La Critica politica - anno V - n. 4 - aprile 1925

Ll\ CRITICJ\ POLITICJ\ R.IVISTA MENSILE ' ANNO V. aprile 1925 f ASC. 4. Sempre del programma E poi a che cosa servirebbe il programma ? Mi sono sentito fare anche questa domanda. E di fatti un programma può pure non servire a niente ed essere un bellissin10 modo per girare le questioni senza toccarle. Avviene anzi che usi proprio cost Tutta l'arte politica da un ventennio è consistita nel dire parole capaci di suscitare sentimenti gradevoli senza precisare il modo nel quale si pensava di soddisfarli. Fate un discorso generico sull~ libertà e tr-overete mille l!-lan.iad applaudirvi ; spiegate in che mo~o la libertà la intendete e vorreste applicarla e troverete una parte notevole di qùelli che vi avevano prima applaudito farsi dubbiosi o manifestarvi il proprio dissenso. E cosl per tanti altri termini divenuti patrimonio comune delle più diverse formazioni politiche. Stando alle parole l'antitesi tra il fascismo ~ gli altri partiti non si presenta profonda e irreducibile come è nel fatto. Anzi più l'antitesi si approfondisce tra le parti e più largo va facendosi - non saprei con quanta utilità - l' uso degli stessi termini. < Libertà, solidarietà, interesse ./ . nazionale, giustizia, benessere, diritti della maggioranza, ecc. > sono espressioni e affermazioni che oggi si possono in ogni campo raccogliere con altrettanta abbondanza. Cosl pure vi sono parole che per quanto non siano entrate nella terminologia comune hanno perduto, se una I• volta lo ebbero, ogni carattere distintivo e ogni valore programmatico. Quando si parla di partiti socialisti, ad esempio, non si è specificato niente. Sembra invece che un significato distintivo vada riacquistando il termine lotta di classe, sulla cui esattezza c'è da discutere (è pacifico che con maggiore esattezza può parlarsi di lotta di classi e di azione di classi) e che come realtà sociale è fuori della politica. Eppure in Romagna tra repubblicani e socialisti si è per decenni accanitamente disputato, qualche volta col coltello alla mano, sulla parola, mentre poi in fatto di organizzazione operaia si gareggiava a chi poteva far meglio e a chi otteneva conquiste maggiori. Ebbene :. c'è chi ancora si diverte a disputare sulla parola. Segno che ha tempo da perdere. Dunque .un programma può anche, non servire a niente. Io mi spiego come ci sia chi si sorprende di sentir parlare di programma coi tempi che corrono. Dateci dei fatti piuttosto, chè di programmi ne abbiamo abbastanza I - se non lo dic9no, molti lo pensano. E rinchè si riferiBiblioteca Gino Bianco · ,; .

142 LA CRITICA POLITICA scono a quel che i programmi hanno rappresentato e significato sin qui hanno ragione. Non è ciò che si chiede alle opposizioni. Si chiede che si diano una azione che sia un programma e un programma che sia azione. E sarebbe: passare dal vago e indeterminato al concreto, da_lle affermazioni ideali alle soluzioni pratiche, dall'avvenirismo alla realtà. È la realtà stessa che impone ai partiti di scendere sul suo terreno·. E tuttavia essa ha avuto finora una ben scarsa influenza nel loro atteggiamento e nel loro spirito. Le deficienze e le incertezze lamentate da cosa dipendono? In gran parte dalle difficoltà che le posizioni mentali e dottrinali già formate, l'attaccamento alla consuetudine e la preoccupazione di ciascun aggruppamento di non perdere la propria individualità creano, quasi automaticamente, ad una azione purchessia. Il passato trattiene le opposizioni più di quel che il presente non le sospinga: è come una prigione in cui le energie si perdono e le volontà si attuti- .scono. Diffidenza istintiva .verso i proprt vicini e preoccupazione per , ,ogni. novità, sono due stati d'animo caratteristici di questo periodo della nostra vita politica. E per ciò •si pensa che precisare, fissare gli obbiettivi, delimitare le posizioni, qualificare gli elementi sociali sui quali s' intende poggiare sia politicamente dannoso. Ne ebbi una prova quando, mesi addietro, sottoposi a un certo numero di autorevoli personaggi dei vari partiti di opposizione qualche quesito in merito ad alcuni pro bi emi vivi e immediati posti in essere dal fascismo. Per quanto insistessi nessuno degli interpellati volle rispondere nel merito ; qualcuno, molto gentilmente, mi spiegò anche il perchè. Degli interpellati due mi risposero entrando nel merito, ma erano appunto quei soli che di politica non si occupassero in modo specifico. Quando io, dunque, mi preoccupo del programma, intendo riferirmi alle sole questioni che sono immediate e presenti. È inutile battagliare I sulle parole. Vi sono posizioni tattiche che una volta prese impongono di andare alle conseguenze. La manifestazione secessionista dell'Aventino era una di queste. Fin da quel momento si poneva per i gruppi che vi partecipavano il problema se il sistema parlamentare - dopo il 6 aprile 1924, anzi dopo il 28 ottobre del 1922 - offrisse ancora delle possibilità per un mutamento della situazione politica interna. I deputati che sortivano dall'aula - col dichiarato proposito, allora, di non più rientrarvi - intendevano pure dire che nel Parlamento e col Parlamento nulla restava da fare? Allora sembrò cosa pacifica; di fatto il problema nessuno se lo era posto seriamente. E così i secessionisti restarono con un piede sull'Aventino e coll'altro nei corridoi di Montecitorio, posizione incomoda quanto mai per muoversi. Oggi ancora la questione da decidere è se si deve operare politicamente dentro o fuori del Parlamento, se cioè il Parlamento nella vita costituzion~le dello Stato abbia sempre un valore e si pqssa in esso e attaverso esso determinare una situazione nuova. Ed è una questione Biblioteca Gino Bianco

SEMPRE DEL PROGRAMMA 143 che involge tutte le altre e che sul momento ha ben altra _importanza di quella di sapere se si aspira o 1neno all'emancipazione di tutti gli sfruttati e alla giustizia sociale nell'anno duemila. Ma deciderla vuol anche dire prendere posizione di fronte ad alcuni problemi pregiudiziali dell'ordinamento dello Stato. Nè è a credere che ciò sia senza importanza per ottenere quei fatti che si vorrebbero comunque, magari non accompagnati dalle parole. Come ebbi occasione di avvertire (I) programma - quando non è un insieme di cianfrusaglie diverse, raccattate qua e là - è metodo per prima cosa. Altro è muoversi in vista di un risultato parlamentare, e altro è muoversi avendo scartato del tutto tale possibilità. Dirò che sono due cose completamente diverse. Se si pensa che risultati parlamentari siano tuttora possibili non v'è nessuna ragione perchè coloro che hanno tale convinzione continuino a restare fuori delaula. Ma ciò vuol dire altres} riconoscere lo stato di fatto come stato di ·diritto, adattarsi ad esso (sia pure per modificarlo), accettare di operare nei limiti e nelle condizioni in esso legalrnente (e cioè atta verso le formalità della legge) stabilite. Gli oppositori nell'aula - che debbono al fascismo la loro origine elettorale - si trovano precisamente su tale terreno. Ed ecco anche perchè gli oppositori dell'Aventino hanno il dovere politico di definirsi nei loro confronti. Se poi si ritiene che a Montecitorio non ci sia nulla da fare, bisogna pensare ad altro, cioè lavorare a determinare nel paese queHa situazione che non si potrebbe determinare alla Ca1nera. Intanto si dovrebbe avere la onesta franchezza di dire che a Roma non si può fare nulla di più e di 1neglio di quel che non si possa fare in qualsiasi altro luogo d' Italia. So bene che i deputati di opposizione non si attribuiscono nessuna virtù taumaturgica per il fatto della medaglietta; non devono però nemmeno lasciarsela attribuire. Purtroppo in provincia - effetto della diseducazione parlamentare di ·sessant'anni di centralismo - si ritiene sempre c.he il deputato abbia . capacità e possibilità sconosciute agli altri mortali. < Ci hanno a pensare i deputati I > - dicono. E i deputati, se non dicono lo lasciano capire, confermano : < lasciate fare a noi I>. E poi succede che in provincia attendono di sapere quali miracoli stiano combinando a Roma, e a Roma può venir fatto - vogliamo dunque dirlo ? - di · sentire i deputati lamentarsi perchè il popolo in provincia non si fa sentire e non si muove. E se si dicesse al popolo che il miracolo, se non lo fa lui, nessuno lo fa? E se, senza pensare a Roma· dove· non c'è nulla o quasi nulla da fare, si ritornasse in provincia? Dal Risorgimento è destino che nulla incominci da Roma e tutto a Roma finisca. Il movimento può determinarsi solo al di fuori. Fuori sono le forze, le istitu- - zioni sulle .quali premere e colle quali operare. Recentemente si è avuto (1) In un articolo < Per il metodo e il programma dell'opposizione > nella VoceRepubblicana del 28 marzo. B"blioteca Gino . 1an.co

144 LA CRITICA POLITICA qualche sintomo di rinascita sindacale. Ma vi sono altri elementi di vita che chiedono solo di essere suscitati. Vi. sono - al di fuori del proletariato della industria - forze sociali che attendono la loro riscossa e che costituiranno, esse veramente, la nuova rivelazione e la nuova vita d' Italia. E ci sono, infine, le ~stituzioni locali. Ecco un punto· davvero sensibile, dove ciascuno si sente e vuol essere in casa propria e dove basta toccare. Roma 1 Cosa è Roma di fronte a Peretola? Ora così si può dire. Ed è Peretola che si deve .muovere, non Roma. Peretola di quel che succede a Roma ne sa appena per sentito dire, ma sa bene del suo Comune, come e da chi è amministrato, e quanto si paga e quel che si spende. Vogliamo dire a Peretola di pretendere l'amministrazione del suo Comune e di agitarsi intanto per otten_erla? In fondo le questioni che davvero interessano oggi e possono costituire i punti base di un programma per le opposizioni si riducono a tre o quattro al massimo. Una, pregiudiziale, è di stabilire se si accetta o non. si accetta l'attuale stato di fatto come stato di diritto proponendosi di operare per la sua modificazione nelle condizioni e nei limiti in esso fissati (azione parlamentare). Poi vengono le altre. Quella sul valore attuale dello Statuto del '48 come garanzia di condizioni determinate di libertà e sulla necessità o meno di un assetto costituzionale nuovo, su solide garanzie. Quella sul modo d'intendere lo Stato, nel senso dei compiti che gli si vogliono affidati e dei limiti che si vogliono assegnati al potere esecutivo e a quello legislativo. E infine, problema particolare per ogni partito e collettivo per le opposizioni, su quali elementi sociali si intende, in particolar modo, far leva. Orbene, sono appunto questi i punti che i due recenti convegni, del Partito Socialista Unitario e della Democrazia sociale, non hanno toccato. Per cui è il caso di domandarsi a che cosa i due convegni abbiano pra- . ' . bcamente servito. I democratico-sociali - i quali hanno rivendicato a titolo di merito l'aver fiancheggiato il fascismo con < grande dignità> (sic 1) durante due anni di esperimento - hanno almeno riconosciuto < la necessità di. ulteriori integrazioni costituzionali >. Ma provatevi un po' a metter le mani sui loro ordini del giorno ( due ne hanno approvati su lo stesso argomento) e vedrete che varietà e per ogni gusto. Manca solo una cosa : il programma. Cioè una idea chiara di quello che si vuole. Vi sono molte affermazioni di democrazia insieme ad espressioni di pura marca fascista : la affermazione della < supremazia degli interessi dello Stato su quelli di ogni classe e fazione > - i fascisti non dicono diversamente - può .trovarsi accanto, irt due paragrafi successivi, a11aespressione < Stato democratico >, e le parole < regime di libertà> a breve distanza da quelle < diritto dello Stato >. Persino sulla libertà di stampa e di associa~ione si evita prudentemente di essere troppo espliciti limitandosi a includere tra le integrazioni (?) costituzionali ulteriori quella Biblioteca Gino Bianco

SEMPRE DEL PROGRAMMA 145 < per un regime legale completo dei diritti di stampa e di associazione che debbono essere sottratte alle misure arbitrarie di polizia>. L'on. di Cesarò non poteva dimenticare, a questo punto, di aver collaborato al primo progetto mussoliniano per· la li1nitazione dei diritti della stampa! Gli unitari hanno evitato di pronunciarsi su troppe cose. La semplice elencazione delle riforme, riformine e riformette che per essere infinita costituiva la speciale caratteristica dei programmi minimi socialisti deve essere sembrata, una volta tanto, superflua o compromettente. Voglio ammettere che sia solo sembrata superflua. La chiarezza avrebbe dovuto guadagnarvi. Mi sembra, invece, che le idee politiche dei socialisti unitari siano uscite fuori dal Convegno più nebulose che mai. Lo < Stato forte> di Treves e l'affermazione contenuta nella relazione del1' on. Basso che < tutto è lecito entro le leggi, nulla al di fuori ; e qualunque atto ne esorbiti, deve essere inesorabilmente represso >, sono due concessioni belle e buone allo spirito politico del fascismq. Perchè non lo fossero, i socialisti unitari avrebbero dovuto precisare prima il loro pensiero sull'ordinamento dello Stato, affrontando e risolvendo per se e per il pubblico quei problemi costituzionali che da venti anni a questa parte hanno volutamente ignorato o considerato privi di ogni importanza. L'on. Turati a un certo punto lasciò andare questa frase: < siamo sempre stati socialisti e democratici, oserei dire democratici perchè socialisti e socialisti perchè democratici, fino all'estrema conseguenza>. Parole, che il Congresso ha entusiasticamente plaudito. Ma al concreto, se andate a leggere la mozione che - secondo ha detto lo stesso Turati - · fissa i punti basilari della politica del partito unitario, che cosa trovate ? Che il partito riafferma < la sua affigliazione all' Internazionale socialista di cui condivide intieramente i metodi insie1ne classisti e democratici per la trasformazione socialista graduale degli stati>. < Questi metodi - spiega poi la mozione - rispettano il principio delle maggioranze, ripudiano la violenza di tutte le minoranze ; ma ciò nella stretta condizione· della garanzia di un'eguale libertà politica per tutti i cittadini >. Si tratta di affermazioni molto vaghe, che lasciano le cose al punto in cui sono. Intanto bisognerebbe sapere che cosa si vuole intendere colle parole << principio delle maggioranze >. Che le maggioranze hanno il diritto di fare quello che vogliono ? E in che limiti ? E come verrebbero stabilite le maggioranze ? In modo relativo o in modo assoluto ? I governi del passato - antefascismo - debbono considerarsi governi di maggioranza? Governo di maggioranza significa così poco, che il fascismo può assegnarsi la rappresentanza della maggioranza e appellarsi persino al responso del suffragio universale. E ripudiare la violenza di tutte le minoranze cosa vuol dire ? Che le minoranze debbono solo obbedire ? S\, sembra ·che gli unitari rispondano : ma < nella stretta condizione della garanzia di eguale libertà politica di tutti i cittadini >. E siamo da capo : in che debba consistere la eguale libertà politica e in che modo poi ibliote.ca Gino Bianco t

146 LA CRITICA POLITICA questa debba essere garantita. E cioè : forme dell'esercizio dei diritti politici e limiti dell'azione e della funzione governativa. Finchè tale questione concreta non sia stata affrontata e risolta le affermazioni di libertà e per la libertà, se pure fanno negli ordini del giorno bella mostra di sè, restano solo parole. . Oggi è la impostazione del problema di libertà che conta. Chi vuol camminare deve pure partire da un punto. Di fronte al fatto nuovo del ~ fascismo v'è una impostazione conservatrice del problema che è data da Giolitti, Orlando, Salandra (l'opposizione nell'aula); vi deve essere una impostazione democratica. In linea di fatto - è una osservazione che trovo nel giornale La Stampa (5 c. m.) e che faccio mia estendendola nel signiticato e nella portata ai socialisti militari, oltre che alla democraziasociale e all'Unione Nazionale di Amendola che tuttavia ha tempo a definirsi nel suo Congresso, tra qualche giorno ·_ < nè la impostazione conservatrice, nè quella democratica è stata assunta come propria e fondamentale da nessuno dei partiti sopramenzionati che si può dire oscillino - anche se in diversa misura - dall'una e dall'altra>. É ora che si decidano. OLIVIERO ZUCCARINI DOMANDE CHE NON EBBERO RISPOSTA Ecco le domande che dieci mesi fa rivolgemmo ad alcuni autorevoli uomini delle opposizioni e che, nostante le sollecitazioni, non ebbero risposta : 1) Quali relazioni voi vedete tra il fenomeno politico del Fascismo e la estensione che l'intervento dello Stato nella vita economicae sociale è venuto prendendo negli ultimi anni e specialmentedopo la guerra? 2) Credete che l'intervenzionismo e l'accentramentostatale abbiano contribuito - e come e quanto - allo svilupparsi di tendenzea conquistarelo Stato e a governarlo dittatorialmente? 3) Posto che tali tendenze debbano esserecombattute, credetepossibile eliminare il pericolodel loroprevaleresenza una limitazione fortemente restrittiva dei compiti e delle funzioni dello Stato ? 4) Lo Statuto del regno si è dimostrato una garanzia sufficiente contro ogni manomissionedella libertà e dei diritti dei cittad_inie può nel ritorno ad esso considerarsiesaurito il compito delle opposizioni al fascismo? 5) Il Fascismo non ha, insomma, posto al primo ordine il problema dell'ordinamentodello Stato ? 6) E in qual senso tale pro~lema si pone secondovoi e in quali forme (accentrate o decentrateo federali,· autoritarie ,o democratiche)credete P.Ossatrovare una soluzionepossibile, destinatacioè a durare e a riportare nella società politica l'equilibrio ora così profondamente turbato? 7) In linea.subordinata, e in qu'antopossa sembrarvi in relazionealle domande di cui sopra, si gradirebbe conoscereil vostro pensiero sulla esistenza o meno di un problema politico delle classi rurali in Italia. Chi vuole è sempre in tempo a rispondere. BibliotecaGino Bianco

. Oggi: non domani La stampa più fedele alle direttive dell'Aventino insiste nella sua tesi pregiudiziale : secondo essa oggi importa sopratutto far cadere il governo fascista e sostituirgliene uno che assicuri un regime di giustizia, in cui tutti i cittadini sieno eguali di fronte alla legge e trovino in essa soltanto il loro limite. Giuridicamente la tesi è impeccabile : il principio che informa tutta la legislazione moderna è proprio questo. Anche dal punto di vista sentimentale la tesi è buona, perchè l'aspetto più urtante del1'odierna situazione è costituito proprio dalla posizione di privilegio che il fascismo si assegna, identificando se stesso con l'animo della nazione e considerandosi il depositario inviolabile della tradizione e dell'avvenire italiano. Ma gli argomenti giuridici e le ragioni sentimentali (quando queste non si arroventino fino a divenire passione e fede) hanno scarsa efficacia nel campo politico, e la tesi pregiudiziale dell'Aventino deve valutarsi alla stregua della sua efficienza pratica. Il problema che gli studiosi delle questioni politiche devono porsi è di vedere se l'Aventino può raggiungere i suoi obiettivi battendosi su quella tesi. L'esperienza fatta dal 3 gennaio in poi è tale da provare in modo esauriente che la pregiudiziale non serve a raggiungere nessun obiettivo. Sino alla fine di dicembre sembrava che quella tesi servisse: l'atteggiamento dell'Aventino esercitò la sua influenza sul voto dei combattenti riuniti ad Assisi e su quello dei liberali convocatisi a Livorno ; dette un risalto e un significato al distacco di Giolitti, di Orlando e di Salandra dalla maggioranza. Ma esaurì co~ queste manifestazioni, dimostratesi in - concfudenti, ogni sua efficacia. I deputati combattenti dovevano la loro elezione e la loro influenza al fatto di essersi accodati al fascismo : all' infuori dell'on. Rossini e di un altro paio al massimo non sarebbero mai giunti a Montecitorio senza l'inclusione nella lista di maggioranza: non avevano quindi una forza propria, e la loro voce si è dispersa senza echi. D'altra parte quella stessa debolezza morale, che li aveva portati a mettersi ai margini del fascismo, Ii fa stare ai margini dell'opposizione, impedendo ai diversi Savelli di dire una parola cruda e recisa, che dia loro, una sagoma politica .. Molti dei liberali si trovano suppergiù nella stessa posizione : 1:on. Orlando è un tipico rappresentante di questi innocui abitanti del Limbo liberale, che sente così viva la nostalgia di S. E. De Nicola. Combattenti e liberali, distaccandosi dalla maggioranza parlamentare, non inBiblioteca· Gino Bianco

148 LA CRITICA POLITICA debolirono il partito dominante, che la sua forza l'ha fuori di Montecitorio, e non recarono all'Aventino l'apporto di energie efficienti: gli dettero solo un appoggio morale. L'Aventino sperava ben altro ; quando Salandra si decise a passare all'opposizione, si illuse che questa sua speranza fosse per realizzarsi, vedendo nella mossa di Salandra l'auspicio di un pronunciamento ben più autorevole. La illusione durò pochi giorni, e la delusione riusc) a1nara. Purtroppo fu anche infruttuosa : l'Aventino continuò ad illudersi, sino a credere che bastasse una malattia di _pochi giorni a determinare il cambiamento della situazione o che il Senato, respingendo il progetto del nuovo ordinamento dell'Esercito, aprisse la crisi tanto attesa. Per un momento anche l'agitazione metallurgica fece sussultare gli animi degli Aventinisti: vi fu chi intravide la possibilità di un conflitto fra corporazioni e partito, vi fu chi sperò che la scesa in campo delle maestranze fedeli alla Fiom segnasse l' inizio di un risveglio proletario combattivo e audace, che servisse a spostare i termini del dibattito : ma anche questa speranza svan), quando l' intervento della Fiom si risolse in un semplice spiegamento di forze, a scopo di manovra, anzicchè in una battaglia. Di fronte a queste risorgenti illusioni e alle dolorose delusioni, solo degli ottimisti incorreggibili come il Dottor Pangloss possono credere alla bontà della impostazione tattica, che l'Aventino ha dato e dà alla sua battaglia: la necessità di una revisione si impone in modo evidente. Questa revisione non può farsi sul terreno parlamentare: il problema non è affatto quello di scendere o di non scendere nell'aula, e non è neppure quello di partecipare o meno alle future elezioni: il problema vero è di abbandonare decisamente la formula chiusa .della pregiudiziale, e di affrontare coraggiosamente, senza mezzi termini, la questione del programma delle opposizioni. Gli Aventinisti per mantenersi uniti e concordi contro il partito fascista si limitano a dichiararsi antifascisti. È troppo poco : essi debbono mettersi in contatto con l'anima del paese, e dire che cosa farebbero se il potere passasse nelle loro mani. Solo cos) i gruppi delle opposizioni riprenderebbero contatto con il Paese e susciterebbero intorno a se consensi e dissensi fecondi. La formula negativa, in cui le opposizioni parlamentari si sono racchiuse, è sterile e impotente : assicura l' unità apparente dell'Aventino, ma impedisce che interessi concreti vedano nei gruppi politici dell' Aventino la loro rappresentanza genuina e solidarizzino effettivamente con esso. L'orrore che gli Aventinisti hanno per un programma Ii paralizza; Ii trasforma in fachiri, che contemplano il proprio ombelico ; li isola dalle correnti prof onde della vita. nazionale. Essi rimandano a domani la discussione su queste linee programmatiche : ma la Nazione per affidarsi ad essi vuol sapere prima ciò che si propongono di fare. Gli italiani ricordano che i partiti di sinistra dal 1919 Bibliotecà Gino Bianco

OGGI : NON DOMANI 149 al 1922 non hanno saputo darsi nè un capo nè un'idea direttrice : gli italiani ricordano che i parlamentari dei partiti aventinisti si sono baloccati durante tre anni in accademie interminabili, che quelli saliti al potere non seppero imprimere un indirizzo qualsiasi all'azione statale sino a fare apparire lo Stato come nave senza nocchiero, e che gli altri non seppero compiere il gesto audace di afferrare il potere per dare allo Stato un loro indirizzo. Gli italiani, un po' più vecchi dei giovanissimi, ricordano ancora gli insuccessi dei blocchi popolari che dal 191Oal 1914 .conquistarono i maggiori Comuni senza realizzare un gran che, minati da interni contrastj, e ricordano anche che dopo il 1900 l'estrema sinistra vittoriosa su Pelloux si scisse senza costrutto e portò al timone della cosa pubblica i clerico-giolittiani. Questi ricordi impediscono agli italiani di aver fiducia in una coalizione, che si è formata su una base puramente negativa e che non sa tracciare le linee direttive di un'azione di governo. II momento che noi attraversiamo è delicato : la pressione fiscale è giunta a un grado elevatissimo: la lira non h~ conquistato quella stabilità che è indispensabile per un assetto equilibrato dell'economia pubblica e privata : il costo della vita ha oscillazioni preoccupanti: in queste condizioni non sono possibili salti nel buio e cieche fiducie. Non si può attendere la vittoria per vedere poi quello che si dovrà fare, col rischio che i vincitori non si trovino d'accordo e passino a una lotta intestina. Bisogna parlar chiaro, e affrontare i problemi concreti. Può essere - anzi sarà certamente - che l'Aventino si scinda in due gruppi : da un lato i liberali, i democratici, i popolari, forse gli unitarii : dall'altro i repubblicani e i massimalisti. Questa scissione su una question~ d'indirizzo sarà sempre meno dannosa di una unione equivoca, fondata su una fortnula negativa. Rinviare a domani le discussioni sulle linee programmatiche è un assurdo : non è possibile una battaglia efficace se non si ha in vista un obiettivo preciso : non è possibile la vittoria, se non si conosce lo scopo della battaglia. II programma deve essere formulato oggi, nelle sue direttive· fondamentali : senza questo non si può sperare nella vittoria, per la semplice ragione che non si può ingaggiare la battaglia. Gli aventinisti, sino a che continueranno a ripetere la loro formula negativa, saranno dei generali o dei caporali senza soldati ; per avere soldati bisogna che passino il Rubicone, e bisogna si convincano che la lotta vera contro il fascismo sarà aspra e difficile, da vincere prima di tutto contro se stessi liberandosi da molte scorie, a cominciare da quella della partigianeria, retaggio di un·a mentalità faziosa, che rovinò i comuni italiani spianando la via alle magnifiche Signorìe. L'attesa del miracolo è quello che più danneggia l'Aventino, impedendogli di darsi a un'azione concreta: fino a che l'Aventino aspetterà che il fascismo cada per interni dissensi o per un evento ester~ore saremo nel periodo delle schermaglie, non in quello della lotta : sino ad allora si continuerà a perdere del tempo, senza costrutto. Biblioteca Gino Bianco . .

150 LA CRITICA POLITICA La vittoria sul fascismo si avrà veramente solo quando si sarà data una più alta educazione politica a larghi gruppi di it~liani : la elaborazione delle linee programmatiche, cui noi invitiamo gli aventinisti, non sarà ultimo mezzo per questa educazione politica, che ci metta al sicuro da nuovi arrivisti e da nuovi profittatori, abili nel servirsi della retorica come di un trampolino per la loro ascesa : e anche per qu~sto ci appare rispondente a una necessità profonda l'affrontare questo problema fondamentale fin da oggi, senza rinviare tutto a un mitico domani. · Questo rinvio, secondo noi, pregiudica le sorti di una battaglia, che non può essere fatta solo in nome di aspirazioni teoriche ma deve avere un suo contenuto di interessi concreti, e ostacola quel processo di educazione politica, che è tanto necessario per elevare il tenore della vita italiana: ad esso i giovani debbono opporsi recisamente, e, se i capi del1' Aventino insistono nel loro atteggiamento, dimostratosi inconcludente, bisogna porli da parte, affidando la direzione della difficile lotta a uomini, che abbiano una mentalità più lucida e più aperta e che siano capaci di guardare alla realtà della vita sociale italiana senza gli occhiali affumicati di Montecitorio. L'esigenza imperiosa dell'ora che volge è questa: avere idee chiare, proporsi un obiettivo concreto. Su quali forze si vuol far conto per passare da un regime dittatoriale a un regime liberale che trasmodi in licenza, che· non permetta sanguinose vendette, che non comprometta il ritmo produttivo ? Con quale idea direttrice, e con quali interessi si vuol governare domani? Quali classi e quali ceti debbono avere la direzione della cosa pubblica? A queste domande l'Aventino non vuol rispondere, e questo silenzio lo uccide, facendolo apparire come un troncone rimasto privo della linfa rivificatrice ; risponda e riacquisterà una funzione efficiente nella vita italiana : potrà vincere o perdere; 1na sarà vivo. GIULIO PIERANGELI LA LETTERA E LO SPIRITO DELLO STATUTO Lo Statuto, è vero, riconosce alcuni diritti ai cittadini: quello di parlare, d pensare, di riunirsi, di discutere e di scrivere liberamente. Nessuno pensa di disconoscere o di discutere queste libertà e tanto meno il Presidente del Consiglio : solo egl isi serve della facolt'à che gli accorda lo Statuto, di limitare a volta a volta queste libertà per motivi di ordine pubblico : ed è quello che ha fatto fino ad oggi. Vi è anche il Parlamento. . Ma che cosa è il Parlamento per lo Statuto se non una concessione del po tere regio ? Per esso il re chiama il popolo a collaborare col potere esecutivo nella formazione delle leggi, ma se questa collaborazione oltrepassa i limiti e tende ad esercitare una funzione autonoma, questa tendenza bisogna reprimerla .. In questo fascismo e liberalismo sono d'accordo PAOLO ALBATRELLI Biblioteca Gino Bianco

.. Lo spauracchio bolscevico La situazione attuale è ancora dominata e consolidata dall' incubo del biennio famoso : 1919-1920. Utilizzando quel ricordo il fascismo affaccia, non senza efficacia, lo spettro comunista, per tener strette a sè le classi borghesi e medie borghesi. Allo stesso scope anche alcuni elementi dell'opposizione espongono gli" stessi motivi. Il Mondo, guidato da un sicuro istinto liberale, afferma quotidianamente che, se quei due anni sono due anni comunisti, di pericolo comunista non v'è traccia sull'orizzonte dell'avvenire. L'on. di Cesarò in un coraggioso articolo propone senz'altro che la democrazia faccia ammenda dei peccati c_ommessi in quel tempo e, riconosciuto l'errore, prometta di non ricadervi mai più. Ai socialisti unitarii, che si trovano oggi in una posizione impeccabile, la logica riformista suggerisce la aperta sconfessione dell'atteggiamento allora tenuto dalla classe operaia. Tutto ciò è perfetto. Si potrebbe forse osservare che, rinnegando in toto il < bolscevismo >, si rinnega il primò sforzo fatto dai lavoratori italiani per sollevarsi ad una loro propria politica autonoma, ciò che storicamente fu per avere (e avrà anche in futuro) una influenza incalcolabile. Ma concediamo pure : i vinti sono vinti; e tutto ciò è perfetto. Si vuole aggiungere ancora, a ulteriore giustificazione di tante palinodie, che effettivamente il <bolscevismo> per un lato peccò ? e fu quando, invece di costituirsi volontariamente quale nuovo depositario dei valori nazionali, coincidenti con quelli del lavoro, li repudiò in blocco tutti quanti ? Si dia, e si conceda, anche questo. Però, subito dopo, è necessario fare un rilievo, che ha, viceversa un valore pregiudiziale : ossia che, deprecabile o non deprecabile che sia questo biennio· famoso, la sua ripetizione ne è ormai assolutamente e radicalmente impossibile : diciamo, impossibile. Di questa affermazione non possono dubitare che coloro, i,,quali ritengono che tutta la nostra crisi dell' itnmediato dopo guerra non sia stata che un prolungarsi dell'originario contrasto fra interventisti e neutralisti. È evidente che ai ceti conservatori fa comodo presentare il problema in tali termini : perchè l'opposizione fra interventisti e anti interventisti diventa poi quella fra nazionali e antinazionali, e, dacchè vi è storia moderna e lotta di partiti e di ceti, i gruppi conservatori si sono, sempre, identificati con la < nazione >. Ma è anche evidente che in quei termini il problema è semplicemente assurdo. Non si dice già che, nel gran cozzare· di interessi e di volontà disparate che occuparono di sè i iblioteca •Gino Bianco

152 LA CRITICA POLITICA due anni dopo l'armistizio, non vi fosse anche l'eco di quelle dispute, che alla loro volta poi erano larvate contese di classi. Però è certo che il rnotivo preponderante e decisivo non fu lì. La guerra come eccitatrice, deformatrice, e, anche, elevatrice degli spiriti non basta affatto a render conto della rissa, sanguinosa o no, scatenatasi fra noi ; e, per capirne qualcosa, bisogna mettere questa rissa in rapporto e in dipendenza con le condizioni dall' econo1nia. Se dal conflitto non fossimo usciti, come uscimmo, stremati, nulla sarebbe accaduto di ciò che è accaduto ; e· viceversa, non è temerario dire che, se una calamità naturale ci avesse sciaguratamente posto nelle stesse condizioni materiali, le conseguenze politiche ne sarebbero state proprio quelle che abbiamo avuto. Questo è il punto sostanziale. E con ciò si è anche evidentemente detto che, minacciare per gli anni prossimi un ritorno comunista come fanno i fascisti, è dire una cosa senza senso comune; o che, per lo meno, è verosimile e scusata soltanto nei limiti in ,cui possono ripristinarsi delle congiunture economiche somiglianti a quelle in questione. * * * Il 19-20 fu politicamente caratterizzato da tre ·movimenti. Il più clamoroso ma, in sostanza, il più debole, fu quello della classe lavoratrice lottante per mantenere, nonostante l'enorme incremento dato dalla smobilitazione alla popolazione lavorativa, il proprio tenore di salario e di esistenza. Accanto si pronunciava, ancora contraddittoria ma via via più precisa, l'agitazione delle classi medie : colpite nei proprii risparmi, nei proprii redditi fissi dal precipitare dei fondi di Stato e della moneta ; e colpite anch'esse nel mercato del proprio lavoro, dalla pletora dei sopraggiunti reduci disoccupati. Infine la vera e propr:ia borghesia. Quella industriale fu sorpresa nel trapasso dalle forme del capitalismo di Stato, adottate durante la guerra, alle forme della libera economia; quella agraria era itl)paziente, viceversa, di emanciparsi dal vincolismo di Stato, che si risolveva in un cospicuo cespite di rendite per i consumatori; entrambe risolute, in contrasto con tutte le altre classi a conservare ed aumentare i propri redditi. Il biennio famoso fu un esperimento tipico degli antagonismi sociali nella ripartizione del reddito nazionale. Tali antagonismi, più o meno rilevati, esistono sempre : essi sono anzi la struttura stessa di ogni società storica differenziata. Però essi si appianano o si contengono in forma di lotta economica quando la ricchezza si produce e circola largamente, e, viceversa, travalicano nelle forme della lotta politica (che è poi l'indiretta violenza della legge) o anche della lotta violenta diretta, quando i comuni margini di disponibilità si assottigliano , e quasi scompaiono. È appunto .il caso nostro. Tanto il massimalismo quanto il riformismo, erroneamente ritenuti diversi e anche avversi fra loro, non furono altro che il prodotto unico e immediato dello stato di Biblioteca Gino . ranco

LO SPAURACCHIO BOLSCEVICO 153 indigenza in cui l' intera società italiana era caduta. Tutti due tentavano di operare con la forza della strada o della legge una novella distribuzione del reddito imperseguibile per le vie pacifiche dell'economia; essi caddero non per i loro <eccessi>, ma per la loro timidezza; e, anzi, solo l'eccesso sistematico sarebbe valso (momentaneamente, però; e cioè inutilmente) ad avocare a vantaggio delle classi lavoratrici le magre risorse dell'economia italiana. Se ci si raffigura, come in realtà accadde, la produzione agricola come relativamente immodificabile, è evidente che i coefficienti principali di variazione nella depressione o nello slancio dell'economia non possono essere dati che dalle vicende della produzione industriale. È qui, infatti, che, nel dopoguerra, si verifica subito l' imponente collasso : collasso, si intende, non già e soltanto dei profitti capitalistici, ma della produzione tecnica stessa, come ammontare di cose e di beni materiali. La trasformazione dell'attrezzatura per la fabbricazione di guerra in quella per la fabbricazione di pace, la chiusura dei vecchi sbocchi e la ostruzione dei nuovi, la mancanza di capitali sottratti dai crediti statali, dal fisco e dall'esportazione ecc. ecc., furono tutti coefficienti obiettivi, praticamente immodificabili e preesistenti allo sprigionarsi stesso della lotta politica, che paralizzarono l'attività produttiva del paese. Il 19-20 fu un periodo di irreparabile depressione economica, intesa e valutata nel più rigoroso e scientifico senso della parola. Fissa restando la costituzione economica attuale, che ha dei limiti di elasticità esattamente dati, conviene riconoscere che l'economia italiana non aveva allora nessun margine, o dei margini esilissimi, per sopportare tutte quelle spese di benessere pubblico, di civiltà, di minimum di esistenza della classe operaia ecc. ecc., in cui consiste, a conti fatti, il riformismo sociale in tutte le sue forme. La socialdemocrazia era, obiettivamente, irrealizzabile. A una ulteriore erosione del reddito capitalistico, lasciando intatto il debito consolidato e le funzioni statali primordiali, non si poteva venire ; le soluzioni conciliative (ossia: la pace sociale) erano pertanto fuori di ogni possibilità. Onde si può afferma·re che non era del tutto nel falso la < reazione borghese > quando, dal suo punto di vista di classe (che può coincidere e può anche non coincidere con quello dell'· interesse generale), riteneva che, dalle strette in cui l'economia era posta non si potesse uscire che col sacrificio violento: ossia con la mutazione delle posizioni economiche iniziali di qualcuna o di alcune delle parti concorrenti al reddito totale. * * * Oramai il sacrificio è stato consumato. Arrestando l'aumento dei salari, seguendo l'aumento dei prezzi di vendita, provocando e utilizzando su larghissima scala la svalutazione della moneta, l'economia del paese, Biblioteca•Gino Bianco

154 LA CRITICA POLITICA ~ome somma di prodotti reali, sta risorgendo. Lo Stato che, come ge- -store di produzioni o come strumento di opere improduttive, è oggi il suo più temibile concorrente, la ha protetta e incoraggiata sotto tutti gli aspetti. È cessata l'emulazione tra l'uno e l'altro per l'accaparramento ..d.ei capitali disponibili sul mercato: Io Stato .non ricorre più che in misura molto scarsa a nuovi prestiti ; e, viceversa, i nuovi investimenti in società industriali (che non sono che una parte del tutto, e· sia pur cospicua) si sommano oramai a. molti miliardi. Il fisco si è 1nozzato le .unghie: l'anonima pare inviolabile. Dopo i notissimi provvedimenti per l'abrogazione della no1ninatività dei_ titoli e dell'imposta speciale sui redditi degli amministratori, direttori generali, ecc. ecc., siamo ora a una & altra grossa misura estremamente favorevole : l' immunità tributaria degli utili passati a riserva. Frattanto la lira che si svaluta - e v'è dubbio, -ormai, che questo sia una meditata politica di governo, di perfetto sapore capitalistico ? - funziona come un grande permanente premio di esportazione pagato, a favore degli industriali, dai salariari e dai consumatori tutti insieme. Il sacrificio imposto a quelli e a questi, che messi assieme fanno poi, semplicemente, il paese, è stata l'arra versata affinchè, senza uscire dal terreno dell'impresa privata e del profitto, fosse possibile che l'economia industriale - la nostra economia industriale: con i suoi ammortamenti e non con altri, con la sua capacità (o incapacità) e non con altra - si rialzasse. Oggi il fatto è compiuto. La marcia dei ricchi sulla ricchezza si è avverata. E si sono cos} ricostituite delle zone notevolmente larghe di disponibilità di reddito, su cui possono avvenire altre ripartizioni, diverse da quella, strettamente capitalizzatrice e conservatrice, che è stata seguita fin qui. Il fatto, in sè e per sè, è inoppugnabile. Proprio in questi giorni vengono pubblicate per esteso le relazioni sull'andamento delle società industriali: è tutto un inno al crescente sviluppo della produzione: banche e industrie celebrano di perfetto accordo, e ciò è ben sintomatico, i proprii' comuni fasti. Il lavoro procede in pieno. Esso serve il mercato interno, i cui bisogni sono, sia pure, limitati dall'abbassato tenore di vita delle grandi masse, operaie e piccolo-borghesi; e serve anche, in misura sempre maggiore e sopratutto per alcuni rami d' industria (i tessili, i meccanici ecc.) i mercati forestieri. Qui è anzi un punto importante di questo trapasso industriale. Nei limiti in cui le condizioni di vantaggio d'un gruppo di industrie possono stabilizzarsi, conviene riconoscere che alcuni rami della nostra produzione poggiando sulla esiguità dei salarii, hanno conquistato una ottim_a posizione : nel senso che sono ormai i consumatori esteri e non già i consumatori italiani, che contribuiscono ad alcuni aspetti della nostra crescente capitalizzazione. Dal punto di vista nazionale, e nella attuale congiuntura, vi è cosl un guadagno netto. Giunta a que·sto limite la produzione interna ha toccato il proprio maximum : essa era partita, cinque sei anni fa, con costi di produzione Biblioteca Gino Bianco

LO SPAURACCHIO BOLSCEVICO 155 (sopratutto di mano d'opera) elevati e prezzi di vendita bassi; oggi invece si trova con costi di mano d'opera bassi e, viceversa, con prezzi di vendita fissati su mercati· a moneta pregiata, e, cioè, molto elevati. La situazione si è capovolta, e siamo perciò, economicamente, al punto della revulsione. Il primo segno, tangibile, di essa potrebbe trovarsi nella compressione evidente che, proprio in questo ultimo mese, lo Stato ha intrapreso, attraverso la maschera della speculazione di borsa, contro l' in- . . sieme dell'economia industriale. Pare che esso avverta che l'interesse pubblico (o < nazionale >) non coincida più interamente con il successo della produzione, conquistata sulla miseria di chi lavora e di chi consuma. D'altro canto esso sa bene che l'economia privata è ormai pingue; i primi scioperi fascisti sono l'avvisaglia pratica di questo giudizio; e-, a buon conto, la immunità tributaria delle riserve (deliberata in coincidenza . con lo sciopero metallurgico) denuncia e nello stesso tempo rende di-- · sponibili i redditi accumulati. * * * I L'accordo (economico: cioè contingente) intervenuto fra Corporazioni e Confederazione del Lavoro in occasione appunto dello sciopero metallurgico, e il crescente processo di unità sindacale che si avvera, sono ·1atti altamente sintomatici. Essi indicano che il ritrasferimento di larghi margini di ricchezza accumulata dal possesso delle minoranze capitalistiche alle grandi masse dei lavoratori e con_sumatori, non è più molto lontano; e che quindi, sotto questo aspetto, si avvicina l'ora della socialdemocrazia. Nei suoi termini reali, ossia come movimento che agisce nell'equilibrio economico, questa non consiste in altro che in una distribuzione e redistribuzionè del reddito nazionale, operate a favore delle classi più nu1nerose e più povere ; e, in questo senso, essa appare, ineluttabilmente, ogni qualvolta si sono forma te (ed è appunto la politica conservatrice che le forma) delle sufficienti riserve di capitalizzazione. La socialdemocrazia è la figlia naturale_ della ricchezza. È ben possibile, s\, che l'accumulazione venga meditatamente dispersa in spese di lusso collettiyo : guerre, imprese coloniali, grandi prestiti all'estero ecc. ecc.; ma comunque, anche in questa ipotesi (che però non è affatto la nostra: la nostra borghesia è nella fase, pacifica e utilitaria, dell' enrichissez-vous) il solido terreno per una azione di democrazia risulta chiaramente predisposto. La politica di domani andrà ad occuparlo. Vedremo, nella azione locale e in quella generale, affacciarsi, sotto le forme più diverse, le richieste di più alte remunerazioni per i lavoratori, di più bassi prezzi per i consumatori, e di più tenui imposte per i.contribuenti minori. E le richieste saranno, genericamente, esaudite : lo saranno perchè è ormai possibile e, in un certo senso, anche facile (per un certo tempo) esaudirle ; e, anche, perchè il soddisfarle vuol dire costituire un argine alla deviazione della lotta verso forme più acute e più sterili nello stesso tempo. Biblioteca ·Gino Bianco

156 LA CRITICA POLITICA Ma, in tali condizioni, è assurdo parlare di < pericolo bolscevico >. fra socialdemocrazia e comunismo vi è, in realtà, una antitesi insuperate di concezioni, e, ciò che più conta, di reale radicazione nei fatti: in tal modo che, se la prossima congiuntura economica è propizia aglt esperimenti democratici, per C!Ò solo, essa è avversa a ogni tentativo comunista. Questo poteva avere una logica, quando, data una miserrima economia generale, il problema non era quello di meglio ripartire i redditi, ma quello di appropriarseli; e, sotto questo aspetto, il massimalismo è stato la sola forma di democrazia reale allora concepibile. Ma oggi non ne avrebbe più nessuna; sarebbe (e sarà) un fuor d!opera politico. fatto, o per tener desta la vendicatrice collera del passato, o per segnare una tappa sulle vie lontane dell' evversione. Il comunismo di domani è destinato a fallire. È fallita, almeno in gran parte la socialdemocrazia tedesca, che colse la Germania in uno stato di strematezza assoluta, prima , che si iniziasse la ripresa economica ; ma qu~sta ora procede a passi · giganteschi, ed è il domani che ci mostrerà i successi sostanziosi e stabili dei rinnovati esperimenti sociali democratici. Dubbie invece appaiono le sorti destinate al radico-socialismo francese: il quale ha ereditato un paese dissestato da cinque anni di guerra combattuta e da altri cinque anni di guerra allo stato potenziale; e che succede a un governo conservatore di tipo distruttivo e non, come ha voluto essere il fascismo, di tipo classista ma costruttivo. Ma, appunto per le stesse identiche ragioni, che debbono essere solo capovolte, non è dubbio che la fase comunista è da considerarsi in Italia tramontata per un tempo incalcolabile: e che il < pericolo bolscevico > non è, realmente, che uno spauracchio, dietro cui non si cela che la paura conservatrice delle solide e certe realizza- .zioni della democrazia. N. MASSIMO FOVEL LA BUROCRAZIA ANTIFASCISTA f L'antifascismo della burocrazia in fondo è una balla: non è mai esistito. La burocrazia è con tutti i governi e i burocrati per salire non hanno mai badato agli uomini di governo sui quali poggiare : c'è chi è salito con Giolitti, chi con Nitti, chi con Salandra e chi con Mussolini e i più abili hanno saputo giovarsi di tutti. E continueranno a giovarsene. I governi passano (passerà anche quello di Mussolini) ; la burocrazia resta. Il problema burocratico, insomma, non è di uomini," è di ordinamenti. Finchè lo Stato vorrà far tutto lui - essere lo Stato forte e lo Stato tutto - e gli offici saranno molti e moltissimi gl' impiegati e complicato il meccanismo, la burocrazia continuerà a dominare, incontrollata e incontrollabile dai governi, dai Parlamenti e dai Partiti, quello fascista compreso. Il fascismo s'illude se crede di poterne limitare o controllare i poteri, quando poi effettivamente la sua ~ azione politica economica- e sociale nello Stato e quella che si propone nell'avvenire è volta ad accrescerne la potenza e la indip'endenza. . Nessun governo ha cosi giovato allo sviluppo e al predominio della burocrazia come quello fascista. Biblioteca Gino Bianco

Il commercio estero dell' Italia ed il Protezionismo È uscita testè per cura della Direzione Generale delle Dogane e Imposte indirette presso Il Ministero delle Finanze la Statistica del commercio speciale di importazione e di esportazione dell' Italia per l'anno 1924, che si riassume in questi risultati totali comparativi con quelli dei due anni precedenti 1923 e 1922 (1) : 1924 1923 1922 Importazioni Esportazioni Milioni di lire 19.412 17.217 15.807 14.320 11.089 9.307 Senza alcun dubbio, queste cifre fanno prova di un progressivo confortante incremento dei traffici internazionali dell' Italia. Ma esse conf ermano nello stesso tempo la vecchia verità economica indarno negata dai protezionisti di tutte le scuole e di tutte le cricche che < i prodotti si scambiano coi prodotti >, e che, quindi, le importazioni e le esportazioni non sono che i due aspetti di uno stesso fenomeno, dato che per vendere bisogna comperare, e viceversa. Di fronte a queste constatazioni, perde qualsiasi valore il fatto meramente illusorio, del quale i protezionisti potrebbero rallegrar~i, che il cosidetto < sbilancio commerciale > dell' Italia, la eccedenza cioè delle importazioni sulle esportazioni registrate nella statistica del commercio internazionale, si palesa diminuito nel 1924 a 5.092 milioni di lire, contro 6.128 milioni nel 1923, e 6.500 nel 1922. . È certissimo che nel 1924, al pari che negli anni precedenti, l' Italia, per causa del suo commercio internazionale, non si è indebitata verso gli stranieri nè di 5, nè di 6 miliardi di lire all'anno (2). Soltanto, ed in (1) I confronti cogli anni anteriori tornano vani, perchè alla metà dell'anno 1921 fu sostanzialmente mutato il sistema degli accertamenti dei valori delle merci importate ed esportate, che ora ·hanno per base le dichiarazioni dirette debitamente controllate degli importatori ed esP.ortatori, mentre in passato si facevano globalmente a fine di ogni anno da una speciale Commissione per i valori doganali. (2) Nel triennio 1911-1913, che si pub ricordare oggi con vero rimpianto per le condizioni economiche del nostro, e degli altri paesi, lo <sbilancio> del commercio estero dell'Italia fu in media di 1.179 milioni di lire all'anno; ciò che, tenuto conto del mutato valore della moneta legale, corrisponde a più di 5 miliardi e mezzo di lire attuali. Tutti potremmo rallegrarci, se l' Italia potesse oggi svolgere i suoi traffici internazionali nelle condizioni dell'immediato anteguerra, anche coll'appare~te sbilancio che allora mostravano le sue statistiche commerciali. Biblioteca Gino Bianco '

158 LA CRITICA POLITICA quanto l'eccesso apparente delle importazioni non è puramente l'effetto di inevitabili errori nelle rilevazioni statistiche (gli accertamenti delle importazioni essendo molto più facili e rigorosi che non quelli delle esportazioni), esso è pagato con altri proventi, che non sono quelli di cui si tiene conto nelle statistiche commerciali (rimesse degli emigrati, somme spese dagli· stranieri in Italia, noli della marina mercantile, ecc.). D'altra parte, basta gettare uno sguardo un poco attento· sulla composizione del nostro commercio d' importazione per subito comprend~re tutta f assurdità della ridicolissima tesi sostenuta dai moderni fautori del < nazionalismo economico » allo scopo di dare ad intendere ai gonzi che il loro programma è quello che tende a realizzare il < mito > della indipendenza industriale e commerciale dell' Italia. Il grosso delle nostre importazioni è costituito da prodotti alimentari e da materie industriali più o meno elaborate, che noi dobbiamo necessariamente acquistare, e sempre dovremo acqùistare fuori .,,del nostro regime doganale. . Come è stato molte volte dimostrato da altri e da me, le industrie metallurgiche e chimiche italiane, che sono quelle che, mancando _di una vera base naturale nel paese, sono le più interessate ad agire con tutti i mezzi sui Poteri dello Stato per ottenere un regime di protezionismo ad oltranza, dipendono assolutamente esse pure dall'estero per le importazioni delle loro materie prime indispensabili : carbone, rottami e minerali di ferro, soda, potassa, oli minerali, estratti _tannici, ecc. ecc. Così pure, eccettuata l' industria della canapa, che non ha in Italia un'importanza adeguata alla produzione nazionale di cotesta fibra, e quella della seta, la quale trov.a in paese la maggior parte della sua materia prima, importandone tuttavia cospicue quantità dall'estero, le nostre grandi industrie tessili, compresa ora anche quella della seta artificiale, sarebbero condannate ad una morte repentina _ilgiorno in cui non potessero più importare liberamente le loro materie prime : il cotone, la lana, la juta e la cellulosa di legno. Lo st~sso si può dire di numerose altre industrie, ed in modo particolare di quelle della carta, delle pelli, della gomma elastica. Assai interessante ed istruttiva riesce a questo proposito la ripartizione del nostro commercio internazionale nelle 8 Sezioni in cui sono specificate le nostre importazioni ed esportazioni dopo il 1 ° luglio 1921, data di applicazione della nuova Tariffa doganale. Commercio dell'Italia nel 1924. Sezioni della statistica I) Animali, generi alimentari, e tabacchi Il) Semi e frutti, oleosi; oli e grassi animali e vegetali; cere . . . . • . 111)Materie tessili e loro prodotti • . . Biblioteca Gino Bianco Importazioni Esportazioni milioni di lit'e 4.834 954 5.424 3.751 395 6.612

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