La Critica politica - anno V - n. 1 - gennaio 1925

Ll\ CRITICI\_POLITIC.l\ R.IVISTA MENSILE ANNO V. gennaio 1925 F ASC. 1. Critica alle • • • oppos1z1on1 Confessiamo di avere creduto pure noi che si fosse alla fine dell'esperimento fascista. Veramente l'atteggiamento e il metodo delle opposizioni non ci fecero mai del tutto convinti. Chi ci ha seguito ricorderà i nostri dubbi e le nostre riserve. Che la vita politica italiana dovesse uscire dal fascismo per ricadere negli uomini e nella pratica del passato - era questa una soluzione alla quale non sentivamo assolutamente di adattarci. E tuttavia era la sola nella quale l'azione delle opposizioni - per il modo in cui si svolgeva e in quanto fosse da considerarsi azione - potesse sboccare. Ci piacesse o non ci piacesse, ciò che si vedeva e specialmente ciò che si diceva, tutto lasciava credere che la soluzione fosse quella e a scadenza molto prossima. Lo dicevano i < bene informati >, lo ripetevano i giornali e, con accento di assoluta certezza, lo affermava .... il Giornale d'Italia. Persino molti fascisti ebbero la sensazione della fine. Negli ultimi giorni dell'anno si poteva notare un certo disorientamento e sbandamento nelle file del partito. Chi poteva ristabilire coi propri avversari relazioni di cordialità si affrettava a farlo. In una città del Mezzogiorno d' Italia dove, chi sa come e perchè, era giunta la notizia della caduta del Ministero si giunse a vere e proprie manifestazioni per la riconciliazione. All' infuori. di Mussolini, il quale forse sapeva di poter contare sulla solidarietà della Corona, tra gli stessi gregari di primo bando si nutrivano forti preoccupazioni per le decisioni che, di fronte alle accuse che si facevano al capo del Governo, avrebbe potuto prendere il re. Costoro dimènticavano probabilmente, al modo stesso in cui lo dimenticavano i costituzionali dell'opposizione, che re Vittorio è un re costituzionale. Mussolini, invece, ha avuto ancora una volta ragione dei propri avversari. Nettamente ha raddrizzato la propria posizione di dominio. La gra- · vità delle accuse che Io investivano senza requie lo hanno fatto compreso che si trattava per lui di giuocare tutto per tutto. E, dopo molte incertezze, si è gettato nel giuoco con la volontà decisa di resistere e di vincere. Le -Opposizioni chiedevano che il re gli togliesse tutti i poteri, perclfè egli che era a capo del Governo fosse posto· di fronte alla Giustizia nella posizione <iel cittadino qualunque, ed egli chiese più ampi poteri. Li ha ottenuti. E U esercita_. Per vie, diciamo così, legali egli riesce a ciò a cui non saa-ebbe riuscito mobilitando e mettendo in azione lo squadris~o. E potrà " Biblioteca Gjno Bianco

2 LA CRITICA POLITICA dare carattere di legalità e scopi di normalizzazione a ciò che avrebbe carattere di grave violenza illegale se ottenuto attraverso l'azione degli squadristi, la quale non avrebbe potuto svolgersi con quella estensione simultaneità e continuità con cui può svolgersi l'azione dei funzionari dello Stato. Le limitazioni ai diritti della stampa, ad esempio, hanno un carattere ed una portata generali. La distruzione e l'incendio di dieci o venti giornali (metodo toscano) non sarebbero ~ai bastati ad impedire che giornali o fogli ostili al governo continuassero a stamparsi e a circola.re. A soffocare la cosidetta < questione morale> non sarebbe bastata una manganellatura generale, di stile, chè anzi l'avrebbe aggravata. Le limitazioni al diritto di stampa possono impedire che se ne parli e se ne discuta. Si deve riconoscere in Mussolini quella prontezza di decisioni e indifferenza dei mezzi che sono mancate assolutamente nei suoi avversari e in cui consiste la loro debolezza. Egli non si ·sente e non si tiene legato a un 1netodo o ad una consuetudine, non si lascia dominare da alcuni pregiudizi che si sono lasciati accreditare senza motivo plausibile, come quelli della < forza della pubblica opinione > e delle < norme costituzionali>. È convinto che una opinione pubblica come elemento. determinante delle situazioni politiche non esista e non sia esistita nel passato. Politicamente può anche far comodo ad un governo, ad ogni governo, parlare in suo nome e fare corrìe se la possedesse e pretendendo di possederla. Ma, in definitiva, si tratta sempre di un problema di forza per risolvere il quale non gli uomini contano, contano i mezzi. Sessantamila carabinieri sono più che sufficenti per tenere a posto quaranta milioni d' italiani, e cioè quella parte di essi che non intendesse mantenersi ossequente ai poteri costituiti. E un uomo armato (ecco il problema della Milizia) vale sempre, in ogni caso, di~ci uomini disarmati. Quanto alle (:buone norme costituzionali > egli sa benissimo che nessuno l'ha ançora scritte e sanzionate, e che il parlamentarismo attraverso il quale tali norme sarebbero entrate in uso, è stato sempre una finzione' e non una realtà costituzionale. Esiste una Costituzione, 1na lo spirito della Costituzione è tale che in essa Mussolini può stare a proprio agio senza nessun bisogno di uscirne per ottenere i suoi scopi e per applicare i suoi metodi. Ci è restato, dunque, e ci resta. Il Parlamento egli non si è mai sognato di abolirlo. Lo ebbe favorevole quando .... gli era contrario. Poi ha fatto le elezioni e se lo è fabbricato come ha voluto. E potrà continuare a fabbricarselo come vorrà, con qualsiasi sistema, con o senza il suffragio universale, con il semplice uso di quei mezzi, in cui consiste la forza, e .che gli hanno già servito magnificamente una volta. Di quali mezzi si è egli servito di cui non si servissero già gli altri Governi? Di cui non si sia servito Giolitti (1), ad esen1pio? Nes- (1) Nella seduta parlamentare del 16gennaio, all'on. Giolitti che lamentava come la libera manifestazione sia resa nelle elezioni impossibile, Mussolini avrà ragione d'interrompere: < Vengo a scuola da lei, in fatto di elezioni 1, E Giolitti di rimando: < Lei è troppo modesto. Le elezioni fatte da lei hanno portato qui una maggioranza che io non ho mai sognato di avere >. BibliotecaGino Bianco

CRITICA ALLE OPPOSIZIONI 3 sun governo - si osserverà - arrivò a servirsene sino a tal punto e ,. su così larga misura~ È verissimo. E sta in ciò la sua abilità e la sua fortuna. Mussolini non ha fatto che sviluppare e perfezionare un sistema di elezi,oni messo in uso da coloro che Io hanno preceduto nel governo dello Stato. Non ha inventato niente. Ogni cosa resta nei termini della Costitùzione, come prima. Con essa il Governo è a posto. C'è un Parlamento, c'è il Senato. Qui, su questo punto, ha ancora una volta ragione l' on. Mussolini : gli oppositori pretendendo che il re lo licenziasse si posero fuori della Costituzione, anzi contro la Costituzione. La Costituzione ha consentito a Mussolini di assumere il governo nonostante che la Camera fosse fino a quel momento favorevole all'on. Facta. Ma alle porte di Roma e' erano le camicie nere accampate. Ora non ci sono altre camicie di colore in vista o alle porte. C' è invece per il Governo una sicura maggioranza alla Camera. Ed è ciò che ha importanza. Particolari violenze, delitto Matteotti, questi_one morale non sono cose di cui si possa o debba pretendere che il re abbia ad occuparsi: la Costituzione lo vieta. C'è per questo scopù la Magistratura. Ed è recare offesa a questa altissima istituzione dello Stato solo dubitare della sua indipendenza. Si lasci, dunque, che la giustizia faccia il suo corso. Quanto a mutamenti nel Governo provino le opposizioni a rovesciare la situazione alla Camera. O altrimenti provino a fare esse_ una seconda < marcia su Roma> .. Le opposizioni si trovano oggi impigliate entro le corna di tale dile1nma. r Ci si sono lasciate prendere. Ed è qui il loro errore : essere cadute inconsideratamente nel giuoco dell'on. Mussolini; avere impostato una battaglia senza la decisione di condurla sono 'in fondo, senza farla anzi; avere creduto e lasciato credere alla propria vittoria senza nulla avere in mano che servisse a dar loro tale certezza. Errore di metodo, difetto di azione, mancanza di programma. Fu errore l'avere insistito ad operare nella Camera in vista di un risultato da ottenere là dentro, dopo essere uscite dall'aula e avere proclamato la loro incompatibilità a rimanervi. La secessione sull'Aventino voleva dire interruzione di ogni rapporto, di ogni forma di relazione tra le due parti della Camera. Tra gli eletti per libera scelta dei cittadini (1) e quelli del Listone, eletti d'ufficio, s'era scavato un solco; logicamente bisognava approfondirlo.· Bisognava prendere maggiori contatti col paese e solo con il paese. Invece i contatti, interrotti nell'aula di Montecitorio vennero subito Tipresi nei corridoi. I deputati che erano usciti sdegnosamente dall'aula si affollarono alle tribune. Era l'anima parlamentaristica che riprendeva il sopravvento. Si attese cos) da questa Camera (1) Per la verità tra i" deputati di opposizione ve ne sono anche di quelli (qualcuno) che devono proprio ~i fascisti - che li hanno personalmente favoriti in odio ad altri candidati della stessa lista più. quotati e meno graditi - la loro elezione e che, per riuscire, non hanno avuto ritegno di puntare su quel favore la carta del loro personale successo. iblioteca Gino Bianço

.. r • 4 LA CRITICA POLITICA que~lo che contro M,ussolini non aveva saputo fare _la _Came~aeletta da Giolitti. II colmo della ingenuità I Si fece calcolo sut d1ssens1, sulle defezioni, sulle ambizioni insoddisfatte, si pensò sul serio di disgregare la maggioranza. A qualche piccolo risultato in tal senso - e non precisamente dovuto all'opera degli oppositori -:- si diede gran peso. I vecchi parlamentari dell'opposizione si sentirono rinfrancati e si rimisero i~ attività di servizio. La vita di Montecitorio per i deputati di opposizione non iu mai cosl intensa come in questo periodo in cui dissero· di volerne restare fuori. E fu cosl, attraverso le chiacchiere, i si dice incontrollati e incontrollabili che essi smarrirono il senso della situazione. Quante voci non _sono corse là dentro negli ultimi ~giorni dell'anno? E quante assicurazioni 1 < La nuova legge elettorale era il risultato di un compromesso >. <( Mussolini si rassegnava a lasciare il Governo purchè · gli lasciassero fare l'amministia >. < Tutto era oramai deciso>. Non aveva detto Giolitti che se c'era < una cosa certa era che non sarebbe stato Mussolini a fare le elezioni > ? < Il re è d'accordo > si ripeteva. A sentirli certuni sembravano perfettamente al corrente dei pensieri e delle decisio~i della Corona (e per troppo zelo agivano da.... cattivi monarchici) ; tenendo poi conto della loro qualità, del loro grado e delle posizioni già occupate c'era da crederli. Le voci di Monteritorio passavano ai giornali, si trasfondevano negli articoli, nei titoli, nel notiziario. Le illusioni degli oppositori di Montecitorio divenivano certezza nel Paese. E nulla ha fatto più male, ha depresso maggiormente. gli animi determin~ndo un senso di smarrimento in coloro che avevano creduto, come la brusca smentita. Chi volesse esaminare l'azione delle opposizioni parlamentari troverà~ che essa è stata presocchè nulla. Fu solo dopo l'eccidiò di Matteotti che queste si accorsero di avere un compito unitario da svolgere, e l'~tto più importante ·che abbiano compiuto è stato e resta quello della loro ùnione. Ma 'l'unione supponeva anche un proposito e un piano di battaglia: l'uno mancò, l'altro non si vide. Si assegnarono essi, i deputati, la direzione del movimento - scavalcando arbitrariamente i partiti nella loro funzione specifica - e soppressero il movimento. Senza la libera iniziativa della stampa, la opposizione non si sarebbe vista e non si sarebbe sentita. Della vivacità della < campagna morale > i parlamen- _ tari hanno una responsabilità assai relativa; mentre si deve unicamente ad essi se restò, nei suoi risultati immediati e visibili, una campagna a vuoto, come certi spari di mortaretti nelle sagre rurali. La loro~ tattica fu temporeggiatrice, sempre in attesa di un miracolo che non doveva avvenire. La loro occupazione più importante la redazione del solito comunicato. Tutto ~u misura con una· costante preoccupazione di non precipitare, di non andare oltre certi segni, di non toccare le suscettibilità cli questo o di quello, di coloro che erano dentro e di coloro che erano fuori. I gruppi e gli elementi più decisi, si trovarono in tal modo priBiblioteca Gino Bianco

J. CRITICA ALLE OPPOSIZIONI 5 gionieri degli elementi più tiepidi e misurati. La mentalità degli esponenti maggiori e la necessità di non prendere decisioni che non fossero · collettive e che non raccogliessero l' unanimità faceva il resto, rendendo i movimenti lenti e difficili. E invece in una situazione come quella impersonata da Mussolini era sopratutto questione di prontezza, di· agilità · e di decisione:- unico modo per riparare alla disparità assoluta dei mezzi. Non diciamo che le opposizioni avrebbero potuto vincere la loro battaglia. Ciò rientra nel campo delle ipotesi. Ma intanto la battaglia si sarebbe effettivamente combattuta: ci sarebbe stato ~no schieramento, ciascuno avrebbe misurato le proprie forze e la propria capacità, di sacrificio anche, e si sarebbe infine visto il Paese. Giacchè in una situazione come l'attuale è il Paese che conta e che deve contare. Finora tanto gli uni che gli altri, fascisti e antifascisti, lo hanno condannato a fare la parte di assente o di comparsa. Ciascuno pretende di rappresentarlo, però di fatto, per manifestazioni visibili e spontanee, esso non si vede giacchè non si muove. E se non si muove il Paese, chi si deve muovere dunque ? Quali contatti han preso con esso le opposizioni e in quali accasioni, con quali manifestazioni visibili ? Se il Paese è colle opposizioni bisognava proporsi di farlo vedere. Per manifestare le occasioni e i modi si trovano sempre 1 La famosa battaglia ostruzionista dopo il '98 ebbe successo perchè anche il Paese si mosse e non gli si disse di aspettare. Gli oppositori. di quell'epoca non si erano ancora sufficientemente parlamentarizzati. Quelli di oggi hanno appen~ tentato un comizio, a Milano e dopo la.... < gaffe di Facchinetti > si sono subito ritratti indietro. E non è solo questione di comizt : si trattava pure di dire co_sa· si vuole, dove si pensa di arrivare, di avere insomma un programma d' idee, di cose e di soluzioni. Se Io sono mai dato le opposizioni ? Nossignori, hanno avuto paura perfino di averlo 1 E hanno avuto la cura di far sapere che non si proponevano affatto la successione al fascismo, non lavoravano per se, ma .... per gli altri. Per cui l'avvenire si chiamava: Giolitti, Salandra, Orlando - gli uomini del passato, responsabili maggiori del presente. Prospettiva troppo magra invero per il popolo italiano 1 Ed ora? Si ricomincia. Come ? È quello che vedremo. Si vuole che nella vita le esperienze servano semp~e a qualche cosa. Per il momento il ten1a in discussione_ è: < entrare o non entrare>? E c'è chi pensa che. la battaglia sia stata perduta appunto per non essere rimasti dentro e che si potrebbe ricominciare rientrando. Se non fosse troppo tardi 1 Concluden~o. Preferiamo, a quella di prima, questa situazione. Almeno ci si vede chiaro : si sa quello che è e dove si va a finire. OLIVIERO ZUCCARINI Procurate abbonati alla CRITICA per il nuovo anno. Fatela penetrare nei Circoli di lettura, nelle Biblioteche . .Biblioteca Gino Bianco

Il partito del lavoro I dirigenti della Confederazione del Lavoro, prima della guerra, av.evano più volte accennato alla possibili~à della costituzione di un partito del lavoro in Italia, come specifica rappresentanza degli interessi operai nel campo politico senza i vincoli e gli impacci di pregiudiziali teoriche : l' idea venne di quando in quando riaffacciata nell'immediato dopoguerra, anche quando gli stretti vincoli fra il partito socialista e i derigenti della Confederazione furono consacrati dall' infelice alleanza fra · organizzazioni economiche ed organizzazioni politiche socialiste, risoltasi in danno per le une e per le altre e denunciata quando il frazionarsi del partito socialista palesò l'assurdo di patti del genere. Il vagheggiato partito del lavoro si presentava allora come un tentativo di· c~stituzione di un partito dichiaratamente riformista, alieno dalla fraseologia rivoluzionaria e propenso a contatti con quella democrazia, che ha avuto sempre · tendenze favorevoli a una sapiente legislazione sociale e all'allevamento artificioso di cooperative sussidiate, di aziende municipalizzate, di esercizi statali: ed appariva quindi sotto luce molto sfavorevole per chi non crede alle delizie dell'intervenzionismo di Stato e all'utopistico paradiso del riformismo facilone. Quelle tendenze e quelle aspirazioni hanno preso ora la loro forma concreta nel Partito Socialista Unitario, che non ha pregiudiziali contro la collaborazione con un Ministero borghese, e parrebbe superflua la costituzione di un partito del lavoro sotto gli auspicii dei dirigenti ~onfederali, spiritualmente legati al partito socialista unitario. Invece s,i torna a parlare con insistenza di questo nuovo partito, discutendone nei convegni confederali e in Battaglie sindacali; si ha quindi l' impressione che istintivamente i capi dell'antica organizzazione operaia sentano l'insufficienza del partito socialista unitario a soddisfare le esigenze spontanee degli operai organizzati e cerchino un'espressione politica più adeguata a queste esigenze per il giorno in cui il movimento operaio potrà nuovamente svolgersi. Il tipo inglese dell'organizzazione politico-economica della classe operaia esercita il suo influsso su queste aspirazioni ancora non ben precisate dei dirigenti confederali, che fino a qualche anno fa cercavano a Berlino i modelli e le ispirazioni. Può essere quindi di notevole interesse seguire con attenzione queste discussioni, anche se è innegabile che i confederali italiani abbiano una mentalità troppo riformistica in fatto d'intervenzionismo statale e aspirino a inqùadrare il 1novimento operaio italiano in organizzazioni a tipo rigido e accentrato. Se i confederali col loro partito del lavoro non vogliono fare un dopBibliotecaGino Bianco

IL PARTITO DEL LAVORO 7 pione del partito socialista unitario o non mirano a essere il ponte di collegamento fra massimalisti e unitarii, tendendo invece schiettamente a costituire una rappresentanza politica degli operai e contadini italiani, il loro tentativo dovrebbe concretarsi in una federazione di organizzazioni economiche della classe operaia con l'adesione di quei gruppi politici, che pur partendo da diverse premesse ideali consentano nella finalità dell'emancipazione operaia e in alcuni definiti punti program1natici di attualità più o meno immediata, consentendo loro un'ampia libertà di pensiero, di discussjone e di critica. I partiti politici dell'Aventino oggi sono totalmente assorbiti dalla pregiudiziale antifascista, e pongono tutta la propria attività nella formula negativa della secessione, senza rendersi conto che questa loro tattica li incapsula ogni giorno più e li estrania dall'anima del paese, che vuol sapere chi succederà al fascismo e con quali direttive. L'Aventino, almeno per i non iniziati., appare un blocco formidabile di opposizione, non un complesso organico, capace di prendere la direzione della cosa pubblica con idee chiare, con propositi definiti : può dare un ottimo Pubblico Ministero per il processo al regime, ma non appare capace di dare ali' Italia un governo, che abbia carattere di stabilità e sappia mantenere l'ordine indispensabile per lo svolgimento dell'attività economica, senza paurosi arresti e senza i temuti salti nel buio. Nè il Comitato delle opposizioni nè la stampa di opposizione sembra si sieno posti il problema del domani, troppo presi dalla lotta odierna condotta sul terreno delle schermaglie parlan1entari, malgrado la diserzione dell'aula < sorda e grigia>. Rifuggendo dall'idea di un blocco vero e proprio, per il triste ricordo di quell'alleanza dei partiti popolari che seguì all'ostruzionismo contro Pelloux, e preoccupandosi nel contempo di evitare ogni scissione e ogni distacco, gli aventinisti non scendono all'esame dei problemi concreti, fra cui primeggiano il regime fiscale e i trattati doganali, limitandosi alla questione morale e alla riaffermazione teorica dei diritti alla libertà di stampa, di associazione e di riunione, col rischio di isolarsi dalle profonde correnti di vita che si agitano nel paese, e di giungere alla vittoria senza essere preparati ad affrontare le gravissime responsabilità di quell'ora, al pari di un Kerensky qualunque. Questa in- . capacità, che dura da un biennio e che si è mostrata in tutta la sua im~ pressionante gravità dalla secessione in poi, si presenta talmente connaturata con le tendenze e la 1nentalità dei capi dell'opposizione da far apparire impossibile che gli uomini dell'Aventino romano riescano a superare la fase della negazione per passare a quella delle affermazioni concrete. Il compito del partito del lavoro potrebbe e dovrebbe es·sere quello di formulare. nettamente le direttive del governo di un domani più o meno prossimo. Gli aventinisti contano fra loro oratori e scrittori di cartello ; non mancano fra loro polemisti vivaci, teorici di valore e...• uomini scaltriti negli affari; difettano invece gli uo1nini di buon senso, ·Biblioteca Gino Bianco ,

8 LA CRITICA POLITICA i pratici della vita di ogni giorno, i modesti industriali e agricoltori che abbiano quotidiano contatto con la realtà economica ; stanno troppo a Roma anche quando piove, e ignorano la sana, la concreta provincia, di cui ricordano le chiacchiere di farmaci a e le piccole beghe amministrative dei disoccupati, non il faticoso lavoro. Conducono così una lotta bril-. Iante e serrata contro gli epif eno1neni del fascismo e contro la mutevole tattica del Capo del Governo, ma non elaborano le direttive di un'azione di governo, che possa trovare in forze cospicue del paese l'appoggio sicuro, rispondendo ai loro bisogni interiori. Elaborare queste direttive è invece una necessità fondamentale, e il vagheggiato partito del lavoro potrebbe essere uno dei centri di coordinamento delle genuine e schiette forze di provincia, che vogliono sopratutto lavorare in. vera pace senza essere ·troppo frastornate da aspre lotte politiche e che allo Stato chiedono un alleviamento reale dell'eccessiva pressione fiscale e una politica doganale, . che non ostacoli le esportazioni col pretesto di impedire le importazioni. , I problemi politici che l'Aventino pone interessano senza dubbio i politici e appassionano i lettori di giornali, sp~cialmente · nel momento in cui leggono; negarne la essenziale importanza sarebbe stolto, in quanto nessuno può negare che una politica di compressione minaccia di riuscire letale al paese per i rancori che dissemina, e che gli illegalismi di ogni genere turbano profondamente la ~ivile convivenza. Ma al di là di essi esistono anche i concreti problemi economici, e. cioè la sicurezza per la produzione, l'ordinamento fiscale, i rapporti internazionali degli scambii; e questi problemi fonda1nentali se non rendono appassionate le discussioni giornaliere sono quelli che influ_iscono sui movimenti profondi della vita nazionale. La costituzione di un partito del lavoro, che, lasciando da parte le pregiudiziali politiche e scolastiche, affrontasse i problemi concreti su accennati o ne' ponesse altri egualmente concreti e attinenti alla vita reale, da un punto di vista generale contribuirebbe efficacemente a quella educazione politica degli italiani· che da Massimo D'Azeglio in poi è stata sempre invocata, e gioverebbe sopratutto all'educazione politica degli operai e dei contadini, sottraendoli al circolo chiuso delle formule dottrinarie in cui la loro azione è stata sin qui irretita, per la maggior fortuna di una politica di ceti che determinava il danno collettivo. I responsabili dell' indirizzo impresso sino al 1921 alla Confederazione del Lavoro non sembrano certo i più indicati per avviare questa nuova politica veramente liberale del movimento operaio ; ma se uri sano istinto e la dura lezione dell'esperienza li avesse persuasi degli errori commessi e della necessità di aprire· le porte a tutti coloro che sinceramente hanno fedé nell'avvenire della classe operaia per faticosa con- . quista propria, per diuturno sforzo inteso al proprio miglioramento morale, la fortuna che indubbiamente merita arriderà al tentativo. GIULIO PIERANGELI Biblioteca Gino Bianco

- _Unproblema spirituale del -partito repubblicano In un articolo pubblicato due anni or sono su questa medesima rivista ebbi occasione di indicare in alcune preoccupazioni di indole morale e nell'esigenza, fortemente sentita, di una rigida coerenza logica, il motivo fondamentale per cui era sembrato che il partito repubblicano non avesse saputo sfruttare - in effetto vi aveva consapevolmente rinunciato .- alcuni avvenimenti favorevoli a una soluzione repubblicana qualsiasi del nostro processo unitario : esempi tipici, la fronda plutocratica dell' immediato dopo guerra e l' impresa fiumana. In quel mio articolo, dopo aver discorso con spirito di massima obbiettività dei vantaggi e delle 1nanchevolezze dell'orientamento ideale e politico a cui rispondeva l'azione repubblicana da me esaminata, concludevo così : < il partito repubblicano dovrà decidersi a seguire una di ques~e due vie : o a mettersi sul medesimo terreno degli altri partiti, con tutti i vantaggi e con tutti gli svantaggi relativi, o ad accentuare ancora più la sua individua, specialissima fisionomia storicf:t e tradizionale, oppure .... dovrà trovare fra questi due estremi dialettici una conciliazione che sia veramente tale e non un acco1nodamento fra criteri e soluzJoni diverse >. Orbene, l'~cqua che è passata sotto i ponti tra il 1922 e il 1925 non ha modificato affatto, a mio modo di vedere, la natura e l' importanza del problema accennato più sopra: problema che è ancora di attualità nonostante che la situazione politica - di giorno in giorno più grave e più favorevole all' impostazione di una grande e chiara lotta fra i due opposti principi di libertà e di reazione - vada conciliando in un'unica passione le interne divergenze d' indole dottrinaria. Anche in una recente occasione si sono scontrate fra di loro le due. concezioni facienti capo agli estremi dialettici accennati nell'articolo su indicato : da una parte coloro che sentono il repubblicanes~mo come una specie di tradizione religiosa che vuole essere mantenuta estranea ad ogni contaminazione politica e ideale e che trionferà - perchè è la verità assoluta, la verità religiosa : la repubblica è l'unica forma logica di governo - o con l'apostolato instancabile o con l'azione rigidamente repubblicana e volta a fini esclusivamente repubblicani o con ambedue questi mezzi; dall'altra parte coloro che concepiscono l'avvento repubblicano soprattutto come il risultato obbiettivo della lotta politica e dello svo~gimento progressivo di una serie di posizioni storiche aventi ciascuna ··Biblioteca Gino Bianco

10 LA CRITICA POLITICA la sua ragione d'essere e il suo valore. I primi sono i_nprev~lenz_a i t~adizionalisti i moralisti, i dottrinari della lotta repubblicana, ti cui abito spirituale è, in un certo senso, la trascendenza ; _i secon_di sono i p~litici e i problemisti, calati nella storia e apprezzatori sereni del co_nt~1?~to parziale che ogni periodo storico ha apportato ed apporta alle def1n1tive soluzioni repubblicane. dottrinari dividono il mondo e la storia in due parti nettamente distinte e alle posizioni intermedie - quelle che ai credenti sembrano malate di scetticismo - preferiscono l'assoluto contrario perchè intuiscono, nel loro fervore apocalittico, che un estremo richiama l'altro : si tratta di una specie di intuizione morbosa del processo storico dovuta all'esaltazione interiore e avente un singolare riscontro con _laconcezione marxista dei trapassi violenti. I politici, invece, vedono le cose da un punto di vista meno astratto e più realistico ; repubblicani e sollecitatori fervidissimi delle soluzioni repubblicane, sacrificano il piacere delle antitesi violente a una obbiettiva valutazione delle penombre e dei passaggi graduali. La malattia dei dottrinari è rappresentata, dopo un periodo più o meno lungo di attività, dal torpore e dalla fede passiva che, stanca ormai di operare, aspetta, inutile a sè e agli altri ; i politici tendono invece - quando sono privi di tenacia e di forza morale - a scivolare nel movimento democratico e là rimangono, a seconda della loro sincerità e dei successivi sviluppi della loro crisi, più o meno fedeli ai primitivi ideali .... Credo che non vi sia alcuno il quale, possa pensare, almeno sin qui, che io non 1ni sia attenuto nella mia esposizione a criteri di assoluta obbiettività. Mi sono limitato infatti a una serie obbiettiva di constatazioni aliene da giudizi di valore. Non è necessario, penso, di avvertire · che la distinzione di cui sopra non vuole essere rigida e assoluta nè pretende di esaurire nei suoi termini tutta la varietà del carattere e della coltura repubblicana: non è la sola distinzione o classificazione che possa farsi ma è indubbiamente, a mio modo di vedere, una delle più importanti e delle più rispondenti agli elementi costitutivi dello spirito repubblicano ; distinzione che è stata sino a poche settimane fa sospinta in primo piano dalla specialissima situazione politica. Nello stesso modo basterà accennare una volta per tutte che qui non si prendono in esame che gli atteggiamenti di coloro i quali partecipano attivamente e sinceramente al movimento repubblicano : degli altri, di quelli che hanno abbandonato la milizia repubblicana per viltà, ,per stanchezza o per il raggiungimento di scopi personali e particolari, non si vuole in nessun modo .parlare. Confesso che due anni fa, quando io posi su questa rivista il problema che ho indicato più sopra, il mio spirito tendeva, come ora, a una conciliazione delle opposte esigenze repubblicane facendo però una parte- .più larga di quella che non faccia ora al carattere tradizionale, religioso e moralistico del partito. Nella mia prima giovinezza, poi, io fui - nei limiti modestissimi delle mie forze - uno dei più strenui assertori di BibliotecaGino Bianco

UN PROBLEMA SPIRITUALE DEL PARTIT9 REPUBBLICANO 11 un'eroica e integrale ribellio"ne del partito alla realtà politica che lo circondava ; nelle nostre battute polemiche ricorreva molto spesso, allora, quel riferimento alla posizione del cristianesimo primitivo in mezzo al mondo pagano di cui si compiaceva il Sorel nei suoi scritti sindacalisti. Ora invece la maggiore esperienza politica e l'amaro ma più virile sapore della realtà hanno fatto sl che al gusto degli amori platonici - purissimi ma sterili - sia successo pian piano quello di altri amori, sempre illuminati dal riflesso di un obbietto ideale ma più umani e fecondi. Negli avveniinenti svoltisi fra il 1920 e il 1922 i due fondamentali criteri direttivi dell'azione repubblicana - quello dottrinario e moraleggiante da una parte e quello prevalentemente politico da un'altra - si erano trovati concordi in una medesima valutazione o, per meglio dire, svalutazione delle possibilità repubblicane offerte dal malcontento della plutocrazia e dall'esasperazione nazionalistica di cui era sintomo l' impresa fiumana; ma le divergenze di mentalità e di valutazione politica sedate allora, riaffiorarono presto, col 1nutare della situazione, alla superficie. Che cosa si deve fare, in sostanza, nel partito repubblicano : si deve partecipare alla lotta politica oppure si deve fare della morale e della dottrina rimanendo insensibili alla sterilità politica cui indubbiamente condanna questo secondo atteggiamento ? Si devono sollecitare, senza eccessivo timore di offuscare la propria rigidità dottrinaria, le forze politiche non repubblicane ma suscettibili di provocare a un certo punto, per le fatali contradizioni che portano in seno, una situazione repubblicana, oppure si deve limitare l'azione del partito all'apostolato e alla critica 1norale? In altre parole : si vuol fare della politica, nel senso più nobile e più alto della parola, oppure si vuol rendere il partito repubblicano simile a una setta protestante, limitandone l'azione a una predicazione dottrinaria o religiosa a seconda del tempera1nento e del gusto personale di ciascuno ? L~ due vie non sono sempre, come è stato già accennato, in contrasto fra di loro ; vi sono anzi dei periodi in cui si confondono e si conciliano in una sola: se nel fatto, però, possono qualche volta confluire, questo non significa che i principi da cui procedono siano identici o idealmente conciliabili. Molte volte i repubblicani si lamentano dei loro scarsi successi politici e ne attribuiscono la causa alla malizia dei tempi, all'incomprensione degli avversari o all'atteggiamento da loro seguito in que~to o in quel periodo : la verità è che essi portano nel loro spirito, nel loro preponderante rigorismo morale, nel loro disdegno per le transazioni e gli accomodamenti che sono idealmente ripugnanti ma politicamente fecondi, la ragione prima dei loro ·insuccessi. In linea di massima io credo che se i repubblicani vogliono essere davvero una forza viva del paese, devono tendere a fare soprattutto della politica. Le altre esigenze del partito devono rimanere, per quel tanto che sono, intimamente aderenti allo spirito dei repubblicani stessi e neces- ·· iblioteca Gino Bianco

12 LA CRITICA POLITICA sarie per mantenere al movimento la sua personalità politica e magari tradizionale ; ma non si deve escludere l' interessamento per un giuoco politico meno primitivo del semplice apostolato e per tutti gli sforzi tendenti a spingere il paese, sia pure per poco, su la via delle progressive e graduali realizzazioni repubblicane o prerepubblicane. A proposito delle quali un giorno o l'altro si dovrà rtconoscere esplicitamente_ che esse costituiscono per il raggiungimento dei supremi obbiettivi politici del partito una serie di fatti altrettanto valevoli, per lo meno, quanto le esplosioni violente determinate, per u~a specie di terribile favore della storia, dai brutali ritorni reazionari. Un giovane di acuto intelletto e di soda preparazione, ebbe occasione di notare un giorno, molto giustamente, che la nostra coltura, per quanto viva, prof onda e aggiornata, presenta sempre, a un certo punto, una specie di hiatus, di frattura. La dottrina rimane da una parte, la realtà dall'altra. C'è, in questa riflessione malinconica, qualche cosa di vero che riguarda soltanto, però, l'involuzione dottrinaria e tradizionalistica del pensiero e dell'azione repubblicana. La posizione di alcuni dottrinari dinanzi alla realtà - molto diversa, purtroppo, dalle nostre dottrine - fa s) che essi si estromettano automaticamente, per loro stessa iniziativa, dal secolo e si obblighino in un certo modo a vivere, fuorchè nei periodi straordinari e tumultuosi della storia, di una vita inerte e contemplativa. Tutti i partiti a fini rivoluzionari hanno o in un programma graduale di conquiste o nelle lotte per le rivendicazioni operaie o nella partecipazione parziale al potere una specie di addentellato con la realtà di ogni giorno : un addentellato che li salva dai pericoli della inerzia fornendo alla loro attività una serie di obbiettivi medi diversi e distinti dall'obbiettivo supremo. Orbene, anche il partito repubblicano, se non vuol ridursi poco più che a una confessione religiosa o a una scuola morale, deve proporsi il problema di questo quotidiano ingranamento c~n la vita politica del paese. L'apostolato e la propaganda non possono assolutamente bastare, per un partito politico, alla bisogna. Il deputato Eugenio Chiesa, per esempio, ha risolto da un punto di vista strettamente personale il problema, dedicandosi alla denuncia sistematica delle itnmoralità degli uomini più rappresent~tivi del regime. È un modo come un altro per ingranare la propria attività nella lotta politica ma può valere per un uomo, non per un partito. Il problema è grave e urgente ; e non c'è da farsi nessuna illusione per il fatto che il carat- · tere tragico e quasi eccezional~ della storia italiana in questi ultimi dieci anni abbia reso attuale, giorno per giorno, la lotta repubblicana. Bisogna preparare a noi stessi le condizioni essenziali di vita e di sviluppo non solo per i momenti eccezionali. ma anche per i periodi di ordinaria amministrazione.· Qualcuno crederà certamente di poter ritrovare nel passato i precedenti delle esigenze da me prospettate e delle deviazioni politiche di Biblioteca Gino Bianco

UN PROBLEMA SPlRITUALE DEL PARTITO REPUBBLICANO 13 éoloro che ad esse obbedirono. Ma a parte il fatto che quei precedenti non costituirono tutti degli errori, come troppo spesso e con soverchia disinvoltura si afferma, resta inoppugnabile la considerazione che le analogie nella valutazione degli eventi storici sono fallaci e difficilissime. Il garibaldinismo generoso e confusionario, il repubblicanesimo condizionato, il radicalismo, la pratica democratica dei tempi immediatamente anteriori alla guerra, sono tutti precedenti nei cui termini si cercherà invano di esaurire la realistica passione repubblicana di molti dei giovani tornati dalla guerra e maturati nel crogiuolo incandescente dei grandiosi avvenimenti dell'ultimo decennio. In questi giovani l'educazione, la coscienza e gli obbiettivi sono decisamente e alacremente repubblicani : ma per le esigenze della loro coltura e della loro mentalità essi sentono il bisogno di agire sensibilmente su la vita politica del loro paese e di combattere ogni giorno le loro battaglie. FERNANDO SCHIAVETTI Alle domande che lo Schiav(!tti pone con quest(! suo articolo, la nostra rivista dà una risposta molto chiara: un'azione repubblicana, aderente alla realtà e rispondende a esigenze insopprimibili del popolo italiano, non può non essere federalista, da quando il processo di accentramento dello Stato e della Banca si è talmente intensificato da fare apparire evidente la incompasibilità fra accentramento e libertà. Come giustamente notava Rodolfo Morandi in un suo recente articolo pubblicato nella Rivoluzione liberale, il problema delle _autonomie non è un probblema di diritto amministrativo, ma è squisitamente e nettamente politico-sociale, e noi come -tale lo ponemmo. La nostra concezione ci ha permesso e ci permette di differenziarci nettamente dal radico-socialismo dei plutocratici e della burocrazia, dal comunismo autoritario, dal popolarismo che predica le autonomie e si dà una organizzazione accentrata e dal fascismo sia esso sindacalista alla Rossoni e reazionario alla Federzoni. Per essa noi abbiamo una sagoma nostra e un angolo visuale nostro per tutti i problemi politici e sociali, che agitano la vita italiana. 1 repubblicani si mettano decisamente per la nostra via e, troveranno il punto di contatto fra la_realtà e le loro aspirazioni ideali risolvendo il problema spirituale posto con tanta sincerità dallo Schiavetti. PRETESA ASSURDA Non v'è legge d'uomo che possa fare gli uomini diversi da quello che. sono. È una pretesa assurda - smentita da tutta l'esperienza passata e re- 'cente - che per realizzare f umana felicità sia indispensabile fissare agli uomini le regole anche più minute del loro operare. Tutti i riformatori sono caduti in questa assurdità : gli utopisti come i pratici, i pratici riuscendo solo a procurare all' umanità sacrifici maggiori. Esempio recente: la Russia. Ancora più assurdo è che la capacità e il privilegio di determinare tali regole debbano spettare solo ad alcuni uomini. La vera felicità, il vero bene è quello che ogni individuo si procura e realizza da sè e per sè, a proprio modo. E per ciò unicamente esiste un problema di libertà che è il problema stesso dellq Stato in quanto i cittadini debbono veder realizzate negli ordinamenti politici le condizioni indispensabili per muoversi e per progredire senza disturbare ma anche senza essere disturbati . .BibliotecaGino Bianco ~

I PRESUPPOSTI DEL PROBLEMAMERIDIONALE Lo Stato borbonico prima della Rivoluzione MICHELANGELO SCHIPA: ll regno di Napoli al tempo di Carlo,. di Borbone. Milano-Roma-Napoli, 1923. . ADOLFO P ANNONE : Lo Stato borbonico. Saggio di storia del diritto pubblico napoletano dal 1734 al 1799. Voi. 1°: Lo Stato e la sua attività amministrativa. B. Seeber, Firenze, 1924. BENEDETTO CROCE: Storia del Regno di Napoli. Laterza, Bari, 1925. La questione meridionale, intorno alla quale· si sono versati fiumi di inchiostro e stampate tonnellate di carta, oramai appare identificarsi col problema dell'unità italiana. Esaurite tutte le ricerche d'indole etnografica, geografica, economica, poste tutte le distinzioni, e descritti tutti gli aspetti del conflitto fra Nord e Sud, si è sentito il bisogno di nuovamente rifonder·e in una sintesi storica quel che s'era già spartito e catalogato, per veder balzar fuori, dal ripensamento, la vivente realtà meridionale, quale fu plasmata dai secoli, ancor oggi in netto contrasto con i n1ultiformi aspetti della vita nell'Italia s.uperiore, non ostante l'uniforme ordinamento burocratico del Regno. Eliminare i motivi di divergenza nel campo economico fra nord e sud, far marciare di pari passo nelle competizioni civili l'una e l'altra parte d'Italia, è cosa che dovrebbe interessare tutti i cittadini, settentrionali e meridionali. Acquista perciò un notevole significato la recente pubblicazione di alcuni studii illustranti il periodo nel quale, prima per vivido rigoglio di pensiero politico, poi per successi d'armi e per accordi diplomatici, indirizzati ad instaurare un nuovo equilibrio europeo, venne a costituirsi quell'autonoma forma politica con quasi tutti gli attributi della sovranità che fu il risorto R~gno delle Due Sicilie. Per intendere la attuale realtà meridionale è necessario controllare quanto c'era di vitale in quella nuova formazione: e con un sapiente bisturi, riporne in luce gli essenziali organi, esaminarne poi la perfezione anatomica, i pregi e i difetti del funzionamento, le cause e lo sviluppo del processo patologico, i mali che trasmise al nuovo organismo italiano. Ed ecco il regno di Carlo di Borbone, balzare in prima linea all'attenzione degli studiosi. Fu esso un periodo luminoso nella vita meridionale, come apparve in seguito al Colletta, che lo contrappose alla tristezza del regno di Ferdinando, oppure questi e gli st.orici che lo seguirono Jurono vittime di una illusione ottica, effetto anche delle passioni di parte da cui erano agitati? Risorse all.ora veramente ad una autonoma vita il popolo napoletano, aumentò il proprio benessere economico, ebbe una maggiore dignità morale, diede spontaneamente impulso al movimento per la creazione del moderno stato, così come era avvenuto in Francia? E la figura Biblioteca Gino Bianco

LO STATO BORBONICO PRIMA DELLA RIVOLUZIONE 15 del Re appare come quella di un degno interprete delle rinnovate esigenze e aspirazioni del suo popolo? Lo storico moderno deve necessariamente compiere una revisione dei giudizi degli storici del passato. E cosl Michelangelo Schipa, con una mole imponente di riçerche archivistiche, batte in breccia la leggenda del felice regno Carolino. L'opera or sono due anni pubblicata, che è una ristampa migliorata e completata del lavo!o comparso nel 1902-1903 nell'Archivio Storico per le Provincie Napoletane, ci mostra il famoso capostipife della dinastia borbonica come un bonaccione di non eccessivo ingegno, dedito . alla famiglia ed ai divertimenti della caccia, incapace di imprimere un indirizzo unitario all'opera incerta dei suoi ministri, nella quale erano da ammirare piuttosto le intenzioni che i risultati pratici. Alla partenza di Carlo per la Spagna le condizioni del Regno erano press'a poco quelle del precedente periodo viceregale. Un maligno studioso, dal segreto animo di eversor di troni e di tiranni, potrebbe osservare che, in fondo, a considerar bene tutti i re, anche i più grandi, ci troveremmo dinanzi a figure non molto dissimili da quella del re saggio celebrato dal Colletta. Le loro demiurgiche facoità non erano, nella maggior parte dei casi che esteriori qualità decorative, accom- , pagnate da un innato buonsenso che permetteva loro di secondare l'opera di intelligenti ministri, interpreti delle necessità del momento. Uno spietato esame, sul tipo di quello compiuto con tanta accuratezza e sapienza di fonti documentarie dallo Schipa, demolirebbe forse la totalità dei sovrani illuminati del secolo decimottavo, e chi sa quali disastrosi effetti produrrebbe sulla fama delle grandi figure coronate del decimonono. Eppure, non sappiamo se per esclusivo merito di Re Carlo e del Tanucci, come crede il Colletta, qualche mutamento. era avvenuto. Uno studioso (1), che seguendo le orme dello Schipa ha esaminato sulle fonti d'archivio il susseguente periodo della Reggenza, e ne ha tracciato un interessante quadro - il Vinciguerra - è costretto a riconoscere che l'aria era cambiata, che uno stato di animo nuovo era in tutte le popolazioni, qualche cosa di non tangibile, ma non per questo di scarsa importanza. NeJla accurata indagine dello Schipa tale constatazione di una nuova ripresa dei valori 1norali sembra mancare. Ed è ben naturale che sia così, poichè le· ingiall~te carte delle segreterie di Stato, nel loro stile protocollare, difficilmente potevano rivelare quel che non era in atcun modo espresso, ma che diveniva una precisa intuizione solo nell' istante in cui si compiva un fatto cosl grandioso come l'abbandono del giovane Regno e del regale fanciullo ai loro destini da parte di chi èra stato l'autore e dell'uno e dell'altro. Carlo si allontanava, riconquistato dalla solenne e gloriosa tradizione - spagnuola. Il Regno viveva ormai di vita propria (per quanto, sin chevisse Carlo, all'ombra dello stendardo rosso-oro), e se nulla di positivo s'era ottenuto, dobbiamo riconoscere, ripetendo una elegante immagine del Vinciguérra, che molto s'era tentato, intrapreso, rimuginato; e •rimaneva quindi il calore di quel fuoco smosso, e poi non ravvivato con nuova legna. (1) MARIO. VINCIGUERRA: La regge11,za borbonica nella minorità dl Ferdina11,doIV (Napoli, < Archivio storico per le provincie napoletane>, 1915-1916-1917). I Biblioteca Gino Bianco

16 LA CRITICA POLITICA Strumenti della storia, Carlo e il Tanucci, avevano tentato di reagire alle .condizioni economiche, sociali, spirituali di stasi d'un popolo che non aveva mai avuto una vita politica comunale, o se l'aveva avuta in principio, non era stato capace di reagire ali' imposizione del pugno di -ferro dei re svevi. Il Barbarossa aveva distrutto Milano, ma non lo spirito d'autonomia dei milanesi; Federico II s'era rotto i denti nella lotta coi , comuni padani. Quaggiù invece eran bastate a_lcune disposiz.ioni legislative di quest'ultimo, ed una rigida linea politica, per fiaccare ogni velleità di resistenza da parte delle Università del Regno. · Il Ministro che aveva una impostazione dottrinaria, perchè proveniva t da una cattedra di leggi, era stato, sia pure con non chiara consapevolezza, sorretto dal Re, nella lotta contro le insidie della Chiesa alla giurisdizione regale. Nell'ambiente napoletano essi avevano trovato alcuni~ appoggi e formidabili resistenze. Gli aiuti erano quelli del nucleo d' intellettuali, eredi della tradizione dell'accademia degli Investiganti, sorti dal rifiorimento spirituale che era stato notato così lucidamente da Pietro Giannone nell' )storia, e favorito e protetto dagli ultimi vicerè spagnuoli. Nella grande capitale, rivaleggiante per popolazione con Parigi, unico centro pensante del Mezzogiorno, era sorta una volontà nuova che aveva avuto modo d'affermarsi durante l'occupazione austriaca. Essa aveva la sua massima manifestazione spirituale nelle opere di Pietro Giannone che erano una continua battaglia di redenzione autonomistica. Ed infatti nel problema dei rapporti con la Chiesa era insito quello della sovranità statale meridionale ; come in seguito vedremo. La ribellione contro le usurpazioni ecclesiastiche era un mezzo per dare una vita morale· · allo Stato e alla Nazione. Cosl, nel periodo austriaco, erano già poste le premesse del regime autonomo, e questo per logico processo e per necessità d'esistenza doveva continuare la battaglia anticlericale. Ma se una simile concezione politica era ben chiara a molti intellettuali che t15ìl:avan<F à. Napoli e a molti personaggi che siedevano in Sacro Regio Consiglio e alla Camera di S. Chiara, ad essa si opponevano anche formidabili interessi, tra- . dizioni, privilegi, nello interno del Regno. Era la condanna ali' impotenza ,~ del centralismo, che avocando a sè tutte le funzioni, aveva isterilito ed uc? ciso ogni sensibilità politica nella provincia. Ed ecco le cagioni del cosidetto fallimento carolino, incapacità cioè di un centro autoritario a mettere in J movimento un organismo anchilosato. Ma appare altresì arbitrario arrestarsi alla partenza del monarca per la Spagna e chiudere con essa un periodo st~rico, per constatare senz'altro un siffatto fa1limento, mentre molti riJuitati . dell'azione di quel primo periodo si poterono vedere in proseguo, durante la reggenza ed il regno di Ferdinando, ed essi furono relativamente note-· voli. Solo che i governanti non avevano alcun potere miracoloso, e ·niente: poteva supplire alla povertà spirituale dell'ambiente meridionale, schiav·o I per questo motivo di baroni ·e di preti. * * * Da una opposta illusione si lascia sedurre un giovane valente studioso, Adolfo Pannone. Egli ci presenta una esposizione dell'ordinamento giuridico · dello stato borbonico: potere centrale, organica provinciale, organica locale, Biblioteca Gino Bianco

I LO STATO BORBONICO PRIMA DELLA RIVOLUZIONE .. 17 norme regolanti l'attività amministrativa. Chi segue passo passo il succedersi delle R. Prammatiche e dei R. Dispacci ha infatti l'impressione dj un còstante progresso verificatosi nella Nazione durante il felice periodo carolino e ferdinandeo. Ma il rinnovarsi di divieti e la conferma di preced~nti disposizioni, rendono dubbioso il lettore intorno alla efficacia pratica di questa le~islazione e alla sua rispondenza con le esigenze della vita. _II pensiero ritorna alle gride di manzoniana memoria che rappresentavano a Napoli un così recente passato. L'esame delle norme emanate dal potere sovrano non può essere element'o sufficiente per controllare le condizioni economiche e morali di una 'Nazione. Molto spesso, come abbiamo visto, la disposizione autoritaria c~de nel vuoto, e dalla realtà sociale viene deformata e resa priva di ogni significato. È questo l'errore in cui cadono sovente i sognatori di buone leggi, anzi di leggi perfette, come mezzo di rifon_na della vita, quale a noi si presenta· con le sue brutture ed i suoi vizi. Praticamente le leggi hanno on valore solo in quanto danno una sistemazione definitiva ad un processo di trasformazione già maturo nell'ambiente; esse codificano quello che è già nello spirito degli uomini e nella realtà delle cose. Ecco perchè l'autonomistica rjforma Gentile, attuata con stile autoritario, si convertl in una grida spagnuola. Ma tuttavia il tentativo del Pannone di darci un completo quadro dell'organismo borbonico (finora è comparso solo il primo volume, riguardante · l'attività amministrativa) serve ad indicarci lo spesso aggrovigliato nesso di dipendenza della nascente burocrazia dai supremi poteri, degli enti locali e dei f~nzionari provinciali dal centro. Il lavoro del Pannone, frutto di diligenti ricerche negli archivi e di accurato esame di tutta la letteratura in proposito, può degnamente adempiere per questo periodo al compito informativo e divulgativo che il Cadier o il Durrieu affidarono alle loro lucidi~sime tr.attazioni dell'organica amministrativa del periodo angioino. Ma esso è sopratutto notevole perchè tocca i due problemi essen~iali dello stato borbonico: quello della sovranità, e quello dell'ordinamento universitario e feudale, che del primo è il necessario complemento. La tratta- ,zione è fatta però con astratti criteri giuridici che rendono opportune alcune . . osservaz1on1. La dipendenza dalla Chiesa cattolica della monarchia meridionale era un motivo ed un indice della sua intrinseca debolezza. Se il vincolo di vassallaggio che rimontava ai Normanni, era stato allentato e quasi distrutto dalla\ rivalutazione dell'autorità regia al tempo degli ultimi svevi, il suo rinnov~lo riconoscimento, e la solenne investitura, ricevuta da Carlo d'Angiò, . avev1tno stabilito una nuova incontrovertibile base alle pretese ecclesiastiche. }La Wcessiva separazione della Sicilia, colpendo a morte le possibilità · -esp~f ive del Regno, aveva inoltre impedito lo svolgersi di una politica .angioina ri,vendic~trice delle prerogative regie. E così, mentre nell'Italia Superiore Comuni, _Signorie e Principati, frantumando la plenitudo potestq,tis .dell'Imperatore, annullavano anche le pretese del Pontefice (salvo nello stato della Chiesa deve la sovranità del Pontefice si potè affermare solo in quanto sovra,!lità del Principe), nel Mezzogiorno d'Italia, rimasto al di fuori di ogni processo autonomistico, il contrasto fra Chiesa e Stato conservava un anaBiblioteca ·Gino Bianco •

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