini del partito, di recente istituito, nel suo numero del 3 settembre, ha in proposito parlato assai chiaro. Il partito - ivi è detto - « non può annullare il suffragismo nel campo delle amministrazioni provinciali e comunali se tale spirito non sente ed attua nella sua vita interna ». ' . L'on. Farinacci - e altri certamente sono con lui - non è dello stesso parere. Nel suo giornale Regime Fa-scista l'ex segretario del partito Biblioteca Gino Bianco

302 LA CRITICA POLITICA si è dichiarato senz'altro per l' elezionismo interno e contro ogni dittatura dall'alto. « Noi siamo - egli dichiara - per la rigida dittatura del partito nella Nazione, ma siamo costituzionali in seno al partito. Dittatura di partilo significa imposizione del nostro programma al popolo ; programma che scaturì dal sacrificio dei martiri e dal sangue della nostra rivoluzione. Dittatura di partito vorrebbe dire soffocazione del pensiero e della volontà della nuova generazione che trovasi schierata sotto i nostri gagliardetti ». E aggiunge che tanto allora varrebbe sopprimere il partito, anzi « migliore soluzione sarebbe quella d'inserire totalmente il partito nel governo ~ affidarne la direzione centrale al Ministero degli Interni, e nelle Provi~cie ai Prefetti e ai Questori. Basterebbe un decreto così concepito : tutti i cittadini sono considerati fascisti veri e sono alle dirette dipendenze degli organi esecutivi del regime ». E l' on. Farinacci dice bene. Un po' tardi, è vero, e dopo aver sentito ed operatd diversamente quando nel partito molto da lui dipendeva. L' fissai lo di Bologna ha per ciò mille ragioni di meravigliarsi che sia proprio Farinacci a sollevare una simile obbiezione, « lui che attuò la dittatura di uno e dei suoi uomini » ! Forse - domanda il giornale fascista di Bologna ( 1) - che il partito, negli ultimi tempi, fu diversamente governato? No, bisogna. quindi, stabilizzare il sistema e applicare sistematicamente nel partito « quelle regole nuove che si debbono trasfondere poi in tutti gli organismi nazionali ». La logica di questo ragionamento è perfetta. E il sistema si applicherà. Su ciò nessun dubbio. Oramai è cosa decisa (2). Quanto ai risultati, uno certo è intanto questo : che gli italiani si troveranno alfìne parificati in fatto di diritti politici come esercizio di sovranità. L'altro risultato sarà quello di vedere quegli stessi problemi che già , si pose l'opposizione al fascismo porsi con.cretamente nel seno del partito. Siamo allo svolto di una nuova situazione. OLIVIERO ZuccARINI ------- ( 1) L, fi ssalto, settimanale della Federazione Fascista di Bologna, 11 settembre 1926. (2) Con il titolo : « La riforma dello Statuto » il Foglio d'Ordini, n. 6, dell' 11 settembre, reca infatti : « Tutti i giornali del partito, dai più importanti organi nazionali al glorioso À&salto di Bologna, hanno approvato fervidamente il concetto informatore della riforma dello Statuto. Ma il consenso più caloroso è dato dai giornali che sono gli organi ufficiali delle Federazioni Pro ... vinciali Fasciste. « Dalle dichiarazioni appare come non solo la riforma risponde perfettamente allo spirito originario del fasèismo, ma essa fosse desiderata e sentita dalle gerarchie provinciali le quali cominciano a percepire il disagio ed il pericolo del morbo elettoralistico, eliminato dalla Nazione e superstite nel Partito > • ·Biblioteca Gino Bianco

Giustificazione storica del Centralismo ed esigenze di una vera democrazia . Guglielmo Ferrero - dopo aver letto il libro Esperienze e Soluzioni - ha diretto al nostro Direttore la lettera che pubblichiamo quì sotto. Il giudizio che egli dà dell'opera n~n potrebbe essere più lusinghiero. Ma l'illustre uomo non si limita a questo e coglie l'occasione per alcune osserva- · , zioni degne di ogni considerazione. La giustificazione storica che egli dà del centralismo ha, senza dubbio, un grande valore. Un valore assoluto, /orse no. Ad ogni modo, qualunque ~ia il suo peso, che il centralismo abbia più o meno risposto ad una esigenza di vita e di difesa dello Staio moderno, i termini del problema politico quale Zuccarini lo pone non restano affatto spostati. Zuccarini qu~ndo scrisse il suo lavoro non si propose di compiere una indagine storica sul come e il perchè del Jenomeno centralista, ma di dare ragione del problema politico quale oggi si pone concretamente. E che egli 1Ji sia riuscito - che i termini di tale problerra siano stati da lui chiaramente ed efficacemente posti - è quanto imporla. Guglielmo F errero affaccia poi due preoccupazioni che a noi sembrano ri1Jestire un carattere pratico piuttosto che programmatico. ~Una è che proporsi, dopo il fascismo e durante il fascismo, di far tabula rasa del· parlamentarismo costituisca un errore. Egli crede che si dovrebbe ora difendere a spada tratta il sistema parlamenta,e, come quello che potrebbe dare ad un governo una legittimità sicura e indiscussa, sal1Jopoi ad avviare lo Stato rapidamente verso quelle forme di decentramento e di autonomia che sono proposte e illustrate da Zuccarini nel suo volume. Non siamo dello stesso parere. Un errore grave delle opposizioni crediamo anzi sia stato quello di non aver visto altro, nei confronti del fascismo, che le istituzioni parla~entari, le meno suscettibili cioè di difesa perchè le più screditate dinanzi al popolo. Screditate, si badi bene, assai pri- · ma del fascismo. Il fascismo ha avuto buon gioco appunto perchè, mentre la fiducia del parlamentarismo era oramai caduta, non si è saputo offrire al popolo soluzioni nuove risondenti, nello spirito e nella sostanza, ad una democrazia più eff ettilJa. L'altra preoccupazione del Ferrero è che i democratici vogliano proporsi di realizzare la democrazia senza e contro i cattolici. Egli osserva che se si aspetta a fondare la democrazia che la maggioranza sia scattolicizzata, e se anche ciò fosse possibile, si dovrebbe attendere per molte generazioni. Siamo della stessa opinione. Ricordiamo anzi a questo proposito di aver sostenuto molti anni addietro - quando appunto i democratici si dilettavano di un anti Biblioteca Gino Bianco

304 . LA CRITICA POLITICA clericalismo di maniera che aveva il solo risultato di tener lontani da la democrazia larghi strati della popolazione - una vivace polemica per la « libertà religiosa » • Caro Z uccarini. Ho letto il suo studio. ' E molto pregevole per coraggio, chiarezza, ricchezza di osservazioni acute e originali. Il nostro passato recente è studiato con un•analisi sincera e profonda. Contiene alcune proposte ardite e pratiche nel tempo stesso, per l'avvenire. E mostra una conoscenza delle cose italiane che in questo strano paese è molto rara, in uno scrittore politico; poichè i nostri scrittori politici parlano sempre dell'Italia gli uni con la testa nella loro cassaforte, gli altri con la testa nella luna, mai o quasi mai con la testa là dove do- . vrebbe essere: in mezzo alle cose di cui si discorre. Il suo libro è una buona azione. Spero che sarà letto, perchè farà del bene. Se un difetto io dovessi notare sarebbe che il libro.... è più fascista forse che lei non crede e certo più che io non avrei desiderato ; e ciò per effetto di un errore storico iniziale, che mi sembra dominare tutto il lavoro. Mi spiego. Lei illustra bene le contraddizioni dello Stato liberale, che per certi rispetti, ossia per il suo accentramento ·giacobino e il suo spirito oligarchico è stato più tirannico degli antichi regimi ; ma non si pone il quesito del perchè di queste contraddizioni. Cosicchè lo Stato liberale sembra essere stato una colossale mistificazione, meritevole di essere distrutta senza rimpianto, proprio come, su per giù, dicono i fascisti. Di fatti ella riconosce al fascismo il merito di aver chiarito una situazione, che si trascinava da due e più generazioni, intorbidandosi sempre più nelle sue contraddizioni. Ma questo ragionamento mi sembra posare sopra un errore storico. Le contraddizioni dello Stato liberale hanno una ragione profonda, nella q~ale sta la chiave della situazione politica dei paesi cattolici dalla rivoluzione francese in poi. P erchè lo Stato liberale è stato giacobino, accentratore, dispotico? Perchè era di una legittimità dubbia, ossia era riconosciuto per legittimo da una piccola minoranza soltanto delle classi intellet~uali, una parte delle classi alte e la maggioranza delle masse essendo ostili o dissidenti. Ed era riconosciuto per legittimo da una minoranza soltanto, perchè bruscamente spezzò la tradizione millenare dello Stato teologico, fondato sulla religione, riconoscendo la libertà di pensiero nelle questioni religiose e fondando il governo razionale· ed agnostico : apparizione nuovissima nella storia del mondo. Nell'antico regìme gli uomini erano liberi di fare o di non fare il soldato e la guerra, come piaceva loro; ma dovevano andare in chiesa e credere in B"·blioteca Gino Bianco

GIUSTIFICAZIONE STORICA DEL CENTRALISMO ECC. 305 Dio : nello Stato liberale sono stati liberi di credere e di non credere in Dio, ma hanno dovuto fare il soldato e la guerra. L'essenza della rivoluzione liberale è tutta qui. Le nuove generazioni hanno dimenticato questa semplice verità chiave e per questo nessuno capisce più nulla. Lei ha ragione di dire che una delle ragioni per cui la democrazia non ha potuto attuarsi che parzialmente .in Italia e in Francia è l'accentramento; ma lei sembra considerare l'accentramento come un e1Tore o una malattia intellettuale. No, fu la conseguenza del carattere rivoluzionario e antireligioso del nuovo Stato. L'antico regime poteva in Francia, e in Italia, essere autonomista e decentratore, perchè riposava sopra un largo e secolare consenso della grande maggioranza: il nuovo no, perchè si impiantava per un colpo di forza e e per volontà di piccole oligarchie, convertite alle nuove idee. Aveva quindi bisogno di tener il paese sotto stretta sorveglianza, per impedire che la· dottrina della volontà e sovranità del popolo gli si rivoltasse contro e che il popolo sovrano approfittasse della sua sovranità per ritornare ' all'antico regime. E questa la tragedia della rivoluzione francese e del '48; e si ritrova nella formazione dello Stato italiano. L'errore di Mazzini, di Cattaneo, di Ferrari fu questo: credere che nel '60 si potesse fondare il nuovo · Stato agnostico o razionale sulle basi della libera volontà popolare. Non poteva invece essere imposto alla maggioranza che con la forza - come fecero Cavour e Casa Savoia - perchè la maggioranza non lo capiva ancora e non lo voleva. Quindi l'accentramento e tutte le altre contraddizioni, da lei messe in luce ; la coalizione degli interessi particolari spesso contrari all'interesse generale, la corruzione, la menzogna sistematica, la diffidenza contro i principi democratici, che pure sono la base dello Stato stesso... ' E qna situazione difficile : c'è il mezzo di uscirne, risolvendola~ Il problema politico che ci sta innanzi da mezzo secolo è questo; e a me pare più semplice e nel tempo stesso più complesso che non paia a lei. Lei ha ragione di dire che una vera democrazia non può esistere che con un largo decentramento: esempi decisivi, la Svizzera e gli Stati Uniti. Ma a sua volta il decentramento non può sussistere, che se il governo riposa sopra una legittimità sicura, indiscussa, universalmente riconosciuta, come era il caso dell'antico regime. Questa è la ragione per cui, a mio parere, per avviare il paese alla democrazia e al decentramento è necessario, proprio ali'opposto di quello che fa lei d'accordo con i fascisti, difendere il sistema parlamentare, combattere i piccoli malcontenti e pregiudizi con cui gli interessi oggi cercano di eccitare l'inesperienza dei popoli contro le istituzioni rappresentative. Una forma di governo non s'improvvisa; e non acquista carattere legittimo se non con il tempo e l'abitudine, perchè tutte le forme Biblioteca Gino Bianco

306 LA CRITICA POLITICA --------- politiche nuove sono contestate. Due forme di governo possedeva l'Europa nel 1914, già stagionate e perciò legittime agli occhi della popolazione : la monarchia e il parlamentarismo. La · monarchia è finita nella maggior parte degli Stati di Europa. Se si fa tabula rasa anche del parlamentarismo, bisognerà tentar fo1me politiche nuove ; e queste, qualunque siano, anche le più democratiche non avranno subito il carattere legittimo, saranno contestate da larghe parti della popolazione : impossibile allora di stabilire un regime seriamente decentrato e quindi democratico. L' esperimento fascista è anche per questo istruttivo. Anche il fascismo aveva promesso il decent~·amento, ma ha dovuto rinforzare l'accentramento. Insomma, credo anche io che la democrazia non sia possibile in Italia senza un decentramento quale lei lo indica; ma questo non è possibile che difendendo la tradizione parlamentare e applicandola a governi più limitati, più piccoli, più regionali, moltiplicando insomma dei parlamenti minori di quello che sino a 4 anni fa sedeva a Roma, ma più veri e più attivi. Per questo pure credo che in Italia, se si vuol fondare nell' avvenire prossimo un regime di vera democrazia, è necessario intendersi con i cattolici. Una delle ragioni per cui il governo liberale è stato sempre così poco sicuro della propria legittimità e quindi costretto all'accentramento, deve ricercarsi nella tenace ma totale avversione dei cattolici. Finchè una parte così considerevole della popolazione sarà contraria al regime politico vigente, il decentramento - e quindi la democrazia - sarà impossibile. Ne segue che di qui no'n si scappa : o si aspetta a fondare la democrazia che la grande maggioranza sia scattolicizzata, il che - anche se fosse possibile - richiederebbe molte generazioni ; o è necessario intendersi con i cattolici. Per questo cercai di persuadervi a suo tempo - .voi, partiti di sinistra, radicali, repubblicani, socialisti - che l'apparizione del partito popolare poteva essere un avvenimento decisivo per la democrazia italiana, perchè per esso la maggioranza del mondo cattolico accettava il regime rappresentativo : ma non avete capito nulla, su questo punto capitale ... Ma la lettera è lunga. Cordiali saluti. - GUGLIELMOFERRERO IL DOVERE DEGLI- STUDIOSI « Gli studiosi delle scienze sociali non debbono aver timoré dell' approvazione popolare: guai ad essi se tutti parlano bene di loro. Quando una corrente di opinioni potrebbe permettere ad un giormale di allargare la propria lJendita, lo studioso che desidera lasciare il mondo in generale, e il suo paese in modo speciale, migliore di quanto non sarebbe dilJenuto se egli non fosse nato, ha il dovere d'insistere sui limiti, sui difetti, sugli errori - nel caso ve ne siano - di quella corrente di opinioni: non dovrà difenderla mai incondi-:- zionalamente, nemmeno in una discussione ad hoc. Riesce quasi impossibile per uno studioso essere un vero patriotta ed averne anche la fama durante il periodo in cui vive ». ALFREDO MARSHALL B:blioteca Gino Bianco

La funzione storica dell' Inghilterra Dalla fine della Grande Guefra in poi assistiamo a una vera e propria fio-- ritura di storie dell'Inghilterra, da punti di vista diversissimi. Si direbbe che è diffusa, specie fra gli uomini politici e storici, la· consapevolezza che l'ultima Grande Guerra, nella quale il mondo britannico fu parte sì centrale, non solo getta molta luce sulle precedenti grandi guerre continentali in cui l'Inghilterra fu impegnata e sulle loro conseguenze per la vita individuale, sociale e politica degli Inglesi, ma ancora deve avere su questa vita conseguenze più profonde che tutte le guerre che la precedettero e che essa quindi segna per gli Inglesi come del resto per l'Europa e pel mondo tutto quanto la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra. Si direbbe che i problemi dond 'essa è nata e eh' essa ha posti gettano non solo la luce su tutto il passato ma anche, fino a un certo punto, sembrano illuminare lo stesso avvenire. Così è che Miss Greenwood si è messa a scrivere· una storia dell'aspetto religioso del popolo inglese dal punto di vista prevalentemente anglicano.liberale, della quale essa ci ha già dato due volumi ; così è. che Hilaire Belloc ci ha dato il primo d'una storia (in quattro volumi) dell' ln-- ghilterra dal punto di vista cattolico romano ; così è che Ramsay Muir, già professore di storia moderna a Manchester, ci ha dato in due volumi una Breve Storia dell'Unione Britannica e che lo storico dell'epopea Garibaldina e di Daniele Manin ci ha dato due volumi di storia inglese, uno che va dal periodo postglaciale alla fine della Grande Guerra e l'altro abbraccia il secolo XIX ; entrambi densi di dati e considerazioni di carattere politico, economico, sociale, religioso e culturale. E nessuno può negare che, specialmente di fronte ai due volumi del Ramsay Muir e ai due del Trevelyan, ci si trova a che fare con opere profondamente obbiettive ed imparziali. Similmente di grande valore è la raccolta di saggi di diversi autori, fatta dal Marvin per illustrare, nei diversi periodi storici, quel che l'Inghilterra deve e quel che essa dà al resto del mondo. È in particolar modo sulle traccie di quest'opera, e di gran lunga anche più. sulle traccie di quelle del Muir e particolarmente sulle traccie di quella del T revelyan, che vorremmo tentare una particolare risposta al problema : « quale è stata in complesso e quale è o s'avvia ad essere nel secolo ventesimo la funzione storica dell'Inghilterra ?»: problema la risposta al_quale è implicitamente la G. M, TREVEL YAN : [British Hlstory in the XIX Century (London, 1923) - G. M. TREVEL YAN : History of Qngland (Longmans) London, 1926. - MARVIN : England anJ· the World (Oxford University Press) - RAMSAY MUIR: .fl short History o/ the [British Commonwealth (Phibj and Son) London 1922. Biblioteca Gino Bianco ·

308 LA CRITICA POLITICA • risposta a tanti altri problemi posti da molte realtà e tendenze del mondo politico odierno. * * * Sia il Ramsay Muir, sia il T revelyan a ragione prendono le loro mosse dai tempi in cui le Isole Britanniche erano ancora attaccate al continente europeo e il Tamigi e il T rent scorrevano come tributari del Reno e il fondersi della cupola di ghiaccio che un tempo copriva tutta l'Europa settentrionale originava le condizioni climatiche, che Montesquieu, Emerson, Taine e Boutmy dovevano celebrare come particolarmente responsabili della formazione del carattere inglese e della grandezza politico-industriale britannica, come coefficienti di volontà di lavoro e di signoria di sè stessi. A ragione, diciamo, perchè, checchè sia di queste elucubrazioni, è in tali tempi che, per effetto del fondersi e ritirarsi di tal cupola di ghiaccio, avveniva quel rialzo del livello del mare, che originò la ~eparazione del continente dall'Inghilterra e la formazione del Mare del Nord. E in virtù di questa insularità che le Isole Britanniche, pur facendo parte dell'Europa ne sono un po' staccate e che i popoli britannici, senz' esser del tutto ,tagliati fuori dalle influenze della civiltà europea, pote1ono svilupparsi in qualche misura da sè più che gli altri, liberi da contatti e lotte con il resto d'Europa, liberi di scegliere tra ciò che pareva opportuno raccogliere e ciò che pareva me- -glio respingere. Ed è in virtù di questi ovvii vantaggi, che da tempi immemo-- rabili queste isole ci si presentano come mèta di tante onde ed invasioni barbariche dal continente ; onde ed invasioni che implicano conquiste successive, aspre lotte interne, severi processt di selezione e poi miscele ed assimilazioni. Nessun popolo è probabilmente più misto e selezionato di quello che abita l'Inghilterra. ' E questa insularità, ed è il carattere selezionato delle popolazioni da essa -reso possibile, che spiega le grandi resistenze incontrate dai Romani ; che spiega perchè fin durante la quattro volte secolare dominazione romana vi fu un tentativo di monarchia insulare indipendente dall'Impero Romano ; perchè la dominazione romana fallì nel latinizzare la Britannia e perchè la mancata conquista ·dell'Irlanda non arrecò a quest'isola nemmeno i benefici che tale conquista arrecò .ali' Inghilterra, con conseguenze che durano pur oggi : essa servì solo a che il cristianesimo, arrivato in Britannia sotto i Romani e quivi destinato a scomparire di bel nuovo per effetto della conquista dei Sassoni, passasse in Irlanda e vi sopravvivesse. In Inghilterra la civiltà ro1nana non assimilò i barbari come in ·Gallia e in Italia, in virtù della conquista operata dalle legioni imperiali : essa li assimilò solo più tardi per opera dei missionari benedettini, della Chiesa e della Croce ; li assimilò e conquise con la persuasione di gran lunga prima e più -che con le armi, e l'unione religiosa, espressa nei sinodi ecclesiastici, precedette la fusione in un sol regno delle varie monarchie Sassoni : l'Inghilterra fu una Chiesa prima d'essere uno Stato ; e precisamente perchè non rimase nemmeno in ispirito una provincia romana pur durante la invasione sassone, come fu il caso in Gallia ed in Italia, precisamente perchè, in qualche modo, furono i ,barbari a decidere quel che vollero e quel che no:1 yollero ricevere da Roma B"blioteca Gino Bianco

LA FUNZIONE STORICA DELL'INGHILTERRA 309 la fallita conquista romana è, dopo I' insularità e per effetto di essa, la più im-. portante caufa della specifica originalità della libertà del popolo inglese. Più tardi il diritto romano sarà insegnato ad Oxford ; esso servirà di modello di chiarezza ai grandi giuristi inglesi, ma esso non farà mai testo ; non avrà mai vigore di legge; sopratutto la massima che il monarca è legibus solutus non trionferà non mai di quell'altra : Nam Rex omnis regitur legibus quas legit. Rex Saul repellitur, quia leges fregit .• Le leggi della terra saranno sostanzialmente le consuetudini tradizionali rac-• colte, interpretate, migliorate e modificate dai giudici itineranti della Corona : non mai mere importazioni dal di fuori e imposizioni dall'alto. Così la raccolta delle Ieggi anglosassoni ordinata da Re Etelberto nello stesso anno in cui Giustiniano pubblicava come completo il Corpus juris, non solo segna l'inizio del diritto inglese destinato, dopo l'espansione oceanica, a diffusione più grande che non sia stata conce~sa al romano ; ma ancora la prima pietra, come vedremo, dell 'edificio ~mperiale britannico. La Conquista Normanna, che è opera di Scandinavi convertiti. alla cultura latina mediante il Cristianesimo, fa bensì dono agli inglesi, attraverso i consigli. di S. Lanfranco (che prima di diventar benedettino era uomo di legge) a Gu-• glie1mo il Conquistatore, dell'idea e dell'istinto dell'unità politica ed amministrativa ; ma essa deriva la sua efficienza dal fatto che il ducato di Normandia era già lo stato continentale più altamente organizzato e vittorioso dell'anarchia feudale e dal fatto che Gugliel_mo trovò conveniente, per la sicurezza del suo, potere, appoggiarsi in qualche misura ai vinti Sassoni contro i suoi stessi baroni e presentarsi come il legttimo successore di Edoardo. Inoltre, date le idee medievali egli e i suoi seguaci feudatari erano soggetti a molte consuetudini limitatrici del potere; per di più egli aveva giurato fedeltà alle leggi dei Sassoni ; e, finalmente, la Chiesa sapeva mantenere l'equilibrio tra il Re e il Baronato, interprete valida delle moltitudini anonime. Non solo: il Re aveva il dovere e il diritto_ di consultarsi co' suoi diretti vassalli e questi di consigliare il loro Re,. donde il Cc nsilium magnum o Curia Regis, donde per differenziazione deriveranno i Ministeri, la Corte di Giustizia e il Parlamento. L'atmosfera medievale quindi assicurava un ampio elemento di consenso alla autorità del Re, la quale d'altra parte doveva essere ben forte per poter trarre ordine dal caos dello~ Stato anglo-normanno e domare le tendenze centrifughe inerenti al feudalismo. Il dispotismo normanno non è mero dispotismo ; esso sostituice a poco a poco, pur sotto forma feudale, una Monarchia burocratica e amministrativa allo stato feudale ; sotto i suoi auspici il paese si arricchisce e si stanca di sperperar le proprie ricchezze in guerre sfortunate contro la nascente nazionalità francese ; le guerre sfortunate mettono i Re alla mercè dei baroni, dei mercanti e dei coltivatori che preferiscono badar alle proprie terre che andar a combattere •. Nel medesimo tempo la Conquista Normanna aveva introdotto il diritto di pri-. mogenitura per impedire che il feudo,, col frammentarsi tra i figli del vassallo,, Biblioteca Gino Bianco

310 LA CRITICA POLITICA diventasse incapace di provvedere il dovuto numero di combattenti. In conseguenza tranne il primogenito, tutti i figli restavan sprovveduti di terra e dovevano darsi a cercar fortuna ; il che essi fecero anche con lo sposar donne di classi non nobili, figli di mercanti e commercianti e col far da nesso tra queste classi e l'alto baronato. Il quale baronato cessava esso pure d'essere prevalentemente guerriero e col cercar fortuna e cultura stimolava il sorgere delle classi commerciali e delle città sotto l'egida della pace mantenuta dal Re. E, come già si accennò, è la Conquista Normanna che getta le basi di una amministrazione unitaria della giustizia. I Re scoprono che justilia magnum emolumentum, ossia che è finanziaria!llente un guadagno il provvedere una giustizia migliore di quella data dalle Corti feudali. Di qui la formazione di uno speciale comitato della Curia Regis, costituito di giudici educati spesso in Italia nel diritto civile e canonico, che se ne servono come modelli, che ne rifiutano tutto quel che favorisce il principio autocratico e che con le loro decisioni date in nome del Re costituiscono quell'insieme di precedenti, casi e sentenze, che va sotto il nome di legge comune. Non solo ; sotto Re Riccardo l'arcivescovo di Canterbury Uberto Walter, principale funzionario del Re in materia giuridica, iniziò la politica di affidare alle classi medie di città e di campagna l'amministrazione della giustizia ; egli inoltre scopre che mentre il potere dello Stato è indebolito dal privilegio feudale, vien rafforzato dal concedere, dietro pagamento di un tributo annuale, alle città, cioè alle corporazioni artigiane e mer_cantili, il diritto di governarsi mediante funzi_onari amministrativi propri. In questo investire i notabili locali di funzioni giudiziarie e amministrative spettanti alla Corona e del diritto di esercitarle mediante rappresentanti propri da essi eletti, in questo tenerli responsabili della pace e dei diritti della Corona » è la base del regime rappresentativo e del non sorgere in Inghilterra d'una burocrazia a tipo ,eontinentale e sottratta così ai tribunali ordinari, funzionaria irresponsabile del potere esecutivo. Basterà che tutte le volte che il Re è in contrasto coi suoi sudditi, egli trovi che è più spedito il convocarli tutti assieme in Londra e venire a una decisione comune ; tanto più che, siano i Baroni, siano i cavalieri non erano ancora disarmati e dis~vvezzi da azioni in armi in comune come i cittadini moderni. Il costituzionalismo è così un risultato delle ultime soppravvivenze del feudalismo in combinazione col principio della legge comune, cioè del principio che anche il Re o lo Stato è responsabile innanzi ai tribunali ordinari di ogni violazione alle consuetudini cui questi riconoscono vigore di legge. Il Parlamento non è così se non la Curia Regis, ove dapprincipio il Re trattava di tutti gli affari p·olitici, finanziari, giuridici del Regno coi suoi vassalli diretti e coi giudici, ai quali a poco a poco trova conveniente di aggiungere due cavalieri come rappresentati d' ogni contea e borgo, eletti dai loro pari. Nessuno ne è il creatore ; s'è sviluppato da sè ; e per molto tempo l'esser deputato fu tutt'altro che cosa ambita : voleva dire assumersi spese ingenti di viaggio e residenza; spese che contee e borghi spesso trovavano troppo onerose per .sè e solo col crescer della ricchezza Bib ioteca Gino Bianco

, LA FUNZIONE STORICA DELL INGHILTERRA 311 . nazionale finiron col parer trascurabili e fin anco onorevoli ai più ricchi. E una evoluzione delle funzioni legislat_ive, politiche e giudiziarie della Curia Regis ; pur oggi nel Libro delle Preghiere della Chiesa Anglicana se ne parla come dell'Alta Corte del Parlamento. È una evoluzione che si compie per opera di necessarie azioni e reazioni tra poteri - la Chiesa, il Re, i Baroni, i cavalieri e i borghigiani - che sanno farsi rispettare gli uni gli altri e sono arrivati a trovar più conveniente il patteggiare che il sopraffarsi e sono arrivati a ciò perchè I' insularità ha più presto che altrove favorita l'abitudine della libertà di discussione e perchè nel Medio Evo si riconosceva, sia pur per lo più solo a parole, una legge comune superiore a tutti e perchè tutti erano armati e su per giù allo stesso modo. È perchè verso la fine del secolo XIII l'Inghilterra, oltre all'essere politicamente una, ha già superato il feudalismo, ha già praticamente una legge eguale per tutti, è già una monarchia limitata, ha già le autonomie locali e ha già un Parlamento, che la guerra delle Due Rose porterà ad esser riconosciuto dalle due parti contrarie come la necessaria fonte elettiva della legittimità del diritto alla Corona, che, quando all'aprirsi dei tempi moderni, dopo la scoperta dell'America si scatenerà la lotta per la creazione di imperi coloniali extra oceanici, essa sarà la sola che fonda non mere. colonie, ma nazioni; la sola, che pur perdendo un Impero Coloniale negli Stati Uniti, se ne crea uno tre o quattro volte più grande nel corso del secolo XIX e del XX, cementandolo col dare a un crescente numero di sue parti libere istituzioni analoghe alle sue e conducendolo alla più grande guerra e vittoria della sua storia non con imposizioni dal centro e dall'alto, ma con il libero consenso ispirato da comuni ideali, tradizioni e interessi. Sicuro : non v'è sofisma che valga a cancellar dalla storia questo fatto : che solo Stati interamente liberi hanno fondato imperi più o men duraturi : Tiro, Cartagine, Sidone, Corinto, Atene, le Repubbliche italiane del Medio Evo, le Città anseatiche tedesche, la piccola Olanda e sopratutto Roma antica e l 'Inghilterra moderna, la quale per di più rafforza il suo impulso vitale con l 'accogliere sul suo suolo e nelle sue colonie, da secoli, come pur ora, i perseguitati politici e religiosi dell'oscurantismo monarchico ed ecclesiastico imperversante sul continente europeo. Essa accoglie in sè e nelle sue colonie profughi francesi, fiamminghi, ·belgi, che le recano le industrie già irradiate da Firenze e da Mi .. 1ano e ne fa compagnie le quali, emigrando, fondano ciascuna quello che virtualmente è un piccolo Stato autonomo modellato sulla madre patria. L' Inghilterra entra ultima nella gara, ma emerge sopra tutti perchè è più libera della Francia, della Spagna e del Portogallo, che esportano solo il loro feudalismo e il loro despotismo e perchè è più forte dell'Olanda, l'unico Stato liber-0 del continente : ed è più libera e più forte dell'Olanda perchè la insùlarità la preservò dall'influenza e dalla tradizione imperiale romana e la destinava a diventare il baluardo della libertà religiosa in Europa contro il Cattolicismo asservito alle Monarchie di Francia e di Spagna. T roeltsch è assolutamente nel vero quando vede nel Cattolicismo del secolo di Dante l'ultima fase di grandezza ~ Biblioteca Gino Bianco

312 LA CRITICA POLITICA del mondo classico-cristiano sul continente, che d'allora in poi, con la Rinascenza e la Contro-Riforma va ripaganizzandosi e svuotandosi d' idealismo morale, ne.I mentre dall'Isola di Shakespeare e di Milton sorge, con la libertà, tutta una cultura e costellazione di popoli, sulla quale più veramente che sullo impero di Carlo V il sole non tramonterà ·più mai, quel sole che noncurante dell'augurio oraziano, illumina ogni giorno una grandezza destinata a non essere più eguagliata ed oscurata nemmeno da Roma. Sicuro. Fino verso la fine del Medio Evo l'Inghilterra è impegnata a maturare quei liberi ordinamenti interni, quelle libertà civili, politiche e religiose, per difender le quali dalle ricorrenti minacce del dispotismo or di questa or di quella potenza continentale mossa dal sogno imperiale di Roma antica, dovrà nell'evo moderno scendere in campo contro Filippo Il, Luigi XIV, Napoleone I, . Guglielmo Il, schierandosi coi più deboli contro il più forte e promuovendo la indipendenza di nuovi popoli e il diffondersi di libere istituzioni come le sue, sul continente europeo e di là dagli Oceani. L'Impero Britannico è l'ultima e la più grande e viva creazione di quello stesso spirito fondamentalmente antidispotico del Medio Evo, che creò i Comuni, eresse le Cattedrali e diede al mondo la Divina Commedia e che altrove cedette ai dispotismi monarchicomilitari del Rinascimento e dell'Evo Moderno. Lord Acton vide molto bene che lo spirito di libertà e i migliori aspetti del Cattolicismo medievale e della stessa tradizione romana soprav"Vivonopiù di qua della Manica che nelle nazioni rimaste nominalmente cattoliche, ma cattoliche di un cattolicismo irrigidito, impaganito e imbizantinito. E come da uno studio approfondito di queste grandi guerre continentali dell'Inghilterra non solo la tradizionale leggenda della Perfida Albione viene smentita e spiegata, ma la politica estera inglese, nonostante le sue macchie non poche, esce, in complesso, più luminosa à' ogni altra. La leggenda della Perfida Albione si spiega infatti con la circostanza che l'Inghilterra dovendo successivamente mettersi contro ogni grande potenza aspirante ali' egemoni a sul continenle e quindi a poterla isolare e asservire, è stata successivamente alleata prima e nemica poi di tutte le grandi potenze prese dal sogno imperiale romano ; nonchè con la circostanza che, mentre sul continente la politica estera era mo- .nopolio esclusivo delle Corti, in Inghilterra essa fu prima che altrove esposta alle oscillazioni derivanti dal succedersi dei partiti al potere e dovette le sue linee permanenti alle permanenti necessità per essa, come Stato insulare, di mantener sul Continente l' equilibri0 delle potenze, volgendosi oggi contro chi~ debole ieri, minaccia di diventar troppo forte -domani. Perfino nel secolo XVIII, secolo di grande Realpolitik, Montesquieu, figlio di una Francia da secoli in lotta con l'Inghilterra, riconosce che gli uomini di stato inglesi sono quelque peu plus honnètes que les autres I E che dire del fatto che ali' indomani delle guerre napoleoniche l'Inghilterra, oltre a rinunziare a ogni indennità, restituisce alla Francia,- all'Olanda e alla Spagna quasi tutti i territori conquistati, ammontanti nel loro insieme a un vero e pr~prio continente ? ·Biblioteca Gino Bianco

LA FUNZIONE STORICA DELL'INGHILTERRA Che dire del dono delle Isole Jonie alla Grecia nel J 864, in omaggio al desiderio degli abitanti e al principio di nazionalità ? Quale altro Stato nella storia fu più savio· nel restituire e fece mai dono di territori in suo potere? . Che dire della prontezza con cui largì autonomie alle sue colonie, perfino a quelle con cui fu in aspra guerra, come coi Boeri ? Quale Stato europeo avrebbe concesso qualsiasi autonomia a un'isola vicina come l'Irlanda, avendo,. come certo l'Inghilterra aveva, la forza per reprimere ogni ribellione? Senza contare che, pur oggi, nonostante l'attuale reazione conservatrice, in gran parte imputabile alle intransigenze liberali e laburiste, essa è di gran lunga ancora più liberista d'ogni Stato europeo continentale ed ·è sola nel mondo ad aprire tutti i suoi porti a navi estere ed inglesi alle stesse condizioni ! Che dire del fatto che nel corso d'un secolo essa ha generato dal proprio seno organizzazioni come l'Esercito della Salute, i BoJ)s Scouts, le Giri's Guides, movimenti come quello dei Settlements, movimenti religiosi come il metodista (che or conta 30 milioni di aderenti), i quali si sono sparsi oltre i confini britannici ed anglosassoni; movimenti in tutto paragonabili solo al sorgere di nuovi grandi ordini monastici nel Medio Evo ? Che dire finalmente del fatto che nell'ultima guerra l•immensa maggioranza dei combattenti fu reclutata senza ricorrere al1a coscrizione e solo sotto la pressione dell'opinione pubblica? In quale altro paese sarebbero possibili immense crisi industriali, scioperi colossali, in cui, come nel 1911, nel 1919, nel 1921, nel 1926, non si hanno quasi episodi di violenza da nessuna parte, non si ha nessuna deviazione dalla legge normale e si vedono scioperanti giocare a /oot-hall con gli agenti di polizia o coi direttori tecnici delle officine? Certamente non è in un simile paese che si può parlar di decadenza, pur in un'ora come l'attuale, in cui esso sopporta il peso di immense imposte e le conseguenze di una industria in crisi per l'impoverimento mondiale conseguente alla guerra, alla rivoluzione russa, alla crisi cinese, ecc. Ebbene, nella luce di questa scorsa attraverso i secoli della storia inglese, evvi egli alcuna ragione di pensare che 1'Inghilterra abbia compiuto la sua funzione storica? È possibile intravedere in qual direzione essa è in ogni probabilità tuttavia destinata a salvare il mondo con i suoi sforzi e col suo esempio,. per usar la frase di Pitt ? Alla prima domanda la risposta non può che essere negativa. L'Inghilterra ha ancor molto da fare sia in India sia altrove per diffondere e rafforzare le capacità di autogoverno fra le molte razze non europee del suo Impero, che certo in ogni caso non hanno nessuna probabilità di acquistarle e mantenerle da sole in indipendenza, se prima non le acquistano entro l'Impero e se non imparano· a difenderle in unione con altri. Essa ha pur molto da fare per risolvere il problema, reso difficile dalle enormi distanze, del come mantenere una spedita unità diplomatica di fronte al resto del mondo, compatibile con l'eguale diritto dei Dominions a partecipar con essa alla determinazione della comune politica estera. Il mantenere ed anzi ·Io sviluppare l'Impero Britannico sempre più come una immensa costellazione di popoli liberi associati è di per sè il dare un magnifico • Biblioteca Gino Bianco

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