La Critica politica - anno V - n. 5 - maggio 1925

LINEE PROGRAMMATICHEDEL PARTITO 199 assegna al movimento operaio, al di ·fuori e al disopra dalla politica dei partiti, quei fini sociali e produttivi, elevati e concreti, che unicamente gli spettano. POLITICA INTERNAZIONALE Nella politica internazionale il Partito Repubblicano non crede che l'elevamento di una Nazione e di un popolo importi l'abbassamento di altri popoli e che i diritti dei popoli nell'umanità siano diversi da quelli dei cittadini nella Nazione. Non esiste un diritto di supremazia o di conquista, esiste solo un diritto delle genti. Il Partito Repubblicano aspira agli Stati Uniti d'Europa come ali' unica soluzione che, facendo prevalere le ragioni di solidarietà su quelle di contrasto, può evitare i pericoli di una nuova terribile guerra, e crede che sia necessario avviarvisi in tutti i modi, favorendo le iniziative internazionali, con intese commerciali e doganali, resistendo agli imperialismi altrui ma combattendo anche decisamente ogni tendenza imperialista all' interno. Al gretto nazionalismo che crede possibile assicurare le fortune e la grandezza di un popolo con la spogliazione di altri popoli vicini o lontani, destinato a sviluppare lo spirito di egoismo, di violenza e di sopraffazione, occorre contrapporre il solo nazionalismo che può elevare la Nazione, quello delle opere, sviluppando la cultura, le arti, le attività produttive e commerciali, misurandole e rafforzandole nella libera concorrenza internazionale, sfruttando la immensa rete di energie che la nostra emigrazione ha disteso per tutto il mondo, organizzando per tutti gli italiani all'estero una serie di efficace assistenza nazionale colturale ed economica. L' Italia coloniale non è in Africa; è oltre Oceano, è ovunque sono italiani respinti dalla patria e che debbono essere riconquistati spiritualmente alla patria. I PROBLEMI PARTICOLARI Oltre queste affermazioni programmatiche il Partito Repubblicano non vede la necessità di fermare l'attenzione su problemi e obiettivi particolari. Problema burocratico e problema doganale, sistemazione degli enti locali, tributi, legislazione sociale, non sono che altrettanti lati di un unico problema dal modo di risolvere il quale dipendono anche le relative soluzioni. V'è unità di problemi e vi è unità di metodo per risolverli. Si può e si deve scegliere: o per il principio di autorità o per quello di libertà, o col metodo centralista o con quello democratico. • · , APPELLOAGLI ITALIANI II. Partito Repubblicano è nella lotta per suscitare in tutti i cittadini il sentimento della loro responabilità e dei loro diritti, per porre i termini inequivocabili di un regime di democrazia, per mettere in guardia il popolo italiano contro ogni tentativo di truffare la sua buona fede, la sua generosità, il suo desiderio ardente di libertà. Non rifiuta pregiudizialmente nessun mezzo e nessun terreno di agitazione e di affermazione e inv.ita a stringersi attorno alla sua bandiera tutti quegli italiani per i quali la democrazia non sia, in quest'ora, solo un nome o un pretesto. Biblioteca Gino Bianco_ .

• \ Incognite monetarie / La condanna, ormai unanime, dei numerosi e contraddittori decreti -con cui si era creduto di disciplinare e moralizzare le borse ·e non si è effettivamente ottenuto altro risultato, almeno immediato, che di diffoQdere l'incertezza ed il panico e di favorire, forse ingenuamente, la speculazione al ribasso, non può farci per~ere di vista la lotta che all'ombra di quei decreti e delle polemiche da essi sollevate, si è combattuta e si combatte ancora dai più ostinati inflazionisti contro ogni tentativo di rivalorizzazione od anche di semplice stabilizzazione della moneta. In Italia, tolti pochissimi isolati, che nelle contestazioni confidenziali dichiarano fatale la progressiva svalutazione della lira e suggeriscono ., .anzi di affrettarla per poter poi riscostruire, sull'esempio della Germania, un sistema monetario più sano e più stabile, non vi è finora nessuno eh~ invochi pubblicamente ed apertamente un aumento della circolazione. Gli inflazionisti di casa nostra arrivano però all'identico risultato per via indiretta, invocando insistentemente un allargamento sempre maggiore del credito. Poichè infatti le banche ordinarie non possono aumentare il loro portafoglio senza ricorrere al risconto presso le banche di emissione, e queste alla loro volta non possono aumentare le cifre già altissime dei loro risconti senza ricorrere alla stampa di nuova carta moneta, in realtà l' inflazione creditizia crea necessariamente l'inflazione monetaria ed anzi l'aggrava. Perciò sul mondo delle borse e dei maggiori clienti delle banche, .assai più che i decreti sugli agenti di cambio e sulla _limitazione dei contratti a termine, ha esercitato un' impressione deprimente la nuova politica restrittiva adottata dalle Banche di emissione che, d'accordo col Tesoro, .han decis'o di contenere entro limiti assai più angusti del passato le loro -0perazioni di risconto. Il vero punto intorno a cui si combatte da due mesi una battaglia senza quartiere è precisamente questo delle restrizioni nel credito, imposte in un momento in cui le condizioni del mer- -cato sembravano richiederne un ulteriore allargamento. Indubbiamente non sarebbe onesto vedere in tutti coloro che invocano il ritorno ad una maggior larghezza nelle concessioni di credito degli avidi speculatori o dei cinici affamatori della povera gente. In molti casi l'improvvisa restrizione del credito può essere causa di danni .assai gravi alla produzione, come ad esempio nell'allevamento dei ba- -chi da seta o nella bieticultura, nell'impianto di nuove industrie o nelBiblioteca Gino Bianco

• INCOGNITE MONETARIE 201 l'ampliamento di industrie esistenti esclusivamente fondati sulla possibilità di larghe anticipazioni bancarie. Nè d'altra parte si possono disconoscere i vantaggi che da un lungo periodo di prezzi moderatamente crescenti possono derivare all'economia de.I paese. Se infatti un periodo di svalutazione tumultuaria della moneta è causa di profondi turbamenti sociali e di disorganizzazione della produzione, un aumento moderato, lento e quasi continuo dei prezzi costituisce lo stimolo più efficace all'ampliamento ed alla moltiplicazione delle imprese, all' incremento di tutte le attività produttive, alla intensificazione degli scambi. Il rischio inevitabile, che è inerente ad ogni impresa economica, si affronta con molto maggiore coraggio quando una sicura tendenza al rialzo moltiplichi le probabilità di guadagno. Chi dunque fosse sicuro di poter contenere entro limiti ben determinati la progressiva svalutazione della lira, potrebbe anche non dare grande importanza ai legittimi lamenti delle massaie, dei rentiers, degli impiegati, di tutta in genere la popolazione a reddito fisso, e tenere invece in maggior considerazione l'aumento della produzione, da cui finirebbe per derivare una maggior ricchezza ed un maggior benessere della nazione. Ma il guaio è che questa sicurezza di mantenere sempre il dominio dei prezzi sulla circolazione nessuno può averla. L'esempio della Germania offre un monito impressionante contro le facili illusioni e gli ottimismi eccessivi: per tre anni il marco è disceso lentamente fino a perdere i due terzi del suo antico valore. Oltrepassato quel punto, il precipizio si è fatto più rapido e poi cos} vertigin·oso, che nessuna forza umana sarebbe valsa a trattenerlo. La situazione dell' Italia d'oggi non è per fortuna paragonabile a quella della Germania nel 1922 : manca per noi l'urgenza di dover provvedere ad ingenti pagamenti all'estero che non siano bilanciati da una contropartita, e manca sopratutto in nostro confronto - e forse per nostra fortuna - quella ingiustificabile fiducia dell'estero, che ha permesso alla Germania di stampare a getto continuo tanti miliardi e bilioni di carta straccia per cambiarli con decine e centinaia di milioni di ottimi dollari. Ma se il pericolo non è cos} grave e imminente, non si può per questo illudersi eh' esso non esista. Megli ultimi tre anni, in virtù del gettito sempre maggiore delle imposte, il bilancio dello Stato ha raggiunto o si è di molto avvicinato al pareggio ; la circolazione per conto dello Stato è diminuita; la bilancia commerciale è sensibilmente migliorata; il movimento dei forestieri ha raggiunto un'altezza ignota anche agli anni migliori dell'anteguerra; e tuttavia, nonostante questi fattori favorevoli, la lira è discesa da 25 a 20 centesimi. Se due anni fa si poteva sperare di stabilizzare la lira e di riammetterla al cambio coli' oro ad un quarto del suo valore nominale, oggi invece bisognerebbe discendere ad un quinto. Bi lioteca Gino Bianco

202 LA CRITICA POLITICA Le cause di una situazione così sconfortante, in piena contraddizione con le speranze da tutti concepite _sui benefici del risanamento finanziario, si possono trovare in parte in due elementi psicologici difficilmente ponderabili : nell' incertezza cioè della situazione politica interna ed internazionale, e nella incognita dei debiti esteri, di cui basterebbe si esigesse il pagamento degli interessi e di una modestissirna quota di ammortamento per determinare un immediato o forse irreparabile precipizio dei cambi. Ma in parte assai rilevante la svalutazione della lira si deve alla inflazione del credito ed all'aumento che ne è derivato della cosidetta circolazione per conto del commercio. Questa parte della circolazione alla quale corrispondono altrettanti crediti aperti dalle banche di emis- . sione, da una media di 8.661 milioni di lire nel secondo tri1nestre 1923, era salita a 1 O.77 4 milioni nel IV trimestre 1924, e dt essa più del 40 per cento era dovuto all'ormai famig.erato Consorzio per sovvenzioni sopra valori industriali, a quello strumento cioè che, creato per aiutare le industrie di guerra, era diventato un mezzo per operare il salvataggio di tutte le grandi industrie zoppicanti fabbricando illimitatamente nuova carta-moneta, senza il freno della copertura e senza quello della tassa uguale al livello dello sconto. Messo finalmente, nel dicembre scorso, un limite alle operazioni del copsorzio, diminuita la circolazione dei biglietti di Stato e la circolazione bancaria per conto dello Stato, si vede tuttavia, nel corso degli ultimi 12 mesi rimanere presso che immutata la cifra totale della circolazione, appunto per la necessità in cui si sono trovate le banche di emissione di -fronteggiare coll'aumento della circolazione le richieste sempre crescenti della loro clientela. Poichè dunque non è possibile esercitare una influenza diretta e im- .mediata sul fattore psicologico della fiducia e sulla cancellazione dei debiti esteri, l'unico mezzo, non tanto per rivalutare quanto per difendere la lira da nuovi precipizi, è quello di diminuire la circolazione eccessiva, ed a questo risultato non può condurre che una p~litica finanziaria di grande austerità ed una politica bancaria estremamente rigida e prudente. Da una tale politica restarono danneggiate molte iniziative audaci ; ne -subirà urt grave ritardo quel movimento di espansione della nostra economia che si annunciava con pronostici tanto promettenti. Ma il pericolo •che tutte queste illusioni o queste promesse debbano chiudersi con un disastro travolgente è così grave che di fronte ad esso nessuna misura •di prudenza può sembrare eccessiva. Per chi è convinto come noi che, n ell' agitatissimo periodo 1919-21, il massimo fattore di perturbazione degli animi sia stata la rapida svalutazione della lira, sorge invincibile il terrore che la nostra organizzazione politica e sociale non possa resistere ad una nuova scossa di quel genere, e che questa ci possa espor- ,re ad un periodo di vera anarchia, di immiserimento e di ~ecadenza. Ma quand'anche la svalutazione della lira potesse continuare senza Biblioteca Gino Bianco

INCOGNITE MONETARIE 203 condurre al precipizio temuto, n<?i che s~guitiamo a non vedere la fortuna e l'avvenire dell'economia italiana nel mondo capitalistico di Milano o di Genova o di Torino, ma crediamo che la ricchezza d'Italia sia ancora principalmente nelle sue campagne e nei suoi n1ercati rurali, non possiamo non guardare con molta trepidazione alla trasformazione che la progressiva svalutazione della lira 1ninacciò di portare nella economia agraria. Mentre nei primi 4 o 5 anni del dopo guerra si è assistito ad un movimento spontaneo di frazionamento della proprietà ed alla formazione di un numero sempre maggiore di piccoli proprietari coltivatori, provvisti in molti casi anche di un piccolo capitale, oggi invece, per effetto della svalutazione della lira e sopratutto del timore di una svalutazione maggiore, noi stiamo assistendo ad un fenomeno diverso e per - molti lati opposto : la terra è diventata in molti luoghi un oggetto di pura e semplice speculazione, come i fabbricati urbani, o come i titoli di borsa. In molte provincie i prezzi della terra salgono ad altezze inverosimili assolutamente sproporzionate alla sua rendita, e tali prezzi non possono essere pagati che da grossi speculatori di città, i quali non hanno n1ai visto una pianta e tengono la terra soltanto quel tempo che è necessario per rivenderla con un largo margine di guadagno. Ma intanto per le necessità ~tesse della speculazione si aggravano in misure intollerabile i canoni di affitto, si toglie ogni sicurezza al coltivatore, e si provoca il ritorno ad una agricoltura di rapina. Per tutte queste ragioni, nella sorda lotta che da tre mesi si combatte nel mondo della borsa, dell'alta banca e della grande industria, noi anche a costo di meritarci la taccia di timidi e di conservatori sentiamo di doverci schierare con chi propugna una politica di prudenza e si sforza di difendere la nostra moneta dagli estremi assalti e dal pericolo di precipizio. GINO LUZZATTO J.,A VIA DEL COMPROMESSO Qualcuno ha persino creduto di poter interpretare il nostro punto di vista così: ritornare nelf aula. Noi abbiamo detto invece, in modo niolto préciso: evitare tutte quelle mosse che possono rendere meno visibile e sensibile la separazione. Rientrare, collaborare: è la medesinia cosa. Un passo tira [}altro. Intanto si offrirebbe al regime quel che inutilmente ha chiesto sin qui alle opposizioni: il riconoscimento della sua legittimità a governare. L' on. Bo nomi ha fatto una mossa che, in quanto non aspettata, ha dato la sensazione precisa di ciò che sarebbe seguito se una parte o anche tutti i deputati di opposizione, seguendo il suo consiglio, fossero rientrati nell'aula. Per ciò la reazione fu immediata ed energica. Le intenzioni potranno essere le migliori e non si tratta di spiegarsi su queste: è il fatto che va oltre le intenzioni. L'atto, compiuto ora o compiuto più avanti, significa adattamento - significa riconoscere che la partita è perduta - significa disporsi ad una fatica meno dignitosa e più modesta, quella di rendere meno gravi .e meglio tollerabili i risultati della sconfitta. Lo si pigli dove si vuole, -lo si giri di sopra o lo si giri di sotto: è il compromesso. Chi è disposto al compromesso sa quale è la via, e la via è aperta. Ma si dica intanto pane al pane e vino al vino I Biblioteca Gi o Bianco

La questione del cambio e la restaurazione nazionale L'esame della questione del cambio è moito interessante, ed in maniera speciale per noi nel momento in cui viviamo. Progressivamente, per un cumulo di errori, la questione del cambio, malgrado la sua estrema semplicità, è divenuta un fenomeno misterioso, retto da incomprensibili forze occulte o dalle tenebrose volo_ntà di furbi e sagaci speculatori. . Come spiegare il problema del cambio, malgrado le sue oscurità? Con un rapido esame e senza ricorrere ai lumi di nessun economista si rileverà facilmente che la perdita nel cambio, cioè la diminuzione del potere d'acquisto della moneta, varia col variare del grado di fiducia accordato al paese che possiede questa moneta. Se per procurarsi in Svizzera, in Inghilterra o anche in Germania un oggetto che vale (1) cento lire in Italia, noi dobbiamo pagare poco meno di cinquecento lire, cioè se la lir(\ ha perduto più di quattro quinti del suo potere nominativo d'acquisto, vuol dire semplicemente che la fiducia nella nostra solvibilità è eccessivamente ridotta. Il cambio rappresenta dunque un termometro psicologico della fiducia nei riguardi del paese, al quale il produttore vende la sua merce. Da questa definizione si può dedurre chiaramente, che la formula < stabilizzare il cambio >, ripetuta da tanti economisti e tentata da diversi paesi, costituisce un'assurdità. Stabilizzare il cambio equivarrebbe a stabilire uno strumento di misura qualsiasi, per esempio il barometro (2). * * * Quali cause possono far variare questa fiducia, le oscillazioni della quale vanno di pari passo con quelle del cambio? Si direbbe una verità lapalissiana assicurando che, se le spese di un privato, d'un industriale o d'uno Stato sono molto superiori alle sue entrate, la fiducia nel suo credito diminuirà 'rapidamente. Essa diminuirà ancora di più, se, per pagare i suoi debiti, il debitore è obbligato a moltiplicare i prestiti. Quando è lo Stato che fa quest'operazione, i prestiti (1) Sarebbe piit esatto dire <valeva>. - (n. d. r.) (2) La pretesa di stabilizzare il cambio con un lato unilaterale di volontà è ridicola; il vero problema e quello di impedire con mézzi economici una ulteriore svalutazione della lira, realizzando il pareggio del bilancio statale e dei bilanci degli enti locali e sopprimenao le famose Sezioni del Consorzio Sovvenzioni. - (n. d. r.) Biblioteca Gino Bianco . •

LA QUESTIONE DEL CAMBIO E LA RESTAURAZIONENAZIONALE 205 prendono forme varie che ne dissimulano un po' la natura. t·a più usata è la carta-moneta, biglietto di banca a corso forzoso, e che non ha nessuna fissazione di data per il rimborso. Tali biglietti costituiscono evidentemente dei prestiti senz'altra garanzia che la fiducia ispirata dallo Stato debitore. Se questo Stato moltiplica i suoi biglietti, la fiducia diminuisce sempre più e, finalmente, diviene quasi nulla. * * * Il termometro. della fiducia, costituito dal cambio, è molto sensibile. È cosl che in Italia sub) una brusca caduta in seguito alla situazione politica ed ai provvedimenti sulle borse, che, sebbene rimangiati, hal}llo ·provocato un gravissimo turbamento nel mercato finanziario. Che gli speculatori approfittino di tali circostanze per accentuare il movimento nel senso di certi interessi, non c'è dubbio (ed in Italia, specialmente di questi tempi, assistiamo spesso a manovre di simil genere), ma la loro azione è sempre limitata e passeggera. Le oscillazioni provocate nella curva della fiducia non ne cambiano l'andatura. * * * Fra le cause di abbassamento del cambio, cause, che si riferiscono più o meno a una diminuzione della fiducia, si può citare ancora un disquilibrio della bilancia commerciale, cioè del rapporto fra l'importazione e l'esportazione. Il Brasile ci fornisce a questo proposito un magnifico esempio. Durante la guerra le sue esportazioni in Europa aumentavano rapidamente, mentre le sue importazioni diminuivano ogni giorno, e poichè l'Europa aveva bisogno di una gran quantità di merci mentre non ne aveva da vendere, l'ero afflul al. Brasile e il suo cambio san rapidamente. Finita la guerra l'Europa non aveva più bisogno di comprare dal Brasile, anzi avvenne il contrario, e cioè il Brasile, per rifornire le sue provviste esaurite, dovette fare dei grandi acquisti ali' estero. Le sue importazioni sorpassarono allora di molto le s~te esportazioni ed il suo cambio abbassò subito. Continuerà ad abbassart finchè l'aumento della sua produzione gli permetterà di compensare le sue importazioni. Il Brasile ebbe però l'intelligenza di non elevare delle barriere doganali contro l'importazione straniera, come fecero e fanno tanti altri paesi, e specialmente il nostro. * * * Allorchè ogni fiducia è perduta nel valore di una moneta artificiale come la carta e che il paese emmettitore di questa moneta deprezzata non ha nè oro nè argento, si può dire che non possieda più moneta? Biblioteca Gino Bianco

206 LA CRITICA POLITICA L'oro, contrariamente a quanto pensano diversi economisti, a me pare che rappresenti una merce analoga ad ogni altra merce e può essere sostituita da molte altre. Le diverse merci possono essere trasportate senza dubbio meno fa-- cilmente dell'oro e dell'argento, ma il loro potere d'acquisto è altrettanto efficace. Una merce qualsiasi negoziabile, un sacco di grano o una latta d'olio per esempio, rappresenta dunque una moneta, cos) come il peso determinato d'oro, costituito da un pezzo di venti lire, semplime~te perchè essa si può cambiare con delle quantità determinate da altre merci. È ricco un popolo che possiede un eccedente di merce scambiabìlé, è povero un popolo, che, non possedendone abbastanza, è costretto a farsene prestare. Esso paga allora al suo venditore non con merci, ma con carta, che in realtà non rappresenta altro che una promessa incerta di merce da consegnare nel futuro. Più una nazione è ricca in merci negoziabili, meno essa ha bisogno d'oro e d'argento. Che, per facilitare gli scambii di merci, questa nazione impieghi oro, tratte, biglietti di banca, chèques o altro non importa. Nello scambio delle merci contro altre merci, la fiducia non interviene, poichè il compratore si limita a barattare direttamente o indirettamente una merce contro un'altra merce dello stesso valore. In realtà paga in contanti, benchè l'oro o l'argento non intervengano nell'operazione. E questo è il caso della Germania, la quale, dopo avere, per sottrarsi più che fosse possibile al pagamento delle riparazioni, provocato con diversi mezzi la polverizzazione della sua carta-moneta, ha potuto facilmente rimettere in valore la sua carta-moneta, appunto perchè possedeva al suo massimo sviluppo la potenzialità di scambio, essendo ricca di merci negoziabili. * * * Nell'attesa che si equilibri la bilancia commerciale dei diversi paesi, cioè che le loro importazioni possano essere saldate colle esportazioni, le variazioni del potere d'acquisto delle monete fiduciarie provocano complicazioni formidabili. I paesi, la cui moneta ha conservato il suo valore, soffrono qualche volta quasi tanto di questa superiorità, quanto gli altri paesi soffrono della svalorizzazione dei loro biglietti. Quando, in seguito alla perdita nel cambio, noi paghiamo una merce quasi cinque volte il suo valore in Inghilterra e in America, è esattamente come se questi paesi avessero più che quadruplicati i loro prezzi di vendita. Quest'elevamento artificiale dei prezzi rendendo naturalmente le vendite difficili, un gran numero di officine straniere sono obbligate a chiudere. Ed ecco la ragione della grande disoccupazione in Inghilterra e della legge contro l'immigrazione degli Stati Uniti. Biblioteca Gino Bianco

LA QUESTIONE DEL CAMBIO E LA RESTAURAZIONE NAZIONALE 207 Ma, se i popoli a moneta non deprezzata non possono esportare facilmente i loro prodotti, essi hanno un grande interesse ad importare, poi- ~hè, grazie al. cambio, non pagano gli oggetti che un quarto ed un terzo del loro valore. È così che molti stranieri, durante il periodo dell' inflazione, hanno potuto acquistare in Germania per prezzi irrisorii immobili ed officine importanti ( 1). Le ripercussioni delle variazioni del potere d'acquisto d'una moneta nei diversi paesi non si esercitano solamente nel commercio, ma anche nelle relazioni fra popoli. Per questa ragione fino a due anni fa gli Italiani avevano invaso la Germania, ora sono i Tedeschi che scorazzano l' Italia. * * * · Una delle conclusioni, alla quale si arriva è questa: che tutti i paesi a 111onetadeprezzata hanno vantaggio ad esportare e non ad importare ; i' interesse dei paesi a moneta non deprezzata è invece d'importare e non di esportare. Disgraziatamente queste .due operazioni, importare ed esportare, essendo complementari l'una dell'altra, non possono isolarsi. Un popolo che si limitasse solamente ad esportare o solamente act importare sarebbe presto rovinato. È precisamente perchè nella 1naggior parte della nazione non esiste più l'equilibrio fra le itnportazioni e le esportazioni, che il disordine finanziario è generale. Secondo una statistica pubblicata poco fa, a cura del Ministero delle Finanze, l'Italia ha esportato nel 1924 per 14 miliardi e .320 milioni, mentre ha importato per 19 n1iliardi e 411 milioni. Di maniera che l'eccedenza delle importazioni sulle esportazioni è di 5 miliardi e 92 milioni. Alcune nazioni non possono esportare sufficientemente, perchè il valore della loro merce si trova triplicato e quadruplicato per la perdita nel cambio, altre non possono importare precisamente in ragione di quest'elevamento del prezzo. · Come si risolverà questa situazione ? · Io penso che le questioni di moneta perderanno ogni importanza nel momento in cui le quantità di merci da scambiare saranno in quantità sufficiente da ristabilire l'equilibrio fra la produzione ed il consumo. La moneta fiduciaria non sarà più allora che un segno convenzionale analogo ad uno chèque o ad una quietanza. È evidente per esempio, ~he s' io mando ad un negoziante straniero una certa quantità di ferro pagabile con una quantità corrispondente di grano al corso del mercato mondiale, ogni operazione di cambio svanisce. (1) 11fenomeno dipende essenzialmente dalla rischiosità dei prezzi; le oscillazioni nei prezzi delle merci, e specialmente in quelli dei beni stabili, non seguono automaticamente le oscillazioni dalla moneta: per legge d' inerzia si seguita a vendere ai vecchi prezzi anche quando la potenza di acquisto della moneta è variata in più o in meno. - (n. d. r.). Biblioteca Gino Bianco

208 LÀ CRITICA POLITICA • * * * Del resto non è soltanto ai nostri giorni che la carta-moneta e le variazioni del cambio che ne possono conseguire, hanno fatto la loro apparizione nel inondo. La Francia della rivoluzione ebbe gli assegnati, la cui storia si conosce. Il governo inglese fece ugualmente uso di carta moneta a corso forzo so nelle sue guerre contro Napoleone. Gli inglesi poterono così procurarsi le risorse necessarie per schiacciare la potenza di Napoleone. Nella sua guerra di secessione anche l'America impiegò la carta-moneta a corso forzoso. Come gli inglesi e gli amerièani riuscirono a ristabilire il valore integrale della carta-moneta? Fu unicamente· la prosperità del loro commercio che fece rinascere la fiducia. E la Germania non ha fatto oggi quello che . gli inglesi hanno fatto dal 1797 al 1821, e gli americani dal 1862 al 1879? Questi esempi provano che le oscillazioni del cambio, che pesano tanto oggi sul costo della vita, sono legate intimamente alla restaurazione economica e finanziaria del paese. Que~ta restaurazione si ricollega a questi due punti: 1) produrre a prezzi che permettano la vendita delle merci suscettibili d'esportazione; 2) accrescere la produzione delle materie agricole, che costituiscono in Italia una moneta superiore a tutte le ·altre. Fino ad oggi s'è fatto sciupio di rettorica più o meno bolsa, tenendo in dispregio l'elementare buon senso, quando non si è fatto di peggio .. PAOLO MANTICA I problemi monetarii, cui l'opinione pubblica non si interessa, hanno invece un'importanza fondamentale nella vita quotidiana di ogni cittadino, e per questo ci ha fatto molto piacere il leggere nell'Avanti ! del 20 corr. un articolo di /ondo dedicato al problema monetario e pieno di buon senso. É così /acile essere demagoghi in materia di emissioni bancarie, di finanziamenti a industrie, a bonifiche, a cooperative, a lavori pubblici che leggere in un giornale quotidiano un monito serio contro questa politica inflazionista non può non essere accolto con gioia. Lo Stato che stampasse moneta per sovvenire banche crollanti, per aiutare industrie, per costruire ferrovie imporrebbe nella /orma più insidiosa e più iniqua oneri gravosi alla massa dei cittadini, spoglierebbe una maggioranza a favore di una minoranza e preparerebbe la sua rovina. La migliore propaganda dei nostri principii si fa di/fon-· dendo la CRITICA POLITICA. Biblioteca Gino Bianco

XXIV Maggio Nel decimo anniversario della dichiarazione di guerra teniamo a riaffermare quei sentimenti e quei principi, che ci fecero accettare serenamente la grande· prova e porre tutte le nostre energie a disposizione della Patria per la sua Vittoria. Si trattava per noi di raggiungere i termini sacri dell' Italia, riabbracciando i fratelli di Trento e di Trieste : si · trattava per noi di difendere in Europa le istituzioni liberali (Contro la mentalità militarista e sopraffattrice della Germania, la civiltà latina fatta di equilibrio e di buon senso contro la cultura tedesca, rigida e g~ffa nel suo assolutismo. Credemmo allora nelle inesauribili risorse della vecchia stirpe italiana dalle molte vite, e avemmo fede nella Vittoria finale, che sarebbe stata raggiunta attraverso le prove più dolorose. Durante i tre anni· e mezzo della guerra mai perdemmo la fede nella Vittoria, .e quando questa finalmente baciò il tricolore italiano sentimmo l'orgoglio dello sforzo compiuto e la fierezza della meta raggiunta. Le varie· vicende di questi anni del dopoguerra, cosl pieni di eventi, non ci fanno sorridere scetticamente degli ideali in cui credemmo ; vi crediamo anche oggi fermamente, e con fede profonda attendiamo l'alba di una Quarta Italia che, maturata attraverso dure esperienze, sia esempio al mondo di una civiftà più alta, più serena e più umana. L) Italia ha la sua forza incrollabile nel popolo : la sobrietà, la tenacia lavoratrice, la agilità delle intelligenze, l'attitudine a piegarsi alle circostanze per poi dominarle sono virtù comuni fra gli italiani, e assicurano il progressivo incremento della ricchezza nazionale, premessa necessaria di ogni ulteriore sviluppo della nostra civiltà. Le vicende politiche, che pib fermano l'attenzione dei lettori di giornali, sono fenomeni superfi- · ciali e di scarsa importanza, di fronte a questo oscuro e quotidiano lavor}o del popolo italiano, che accumula risparmii, amplia le sue industrie, i_ntensifica la sua agricoltura. In questo faticoso lavorlo, dall'evento bellico non interrotto e nel dopoguerra intensificatosi, è la preparazione del domani d'Italia; da esso noi traiamo la fede per attendere l'alba invocata, senza farci vincere da sconforti e da incertezze. Questo popolo italiano, che seppe vincere la durissima prova della guerra malgrado tutti gli errori, e che oggi tenacemente lavora e risparmia, dando nuovo impulso alla sua industria an~ica - l'agricoltura -; non può non superare le difficoltà odierne : esso saprà levarsi al di sopra dei rancori partigiani, che vorrebbero dividerlo in due fazioni nes·blioteca Gino Bianco

210 LA CRITICA POLITICA . miche ed irreconciliabili, e saprà darsi un libero ordinamento, che a tutti i fattori della ricchezza nazionale permetta di esercitare la sua influenza nella vita politica e che veramente contemperi in una superiore idealità le divergenze di interessi e di idee. Gli oscuramenti non possono essere che fenomeni transitorii in un popolo, che avendo la virtù della disciplina agile e intelligente vinse la sua guerra e che avendo le virtù del lavoro e del risparmio sa accumulare ricchezze feconde. In questo popolo non si può non avere fede per il domani: anche quando non si scorga chiaramente la via· da seguire e tutte le apparenze cospirino a far credere che difficoltà gravissime si oppongano alla realizzazione delle nostre speranze, bisogna proseguir.e nell'opera educativa, con la sicurezza che questo popolo la sua via saprà trovarsela. Nell'anniversario dell'inizio di una lotta, che fu piena di asperità e di sacrificii ma fu coronata dalla vittoria, è doveroso ripetere l'atto di fede nelle virtù del popolo italiano, e riaffermare contro ogni scetticismo la sicurezza che si giungerà a vedere un' ~talia pacificata nel lavoro produttivo e ordinata in civile reggimento, con libere istituzioni che a tutti co11sentano di portare il proprio contributo di pensiero, di critica, di azione per la sua maggiore grandezza. Questa Quarta Italia, che sognammo nelle trincee, noi la vedremo, fulgida e grande, e in nome di essa proseguiamo l'opera nostra senza scoraggiamenti. FEUERBACH PESSIMISMO STERILE E CRITICA FECONDA Giovanni Ansaldo ha scritto un articolo sul Lavoro: "Pessimismo sterile" .. Se ne è discorso; ne discorreremo pure noi. " C'è - osserva Ansaldo - una singolare tendenza in alcuni uomini e gruppi di opposizione : quella di fare il processo ai compagni, anzichè agli avversari, e a tormentare se stessi con la disamina degli errori tattici commessi. L'errore, il solo errore che possa imputarsi agli uomini di opposizione - ma di cui essi sono i meno responsabili - è di avere sopravalutato il carattere dell'Italia e degli italiani, di aver pensato di poter far sentire le esigenze della libertà moderna ad un popolo di scarsa educazione politica come l'italiano. " Siccome l'osservazione potrebbe riguardarci in quanto fummo e siamo critici della tattica delle opposizioni, rispondiamo che l'errore fondamentale delle opposizioni parlamentari fu - a nostro avviso - di non aver avuto su/ficiente fede nel popolo italiano, di averlo tenuto da parte, in seconda linea, considerandolo come un elemento di parata piuttosto che come elemento base, di manovra. Ansaldo finisce col concludere che per ora col popolo italiano non c'è nulla da fare e da sperare. Bisogna attendere e trovare intanto una base pratica di resistenza e di propaganda che possa essere usata per un periodo che si può prevedere lungo, sperare nei giovani, in quelli " che ora vanno a scuola e che domani vorrantJ,o, come è costume dei giovani, prendere d'assalto il mondo ". Noi siamo meno pessimisti. Speriamo nei giovani di domani e diciamo che bisogna pensare ad essi, ma speriamo e contiamo anche sugli italiani di oggi. E chiediamo che ci si conti I Biblioteca Gino Bianco

, ( I .. La questione dei decreti-legge Si è annunziata la presentazione di un progetto di legge al Parlamento per regolare definitivamente la materia dei decreti-legge, la quale, come dimostrò la discussione avvenuta recentemente in Senato sulla sospensiva del senatore Ciccotti all'approvazione del progetto che riguardava l'approvazione in blocco di 2376 decreti luogotenenziali e regi, è tra le più vive e scottanti del momento politico. E la ragione si intende facilmente, giacchè essa attiene ai limiti della distinzione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario, ~ulla quale, in sostanza, si regge in quasi tutti i paesi civili, lo Stato moderno. I decreti-legge annullano la famosa distinzione di Montesquieu, accentrando nel potere esecutivo non solo i diritti del Parlamento ma persino quelli dell'autorità giudiziaria, giacchè, come ne fanno prova i decreti dettati in occasione dal falli1nento della Banca di Sconto, non mancano esempi di decreti legge che dettano norme per un caso solo, indicando alla magistratura la via da seguire obbligatoriamente, con una legislazione dettata da una necessità del momento. E se anche tali casi fossero rari, quel che importerebbe sarebbe sempre la questione di principio. La questione se nel nostro diritto pubblico sia ammessa la legiferazione per mezzo dei decreti legge non è nuova, anche se è divenuta in Italia specialmente importante, dalla guerra in poi, dato il grandissimo numero che ne fu emanato negli ultimi anni, tanto da essere, oggi, la questione ricorrente ad ogni discussione politica, appunto a cagione della sua fondamentale importanza innanzi accennata. Ed il curioso è questo che , tutti i governi di qµesti ultimi anni hanno altamente proclamato che bisogna restaurare i diritti del parlamento, ma tutti poi hanno largamente legiferato a mezzo dei decreti-legge. Si sono avute, specialmente in Senato qualche anno fa su una mozione presentata dall' on. Scialoia e ultimamente sulla cennata ~ospensiva dovuta all'on. Ciccotti, ampi ed appassionati dibattiti, che purtruppo sono rimasti senza pratici risultati. Anzi ormai si dovrebbe dire che coll'approvazione della legge sulla conversione di varie migliaia di decreti-legge, non tutti certo emanati in quelle condizioni di urgenza che avrebbe potuto, in certo modo, giustificarne l'uso da parte del potere esecutivo, il decreto-legge sia entrato nel nostro diritto pubblico, nel quale la consuetudine ha tanta importanza. Anche la magistratura del resto ha raramente dichiarato la incostituzionalità dei decreti legge, ed ha variamentente apprezzato i limiti entro i quali le è consentito il Bi.blioteca Gino Bianco

212 LA CRITICA POLITICA sindacato sulla legittimità dei medesimi. Per modo che una regolamenta- . zione legislativa della materia sarebbe· da augurare vivamente, sempre che non si dimentichi che essa riguarda assai da vicino la costituzione che ci governa e che quindi deve essere seriamente ponderata come ogni modificazione allo Statuto, non già perchè questo sia intangibile o perfetto, ma perchè contiene alcuni principi fondamentali, il cui rispetto costituisce una conquista che il popolo non potrebbe farsi ritogliere. Ora secondo lo Statuto e prec~samente secondo gli articoli 3 e 6, la facoltà nel governo di emettere decreti-legge sembra potersi fondatamente escludere, giacchè se il potere legislativo deve essere ·esercitato collettivamente dal Re e dalle due Camere, e se al potere esecutivo .è . data facoltà di fare i decreti e i regolamenti necessari per l'esecuzione delle leggi senza sospender-ne l'osservanza o dispensàrne, da ciò segue necessariamente che il potere esecutivo non possa da solo legiferare. Tuttavia ciò non ha impedito che attraverso distinzioni più o meno sottili e disquisizioni giuridiche che è costume chiamare eleganti, il decretolegge, fondato sulla ragione d'urgenza (e che perciò alcuni vorrebbero meglio chiamare decreto di urgenza) sia penètrato nel nostro diritto pubblico, prima raramente ed isolatamente, poscia vittoriosamente come un esercito numeroso al cui impeto nulla resiste. Non è questo il luogo di esaminare se e fino a qual punto ciò sia stato reso necessario da circostanze esterne, e tanto meno se siano valide· le giustificazioni che i giuristi hanno quasi sempre saputo trovare per dimostrarne la validità: tutto ciò atterrebbe al Iato giuridico de1la questione, che non sarebbe opportuno trattare in questa rivista. Quel che si può dire con sicurezza è che la pratica su larga scala della legiferazione mediante decreti legge è indubbiamente contraria allo spirito oltre che alla lettera dello Statuto, giacchè anche ammettendone la possibilità, in casi di urgenza, ognun vede a quanti pochi casi dovrebbe restringersi. Ma per porre la discussione su un terreno positivo senza esercitarsi in vane disquisizioni accademiche, l' importante ci se~bra piuttosto mettere in chiaro, (posto che si voglia giungere ad una regolamentazione della facoltà dei decreti-legge, da parte del governo), se possa ·consentirsi o no, tale facoltà. Le varie opinioni che tengono il campo al riguardo si possono riassumere in tre correnti : una favorevole al mantenimento dello stato attuale di cose conferendo però espressamente al governo la facoltà di legiferare quando lo crede opportuno senza il Parlamento ; una seconda nettamente contraria a tale facoltà per qualsiasi caso, e che è quindi per il divieto espresso al potere esecutivo di emanare decreti legge ; una terza intermedia, favorevole ad accordare la facoltà ma con delle limitazioni circa l'efficacia e l'obbligatorietà dei decreti emanati dal governo. È quasi inutile spiegare le ragioni per cui siamo senz'altro CO!Jtrarialla soluzione della prima corrente : essa annulla la distinzione tra potere Biblioteca Gino Bianco

LA QUESTIONE DEI DECRETI-LEGGE 213 legislativo e potere esecutivo, me_ntre, no~ostante le critiche alla tripartizione del Montesquieu, la distinzione dei poteri rimane pur ~empre, effettivamente, una realtà innegabile. Non basta dire che il potere sociale è uno e che . la divisione dei ·poteri è una mera astrazione,. quando invece essa realizza la più salda garanzia contro l'accentrarnento in poche mani di tutta l'autorità dello Stato. Rimane pertanto da vedere se sia opportuno concedere al potere e$ecutivo la facoltà di legiferare mediante decreto, con alcune limitazioni e garenzie o se invece essa debba essere in ogni caso negata. La soluzione intermedia è stata caldeggiata da vari giuristi ed uomini politici, i quali l'hanno escogitata per il seguente motivo: dal momento che, orinai, l'esperienza dimostra che non si può fare a meno dei decreti-legge, . limitiamo tale facoltà a casi tassativi, ovvero stabiliamo l'obbligo della presentazione di essi al Parlamento, stabilendo altresì che in caso 'di mancata conversione in legge entro un certo termine essi debbono aversi come decaduti. Altri invece ha proposto che fosse dato alla Magistratura, chiamata a giudicare, di non riconoscere alcun valore a decreti che non fossero stati già ratificati dal Parlamento, ammettendo soltanto che per breve spazio di tempo il .magistrato possa sospendere il giudizio in attesa che il Parlamento proceda alla conversione in legge. L'on. Giolitti in un suo discorso al Senato, accennò alla convenienza di esaminare, data la consuetudine che il potere esecutivo invada il legislativo < se non sia il caso di provvidenze legislative che stabiliscano qualche autorità la quale possa dichiarare che quel tale atto del potere esecutivo non è legittimo, perchè ha invaso il potere legislativo, senza che il Par-- lamento gli avesse delegato quelle facoltà~. Egli non disse quale potesse essere l'autorità intravveduta ':Ome necessaria allo scopo anzidetto, e se ne dedu~se che avesse voluto alludere alla creazione di un Tribunale supremo, come la Suprema Corte degli Stati Uniti d'America. Ed alla istituzione di una simile magistratura accennò anche l'on. Amendola nel suo discorso elettorale di Napoli. Nella recente discussione al Senato sulla sospensiva Ciccotti, tutte queste varie tesi si riaffacciarono. L'on. Schanzer, ad esempio, do_poaver premesso di avere ferma convinzione che il decreto legge non esiste nella nostra costituzione, nè in tutti gli Statuti che hanno la stessa origine storica del nostro (ed egli ricordava a proposito della Francia le ordinanze di Polignac) aggiungeva: < non dico per questo che non ci siano dei casi, assolutamente eccezionali, in cui debba il potere esecutivo provvedere d'urgenza, perchè salus reipublicae suprema lex; e ci possono essere pochissimi casi in cui il decreto legge sia necessario, come nel caso dei decreti catenaccio, nel caso della propoga dei termini che stanno per scadere, o in caso di necessità di P. S. che s' impo-- pongono per la salvezza della cosa pubblica. Per quanto riguarda lo statod'assedio noi in Italia siamo in una condizione anormale perchè non è regolato per legge, mentre sarebbe necessario che lo fosse >. E concluBiblioteca Gino Bianco I , ..

214 LA CRITICA POLITICA deva dicendo di essere d'avviso che occorre un provvedimento legislativo inteso a ricondurre il nostro diritto di principi statutari in questa materia, dando le opportune norme all'autorità giudiziaria. Una tesi contraria fu invece svolta dall'on. Scialoia, il quale ritenendo impossibile fare oggi una legge che abbia per solo contenuto di determinare il valore dei decreti legge i~nanzi all'autorità giudiziaria, sostenne che la materia deve essere regolata, come il rapporto tra il potere esecutivo ed il legislativo, in modo che il decreto possa avere una piena forza interinale ed una forza definitiva, che gli sarà conferita dal Parlamento. Se si restringesse, egli disse, a determinate materie il. diritto di emanare decreti legge, questo equivarrebbe a devolvere tali materie .al potere esecutivo ; e siccome esse sarebbero di grandissima importanza, per es. le disposizioni di ordine pubblico, sarebbe pericoloso abbandonarle completamente in balia del potere esecutivo. Il senatore Scialoia aveva fermato i propri concetti in un progetto che fu discusso in Senato alcuni anni fa e che può stare a dimostrare la difficoltà di giungere ad una soluzione in materia consimile. La verità è che l'unico modo di giungervi è andare nella opinione intransigente che nel nostro diritto pubblico non devono ammettersi i de - creti-legge, e che tale inammissibilità debba essere sancita con una legge, la quale, del resto, non farebbe che riportarsi alla lettera ed allo spirito dello Statuto. Se si vuole davvero restaurare l'autorità del Parlamento e farne nuovamente una cosa seria, bisogna riaffermare il principio che ad esso, e ad esso soltanto spetta di fare le leggi. Come ricordò il sen. Albertini nella discussione in Senato, in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti d'America, vale a dire presso le tre grandi democrazie del mondo, non esiste l'istituto dei decreti-legge, e anche in Italia, del resto, per lunghi anni non furono emanati che pochissimi decreti legge. Ciò vale a dimostrare come essi non siano punto una necessità e tanto meno una necessità ineluttabile. L'invocazione che si fa alle necessità imposte dalla guerra non è fondata, giacchè nulla vieta che . in quei casi il governo ottenga, come del resto ottenne nel 1915, la delega dei pieni poteri: non vi sono urgenze tali da non ammettere la -convocazione del ' Parlamento, il quale se davvero l'urgenza esistesse, non mancherebbe di accordare al governo quei poteri di cui avesse effettivamente bisogno. Tutte le soluzioni della questione dei decreti legge che non siano nel senso della assoluta eliminazione di tale istituto dal nostro diritto pubblico, non rappresentano che delle transazioni, cattive, come tutte le transazioni. Limitare la facoltà di emanare decreti-legge a determinate materie, significherebbe devolvere al potere esecutivo in modo definitivo e pennanente importantissime leggi; disciplinare e regolare i decretilegge nel senso di riconoscere loro vigore interinalmente e salvo ratifica significherebbe autorizzare i governi a farne pratica costante. Se si pensa che vi sono casi nei quali il decreto-legge ha un'efficacia immeBiblioteca Gino Bianco

LA QUESTIONE DEI DECRETI-LEGGE 215diata e serve a regolare una situazione transitoria, si vede a luce meridiana quanto vano sarebbe il dichiararlo decaduto dopo che già ha avuto esecuzione per quel caso per cui fu emanato. E poi di fronte al fatto compiuto, il Parlamento novantanove volte su cento convertirebbe in legge il decreto anche per legittimare una situazione irregolare, e gl~ inconvenienti lamentati continuerebbero a sussistere come oggi. L'unico mezzo serio per eliminarli è nel non far mai più decreti-legge, dichiarando espressamente per legge che il potere esecutivo non ha facoltà, di legi/erare in alcuna materia, con la relativa conseguenza che il potere giudiziario deve sempre negare l'applicazione, ai casi concreti, di queidecreti che avessero carattere legislativo. GIQV ANNI PETRACCONE , . LO STATO E LA PROVINCIA La Provincia, organo amministrativo, ha la sua speciale attività segnata da due compiti: manicomi e strade. I manicomi restano sempre di sua esclusiva competenza. Quanto alle strade un decreto del ministro Carnazza del 15 novembre 1923 stabiliva che passasse allo Stato l'esercizio di 60 mila km. di grandi strade rotabili, alle quali avevano fin'allora provveduto le provincie coi loro proprt mezzi e colle loro particolari vedute. Anche qui lo Stato si proponeva di far bene quello che le Provincie non sembra sapessero fare e stabiliva per ciò una nuova classifica stradale : strade di prima classe di cui lo Stato si riservava la rnanutenzione, lasciando alle Provincie la manutenzione solo di quelle di secondCl classe, salvo ad assumersi la cura pure di queste quando lo avesse creduto utile. llna vera e propria patente d'incapacità per le Provincie e di capacità per lo· Stato. E giusto. Se la capacità deve sempre corrispondere afla grandezza, lo Stato è, senza dubbio, un organismo molto più grande. J., ediamo ora quel che è avvenuto. Una cosa molto semplice : che dal prima luglio 1924, giorno in cui il nuovo ordinamento Carnazza doveva entrare in vigore, le grandi strade di prima· classe vennero abbandonate a se stesse. Le amministrazioni provinciali hanno da quel momento cessato di occuparsene, come· era del resto obbligo loro. Lo Stato, dal canto suo, dimenticava di occuparsene, come era da prevedere. Una delle ragioni per cui lo Stato intervenne a sostituirsi alle provincie fu questa : che le strade non erano curate sufficientemente secondo le norme dellCl viabilità automobilistica, dove più e dove meno bene applicate nelle varie provincie, mentre è nelle intenzioni del governo che da questo lato l' ltàlia non sia da meno delle altre grandi nazioni. Per provvedervi si osservava intanto che c'era disponibile una bella somma, ben 400 milioni all'anno, importo delle tasse· ciclistiche e automobilistiche, sulla vendita degli oli 1ninerali e del dazio doganale sul petrolio e sulla benzina - cespiti di entrata che lo Stato riservava soloper se. Ebbene, sapete quanto di tale somma veniva assegnato al capitolo strade nel- bilancio dello Stato? 70 milioni! E poi anche questi, tanto per cominciare, rimasero sulla carta. E cosi le strade principali d'Italia vanno rapidamente rovinando e se non si vorrà lasciarle rovinare ancora, si dovrà provvedere d'urgenza a ripararle in molti punti, con una spesa naturalmente maggiore di quella che avrebbe importato la manutenzione ordinaria. Il fatto desta tali preoccupazioni che la Provincia di Milano deliberava per suo conto - giacchè ogni ritardo le parve un d~sastro e una colpa - otto milioni di lavori per le riparazioni e la manutenzione, senza neppure attendere di assicurarsi se lo Stato rimborserà la spesa o anche solo l'autorizzerà. All'atto pratico la provincia spogliata di una delle sue poche attribuzioni ha dovuto, di sua iniziativa, riprendersela e sostistuirsi alloStato. E ciò non vale forse molte dimostrazioni teoriche ? Biblioteca Gino Bianco

• REALTÀ CHE S'IMPONGONO Il problema degli Enti locali Ritorna in discussione e se ne dovrà discutere, molto. È importante che se ne discuta e che quasi nello stesso tempo l'argomento sia stato tocc~to con diverso spirito e intonazione da tre distinti personaggi del partito oggi al potere. Dopo la guerra la crisi dello Stato dominò tutti gli spiriti e pose in seconda• e poi in ultima linea quella degli Enti locali. E così si cessò di parlarne come non esistesse, nè fosse mai esistita. Le preo~cupazioni maggiori si volsero a superare la crisi finanziaria dello Stato e per arrivarvi non si ebbe scrupolo di ricorrere a provvedimenti che avrebbero peggiorato quella non altrimenti grave degli Enti locali. In questo fatto è possibile vedere l'indice di una opinione molto diffusa : che solo lo Stato conti come espressione e fattore di energie nazionali e che tutto il resto debba essere subordinato ai suoi interessi e alla sua volontà. Ed è l'opinione che trova oggi il suo metodo nel Governo del partito fascista. Non ci ha, quindi, affatto sorpreso udire l'on. Farinacci, in un discorso tenuto a Parma il 1O maggio, rispondere al senatore Albertini il quale in Senato lamentò che troppi Comuni (più di mille e quattrocento) sono sempre in mano a Commissari governativi, regi o prefettizi : « Io dico invece che i Commissari sono pochi e bisogna aumentarli. Io abolirei le elezioni e le amministrazioni ove esistono ancora. Con i Commissari governativi si risolverebbero tutte le questioni locali. Non deve essere ammissibile che in un paese un 'amministrazione faccia politica diversa dalle direttive del Governo ». Ancora una volta il Farinacci ha saputo essere, senza mascherature teoriche o rettoriche, l' interprete schietto del pensiero fascista. Come teoria e come metodo il fascismo, molto meglio che nel professore Gentile, si capisce in Farinacci, il merito del quale, sintassi e grammatica a parte, è appunto quello di essere logico, di fare una cosa sola -della teoria e della pratica, di darci il fascismo quale è, e quale può essere. Pensare che in Italia possa esservi qualche cosa d' indipendente dalla volontà del Governo è al di fuori della concezione fascista, rimanendo nella quale è assurdo parlare di diritti locali e di autonomie amministrative. Parlandone e preoc- -cupandosehe si fa nella amministrazione della politica: per non farne non c'è che seguire le direttive del Governo, obbedire al Governo, subordinando alla sua politica e alla sua volontà problemi ed esigenze locali. E si farebbe amministrazione pura. Quanto dire : niente amministrazione ! La logica del fascismo vorrebbe così. E parla a mezzo di Farinacci. La realtà vuole diversamente. E parla anch'essa per bocca di altri uomini del fascismo. (Chi è fuori del fascismo non ha per ora voce in capitolo). Il che vuole dire che i fatti valgono sempre assai più delle teorie e finiscono coll' imporsi anche là dove trovano le maggiori resistenze teoriche e spirituali e cioè interessi che, per -quanto sentiti, sono meno vicini. Il fascismo può tenere quanto vuole in poco -conto le Amministrazioni locali, ma poi i fascisti dal momento che, per ragioni di partito, si mettono a fare gli amministratori debbono arrendersi alle necessità Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==