La Critica politica - anno VI - n. 7 - luglio 1926

LA CRITICA' POLITICA RIVISTA MENSILE ANNO VI LUGLIO 1926 Jc=jj FASC. 7 , La realtà rurale della Rivoluzione Russa Quale importanza e quale influenza sia per avere l'ingresso dei rurali :- · nella vita pubblica può meglio vedersi in Russia. La Russia è attualmente un laboratorio di esperienze interessantissime. L'interesse non sta nel sistema· che il bolscevismo si è proposto di attuarvi, è nella rivelazio.ne che quel. tentativo ci offre ogni giorno meglio di ciò che nella società umana è tuttavia vivo ed insopprimibile. Per la prima volta, e su un campo di espe~ rimento straordinariamente vasto, le teorie che hanno in se stesse riassunto per circa mezzo secolo le più alte aspirazioni sociali delle masse lavoratrici si trovano poste a cimento con la realtà. Tra le une e l'altra non vi sono artificiali impedimenti. Anzi tutto lo sforzo e tutte le preoccupazioni degli uomini che dirigono da otto anni lo Stato russo sono volti a tradurre quelle aspirazioni nel fatto, appunto nel modo inteso e consigliato dai teorici. La rivoluzione socialista, che doveva essere il risultato finale dello sviluppo industriale del capitalismo, si sviluppa e si attua in un ambiente ' quasi esch.\sivamente rurale. E agricola prima ancora di essere industriale. Però gli uomini che la fortuna, il caso e l'audacia hanno posto a capo della nuova situazione av~vano tutti acquisito una mentalità industriale. Russi di nascita e di sentimenti, la loro educazione socialista s'è formata fuori dell'ambiente nel quale gli eventi della storia li chiamò improvvisamente ad operare. Marxisti nel senso esclusivo della parola, e avendo fatto rutta la loro esperienza al contatto dei partiti socialisti dell'Europa orientale, davano grande importanza alla fabbrica. La vita sociale si presentava ad essi sotto un aspetto meccanico, unilaterale, semplicistico, anzichè nella molteplicità dei suoi problemi, Tra i socialisti russi delle varie gradazioni (socialisti rivoluzionari, anarchici, populisti, ecc.) i bolscevici erano appunto quelli che alla campagna davano minor peso. I problemi dei r~rali non non avevano la loro simpatia. Intanto non se ne erano mai occupati. Ai fini del socialismo non esisteva - secondo essi - che il proletariato industriale da valorizzare politicamente, e sul quale contare: quanto al proletariato delle campagne bisognava solo preoccuparsi d'impedirgli di nuocere costringendolo a seguire. Biblioteca Gin.o Bianco

258 LA CRITICA POLITICA I bolscevici arrivarono al potere con queste idee e con queste preoccupazioni. Ma vi arrivarono unicamente perchè portati avanti dai rurali. Per quanto della rivoluzione russa molto si sia scritto, parlato e polemizzato, poco si è detto dei suoi aspetti rurali i quali rimasero così nell'ombra. Di essa si conoscono, invece, bene il programma e le tesi di Lenin, il sistema politico, l'opera legislativa, le modificazioni ed attenuazioni a cui il programma bolscevico venne successivamente sottoposto ; e abbastanza quale è della Russia l'attuale situazione economica e commerciale. Della nuova storia sociale della Russia i rurali furono considerati come un elemento passivo. T aie fu, infatti, e in parte è tutt'ora l'opinione degli stessi bolscevici i quali, avendo dovuto decidersi ad andare incontro a certe esige~ze della vita rurale, sperano che ciò serva ad attenuare le resistenze all'attuaziòne del socialismo integrale e a renderle in un domani prossimo più facilmente superabili. Lo stesso libro in cui Guido Miglioli - dopo una lunga permanenza sul luogo - ci offre, per il primo, notizie diffuse sulla vita e sulle esperienze agrarie della nuova Russia {1), è volto piuttosto ad illustrare e a mettere in una luce molto favorevole quello che il governo bolscevico fa attualmente per la campagna, piuttosto che a vedere quanto i rurali abbiano effettivamente, e come, influito e influiscano nelle evoluzioni e nelle trasformazioni del bolscevismo : se sia cioè il bolscevismo che sta, gradualmente, piegando la vita rurale alla sua concezione meccanica uniforme industrialistica della società, o sia la realtà rurale a piegare il bolscevismo alle sue esigenze di vita, ali~ multiformità dei suoi problemi e una società alquanto diversa da quella immaginata come la sola perfetta e progressiva. Il libro del Miglioli è comunque utilissimo. Insieme a quanto sull'argomento abbiamo potuto raccogliere da altre fonti, esso ci consente tale indagine. * * * Rifacciamoci agli inizi. Nella vita sociale della Russia il problema t~rriero è probléma base. Si può anzi dire che non ve ne sia altro.' Infatti su una popolazione che attualmente è di 131 milioni di abitanti, centoundici milioni sono contadini. E la storia russa, dal XVII secolo in poi, è una storia di moti di contadini, di insurrezioni e di repressioni. Liberarsi dalla schiavitù, conquistare la terra: ecco le aspirazioni istintive, sia pure indistinte, che muovono e sommuovono la gleba russa fin nei suoi strati più profondi. Lo Zar Alessandro 11, dichiarando con la riforma del 19 febbraio 1881 di abolire la servitù della gleba e assegnando una piccola parte della terra al riscatto e alla coltivazione diretta dei contadini, anzichè sopprimere (1) GUIDO MIGLIOLI. Una Storia e un'Idea. Torino, Tip. Carlo Accame. L. 14. Biblioteca Gino Bianco

. , LA REALTÀ RURALE DELLA RIVOLUZIONE RUSSA ' 259 il movimento, lo vivificò. E da quel momento che la nuova storia della emancipazione rurale russa incomincia. La riforma ebbe scarso successo ; nelle sue applicazioni non servì a svincolare affatto il contadino dalla sua servitù. Fu però la breccia attraverso la quale le aspirazioni delle masse presero forma, si concretizzarono, intravvidero una mèta certa. Nel 1878 si costituiva l'associazione rivoluzionaria « Terra e Libertà ». E « Terra e Libertà » sarà la parola d'ordine, il grido di riscossa che sentiremo ripetere nel 1917, quando la rivoluzione si compie. Nell'intermezzo una seconda riforma agraria, quella tentata dal Ministro Stolypin nel 1906: riforma intelligentemente concepita allo scopo di eliminare i pericoli di una rivoluzione di contadini, che mirava· a svincolare il contadino creandogli un lotto di terra indipendente, che avrebbe potuto avere successo se avesse avuto un lungo spazio di anni innanzi a sè e se fosse stata meglio e più seriamente applicata. Invece la delusione per ciò che aveva promesso e non dava (specialmente in coloro che, avendo avuto la terra, si vedevano costretti dalla pressione fiscale a cederla per necessità) esasperò l'insofferenza. La riforma « controrivoluzionaria » aggravando il malcontento, l'irrequietezza, l'irritazione delle masse rurali, dando ad una parte dei contadini la proprietà della terra senza la possibilità di conservarla, serviva così alla rivoluzione. Qualche cosa di simile si era, del resto, verificato anche in Francia per la rivoluzione dell'89. Quello che, ad ogni modo, risulta certo è che la parte dei contadini nella rivoluzione russa fu altrettanto viva e preminente di quella che i rurali ebbero nella rivoluzione francese. Furono le masse dei contadini insorti - secondo quanto afferma Stefanow - il fattore decisivo, quelle che determinarono l'insuccesso e la caduta di Kerensky. Nel 1917 due aspirazioni chiedevano di essere immediatamente soddisfatte : quella per la pace e quella dei contadini verso la terra. Kerensky non seppe dare la pace e quando i contadini, stanchi di attendere la riforma agraria sempre differita, incominciarono a prendere la terra senza aspettare ordini, si oppose alle espropriazioni! Le fasi attraverso le quali il potere passò da Kerensky a Lenin, dal Governo di coalizione al Governo bolscevico, come possono vedersi dalla narrazione che ne hanno fatto T rotzky e il capitano Sadoul, mettono in sufficiente rilievo i motivi rurali del successo di Lenin. I bolscevici vinsero perchè ebbero il senso esatto della situazione, perchè furono più abili, perchè promisero a tutti la pace senza condizioni e ai contadini la terra. La pace la fecero e la sottoscrissero subito. La terra lasciarono che i contadini se la prendessero e se la dividessero come volevano. E così si consolidarono. Il fatto sociale più importante della rivoluzione russa - quello che Biblioteca Gino Bianco

260 LA CRITICA POLITICA -==================================-=-=========:.===== storicamente gli dà importanza e ne stabilisce il carattere - è nella con- ' quista della te1Ta da parte dei contadini. E nella agricoltura che effettivamente i rapporti sociali vengono rovesciati. Quanto ali' industria i rapporti sociali restano quelli che erano : gli operai rimangono salariati. Per quello che a questi si riferisce dai movimenti avvenuti (come il passaggio degli operai da salariati dei capitalisti a salariati dello Stato) la struttura generale della Russia poco n'è stata e ne sarà modificata, almeno fino a quando l'industria non vi avrà· preso un posto che oggi è ben lungi dal tenere. Tutto il contrario, è per quanto si riferisce all'agricoltura. Quì ci troviamo, jnvece, di fronte a risultati definitivi {la conquista della terra è un risultato definitivo) i cui effetti e le cui conseguenze nella vita russa non potranno essere che molto profondi. Quali effetti e quali conseguenze? L'esperienza è stata breve. Per quella però che se ne è fatta, vedremo come vi si ritrovino confermate quelle tendenze e quelle manifestazioni che, in precedenti scritti, abbiamo creduto di potere indicare come proprie dei rurali. Abbiamo visto come i bolscevici tenessero in assai poco conto i rurali per preoccuparsi di avere un programma agrario. Fu appunto il fatto di non averlo che non li rese alièni a tutto promettere e a tutto conce· dere ai contadini. Ciò era per essi senza importanza. Importante era arrivare al potere: conquistato il quale, stabilita la dittatura, sarebbe poi stato molto facile, a suo tempo, regolamentare tutti i rapporti sociali. Dovendo intanto emanare delle leggi che consentissero le espropriazioni, i bolscevici non seppero fare altro di meglio che prendere per base il programma dei socialisti rivoluzionari, loro avversari. D'altra parte i contadini per effettuare l'espropriazione e la spartizione delle terre non attesero affatto, come abbiamo già detto, quelle leggi, il merito delle quali resta così uno solo : non avere intralciato le operazioni di espropriazione e di ripartizione ! Il primo decreto del governo bolscevico - del 26 ottobre 1917 - si limitava a dire che « il decreto di proprietà privata sulla terra è ·soppresso per sempre » e che la terra « viene espropriata senza risarcimento e passa ad essere utilizzata da tutti quelli che la lavorano ». A fare la espropriazione, però, ci avevano già pensato i contadini stessi, e a fare la ripartizione anche. Funzionarono a questa bisogna, automaticamente, le vecchie comunità agrarie le quali vennero in tal modo ad acquistare funzioni ed autorità giuri~iche destinate a durare. La ripartizione avvenne per famiglie e l'assegnazione venne intesa in senso definitivo. Dal canto suo il governo bolscevico si preoccupava di legiferare : il 27 gennaio del 1918 emanava la « legge sulla espropriazione agraria» nella quale tuttavia non si parla ancora di proprietà statale ma di < fondo terriero di tutto il popolo » e inBiblioteca Gino Bianco

, LA REALTÀ RURALE DELLA RIVOLUZIONE RUSSA 261 fine, il 14 settembre 1919, la legge con la quale il concetto statale della proprietà è nettamente affermato e tutta la terra viene dichiarata e consi- . ' derata come un « unico fondo statale ». E dal 1919 appunto che muta l'atteggiamento nei riguardi dei contadini, e che da una politica passiva si passa ad una politica energicamente attiva secondo un piano prestabilito. Sembra che il bolscevismo si preoccupi di rifarsi del tempo perduto e della tolleranza fino allora accordata alle tendenze spontanee dei contadini. Si vuole che i contadini capiscano bene che la proprietà non è loro, ma è dello Stato ; si mira intanto ad una « organizzazione dell'agricoltura per ·mezzo dello Stato» ; tutto deve essere inventariato e ripartito ; i « comitati di semina debbono decidere e prescrivere ciò che si deve coltivare, in che quantità ed in quale momento. Si. tenta, intanto, di raggruppare di autorità i contadini in vaste organizzazioni collettive. Essendo il commercio un monopolio di Stato il contadino non può vendere il suo raccolto che allo Stato, e al prezzo da questi fissato. Di quì le imposte in natura e le requisizioni forzate dei prodotti. Le consegueJ}ze sono semplicemente disastrose. I contadini nascondono i prodotti, e dove e come possono si ribellano. La cronaca registra : insurrezioni e repressioni feroci, saccheggi ed incendi. I contadini non si occupano più di coltivare. Le quantità prodotte diminuiscono in relazione diretta delle misure coercitive: la crisi economica diviene quanto mai grave. Nel ' 1921 la fame fa strage. E questo il periodo che venne definito più tardi del « bolscevismo di guerra». Si può dire che esso costituisca la più ' grande esperienza che il bolscevismo abbia fatto del proprio sistema. E un peccato che l' on. Miglioli, nel suo libro, sorvoli addirittura questo periodo. Il realismo di Lenin salva la situazione della Russia soviettista. La politica economica del bolscevismo - specie nei riguardi della campagna - muta completamente. La nep, la « nuova politica economica :» altro non è che una vittoria dei contadini sul bolscevismo, il riconoscimento delle loro ragioni. Lenin comprese - dichiara la delegazione operaia inglese nella sua relazione (1) - che il contadino non avrebbe sopportato « a lungo un governo rivoluzionario che gli portasse via il frutto della sua terra ». Sua in quanto - non ostante affermi diversamente la legge dello Stato - egli se ne considera di fatto e di diritto il proprietario. La « nuova politica economica » è inaugurata con particolare riguardo alla agricoltura. Consiste nel riconoscimento della importanza che l'iniziativa indivi~uale, il diritto nel contadino di possedere e di disporre dei beni ( 1) 'Russia - Relazione Ufficiale della Delegazione Operaia Inglese in Russia (novembre dicembre 1924) - Milano, Ed. della S. A. N. E. S. - pag. 67 .. Biblioteca Gino Bianco

262 LA CRITICA POLITICA -------·- prodotti e il desiderio di migliorare la propria situazione economica ha per lo sviluppo di tutte le attività produttive e per il progresso della economia collettiva. « I contadini - comincia con l'affermare Lenin - non possono restare a lungo sotto questo comunismo di guerra ». « La nuova politica economica ha lo scopo di mostrare come noi possiamo collaborare coi contadini ». Attraverso essa « si arriverà a rialzare la sorte dei contadini ed a promuovere il progresso agricolo ». E quanto al programma comunista, la cui attuazione viene così ad essere ritardata : « La classe operaia deve essere convinta che questo è indispensabile anche al suo migliore . avven1re ». I contadini passano così al primo piano nella politica del bolscevismo. L'opera che lo Stato soviettista ha successivamente svolto a favore dei contadini e per lo sviluppo agricolo - e di cui dà conto, particolarmente, ' l'on. Miglioli nel suo volume - è, senza dubbio, un'opera intensa. E evidente la preoccupazione viva di andare incontro ai desideri e ai bisogni ' della campagna. E altresì evidente che il bolscevismo non ha affatto rinunziato alla sua concezione della società e che non trascura nulla per indiirizzare verso di essa - verso l'organizzazione comunista - i contadini e per favorire esperimenti collettivi. Ma appunto per ciò, acquistano maggior valore probativo le deroghe a cui ha dovuto sottoporsi, e sopratutto i risultati oramai certi di alcuni tentativi. S'incomincia, intanto, con una ammissione importantissima. La assoluta libertà economica del contadino è sancita, esplicitamente, dal Codice Terriero del 30 ottobre 1922. Il suo diritto alla utilizzazione della terra è senza limitazione : egli può far parte di una società agraria, come può separarsene, come può esercitare la propria conduzione famigliare con piena indipendenza. L'importanza di tale riconoscimento non ha bisogno di essere illustrata. Come diretto risultato « le economie famigliari si sono moltiplicate ». ( 1) Scemano, invece, le << Comuni » - specie di colonie modello create ed aiutate dallo Stato a scopo di propaganda pratica di comunismo agrario - che sul pi~ncipio, appunto per le condizioni di particolare favore che venivano loro create, avevano avuto grande rigoglìo. Le « Comuni » che erano 3120 nel 1921, senza calcolare l'Ucrain~, si trovavano nel 1923 ridotte a 1672 (2). Quanto alla proprietà il nuovo Codice ripete, è vero, la massima fondamentale che il diritto di « proprietà privata sulle terre è abolito per sempre », ma riconosce poi un «diritto sulla terra destinata a coltivazione non limitato » e cioè illimitato (1) MIGLIOLI .. Op. cii. pag. 133. (2) MIGLIOLI .. Op. cit. pag. 198. Biblioteca Gino Bianco

LA REALTÀ RURALE DELLA RIVOLUZIONE RUSSA 263 ---------- --- -- - -:=::=::===::-:-:-:--:---=:---:-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-=-= nel tempo {1) che altro non è in fondo, che un diritto di proprietà vero e proprio. Tanto vero che il coltivatore ~uò « coltivare la terra nel modo da lui scelto, e secondo il suo desiderio » ; può costruire sul fondo edifici e attrezzamenti e questi insieme ai seminati, alle piante, alle scorte vive e morte, tutto « gli appartiene »; può estendere infine la sua coltivazione e così accrescere la sua proprietà. Manca nel nuovo Codice il diritto di vendita e di donazione, mentre il diritto successorio rimane alla famiglia. IJ diritto ereditario cioè non è inerente alle persona: continua nella famiglia senza pregiudicare l'eguale diritto degli altri membri alla utilizzazione della terra. Questo divieto di successione e di permuta che costituisce una limitazione di proprietà è in fondo provvidenziale quando si tenga conto del passato russo e delle condizioni dell'economia rurale russa : impedisce il ritorno al passato, assicurando stabilmente al contadino la terra. Il che non toglie però che, entro certi limiti, il Codice Terriero abbia riconosciuto la facoltà di locazione ( entro i limiti della capacità lavorativa della famiglia colonica) e l'assunzione del lavoro salariato per i bisogni della propria economia. Le leggi in materia usano l'espressione « lavoro ausiliario ». Esse stabiliscono intanto che il trattamento dei salariati, così nelle ore di lavoro come nel vitto, non sia diverso da quello dei componenti la famiglia che li impiega. Gli effetti economici delle nuove disposizioni sono immediati ed evidenti, tanto evidenti da riuscire sorprendenti. Non solo aumenta il numero delle economie famigliari, aumenta anche subito la produttività della terra (2). La carestia che flagellò la Russia nel '21 e nel '22 fu dovuta specialmente al fatto che il contadino, accortosi di non dovere produrre per se, di non potere disporre delle cose prodotte, si astenne dal produrre. La situazione cambiò appena esso si sentì ritornato padrone del frutto delle sue fatiche. Osserva Guido Miglioli (3) - appunto a proposito di tale mutamento di situazione - << non vi è nulla di uguale alla forza che promana dal contadino il quale si sente sicuro e libero nella sua fatica, e si sappia signore della terra che irrora ». Aumentano gli uomini che lavorano la terra e ritornano ad essa coloro che, in seguito alle spogliazioni, se ne erano allontanati. Per ogni versta quadrata « dai 12,8 uomini occupati nel 1922, si procede a 18,0 nel 1923, e, l'anno successivo, si raggiunge la ( 1) MIGLIOLI .. Op. cit. pag. 88. (2) Dice la Relazione della Commissione Operaia Inglese: « Come risultato di questo nuovo orientamento. si è verificata una immediata rinascita dell'agricoltura l) pag. 68. E, per le constatazioni che seguono più oltre, vedi a pag. 72, (3) MIGLIOLI .. Op. cit. pag. 145. Biblioteca Gino Bianco

264 LA CRITICA POLITI CA cifra di 20,5 » (I). Aumenta rapidamente il patrimonio zootecnico, già ridotto ai minimi termini. Aumenta la produzione. I contadini si mettono al lavoro con fede, con volontà, accolgono con entusiasmo le macchine. Il fatto di lavorare sul proprio e per sè rende il contadino aperto ad ogni progresso agrario. Serva ciò per tutti coloro che con l'ingresso dei rurali temono abbia a verificarsi proprio il contrario ! E si inizia nelle campagne un vero movimento cooperativo. Dice a tale riguardo (2) il Miglioli : « si vedrà in uno studio più speciale della cooperazione agricola come essa si sia elevata e rafforzata in un vero sistema di libertà». Gli Istituti di cooperazione agricola crescono in ogni ramo e sopratutto si accrescono le economie famigliari come membri di tali istituti. Questi sono i risultati di appena quattro anni di « nuova politica economica» dello Stato dei Soviet. Sono risultati così evidenti da diventare preoccupanti per i fini che il bolscevismo si propone. C'è chi, infatti, teme seriamente che abbia a riprodursi in Russia la società che si è voluta di- - struggere con tutti i suoi fenomeni. I contrasti determinatisi tra i capi bolscevici vertono tutti su questo tema. Già fuori di Russia i socialisti rimproverano il bolscevismo d' addimostrarsi impotente a costruire la nuova società, di avervi anzi in un certo modo rinunziato. Il rimprovero è fondato, se ci si riferisce alla società economica come i socialisti nell'ultimo cinquantennio l'avevano prevista e teorizzata. Non è però esatto che una società nuova non sia in formazione. Solo che sarà, con ogni probabilità una società diversa da quella tentata e prevista. La Russia offrirà forse, prima al mondo, lo spettacolo di una _nuova e forte democrazia -rurale. Per ora non è possibile fare che delle ipotesi. Certo è che nelle . campagne russe si sta sviluppando una nuova coscienza. Il Miglioli ha potuto osservare come il senso della individualità dei singoli nel seno delle società agricole vada sempre più sviluppandosi. Vi sono poi due fenomeni, rilevati dalla Commissione Operaia Inglese nella sua relazione, che devono essere segnalati, nel loro rapporto reciproco. Da un lato l'interesse per le elezioni (e si sa che le elezioni sono in Russia una cosa del tutto formale e che il valore politico del contadino è ridotto dalla Costituzione dei Soviet a 115 del valore politico dell'operaio) è nei distretti agricoli ·notevolmente aumentato (3). Dall'altro il numero dei contadini aderenti al partito va continuamente decrescendo (4). Mentre il loro interesse alla vita (1) MIGLIOLI - Op. cit. pag. 146. (2) MIGLIOLI - Op. cit. pag. 128. (3) Relazione, cit. pag. 13. (4) Relazione citata pag. l 6. Ecco il passo nel suo testo : « Il partito si compone per metà di operai industriali e per l'altra metà di impiegati e di contadini, e sempre più di quelli che di questi ultimi, il cui numero va continuamente decrescendo >, Biblioteca Gino Bianco

LA REALTÀ RURALE DELLA RIVOLUZIONE RUSSA 265 pubblica aumenta i contadini si sentono attratti sempre meno verso il partito. Qualunque conclusione voglia trarsene il fatto è significativo. Resta in ogni modo l'altro fatto ben più importante del ripiegamento del bolscevismo ~ulla realtà, la realtà rurale. Realtà che, prima non avvertita, si è oggi talmente imposta da dominare tutta la politica del bolscevismo : quella nazionale e quella internazionale. OLIVIERO ZUCCARINI ' STATISTICA E REALTA ECONOMICA Il servizio statistico, alquanto decaduto in Italia dopo che il Bodio l'aveva portato a note• vole sviluppo, è stato riportato in alto. Avremo ora uno speciale « Istituto di Statistica » che ~arà l'organo segnalatore dei fenomeni che interessano la vita e lo sviluppo della nazione. Come tale non potrà che essere molto giovevole. Abbiamo detto segnalatore. Non più di questo, però. Non bisogna credere che le cifre, solo perchè sono cifre, si debbano prendere in modo assoluto. Esse dicono sì, ma solo in m~do relativo. Per quanto accurate siano le indagini, spe:. -cie su fenomeni complessi come quelli della vita economica, i risultati non potranno che essere relativi. Si guardi, infatti, la nostra bilancia commerciale : si prendano le cifre quali risultano a noi e quelle che risultano ai paesi d'importazione e ci si accorgerà come esse non confrontino affatto. La bilancia commerciale, cioè, è una bilancia che non dice vero. La realtà commerciale è, evidentemente, diversa da quel che dicono le cifre. Gli economisti, ad esempio, sostengono che le entrate si pareggiano con le uscite. Quando poi dalle cifre si vogliono trarre conclusioni e considerazioni di carattere generale e indicazioni sul da fare, allora occorre un grande senso di discriminazione. Le cifre bisogna saperle interpretare e saperle fare parlare. L'on. Mussolini ultimamente, inaugurando l'Istituto di Esportazione, ha fatto sulle nostre esportazioni e importazioni nell'anno 1925 una larga ~posizione di cifre, certo molto interessante, rilevando dove siamo in vantaggio e dove siamo in svantaggio. Si commetterebbe, p~rò, un errore madornale se il programma economico degli italiani dovesse essere questo : lavorare a mutare tutte le posizioni di svantaggio in posizioni di vantaggio. Vi sono posizioni di svantaggio che sono inerenti alle nostre condizioni fisiche e che inutilmente si tenterebbe di mutare, cioè solo con ulteriore svantaggio. Non si può modificare la natura : e se il ferro, il carbone e gli oli minerali in genere non ci sono, se non in misura assai limitata, non si può pensare di averli in tale abbondanza e con così poca spesa da eliminare quel che di essi ora ci viene dall'estero {metalli: 1300 milioni d'importazione di fronte a 75 di esportazione). Si può e si deve, invece, tener conto delle produzioni in cui siamo in vantaggio perchè le posizioni di vantaggio abbiano a migliorare in modo da neutralizzare quelle di svantaggio. Allo stesso modo che le statistiche c'indicano dove sono le nostre deficienze, c'indicano pure dove sono le vie nelle quali possiamo insistere, cosa cioè dei nostri prodotti l'estero preferisce. Questo dovrebbe essere, altresì, il compito di un Istituto di Esportazione il quale voglia veramente giovare alla produzione nazionale: sapere indicare quali sono le richieste e le preferenze dei vari mercati esteri alle quali la nostra produzione può andare agevolmente incontro, in regime di concorrenza. Biblioteca Gino Bianco

Repubblicani e socialisti • I Il Italia (Dal 1860 ad oggi) L'autore dello scritto che pubblichiamo qui sotto non appartiene al partito repubblicano. L'argomento che egli tratta è in1Jeceuno di quelli che toccano più al vivo la parte repubblicana. Certe sue affermazioni e certe sue considerazioni, sul mazzinianesimo ad esempio, non saranno lasciate passare senza contestazione. Quando si parla di un pensiero sociale mazziniano non s'intende affatto di attribuire a Mazzini la compiutezza di un sistema o di una dottrina economica. Marx e Mazzini così non sono facilmente raffrontabili sullo stesso terreno. E mentre il marxismo come dottrina e come metodo esigeva una revisione, il mazzinianesimo sfugge ad una critica revisionista. In Mazzini aspirazioni politiche e aspirazioni sociali /anno tutt'uno: l'intuizione è pro/onda mentre è debole la sistemazione. Si può anzi dire che il merito del mazzinianesimo, e in un certo senso la sua maggiore attualita, oltre che nelle sue /orti basi morali, stia nell' a1Jere inteso le necessità della nuova epoca senza la pretesa di volerle /orzare entro uno schema preordinato, di avere saputo apprezzare a pieno il 'Valore della partecipazione diretta delle classi operaie alla 'Vita politica e sociale della nazione e di a'Vere inteso tale partecipazione non come pura e semplice lotta, ma anche come costruzione graduale, tenace, paziente, come sviluppo progressi1Jodi mezzi, di qualità, di capacitò. L • associazionismo altro non è che l'associazione libera spontanea autonoma degli operai in vista di uno scopo comune, e come tale è principio sempre 'Vitale. Noi,, almeno, l'abbiamo inteso così. Ed è arbitrario contrapporlo - come per molto tempo fu /atto, appunto nel lungo periodo in cui repubblicani e socialisti si disputarono - al collettivismo come un modo dilJerso e preordinalo d' incassellamenlo dell' umanità. Del resto chi parla più oggi di collettivismo al modo di quindici o venti anni addietro ì Altro punto: il destino del partito repubblicano. Che dell'attuale partito la vittoria del principio repubblicano debba segnare l'atto di morte è più che probabile. La sua attuale e speciale /unzione politica sarebbe finita. Vero è che colla repubblica ci sarebbe pure il partilo della repubblica che sareb.be un ·partilo destinalo a raccoglie1e molta gente. Non sarà probabilmente in esso che i repubblicani attuali potranno trovarsi a loro agio. La stessa qualifica di repubblicani non basterebbe più a stabilire i loro caratteri distintivi, il loro programma, le loro aspirazioni. Quanto al presente, però, è appunto in vista del diffondersi e maturare di una coscienza repubblicana che noi crediamo che il partito repubblicano tanto meglio servirà la propria causa quanto più si preoccuperà di /ondersi e di con/ondersi nel movimento repubblicano del paese. Biblioteca Gino Bianco

REPUBBLICANI E ·soCIALISTI IN ITALIA 267 ' E appunto perchè avremo dei socialisti repubblicani, dei democratici repubblicani, dei cattolici repubblicani e perchè le aspirazioni repubblicane potranno essere comuni a uomini di diversa posizione sociale, che i repubblicani del partilo repubblicano debbono oggi restare, per quanto è possibile, repubblicani e solo repubblicani. Le precisazioni, le differenzazioni che andavano bene prima e che si renderanno necessarie in seguito, oggi, anzichè giovare, nuocerebbero al mo11imento e al successo del movimento. Ora il partito repubblicano non è stato crealo per se stesso, ma perchè potesse un giorno divenire movimento. E non importa proprio nulla se la vittoria del movimento avrà a segnare la fine del partito I Ciò riguardo al presente e all'avvenire. Quanto al passalo l'argomento delle relazioni tra repubblicani e socialisti in Italia è pieno d'interesse e può· riuscire molto utile. Non è facile trattarlo con assoluta obiettività, questo sì. Ci sono difficoltà dovute al particolare abito mentale che ciascuno di noi s'è formato in questi veni' anni di appassionala vita di parte. Repubblicani e socialisti in Italia non s' intesero mai completamente: appunto perchè si sentivanoed erano troppo vicini, percbè procedevano sullo stesso terreno, si rivolgevano agli stessi elementi sociali, esprimevano situazioni identiche. L, errore nel quale molto spesso si cade nel riferirsi alle relazioni tra repubblicani e .socialisti è nel voler vedere negli uni la espressione di interessi più specificatamente piccolo borghesi e negli altri più specificatamente proletari. Bisogna rendersi conto che la pasta che li Jormava era pressochè identica. E allora si 1'errà pure a capo delle ragioni e della natura 1'era dei loro contrasti. Lo studio intrapreso dal Rosselli potra ad ogni modo riuscire, per le ragioni che abbiamo sopra detta. mollo utile ed istruttivo. Dal canto nostro ci proponiamo di accompagnarlo - come facciamo per questa prima parte - con qualche nota e commento. Ciò• non nuocerà. Anzi servirà a rendere più completa una indagine alla quale siamo un pochino interessati noi pure I (O. Z.) Si ragiona molto oggi, in sordina e no, di un desiderabile riavvicinamento· fra repubblicani e socialisti. Il connubio porterebbe a una maggior valutazione del fatto politico da parte socialista (della cui necessità i socialisti più intelligenti si rendono oggi perfettamente conto) e a una maggior valutazione del fatto sociale e a un più stretto contatto con le esigenze e le aspirazioni del proleta-· riato, da parte repubblicana. Lascio ai politici di determinare la convenienza. del connubio : io vado ripensando alla storia dei due partiti in Italia e alle ragioni riposte o evidenti che valsero a separarli dapprima, e poi a mantenerli. divisi e corrucciati. C'è una vecchia ruggine fra di loro, ci sono astiosità e malintesi : non sarà forse del tutto inutile indagare quando e come si formarono e se per caso la comune disavventura dei partiti democratici non potrebbe costituire l'auspicata occasione di un chi~rimento. Premetto eh' io non son di quelli che ritengono contenere il programma di Mazzini la soluzione integrale del problema sociale ; credo anzi che tale programma, quale Mazzini lo delineò, non possa più informare di sè un partito Biblioteca Gino Bianco

268 LA CRITICA POLITICA vivo e operante, profondamente innestato nelle radici vitali della nazione. Parlo volutamente di Mazzini, trascurando gli altri teorici nostrali del repubblicanesimo, perchè da lui son discese e a lui si son costantemente ispirate la dottrina e la prassi del partito repubblicano italiano nel campo sociale, che è quello che presentemente c'interessa. Mazzini, non v'è dubbio, sta ai repubblicani come Marx ai sociàlisti, e forsè più ancora; chè un revisionismo mazziniano paragonabile sia pure alla lontana con quello marxista non s'è mai avuto ; nel che sta, per me, la massima prova d'insufficienza del mazzinianismo. Credo per contro che di un bagno di mazzinianismo - e se volete solo o sopratutto di spirito mazziniano, rettamente inteso - possa molto avvantaggiarsi il movimento socialista, che ora, ricco di una durissima esperienza, va dolorosamente riprendendo il suo cammino ; se non altro è ormai chiaro a tutti che la pregiudiziale repubblicana è destinata a diventare comune denominatore di tutte le correnti sinceramente democratiche. Il fascismo, che ha salutarmente aperto gli occhi a molta gente e affrettato processi di composizione e di decomposizione lentamente maturantisi, ha in so- -stanza, io penso, segnato la vittoria del principio repubblicano e, nello stesso tempo, probabilmente firmato l'atto di morte di un partito repubblicano italiano; d'ora innanzi, invece di repubblicani tout court, avremo dei socialisti repubbli .. •cani, dei democratici repubblicani e, perchè no?, dei cattolici repubblicani. Dire: io sono repubblicano e basta, sarà dire assai poco, equivarrà cioè a esprimere .una quanto mai generica fede democratica. Di necessità dunque, a parer mio, si giungerà o prima o poi a un connubio tra socialisti e repubblicani, o meglio tra socialisti e una frazione di repub- .blicani; ·connubio che non avrà niente di transeunte, niente di opportunistico -che non si opererà cioè in vista della formazione di un provvisorio fronte unico di battaglia. Ma sono andato fuor di strada, chè il mio intento è solamente quello di riandare le vicende e studiare le relazioni corse tra repubblicani e socialisti negli ultimi sessant'anni. *** Di propaganda socialista in Italia non si principiò a parlare prima del 1865 : il partito repubblicano era allora focte e combattivo; era il più intransigente dei partiti d'opposizione e, per quanto disposto a compromessi e a transazioni, il più sinistro; era, in una parola, il partito sovversivo. Socialismo era parola vaga, mal compresa dai più, usata a designare correnti in Italia ancora di là da venire, da qualche scrittore politico: fra i quali, deplorandola, se ne serviva Mazzini. C'era un modesto movimento operaio, conteso fra democratici moderati e repubblicani, che si limitava a raccogliere élites di lavoratori nelle fila del Mutuo Soccorso, a convocare di quando in f)Uando i loro rappresentanti a Congresso, a pubblicare giornaletti popolari, a fondare e a incoraggiare le Società cooperative. Qua e là, nei centri industriali, v' eran gruppi di operai che ..stavan scoprendo l'arma della resistenza e principiavano a proclamare con ereBiblioteca Gino Bianco

. REPUBBLICANI E SOCIALISTI IN ITALIA 269· scente frequenza gli scioperi - spontanei perchè non suggeriti da alcun partitopolitico. Il programma mazziniano {che ritengo superfluo riassumere qui sia pure per sommi capi) era l'unico programma concreto di rivendicazioni che si offrisse alla classe lavoratrice. Attorno a Mazzini si stringevano perciò, con e anche senza riguardo all'aspetto politico e religioso della sua propaganda, tutti i democratici degni di questo nome, che non avessero con lui particolari troppo vive ragioni di dissenso. Mazzini per quanto prevalentemente assorbito dalle cure del partito, poteva fondatamente sperare di riuscire in un giorno non lontano a organizzare sotto la sua insegna l'intera classe lavoratrice italiana, contadiname escluso. Càpita in Italia il primo socialista di marca : il Bakounine, introdotto e presentato da Mazzini il quale ignora le sue nuove tendenze anarchico-socialiste•. Bakounine d'altronde si è fino allora curiosamente ingannato, come molti altri conoscitori per sentito dire di Mazzini, sui fini e sui metodi del partito repubblicano in lta1ia; lo ritiene un partito di opposizione intransigente che si sforzi di introdurre in tutte le manifestazioni della vita pubblica quel medesimo spirito di libertà su cui ha fatto leva per cacciar d'Italia le dinastie straniere. Non ci fu dunque nè dabbenaggine da parte di Mazzini nell'unger le ruote a Bakounine nè tradimento nero da parte di quest'ultimo nell'immediato rivoltarsi contro Mazzini che fece non appena orientatosi un poco nell'ambiente italiano, non :·senza amarezza, come provano le sue lettere di quegli anni. Ma è· tuttavia notevole il fatto (esaurientemente dimostrabile) che la prima propaganda socialista in Italia fu facilitata da repubblicani e si compiè massimamente in ambiente repubblicano. Forse molti ignorano ancora che Mazzini fu per quattroanni un amico dell'Internazionale. Strano a dirsi, Bakounine, uri forestiere, riesce in un battibaleno a radu, nare intorno a sè e al suo programma di rivoluzione sociale, direi a rivelare a sè medesimi, un non esiguo gruppetto di democratici, mazziniani e garibaldini . Gli è che la propaganda attivissima del libero pensiero e la fortuna incontrata dalle correnti positivistiche che, fuori dagli' ambienti più colti, si traducevano in gretto materialismo, hanno preparato al socialismo un terreno assai favorevole. Bakounine non fa che approfittarne con abilità e con fortuna, rivolgendosi dapprima a una ristretta élite di intellettuali, quindi a un più vasto- pubblico di. operai e di artigiani, ai quali riesce a insinuare il sospetto che Mazzini non ad altro tenda col suo programma sociale a scartamento . ridotto che a solleticare i lavoratori per ottenerne l'aiuto nella lotta per la conquista del potere politico. Dell'opera piuttosto sotterranea svolta da Bakounine si cominciarono a scorgere le conseguenze un paio d'anni dopo la sua partenza dall'Italia, avvenuta nel 1867 : si videro sorgere qua e là robuste sezioni dell'Internazionale, si sentì parlare di una società segreta tra democratici socialisti con ramificazioni all\estero,. fece capolino qualche primo giornaletto di propaganda socialista,- si videro italiani partecipare ai Congressi dell'Internazionale, s'intensificarono certi attacchi contro Mazzini da parte di suoi gregari poco ortodossi, evolventi non, more soBiblioteca Gino Bianco

270 LA CRITICA POLITICA ================--===-=--=-=- - = = =-:_:=:===:- - =- --- - -==--=-===-=...::::------=====-==-====== lito, verso destra, sibbene verso un'estrema sinistra, scorto dalla quale il pro.. gramma mazziniano pareva addirittura roba da conservatori. Fondamento di tutte le accuse il suo misticismo religioso, la sua visione di un Dio autoritario, primo gradino di una scala d'autorità, di padroni e di sfruttatori cioè, che dal cielo si prolungava in terra, fra gli uomini. Di qui, a torto o a ragione, pigliava le mosse e a quella come a punto centrale si richiamava ogni altra critica, fino al "70, per altro, più mormorata che detta, timidamente affacciata e non sostenuta: « Mazzini si è cristallizzato in formule di 40..anni addietro, Mazzini ciancia di -emancipazione operaia, ma dopo tutto gli basta e gliene avanza dell'innocuo mutuo soccorso e di qualche cooperativetta; Mazzini imborghesisce il movimento operaio ; Mazzini non comprende che la rivoluzione sociale, come tale, comprende e quindi risolverà col problema sociale anche quello politico e non -vi.. -ceversa e che solo nella speranza della prima si moveranno gli infimi strati sociali; Mazzini, infine, seguita a predicar la rivoluzione, e sia pure una rivoluzione meramente politica, ma in sostanza, come Bertoldo l'albero, non trova mai il momento opportuno per scatenarla; per non mollare sulla questione mo... ·narchia o repubblica, Mazzini perde insomma di vista faccende di assai maggior rilievo » • Accuse velate e a mezza bocca, diserzioni alla chetichella scoppiano in aperta rivolta nel 1871, quando tutta Italia è corsa da un fremito rivoluzionario che è un riflesso, una conseguenza e un contagio della Comune di Parigi: le ·masse operaie s'affollano nelle neonate sezioni internazionaliste, i ceti possidenti si buttano al conservatorismo reazionario, raddolcito da prudenti proteste di -pseudo-demoèraticismo, un gruppo d' intellettuali e d' intellettualoidi inizia con entusiasmo la carriera degli organizzatori ; i mazziniani, disorientati, attraversano ·-una penosa crisi d'incertezza, che si traduce e si risolve in fierissima lotta con- ·tro i socialisti non appena questi accennano a voler conquistare le Società ope- , raie, tentando di travolgere la invidiabile posizione fino allora goduta dai maz- . ziniani, di quasi monopolisti del movimento operaio italiano : repubblicani e socialisti sentono, primi in Italia e per la prima volta, che la forza dei partiti da -0ra innanzi sarà commisurata ali' entità della loro penetrazione nelle masse lavoratrici. Mazzini e Bakounine polemizzano clamorosamente, mentre un'improvvi- ..sata stampa socialista copre tutta l'Italia. La rapida fortuna del socialismo è a tutte spese del mazzinianismo : lo prova il fatto, documentabile, che quasi tutti i capi del movimento socia!ista sopo trasfughi delle fila repubblicane ; è tutta gente che è venuta su con Mazzini e che, turbata per l'aspra condanna da Mazzini pronunciata contro la Comune repubblicana, se prima sospettava, ora sostiene apertamente che Mazzini, .per incomprensione senile, tradisca il suo stesso programma e che non ne intenda più i logici necessari sviluppi. Mazzini ribatte che repubblica non vuol -.dir com~nismo; quei giovani (chè tali sono pressochè· tutti) concludono che or- . mai per Mazzi11:il'aspirazione repubblicana impo1ta un semplice mutamento nella forma del governo : il resto immutato. ~ E proprio nel '71, dunque, che si determina l'incomprensione fra i due Biblioteca Gino Bianco

REPUBBLICANI E SOCIALISTI IN ITALIA 271 ================-=======-======================-==== -- _-_-_-_-_-_-_----- - -----------=-----=---=-- partiti; forse Mazzini avrebbe saputo in progresso di tempo eliminarla e, calmati gli spiriti, passata la raffica rivoluzionaria, trovare un punto d'accordo durevole ; ma purtroppo morì nel '72, in piena battaglia e quel che è ancora più grave, senza poter lasciare il partito in mani vigorose. Poichè credo si possa andare tutti d'accordo nel negare ai Saffi, ai Campanella, ai Quadrio ecc. (bravissime persone del resto sotto molti altri punti di vista) un acuto iemperamento politico, una consapevole energia, la capacità insomma d'intender nello spirito e non, come troppo spesso accadde, di osservare bigottescamente l'insegnamento di Mazzini ( 1) . La frazione giovanile del partito repubblicano si gettò con vera e propria voracità sugli ideali banditi dall'Internazionale; con la voracità di chi da tempo .. ha sete, insoddisfatta, d'ideali. Era un pezzo che il mazzinianismo non le bastava più. Nel 1871 la sua inadeguatezza alle aspirazioni della gioventù intellet- ... tuale apparve evidente. Scriveva Cafìero, l'ardente rivoluzionario pugliese, ad Engels: « Il povero vecchio {Mazzini) non puole comprendere ... che il suo concetto di unità e libertà nazionale - grande al suo tempo - impallidisce ora come la luce di una candela innanzi alla luce del sole, venendo paragonato al sublimissimo concetto dell'unità... di tutti i popoli nella nuova organizzazione sociale, che avrà per base l'eguaglianza ». Sì, nel programma mazziniano mancava ormai un mito, mancava un orizzonte lontano e magari irraggiungibile cui tendere. Il mito di Mazzini era stato l'unità d'Italia e Mazzini aveva avuto la fortuna (o la sfortuna) di vederlo bruscamente realizzato, se pur non secondo le sue aspirazioni, per un colpo di bacchetta magica. Dopo il '60, nonostante il rinforzo dato alla parte di rivendicazioni sociali, il suo programma era rimasto come svuotato: poco seguite e poco comprese erano le sue aspirazioni religiose, che gli davano una luce vivissima d'idealità e lo proiettavano in un lontano futuro; poco chiara era la sua visione della trasformazione sociale, a mezzo della riunione nelle stesse mani del capitale e del lavoro ; evidentemente utopistico, nella sua realtà immediata, il suo vagheggiato collaborazionismo tra borghesi e operai. Ai giovani che hanno bisogno di guardar lontano, parve che il mazzinianismo avesse terminata la sua trentennale funzione di propulsore della vita italiana e che si riducesse ormai, ( 1) V ero. Mazzini morl senza lasciare continuatori capaci e sufficientemente agili per mantenere il programma e l'azione del partito a stretto contatto con la nuova realtà politica e con le esigenze e le aspirazioni nuove che ad essa si accomi,agnavano. Ma egli, Mazzini, di quella realtà e di quelle esigenze si era reso conto benissimo. Purtroppo era vecchio, malato, esasperato. La creazione della " Fratellanza Artigiana d'Italia ,, era un programma pratico, ba- ~ato sulla realtà, conforme alle particolari esigenze dell'economia italiana di allora, e protremmo quasi dire, tanto esse sono poco mutate, di oggi. Per i giovani desiderosi allora di cose nuove, di emozioni, allucinati da programmi mirabolanti, il programma poteva sembrare troppo modesto e a scadenza troppo lunga. Oggi (questo riconoscimento a Mazzini crediamo debba essere dovuto) si può vedere abbastanza come esso fosse, invece, il solo programma sul quale si potesse costruire qualche cosa di durevole. Il valore sindacale dell'associazione mazziniana, fu del resto, riconosciuta anche dal Sorel. Ma ne riparleremo. N. d. R. Biblioteca Gino Bianco

272 LA CRITICA POLITICA in sede politica, a un np1cco da vecchio intransigente, ripicco al cui soddisfacimento non meritava davvero si dedicassero fresche energie, ansiose di provarsi {tanto più dopo che si era dimostrato parto di mente settaria il ripetutissimo ammonimento non potersi giungere nè a Venezia nè a Roma con l'Italia monarchica e dopo l'infelice esito delle ultime spedizioni militari repubblicane) ; e in sede sociale si riducesse a un metodo di lenta e severa educazione di alcune élites operaie, ossia a un loro progressivo imborghesirsi - metodo comunque incapace d'affrontare in pieno e risolvere la questione appassionante del conflitto di classi, appena disegnato in Italia, già in atto da tempo in altri paesi di Europa. Fra il '60 e il '70, certo, Mazzini non si preoccupò abbastanza del necessario reclutamento di forze giovani, ossia non pensò alle esigenze comprensibili dei giovani; non li appassionò alla repubblica, presentando loro un suggestivo e compiuto programma di rinnovamento politico e sociale, non seppe appassionarli al lavoro di organizzazione degli operai, ravvivando quei congressi, quei gi0rnali, quegli istituti che andava convocando e creando. Gli mancarono i collaboratori, è vero, ma egli stesso perse il senso per l'innanzi così vivo in lui, dell'ambiente, per~e in sensibilità ; si ostinò sulla questione religiosa, senza avvertire che su quella strada, in quegli anni, nessuno lo avrebbe seguito e non capì quel che di buono e di sfruttabile anche a fini idealistici era in quell 'ondata di materialismo che lo rendeva furioso e a volte ingiusto e che pur rispondeva a sentite necessità della vita italiana e precisamente a quella fase della sua evoluzione nella quale gli italiani dovevano guardarsi intorno, studiarsi, conoscersi, acquistar la positiva nozione del proprio stato, delle proprie possibilità , economiche, provvedere con sollecitudine agli immensi bisogni di una moltitudine priva di tutto. La sua ostinazione, la sua sicurezza~ la sua mancanza di elasticità - ben comprensibile del resto posta la sua avanzata età - lo compromisero irrimediabilmente agli occhi dei giovani, non appena questi giunsero, faticosamente, a liber~rsi dal tradizionale fascino che egli esercitava su di loro, lo misero in urto, in seno al suo partito, con quelle forze a cui teneva di più e nelle quali per l'avvenire fidava di più. Scatenò la sua battaglia, nel '71, sicuro di vincere; e invece morì quando volgeva a male. Questa fu la sua tragedia. In un prossimo articolo cercherò di lumeggiare altri aspetti di questa crisi. proseguendo la succinta storia delle relazioni fra repubblicani e socialisti,- dalla ·morte di Mazzini fino ai giorni nostri. NELLO ROSSELLI La migliore propaganda, presso gli indifferenti e presso gli avversari, si fa facendo conoscere e diffondendo ovunque la nostra rivista. Biblioteca Gino Bianco

Cultura e lotta politica nel Settecento siciliano CARATTERE DELLA CULTURA NEL PRIMO SETTECENTO. Con la Costituzione del 1812, votata dal Parlamento in nome della nazion e, la Sicilia entra di colpo nella storia moderna e colloca la sua esperie nza sul piano delle più avanzate civiltà politiche. Il Dodici è una pietra milia re, uno sbocco; tutti i posteriori svolgimenti siciliani, il Quarantotto, il Sessanta sono in stretta connessione con codesta svolta dello spirito pubblico isolano. La storia, nei riguardi della Sicilia, ha tappe sue ed episodi suoi: rilevarne quel c he v'ha di autoctono e di caratteristico significherà cogliere la differenza con l a storia napoletana : giacchè dire « due Sicilie » non significa affatto dire unità di esperienze. Col Sessanta si chiude un periodo singolarmente interessante dell a storia politica intellettuale siciliana, un periodo che può circoscriversi con su fficiente appros~imazione dentro la cornice di un secolo, considerandone come inizio quell'anno 1759 in cui sale al trono di Sicilia Ferdinando Ili. Dopo i l Sessanta la vita siciliana inserendosi nel vasto piano della vita unitaria, perde i suoi caratteri tipici e la ragion d'essere di certi suoi problemi. Non che il primo Settecento sia inattivo e nudo. V'ha una società c he vive e si muove e ha un suo costume politico e un suo genere di colt ura tra teologico e forense, ma che non si è ancora affacciata al mondo ester no, tenendo dietro alle dispute, piuttosto che ai veri problemi, di casa propria. L' avvicendarsi in breve fase di tre dinastie (Savoja, Austria, Spagna) e il conseguente moltiplicarsi di ordinamenti e prarnmatiche contribuisce indubbiamente a svegliare le classi, a interessarle ai fatti civili, alle cose di governo; ma di codesta nuova attenzione non v'ha che riflessioni isolate: la coltura, abb everata alla tradizione giuridica locale, è impegnata sopratutto in casi forensi, nel diritto feudale. Di diritto pubblico, una sola questione v'ha che davvero appass iona le classi colte e suscita polemiche, la lJexata quaeslio dei rapporti con la chiesa, agitata per tutto il secolo decimottavo. É noto che nel 1715 Clemente Xl abolì la giurisdizione dell'apostolica legazia in Sicilia con la bolla Romanus Ponti/ex quem Sali,ator et Dominus noster, cioè il vecchio privilegio goduto dal Monarca di Sicilia di rappresentare nell'isola il pontefice. Grande fu il dissidio che ne sorse, e mentre il tri bunale della Monarchia continuò a esercitare la sua giurisdizione, lunghe polemiche si agitarono nell'isola, fìnchè Benedetto XIV, il 30 agosto 1728, emise la bolla Fideli ac prudenti Dispensato, che restituì alla Sicilia la tradizionale prerogativa della legazione apostolica. È questo il problema che più interessò nel settecento t Biblioteca Gino Bianco

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