La Critica politica - anno V - n. 2 - febbraio 1925

LJ\ CRITICJ\ POLITICJ\ RIVlSTA MENSILE ANNO V. febbraio !925 f ASC. 2. Dei liberali e della libertà Siamo in periodo di confessioni ed è meglio farsele tutte. Fino a qualche tempo addietro ero curioso di sapere quanti fossero i liberali in Italia· ora incomincio a dubitare seriamente di trovare l'uomo liberale. Può ' darsi che esista, tanto pili che a dirsi e forse anche a credersi liberali sono sempre molti in Italia. Ma intanto, per me, l' impresa sta diventando difficile. Pili cerco e meno trovo. E quando credo di averlo trovato, l'uomo mi sfugge. Sarà colpa della mia scarsa capacità d' indagine che il numero degli interpreti ·e delle interpretazioni mette a durissima prova. Lo ammetto anzi, senz'altro. Ma i liberali che ho conosciuto avevano tutti. ... la coda. Precisamente : la coda di reazionari. Non parlo cieli'on. Salandra. Quello la coda ce l' ha sempre avuta e tutti ce lo sanno. E nemmeno dell' on. Giolitti che del suo liberalismo, in oltre vent'anni di governo, ha dato una esperienza pratica che vale molte teorie. Si tratta di due idoli infranti che per la serietà del liberalismo c~nverrebbe riporre nel pili riposto nascondiglio degli oggetti fuori uso. Parlo, invece, dei liberali del tempo nostro, di quelli che, adesso che non ci si può rifiutare di vedere che un problema della libertà esiste, sono in linea a proclamare la loro fede nella libertà. Se le parole bastassero ci si potrebbe accontentare. Il guaio è che questa fede la proclamano tutti. Gli stessi fascisti affermano la loro decisa volontà di difendere una speciale libertà : quella di fare essi ciò che agli altri non è consentito. Nè si può dire che rton ci riescano I E gli altri in fondo sono per la libertà solo perchè non possono fare quel che è lecito fare ai fascisti. Al posto loro non intenderebbero la libertà molto diversamente. In ogni· caso la differenza è di misura, non di sostanza. Il Giornale d' Italia se al potere fossero i suoi amici non avrebbe nulla da obbiettare ; certo non sarebbe all'opposizizone. Forse che questi agirebbero in altro modo? Non lo credo : piuttosto si preoccuperebbero maggiormente della legalità apparente, ed eviterebbero di mettere in discussione troppe cose ad un t~mpo. Ma non è detto che riuscirebbero meglio. Io penso invece che finirebbero coll'ottenere un risul~ato negativo, là dove Mussolini riesce a dare alla sua opera di reazione una andatura rivoluzionaria che, mentre soddisfa le esuberanze e le impazienze dei gregari, tien desto lo spirito del partito e abbassa quello degli avversari. In che cosa, però, Biblioteca Gino Bianco

50 LA CRITICA POLITICA certi liberali, già fiancheggiatori del fascis~o, siano più liberali di Mussolini è ancora da sapersi. E ci vuole una certa dose di.... disinvoltura nei deputati che coli' etichetta liberale si fecero ·arruolare nel Listone, a fare ora gli sdegnati. Sdegnati di che ? Cosa, caro Giovannini che delle antiche nostre battaglie repubblicane (te ne ricordi ?) hai conservato il simbolo e non la fede, ti dispiace oggi nel fascismo che tu fino a ieri non abbia approvato, accettato e appoggiato? In quanto il fascismo è meno .... amico della libertà di quanto non fosse già un ann.o addietro ? Quali responsabilità tu e i.... liberali che ti stanno attorno volete oggi dividere, se tutte le avete assunte in solido fin dagli inizi? · Se poi usciamo dall'aula per salire verso l'Aventino la sostanza del liberalismo non diventa diversa. Le .colorazioni ·sono le più diverse - co- .. lori stinti e colori molto vivaci e prevalenza di questi su quelli. - ma la libertà come cosa da praticare e da applicare, i partiti che lassù si raccolgono la intendono allo stesso modo. Osservateli separatamente nella loro costituzione e nel loro funzionamento e ve ne acc0rgerete. Il liberalismo bisogna riconoscerlo nella pratica. L~ dimostrazioni teoriche non servono proprio a nulla. In teoria è possibile dimostrare l' impossibile e delle parole si può fare_l'uso che si vuole. Il professore Gentil.e può benissimo sostenere che il fascismo è il liberalismo in atto, la vera libertà. Nella pratica, dovendosi badare ai fatti, si è costretti a camminare terra terra e.... le cose si vedono. Io preferisco la pratica alle teorie e fermarmi agli esempi. Che si gridi libertà in tono più o meno alto m'importa pochissimo, mentre molto m' interessa sapere come il termine è inteso. Perchè la libertà è una bellissima ·parola la quale suggerisce sempre sentimenti gradevoli (ed ecco perchè l'usano tutti e tutti si proclamano liberali) ma alla quale ciascuno dà, nell'uso, l'interpretazione che gli fa comodo. Il Pareto, nel suo· Trattato, osserva acuta1nente che il caso seguito al termine libertà è assai comico. < In molti casi esso significa ora precisamente il contrario di ciò che significava cinquant'anni fa>. Restrizione di vincoli ali' individuo· o aumento di vincoli? Cinquant'anni fa il liberalismo era solo inteso nel primo senso, oggi non v' è.... liberale che non lo interpreti nel secondo. Di un liberale si sapeva già di trovarlo pregiudizialmente avverso ad ogni nuova estensione dell'intervento dello Stato. Oggi ogni liberale si fa quasi un dovere di essere pregiudizi'almente favorevole ad ogni nuova proposta che tenda a sostituire l'iniziativa e l'azione dello Stato ali' iniziativa e all'azione degli individui. Io mi fig~ro sempre che l'uomo liberale debba essere del primo tipo. Ed è per ciò che non riesco a pescarlo. Intendiamoci bene. I liberali d'oggi giorno tengono tutt.avia molto a riattaccarsi al vecchio liberalismo e a proclamarsene i continuatori. E nessuno di essi pensa nemmeno di rinnegare la dottrina, la tradizione, i maestri. Anzi il richiamo alle tradizioni e ai maestri non fu mai fatto con tanta frequenz~ e riverenza. È solo la pratica che li conduce lo.ntano, molto Biblioteca Gino Bianco

DEI LIBERALIE DELLA LIBERTA 51 lontano, dai maestri e dalla tradizione. Ed essi, purtroppo, non se ne accorgono 1 Bisogna pure riconoscere la buona fede. E guai a sospettarne I Ricordo quel che mi capitò appena JUalche anno addietro in un comizio privato all'Unione Liberale di Roma, dove, parlando di libertà economica e rilevando nella politica economica del governo la responsabilità di tutti i partiti che chiedono, in quella o quella occasione, l' intervento e la protezione dello Stato, mi permisi di far presente agli intervenuti che non si può essere liberali solo a metà, in economia per esempio, e intervenzionisti in politica e conciliare l'inconciliabile. Fui investito da tutte le parti. C' era il senatore Corbino che mi strillava sotto come un'aquila. Allora il senatore Corbino non poteva pensare che il fascismo lo avrebbe portato un giorno alla direzione dell'Economia Nazionale. La nuova teoria liberale di Gentile gli consente, tuttavia, di ritenersi sempre a posto col liberalismo. Ciò che mi ha maggiormente colpito nei liberali che ho avvicinato è la loro sfiducia nella capacità liberale del popolo italiano. Agli italiani attribuisco11;0 in genere - per quanto pubblicamente non lo dichiarino - una specie di inferiorità organica sugli altri popoli retti a sistema liberale come in Inghilterra o democratico come negli Stati Uniti e nella Svizzera. Da sè, per proprio conto, se dovesse dipendere dalla loro iniziativa, gl' italiani non saprebbero fare niente. L'italiano, secondo essi, è un popolo che ha bisogno di essere guidato, disciplinato, governato dall'alto, in tutte le sue faccende. Il programma autonomista di questa rivista, e la difesa che vi andiamo facendo del principio delle autonomie locali e regionali, mi ha fornito l'occasione di raccogliere i dubbi e le riserve di campioni del liberalismo teorico i quali pensano che il sistema delle prefetture e dell'accentramento burocratico sarà indispensabile ancora a lungo. E sapete perchè? Per formare l'educazione politica degli italiani 1 Lo stesso ragionamento facevano un secolo addietro in Italia i conservatori nei confronti degli unitari e dei liberali di allora : < L' unit~ ? Ma gl' italiani non sono ancora preparati sufficientemente ali' unità. La libertà? Ma gl' italiani non sono ancora capaci di libertà. Ergo : Stati separati e dispotismo>. È con speciale riguardo al Mezzogiorno e molto spesso da meridionali che vien fatto tale ragionamento il quale, si voglia o no, giu- .stifica e legittima il fascismo nella sua azione che vuole essere appunto propedeutica, educativa" La disistima che certi meridionali dimostrano di .avere di se stessi e dei propri conterranei è tale che non sembra quasi concepibile. Se si dovesse dar ragione al loro pessimismo ci sarebbe da disperare per le sorti non del solo Mezzogiorno, ma dell'intera nazione. Io, e credo di non essere solo coi lettori di questa rivista, ho invece degli italiani e dei ~eridionali, in specie una opinione assai migliore. E mi domando se la inferiorità, se inferiorità esiste, e la incapacità, se può parlarsi d'incapacità, che ai meridionali si attribuisce, non dipendano proprio dallo stato di minorità forzata nel quale il sistema politico Ii ha Biblioteca Gino Bianco . ..

52 LA CRITICA POLITICA costretti, da un regime di tutela che ha perpetuato i vizi, i difetti e i sistemi dell' < ancien régime >. E vorrei che mi si facesse sapere in quanto l'azione delle prefetture e della burocrazia centrale sia fin qui riuscita giovevole alla educazione politica degli italiani, allo sviluppo delle loro capacità amministrativ.e, a preparare quelle condizioni di maturità senza delle quali non si ritiene oggi possibile addivenire ad un regime di autonomie e di decentramento autarchico. La disistima degli italiani per gl' italiani è il presupposto del_I'azione dei partiti e di quella più concreta dei gruppi e dei singoli. Non è solo Prezzolini ad attribuire agli italiani un sacco di cattive qualità. Egli, almeho, ha la franchezza di dichiararlo in pubblico e per quanto sia dimostrato che non bastano le prediche a rifa~e il mondo, può ritenere di contribuire così a migliorare il costume politico. L'ultima occasione che mi si è offerta per vedere la vera faccia del · liberalismo è quella in cui s'è trattato della < libertà della stampa>. Se il governo, coi provvedimenti straordinari e c~lla legge speciale poi, non fosse voluto andare troppo oltre, mettendo in pericolo l'esistenza stessa di giornali a cui fanno capo interessi diversi molto forti, non so se la ripercussione sarebbe stata identica. Non è certo la stessa cosa, nemmeno per il governo, usare al Corriere della Sera il trattamento fatto alla Voce Repubblicana che in due mesi è arrivata sette volte al massimo ai suoi abbonati. D'altra parte pochi si commuoverebbero della sorte della Voce se giornali come il Corriere e la Stampa non corressero Io stesso pericolo. Ciò sia detto senza intenzione di offesa per nessuno, unicamente per ricordare che le teorie sono una cosa e i fatti un'altra. In teoria siamo tutti per la libertà di stampa. Appena poi si passa a discuterne ecco il più autorevole e diffuso giornale del liberalismo farsi avanti a riconoscere che in molti casi si è ecceduto e finire nelle considerazioni stesse da cui il fascismo ha tratto pretesto per limitarla. Si dovrebbe dunque disconoscere la verità? Niente affatto. Nessuno ha mai preteso di affermare che la stampa italiana sia immune da difetti e debba tenersi esente da critiche e da responsabilità. La stampa ha funzionato in Italia più o meno bene e pulitamente come tante altre pubbliche istituzioni; non peggio. La questione è un'altra: è se la stampa debba essere o no libera di assolvere come crede, senzà estranei interventi e senza altre sanzioni che non siano quelle contemplate dal Codice penale, la propria funzione. Questione pregiudiziale di liberalismo. Accettato il principio che lo Stato debba intervenire a disciplinare la stampa, le forme e i limiti dell' intervento sono una questione secondaria, sulla quale ogni discussione è pressoche inutile. Ogni governo adotterà quelle norme che più gli conv~ene. Non si può dire: fin qui e non oltre. Di solito un intervento provoca un altro intervento. Basta incorninciare : poi la strada è sempre inclinata verso la discesa. Il fascismo è logico. Ed è il suo merito. Stabilito che .Io Stato ha diritto ad intervenire, e BibliotecaGino Bianco

DEI LIBERALI E DELLA LIBERTÀ 53 ~he per Stato debba intendersi il potere esecutivo, esso va fino in fondo: non usa mezzi termini, nè gli basta stabilire che la libertà di .stampa è soppressa, pensa su6ito che gli C{)nviene completare l'opera . sopprimendo anche la libertà d'organizzazione dei giornalisti. E fa preparare all' on. Ami cucci un codicillo alla legge sulla stampa, con cui si stabilisce l' < Ordine dei Giornalisti>. Basta appena un'affrettata lettura del testo degli articoli aggiuntivi proposti dal deputato fascista per accorgersi quale funzione sia riservata ali'< Ordine > : esso dovrebbe essere l'organo destinato ad applicare nei riguardi dei giornalisti le sanzioni fissate dalla legge sulla stampa, completandole coll' indegnità professionale. È tutto: lo spirito delle proposte Amicucci è qui. Il resto è contorno. Ebbene vi sono stati dei giornalisti, fierissimi assertori della libertà di stampa, che se ne sono commossi e che hanno preso la proposta sul scrio trovando che essa rivestiva un interesse professionale (1) superiore ad ogni preoccupazione politica. E hanno voluto discuterne. E, sia pure con tutte le riserve e con tutte le limitazioni, sono riusciti a far dichiarare accettabile ad un assemblea di giornalisti (maggioranza di un voto I) la costituzione dell' <Ordine>. Ciò che, praticamente, vale quanto dire che si preferisce alla organizzazione libera e volontaria dei giornalisti . il sindacato obbligatorio regolato dallo Stato. Ci voleva proprio un libe- · raie come l'on. Ettore Janni - colonna forte del Corriere - per arrivare a questa conclusione I Dopo la quale si deve pure ritenere che con questi liberali il fascismo avrà sempre ragione. Congratulazioni, al fascismo. OLIVIERO ZUCCARINI (1) Non hanno saputo dire, però, quali interessi professionali l'< Ordine del Giornalisti>, fissato e regolato dallo Stato, saprebbe tutelare meglio di quanto non abbiamo dimostrato di sa- . pere le libere organizzazioni federate della stampa. Tutto ciò che l'on. Amicucci assegna all'< Ordine >, per legge dello Stato, è già stato attuato e risolto dalla Federazione: lo stesso Collegio dei Probiviri funziona ottimamente. Gli inconvenienti che dal lato strettamente professionale l'< Ordine, presenterebbe ebbero invece ampia illustrazione. Quanto ai risultati politici ci vuol poco a vederli: con questo come con qualunque altro governo. A chi poi pretende che per purificare e nobilitare la stampa sia necessario l'intervento del potere esecutivo io mi permetto di osservare_ che se il giornalismo italiano lascìa alquanto a desiderare e se specialmente le fonti da cui traggono alimento parecchi giornali non sono sempre pure e la professione del giornalista s'è, in alcuni casi, ridotta a vero e proprio esercizio di un mestiere, ciò si deve anzitutto a due cause: allo Statalismo specie economico-finanziario e all'azione che ogni governo esercita sulla stampa per sostenerla e farsi sostenere. Per ·dar posto ad articoli di più viva attualità politica, dobbiamo rimandare al prossimo fascicolo altri interessanti scritti di E. AZIMONTI, G. ·PETRACCONE, ecc. , Biblioteca Gino Bianco f

' L' l\ ventino e il Rubicone Il partito popolare invitando i gruppi dell'opposizione ad .abbandonare la formula negativa dell'antifascismo per concretare un'azione p~- sitiva, ha messo un po' di ~compiglio fra gli aventinisti, ed ha contribuito a una chiarificazione della situazione politica italiana. Le opposizioni da otto mesi si richiamavano con esasperante monotonia alla mozione votata a fine giugno; in ogni loro adunanza, per quanto si fosser~ presentate circostanze nuove, si limitavano a riaffermare ciò che avevano affermato a giugno, cadendo nel ridicolo, col mostrare un'impotenza assoluta e una radicale incapacità a dare nuovi sviluppi alla loro azione. Lanciando il loro sasso, i popolari hanno costretto i partiti di opposizione a precisare le direttive della loro azione, a liberarsi dalla formula in cui s'erano incapsulati, a non cullarsi nella illusione che la gravissima crisi morale e politica si sarebbe risolta rniracolosamente. Gran parte delle opposizioni al fascismo ha considerato questo come un fenomeno effimero, e quindi superficiale e transitorio : da questa valutazione errata è stata indotta a credere che un colpo improvviso di vento avrebbe fatto sparire questo smisurato fungo, germinato su non si sa come : ed ha atteso il miracolo del colpo di vento, si chiamasse Giolitti, Giardino, Salandra, per ripigliare il vecchio tran tran. Il gruppo della Critica non ha condiviso mai questa errata valutazione, e non ha atteso il miracolo: sin dal 1921 in questa rivista affermammo che il fascismo non poteva essere valutato alla stregua delle sue manifestazioni superficiali di violenza, di squadrismo, di improvvisazione, e che se il successo· gli arrideva malgrado queste tare era segno che al di sotto di quella schiuma vi era - e vi doveva essere - qualche cosa di profondo. Per questo la can1pagna scandalista, che metteva in luce le tare del regime, non ci persuase della sua efficacia, e siamo stati lieti quando uno dei gruppi dell'opposizione, obbedendo a sue interne ragioni, ha rotto l'equivoca nube, che avvolgeva l'Aventino e ha invocato la formazione di un blocco, che per la realizzazione di uno specifico programma affacciasse risolutamente la sua candidatura alla successione. Con questa mossa la piattaforma della lotta contro il Governo fascista viene a cambiare : non si parla più genericamente della libertà, della costituzione, della moralità : non si fa più un appello generico a tutti gli uomini di_ buona volontà, a tutti i cittadini concordi in certe formule esteriori, ma si fa appello a forze concrete, a interessi ~pecifici, perchè contrastino vigorosaBiblioteca Gino Bianco

, L•AVENTINO E IL RUBICONE 55 mente ed efficacemente le forze e gli interessi di cui il fascismo è anche inconsciamente l'espressione. Ci guardiamo bene dall'aifermare che il nartito popolare, il quale accettò il fascismo in un primo tempo e condusse col suo quotidiano la lotta scandalista contro il fascismo, abbia una visione realistica della situazione, e che le sue intenzioni manifestamente dirette a costituire un blocco democratico possano tradursi nella realtà. Anzi teniamo a dichiarare senza ambagi che la vagheggiata alleanza democratica, da Sturzo a Turati e da Amendola a Giolitti, secondo il nostro parere non ha probabilità di giungere al Governo, e che se vi giungesse non sarebbe van- . taggiosa all'Italia. Ma approviamo il gesto dei popolari, per il suo significato di condanna all'incertezza nebulosa dell'Aventino e all'attesa del I miracolo, e per il proposito di uscire dalle negazioni sterili. I popolari hanno messo sul tappeto il problema delle forze, che devono conquistarsi la successione, e hanno fatto intendere che nessuna successione è possibile ·per virtù taumaturgica, senza offrire al popolo italiano le indispensabili indicazioni sull'avvenire. È necessaria una bandiera, che si alzi con un significato preciso e che abbia la virtù di chiamare attorno a se quanti consentono sotto la spinta di determinati interessi a determinate direttive. Al di fuori di ciò rimane solo la retorica, innocua nella stampa fascista perchè c'è un loro Governo che svolge un'azione pratica nel campo degli interessi e attrae consensi effettivi, pericolosa nella stampa di opposizione, che non ha dietro se nessuno che agisca nella realtà della vita economica. L'Aventino è posto dinanzi al Rubicone : può rimanerne al di là, sforzandosi di mantenere una sterile unione nella formula negativa dell'antifascismo e condannandosi a un sempre maggiore isolamento ora che il colpo di vento della fine d'anno gli ha tolto anche la libertà di stampa: può saltarlo, concretando le sue direttive di governo e dividendosi secondo le esigenze di queste. Ma il mito del miracolo è finito : nessuno più si attende che i deputati dell'opposizione possano scendere con i tamburi in testa per rientrare nell'aula vittoriosi senza lotta, e chiudere la parentesi fascista, ripigliando la vita interrotta nell'ottobre 1922 e discutendo ancora se ai popolari competano due ministri e tre sottosegretari ovvero tre ministeri e due sottosegretariati. I gruppi dell'Aventino o concordemente o discordemente debbono dire ciò che vogliono, cosa si propongono di fare, quali direttive di governo saprebbero seguire : e non basta biascichino vecchi imparaticci, come han fatto i democratici sociali. Debbono pronunciarsi su problemi concreti : fiscalismo, protezionismo, plutocrazia, burocrazia, lavori pubblici, istituti di garanzia della libertà contro le sopraffazioni del potere esecutivo dei partiti di masse dei ceti privilegiati, fra cui vanno compresi anche gli addetti ai pubblici servizi. Gli eventi della vita italiana dal 1919 ad oggi debbono essere tenuti presenti nel loro complesso, e BibFoteca Gino Bianco ..

56 LA CRITICA POLITICA da questo laborioso quinquennio, saturo di crisi e di fermenti, va tratto un insegnamento per ognuno dei suoi varii aspetti. La nostra diagnosi dei mali della vita italiana si compendia in una parola: accentramento, ma in essa noi sintetizziamo varii problemi. Condannando l'accentramento, noi ci dichiariamo ostili al fiscalismo eccessivo e sperequato che grava sull'economia nazionale, al protezionismo doganale, che favorisce il rincaro della vita e distrae il capitale da più logici e più produttivi investimenti, all'onnipotenza dell'alta burocrazia e della plutocrazia, a una politica di favoreggiamento delle città a danno della campagna, e reclamiamo un nuovo indirizzo statale, che gravi meno con le imposte dirette e indirette sulla produzione, che permetta agli agricoltori di investire nei loro ·campi i capitali dalla terra reclamati per produrre di più, che rompa il viluppo burocratico abolendo la stabilità di impiego e sostituendo alla pensione coatta la libera polizza di assicurazione sulla vita, che dia preminente importanza ai problemi rurali e non pretenda di imporre a tutti gli italiani cos} diversi fra loro un unico figurino. Questa diagnosi sottoponiamo ai gruppi dell'Aventino, perchè su essa si pronuncino : e lo facciamo pur sapendo che essi nella loro grande maggioranza, per la loro mentalità e per la loro educazione politica, non solo non consentono in essa, ma non riescono a comprenderne neppure la portata fondamentale. I riformisti turatiani, pur potendo contare sul vasto appoggio di masse rurali della Valle padana, sono statolatri e industrialisti; i popolari, che hanno in Don Sturzo un apostolo del decentramento, non hanno mai tradotto questo apostolato dottrinario in azione concreta; i democratici sociali con i loro Giuffrida rappresentano troppo il ceto impiegatizio nelle aspirazioni a un più vasto intervenzionismo statale, e sono i naturali alleati dei rifonnisti in una politica di vasti lavori pubblici, che richiede molte tasse e molti impiegati. Cos} i maggiori gruppi dell'Aventino, se possono passare il Rubicone· per porre la candidatura del loro blocco alla successione, non sono capaci di aderire sostanzialmente a un programma rurale quale noi vagheggiamo, con il convincimento profondo che solo da queste nuove direttive potrebbe avere inizio in Italia una lotta veramente feconda e progressiva, nell' interesse di tutti. Dal formarsi di una coalizione politica, che apertamente e chiaramente si assumesse di difendere gli interessi rurali, che la lotta conducesse non sotto lo schermo di principii teorici ma in nome di dichiarati interessi pratici, toccanti la vita quotidiana, avrebbe inizio in Italia un nuovo ciclo storico, che sarebbe caratterizzato anche dall'assenza della retorica, pestifera malattia cara alle democrazie latine. Ma non vediamo un gruppo che sia deciso a passare questo Rubicon_e, neppure oggi che l'alto prezzo del grano e la protezione zuccheriera fanno discutere su per i giornali e nelle farmacie politiche i problemi agricoli. ' Gli altissimi prezzi del grano, giuriti a qualche mese dal raccolto quando Biblioteca Gino Bianco

I• I L'AVENTINO E IL RUBICONE 57 già i molini avevano acquistato ai dimezzati prezzi di sei mesi fa, dovrebbero rendere pensosi gli italiani sulla necessità di un indirizzo economico e politico che faciliti l'incremento deKa produzione granaria. È risaputo che il problema granario in Italia ·è un problema di denaro per gli agricoltori : per aumentare la produzione, occorre migliorare le case coloniche, concimare meglio e più la terra, usare le seminatrici, persuadere i coloni mezzadri a curare di più il raccolto del grano senza attenersi al metodo tradizionale di abbandonare il grano dalla semina alla mietitura. In moltissime plaghe, che passano già per progredite, si ha ancora una produttività di 10-12 sementi, e con uno sforzo si giungerebbe a 20. Per farlo mancano sopratutto i capitali da investire in aratri moderni, in trattrici per i lavori profondi, in seminatrici, in atrezzi, in concimi, in case coloniche : questi capitali vengono sottratti all'agricoltura dal fiscalismo, dal protezionismo doganale, dalle città piovre. Bisogna che lo Stato, con un'azione decentrata e con un nuovo indirizzo politico, lasci che i capitali prodotti dalla ~erra tornino alla terra, e l'agricoltura nostra rifiorirà gagliarda, guarita dal suo male della impecuniosità. Questo problema accennato di scorcio ci pare ben più importante di quelli che appassionano la stampa, e porlo nettamente crudamente di fronte al Governo e di fronte all'opinione pubblica sarebbe essenziale. Svelare la beffa zuccheriera, che reclama la protezione doganale per lo zucchero indigeno in nome dei coltivatori di bietole, e mostrare che l'agricoltura non ha nessun bisogno di coltivare bietole potendo con maggior·e convenienza sua dedicarsi ad altri ptodotti più rimunerativi - dal tabacco alla patata - ci pare che sarebbe altrettanto essenziale. Le discussioni e i dibattiti politici debbono essere portati fuori dal cerchio chiuso, e bisogna affrontare questi problemi concreti, se alla vita politica italiana si vuol dare un contenuto nuovo. L'Aventino non rappresenterà nulla nella storia politica italiana se continua a baloccarsi con le forn1ule giuridiche e con le bombette scandaliste : parli in nome di interessi concreti, affermi un indirizzo antitetico a quello seguito da cinquant'anni in qua, scenda fra i rurali, nella provincia e troverà materia abbondantissima al suo lavoro, se ne è capace. GIULIO PIERANGELI Procurate abbonati alla CRITICA per l'anno in corso. Fatèla penetrare nei Circoli di lettura, nelle Biblioteche. Fate abbonare i vostri amici. Biblioteca Gino Bianco

J\lleanza democratica· (APPUNTI) Volendo compendiare in una sola le molte ragioni quelle imm~- diate ; perchè quelle remote e storiche sono qui fuori causa - del deperimento dei nostri partiti di democrazia si potrebbe dire che essa consista in questo : nell'aver trascurato il· metodo democratico a beneficio del semplice contenuto, o, per lo meno, di non averli mandati avanti di pari passo. Con ciò non si dice, naturalmente, che essi abbiano mai ripudiato i postulati formali di ogni democrazia: la sovranità popolare e, in concreto, il suffragio universale, l'eguaglianza dei cittadini e, in concreto, l'indipendenza del magistrato, le libertà pubbliche e, in concreto, l'assenza dell'arbitrio dell'esecutivo, ecc. ecc. non sono mai state oggetto d'un diniego o d'un oblìo formali. Ma, nella realtà, quei partiti si sono comportati come se tutti questi postulati essenziali, in cui riposa lo spirito animatore e l'etica di una democrazia, fossero dati puramente accademici, e come se le esigenze reali della azione li costringessero a scavalcarli e a cancellarli con la sovrapposizione di altri dati. Tali supposte esigenze < obiettive >, le quali in effetti non erano altro che lo specchio della pigrizia e della increatività dei partiti democratici, li hanno condotti ad optare, tra i due poli fra cui sempre si 1nuove ogni azione politica: lo Stato e il popolo, per il primo a danno e con esclusione quasi totale del secondo. In fondo in fondo la nostra de1nocrazia ha, nell'ultimo ventennio, attraversato, in forme grandissime, quello stesso processo di alterazione ideale che, in misura infinitamente più tenùe, ha traversato il movimento socialista. Nei confronti di questo il problema consisteva nel sapere qu<}.lidei due poli per esso essenziali: la classe operaia e la borghesia, dovesse avere nella azione socialista più potenza attrattiva. Riguardo, invece, alla democrazia il binomio prendeva nome di popolo e stato, libertà e autorità. Ma, per entrambi, il porro unum era questo: se la prassi politica dovesse essere sospinta dal basso o anche manovrata dall'alto, se dovesse essere un continuo, e sia pur graduale, rivoluzionarismo o piuttosto un ininterrotto, e anche audacissimo, riformismo. Ora nel riformismo socialista, soprattutto in quello politico, sono rimaste intatte le fresche sorgive di classe, a tal punto che oggi esso si presenta come una genuina democrazia· operaia; ma cosl non è affatto ~accaduto del riformismo democratico. Questo non ha saputo essere liberale, nell'alto e creatore senso del termine.; non è stato, nonostante il nome cos} viribilmente e tradizionalmente eversivo e rigeneratore, radicale; ha avuto-· BibliotecaGino Bianco

ALLEANZA DEMOCRATICA 59 presente soltanto il modelJo del giacobinismo, ma di un giacobinismo, sbiadito e smidollato che è il parente prossimo del paternalismo, in cui le masse popolari non hanno fatto mai la parte, delle attrici, ma delle e beneficiarie e, spesso, delle turlupinate. Ma, a parte questi risultati delusorii, che, del resto, sono quasi congeniti in ogni regime paternalistico di cui sono anzi il segreto motore, è lo statalismo stesso che è, di per sè, l'antidemocrazia. Nei casi estremi, che si chiamano fascismo, intervenzionismo statale in guerra, bolscevismo ecc. ecc., la cosa è evidente ; ma, in realtà, ogni movimento politico, borghese, operaio, agrario, piccolo borghese ecc., poco o molto si corrompe in questo ; e di tanto cessa di essere movimento, cioè azione, politico, di quanto, sia pur promovendole, si adagia sulle determinazioni automatiche dell'autorità statale. I nostri partiti di democrazia hanno bevuto fino alla feccia da questo calice addormentatore. La loro destinazione naturale (anche ammesso che essi non dovessero essere delle correnti classiste o delle nuove borghesie industriali, o della piccola borghesia o dei ceti operai più maturi, ma dovessero essere correnti interclassiste contemperatrici) sarebbe stata c:uesta : eccitare, per le vie della libertà, la formazione politica di questi varii aggruppamenti socialL . Viceversa è accaduto l'opposto. Alle nuove classi borghesi, che s,orge- · vano nella città, essi non seppero additare quella funzione di alta pedagogia storica, che si converte poi in solido benefizio nazionale, consistente nell'allevarsi e nell'addestrarsi alle gare economiche internazionali; furon~ anzi pervicacemente protezionisti ; ossia accettarono lo statu quo~ fecero un atto di contrita sfiducia nel franco sviluppo delle libere forze inventive, capitalistiche e organizzatrici del paese ; e, dopo averle organizzate intorno allo Stato, diventarono essi per i primi le vittime del potere predominante, che avevano così conferito loro. E la stessa tattica, sostanzialmente abdicataria, hanno seguito verso il mondo operaio .. La libertà di organizzazione, in tutte le sue estrinsecazioni, non fu mai oppugnata; non fu però mai neanche, come poi popolari e fascisti mostrarono che, sia pure in .forma spuria, si poteva fare, direttamente praticate; e l'azione della democrazia ha consistito, semplicemente, nel prendere atto de~ fatto della organizzazione, e nel trasferirne gli effetti, consolidando e congelandone insieme l'animo liberalmente operoso, nel meccanismo della legislazione e delle pubbliche amministrazioni. Vano sarebbe poi parlare d'una attiva politica democratica della piccola borghesia. Nessuna azione su vasta scala a favore delle forze produttive piccolo-borghesi, sia industriali che agrarie : ciò avrebbe implicato la rinuncia ad ogni politica di favo're verso le oligarchie terriere e finanziarie privilegiate, ossia l'abbandono di quei molteplici protezionismi a prò dei ricchi, in cui invece la democrazia si era acquetata. Nè diversamente di ogni azione verso _i ceti consumatori : perchè, anche qui, la sconfessi one del protezionismo sarebbe stata la pregiudiziale insormontabile. Onde tutta la poBiblioteca Gino Bianco

60 LA CRITICA POLITICA litica piccolo-borghese della democrazia si è risolta (sopita ogni questione ideale, come l'anticleralismo, o il pacifismo internazionalistico ecc. ecc.) nella elefantiasi burocratica e nella soddisfazione data ali' impiegomania, propria dei mezzi ceti semicotti, poveri e spostati ; ovverossia anche qui, come sorgente e come sbocco della democrazia, lo Stato proprio, lo Stato che, in ispirito, la nega. * * * Avendo contratto questo costume di azione e tale psicologia, che son 0, in fondo, quelli dei ceti dirigenti di governo e non di ceti dirigenti di partito, era inevitabile che i partiti d~Ila den1ocrazia si trovassero disorientati e sopraffatti, quando la mutata situazione del paese - la guerra - pose anch'essa davanti al problema delle masse da affrontare, e con cui, reciprocamente, compenetrarsi. Era inevitabile : nel proprio senso del termine. Arrovesciare le proprie posizioni di dottrina, di tattica da partito di governo a partito di massa è cosa difficile, ma non è, non può essere possibile se non a patto di morte ; e dovendo la democrazia rivivere, troverà alcune grandi idee centrali, intorno alle quali produrre delle grandi correnti di interessi e di aspirazioni genuinamente popolari. Innegabilmente la < guerra democratica >, per chi non si ponga a un punto di vista di antistorico pacifismo inflessibile, era, o poteva diventare, una di queste correnti: ma, invece, non lo diventò ; e gli elementi conservatori, soverchiando le diverse correnti di democrazia sul terreno ideale e su quello pratico, le misero nella situazione, fallimentare, di impotenti e di beffate. E, dal più al 1neno, il 1nedesimo risultato si è verificato su l'altra larga direttiva da esse adottata: per il collaborazionismo. Anche qui le forze conservatrici, mirabilmente servite dalla intransigenza estremista hanno dato scacco matto, ai partiti democratici ; e ciò perchè questi avevano sopratutto di fronte a quelle, l'enorme .debolezza (che ai miopi pare astuzia) di concepire l'accostamento con le forze operaie e e socialiste come una serie di opportunismi ciechi e fatti giorno per giorno, invece che come un disegno luminoso, disteso nell'avvenire e responsabile di sè stesso. Ora da questa doppia sfortunata esperienza la democrazia deve aver imparato a rettificare il proprio tiro. Nella intuizione centrale che li ha inspirati, i due capisaldi maestri, a cui essa ha conformato la propria vita prima nel quinquennio 14-19, poi in quello 19-23, restano intatti : perchè il primo di essi è il varco aperto alle. grandi 1nasse popolari affinchè capiscano e si orizzontino nel grande !intreccio di rapporti e di solidarietà internazionali ; in cui, vogliano o non vogliano, sono travolti; e perchè il secondo è l' iniziale tentativo, in sè caotico e inorganico finchè si vuole, di ampliare verso le vaste· moltitudini i confini dello Stato tradizionale che da questa stessa pressione sulle proprie frontiere viene trasformato in senso popolare. Le due inBiblioteca Gino Bianco -

/ ALLEANZADEMOCRATICA 61 tuizioni fondamentali restano dunque. Ma debbono però, per diventare organiche fattive e pratiche accompagnarsi alla preparazione delle .forze e delle intese accessorie per realizzarle ; ossia, in poche parole, debbono prendere risolutamente contatto, desumere le necessarie fecondazioni ideali da quelli correnti di autentico demos, che si esprimono nell'organizzazione operaia e nei partiti socialisti, e da cui fino ad oggi, la de1nocrazia si è colpevolmente isolata. L' idea stessa di < guerra democratica >, che, in sostanza, era un ap"' pello guerriero e ·pacifista insieme, nazio1_1alee nello stesso tempo inter~ nazionalista, è suscettibile di infiqiti sviluppi di carattere popolare : e, innanzi tutto, di questo, che ne pare il rovesciamento e non ne è che ]a presunzione ; e, cioè, di svilupparsi come idea di pace internazionale fra i popoli. La più gran parte del wilsonismo, che è il ceppo donde si imbranca tutta l' ideologia democrati~a della guerra e del dopo guerra,_ è ancora in piedi, e non è niente di più facile che derivarne, come le grandi democrazie inglese e francese hanno fatto, dei dettami per una politica concreta conforme agli interessi popolari. Se ne desume, innanzi tutto, una politica seriamente pacifica ; e, poithè la guerra ha mostrato in modo inconfutabile che essa, per il suo interno automatismo, si trova . sempre a favore dei ceti ricchi e a danno di tutte le classi minori, una · tale politica è popolare perciò solo che è anticonservativa e antinazionalista. Ma una azione rivolta alla conquista di un regime di pace ha per premessa e per conseguenza una politica tendenzialmente libero-scambista assoluta, e nel libero scambio si identificano, pur attraverso il sacrifici"o momentaneo di alcuni gruppi operai produttori, gli interessi di consumatori dei vasti strati di lavoratori, salariati o a stipendio. E non franca poi la spesa neanche di ricordare quale vasta raggiera ideale di umanità e di giustizia sia intorno a questi propositi, Essi in sostanza,, sono volti a realizzare, sul terreno internazionale, quell.' intesa fra classi operaie sgombre di utopie catastrofiche, i medii ceti bisognosi d'una politica di buon .mercato e le frazioni di borghesia capitalistica capaci di vivere in libertà e, cioè degna di vivere, che è poi il programma basilare, sul terreno della politica interna, del collaborazionismo. Il quale alla sua vol_ta deve sorpassarsi, andare al di là della fase di semplice e fragile coalizione parlamentare e ministeriale e precisarsi nell'aspetto di una esplicita politica radico-socialista. Al fondo di questa debbono pertanto ritrovarsi non delle vaghe ed elastiche regole di convenienza e di transazione, ma dei chiari e fermi principii regolatori : il primo è che la libertà di associarsi e di organizzarsi è, nella classe oper.aia, un diritto illimitato, non suscettibile di ritorni e di divieti, e la cui fecondità inde ... finita deve essere accolta non solo senza riserva ma col giubilo fidente che, in ogni coscienza liberale, il fiorire d'una nuova libertà necessariamente determina; il secondo è che in questa libertà rientra anche quella di estendere le intese, le solidarietà della classe operaia al disopra delle Biblioteca Gino Bianco

62 · LA CRITICA POLITICA frontiere, riconoscendo così che ·anch'essa deve uscire, in teina di rapporti internazionali, dallo stato di minorità in cui è tuttora tenuta, e che, anzi, la sua azione serve ad aggiungere nuovi fili alla auspicata solidarietà da paese e paese. \ * * * Il frantumamento ·dei partiti e dei gruppi democratici è causa ed effetto insieme del disparire dall'orbita della democrazia di. grandi correnti ideali ; ma, in ogni caso, la ripresa di tali correnti, se esse debbono uscire dallo stato generico di orientamenti dell'opinione per diventare volontà politica, esige la formazione di grandi organismi che le interpretino. Noi siamo oggi a questo punto di trapasso, e tale esigenza è, infatti, nell'aria. L'obiettivo finale è, e dovrebbe essere, quello di venire alla costituzione di un unico grande partito democratic·o di sinistra, ma, mentre esso matura e anzi affinchè maturi più celermente, si impone, intanto, di andare a una formazione unitaria .intermedia fra gli aggruppamenti, che già oggi esistono. Una Alleanza Radicale di sinistra può, fin d'ora, essere messa in moto (1), tra i due principali partiti, che oggi esprimono la democrazia radicale che non può essere che sociale, e cioè il. democratico sociale e il demo_cratico radicale indipendente, non vi è, dal punto di vista programmatico puro, nessuna divergenza sensibile. Entrambi' si muovono - e come altrimenti ? - sul terreno nazionale ; ,entrambi hanno per idea limite, l'idea del lavoro ; entrambi affermano che la potenziazione storica del paese consiste nella potenziazione delle sue classi dedite al lavoro, produttive ed utili. Qualche maggiore, e anche sensibile differenza può riscontrarsi n_egli andamenti tattici e pratici dei due partiti: nel senso che la democrazia sociale, ·fiorente sopratutto nel Mezzogiorno, avverte meno l'assillo degli strati operai e più quello dei classici problemi ideali della democrazia detta borghese; e che, invece, la democrazia radicale, rifiorita sotto la pressione fascista sopratutto nel Nord, è sensibilissima a quelle volontà della classe operaia, che, in ripristinata libertà, sono destinate ad essere volontà politiche di grandissimo peso. Ma, come si vede, tali differenze di atteggiamenti derivano piuttosto dalla diversità degli ambienti in cui i due partiti operano che non da un divario iniziale delle loro inspira- (1) Da questo punto il discorso del nostro collaboratore che aveva filato così bene e che costituisce, senza dubbio, un contributo a quella chiari- !i cazione che è uno degli scopi che ci proponiamo, incomincia a divenire, per noi, poco chiaro. F ovel vede delle possibilità di concretez3a democratica in una intesa fra due partiti di democrazia sulla essenza e consistenza dei quali abbiamo forti e fondatissimi dubbi. Facciamo perciò subito tutte le -nostre riserve, lasciando intera al nostro collaboratore la responsabilità ,.della sua tesi! - (N. della D.). BibliotecaGino Bianco ..

ALLEANZA DEMOCRATICA 63 zioni ; non costituiscono affatto uno ostacolo ad una intesa e ad una collaborazione positiva; e, anzi, possono essere interpretate come la necessaria duplice funzione che, a seconda del ~:verso ambie~te, anche i partiti, a estensione nazionale sono costretti a compiere, e, in questo senso, considerate utili e provvidenziali. Nella Democrazia Sociale si può ravvisare logicamente (come lo è anche cronologicamente) una for~ rnazione del Partito Radicale in regioni non ancora passate per l' esperienza socialista; nel rinato Partito Radicale una creazione, come è in fatto della Democrazia Sociale in regioni intensamente impregnate di ·socialismo ; e, cioè, un rapporto di interdipendenza, anche genetico, che .è la più propizia delle condizioni per la congiunzione dei loro sforzi. Una intesa di queste forze, per ora sotto la forma più pratica : quella federativa, sarebbe già un utile passo nel senso che si darebbe luogo, ciò che non è da quasi un decennio, a una formazione di democrazia di dimensioni nazionali ; però sarebbe sempre enormemente insufficiente: perchè, in sostanza, essendo tale coalizione una formazione quasi esclusivamente urbana, ne resta tagliata fuori tutta la grande massa della popolazione rurale. Qui il discorso dovrebbe farsi complicato, e gli interrogativi spesseggiano. Per quali ragioni storiche generali e specifiche nostre le democrazie sono state, e sono tuttora, compagini politiche cittadine? Permangono queste ragioni? O, nel generale risveglio di tutte le classi della società politica italiana, anche le medie classi agricole, sono suscettive di una modellatura nel senso dalla democrazia ? È probabile ; ma non è qui il luogo di rispondere ex professo, quando il fatto parla e risponde di per sè. Lentamente, con molte incertezze, con la preponderanza dell'elemento economico-sindacale com.e è proprio di tutti gli organismi politici nascenti che hanno già le proprie basi ma ancora non hanno le proprie mete più lontane, è sorto in Italia un Partito dei contadini; e questo partito è in realtà, lo sappia o non lo sappia, lo voglia o non lo voglia, un partito di democrazia, il primo partito di democrazia, che il medioceto di campa.gna abbia saputo spremere dal proprio tardo grembo politico. Bisogna prendere atto del fatto, e la democrazia tradizionale deve sapere essergli utile e, alla propria volta, saperlo valorizzare cos} come esso merita, per quello che già è A oggi e per quello che domani può diventare. L'utilità di un accostamento di sforzi fra l'uno e l'altra è, infatti, reciproca. È ovvio che questo nuovo aggruppamento di democrazia rurale - e esso stesso lo sa, e sta dibattendo in sè questa crisi - in quanto intenda di cessare dall'essere un sindacato di interessi di mezzadri, proprietarii coltivatori ecc. e voglia essere un partito a postulati generali extracorporativi, non potrà che avvantaggiarsi al contatto di movimenti come quello della democrazia cittadina perchè questa ha elaborato in sè, con estrema laboriosità, i principi ideali di tutte le correnti che, comunque, sono loro affini. Per contro le nostre democrazie tradizionali hanno ormai scarso il senso degli interessi collettivi (si Biblioteca Gino Bianco

64 LA CRITICA POLITICA intende di classe e di ceto) e, conseguentemente, quello della massa ; esse passano dalla proclamazione dei principii generali alla effettuazione dei servizi, leciti beninteso, di ristretti gruppi. ·E, quindi, il vigoroso senso corporativo e, genericamente, utilitario che la nuova e greggia democrazia porta con sè, funzionerà come un ottimo correttivo agli astrattismi generici e ai pervertimenti parlamentaristici e verrà a conferire ai vecchi partiti, oltre che il contributo di masse già oggi ragguardevoli, anche, e ciò più conta, il senso stesso delle masse e degli interessi impersonali. Questi, è ben ovvio, dovrebbero essere elaborati, e, in q~alche modo sublimati in un programma organico e razionale di vasti ripercussioni ; in Germania si è già lavorato molto in questo senso ; parecchio se ne può desumere; e, sopra.tutto, la prova in atto che quegli avvicinamenti fra ceti agricoli e ceti urbani che, tutto sommato, si vanno realizzando dovunque in seno alle classi privilegiate, sono pos's•ibili e resistenti anche nell'orbita delle classi minori. N. MASSIMO FOVEL LA COSCIENZA DELLA NAZIONE "La coscienza nazionale è come l'io degli ideologi, che si accorge di sè nell'urto col non io. Ella si svolse prima in coloro che avevano più bisogno di libertà negli studi, nei commerci, nei viaggi; e perciò erano in più frequente e penoso eonflitto cogli interessi dello straniero, coll'ignoranza sua, coll'arroganza, coll'eterno e implacabile sospetto. Poi si destò mano nzano, anchf! nei magistrati, ch'erano pure accuratamente spiati e trascelti a essere arnesi di obbedienza: nei sacerdoti, benchè domati · dall'episcopale superbia a tradurre anche l'evangelio in dottrina di servitù: nei contadini, benchè tenuti dagli avari e gelosi padroni quanto più vicino si potesse alla natura di bestiami: per ultimo nei cortigian_i medesimi, a cui le dovizie e la nobiltà non sembravano presidio alla dignità del vivere, ma diritto ad andare innanzi a tutti nella viltà. Questa mutazione degli animi era lenta, ma continua, universale; irreparabile a qualsiasi scaltrimento di polizia. Che anzi, dopo alcun tempo, cominciò ad accelerarsi, come certe velocità, in ragioni geometriche, mentre le forze morali del Governo declinavano visibilmente, come la velocità dei proiettili da guerra. Infine, rimase spenta affatto ogni tradizione d'amore e di rispetto; e allora gli eserciti, che dovevano difendere lo stato dai nemici esterni, vennero ritorti contro la patria, simili al pugnale del suicida. Intanto nel governo austriaco l'odio contro la nazionalità italiana si faceva più aspro e cavilloso. Oli spiaceva perfino il nome d'Italia; lo voleva dissimulato nei libri, cancellato nelle carte. E al contrario lo scolpiva viepiù nelle menti; lo chiamava sulle labbra;· se lo vedeva scritto da mani notturne sulle muraglie delle città. Una indomita riluttanza serrava sempre più il fascio dei popoli italiani, era come la polve di plat[no che s'incorpor:a sotto il martello ". CARLO CATTANEO BibliotecaGino Bianco .

CRITICA REPUBBLICANA • Dal contingentismo.... rivoluzionario al gradualismo istituzionale La Storia, che si suole paragonare a quelle pitture impressionistiche che· ·debbono vedersi a distanza, si è stavolta affrettata a dare ragione al nostro obbiettivo e sereno giudizio della situazione italiana. Non diciamo che questa situazione sia, di già, conchiusa in un sistemato e archiviabile periodo storico : è un atto che si è svolto di un dramma, uno di . quegli atti importanti su cui si attarda il giudizio del pubblico e che danno al giudizio stesso un orientamento che può essere decisivo. Noi avevamo, in sostanza, sostenuto questo: che era errore lo irrigidirsi fanaticamente nella posa aventinista, il farne uno stile, una pratica esclusivista di vita, lo attendere tutto dall'aventinismo, fin'anco - come facevano alcuni illusi in un primo momento, di poi divenuti saggi e gradualisti - la rivoluzione o, comunque, la realizzazione repubblicana. Gli aventinisti, specie nella prima ora (avanti, cioè, che si fossero meccanicamente assuefatti ad un metodo o che in questo insistessero per caparbietà polemica o per la difficoltà di liberarsene), ci davano l' impressione di operai intenti ad un lento e paziente martellamento per distaccare un masso o per ruinare una fabbrica ormai ingombrante e antiestetica. Ammiravamo la tenacia dei manovali, compresi della loro funzione demolitrice, ma rimanevamo con l' idea che essi finissero col demolire nulla o con lo sfaldare e scalcinare troppo poco. V'era, in realtà, nell'aventinismo della prima maniera (poi che è bene avvertire che l'odierno aventinismo, nella sua ~pretesa fase ricostruttiva o positiveggiante, finisce con l'essere confusionario al modo del vecchio radicalismo bloccardo), in quanto· in esso si agitavano alcuni partiti così detti sovversivi, questo lato curioso : la legalità assunta come cauta arma di rivoluzione; una specie di rivoluzione o di pre-rivoluzione addomesticata, paziente, ostinata, ma inconcludente. Cos} l'aventinismo, che poteva essere un punto tattico di un più complesso e vario metodo stra- . tegico, ha finito, ad un certo momento, col diventare una tattica fron - tale in cui, senza adeguato profitto, s' è esaurito ogni sforzo rivoluzionario. Coloro che, piuttosto che contemperare e integrare l'aventinismo con altre forme di tattica, di preparazione tecnica e spirituale e con assaggi di più diretto rapporto col popolo, dicevano, tanto per tranquillarci : saremo aventinisti sino ad un dato giorno e poi torneremo rivoBiblioteca Gino Bianco

. . 66 LA CRITICA POLITICA Iuzionari, cadevano nell'errore - invero non diffuso - di chi si facesse evirare, tanto per· fare un esperimento, e, poi, pensasse di ricollocare e riattivare gli organi prima asportati. Chè l'anim~ non ritorna rivoluzionario a termine fisso : la pratica confusionaria, legalitaria, eclettica e accomodante avrà spento, a quel termine, ogni ardenza spirituale : questo ci dicono l'esperienza in genere e il dato attuale. Nè il nostro rilievo può soffrire modificazione pel fatto che l'Opposizione stia per passare dall'ostinata e accidiosa polemica, distesa sullo schermo cine~atografico dell'Aventino, all'azione cosidetta ricostruttiva: azione che sarà, inevitabilmente, gradualista, democratica, spinitica, di mortificante adattamento.' Dalla tattica delle Opposizioni, rilevammo altra volta, non sarebbe potuto derivare di più che un nuovç> ministero monarchico in luogo di , quello fascista monarchico, ossia (riprendendo qui una frase di Salandra) il sostituirsi al governo assoluto del Presidente del Consiglio della monarchia parlamentare dell'ante - fascismo. Ma, a giudicare dagli odierni elementi di fatto, andavamo troppo in là con le nostre previsioni ; peccavamo di quell'ottimismo che ci incoglie, a quando a quando, anche nel declivio della vita. La massa o popolo, peraltro, - anche nei suoi più genuini elementi repubblicani - non divise mai siffatto ottimismo ; comprese subito che la tattica in corso non era destinata a risolvere, in definitiva, i maggiori e annosi problemi politici che incombono al nostro Paese. Comprese che quell'aventinismo (del quale un giorno la storia dirà che altro non fece se non cercare, in un dato momento, di gettar ponti verso la reggia per indurla a risolvere, essa, costituzionalmente la crisi: manovra a cui rimasero, in vero, estranei i repubblicani, ai quali fu assegnato solo il ruolo di spauracchio o di riserva) era inidoneo a raggiungere perfino i limitati obiettivi dapprima formulati : scompaginare e ruinare il ministero fascista o con lo sfaldamento della maggioranza parlamentare, - sfaldamento provocato a distanza, dal cocuzzolo dell' Aventino - o con l'agitare Ja questione morale. Comprese, infine, che, il fascismo - che aveva preparato il terreno rivoluzionario - nel disporsi, poi, ad impedire la rivoluzione, profittava della collaborazione incosciente della tat1ica aventiniana. E vide proprio esatto il popolo ; gli ultimi gesti aventiniani gli danno oggi, a pieno, ragione : l'aventinismo non fu mai - lo ha dimostrato e lo sta dimostrando - un complotto, come volle far credere il Governo per giustificare alcuni suoi atti di polizia; sebbene un pacifico convivio proponentesi questo limitato scopo politico: una maggiore dose costituzionale di libertà (perchè saremmo sempre nel campo costituzionale anche quando si creas·sero degli istituti a presidio delle parsimoniose libertà contemplate nello Statuto) ; era ed è esso, in sostanza, l'anti-rivoluzione in un momento in cui la rivoluzione affiora come psicologia, se non come volontà ; anti-rivoluzione che vuol dire contributo alla perennità degli istituti politici 'vigenti, i quali stanno in cima al pensiero, più o meno espresso, così del fascismo, fatBiblioteca Gino Bianco

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