La Critica Politica - anno IV - n. 12 - dicembre 1924

Ll\ CRITICJ\..POLITICJ\. R.IVISTA MENSILE ANNO IV. dicembre 1924 f ASC. 12. Il fallimento dei giovani All' indomani della guerra da tutte le parti si gridò: largo ai giovani. La nuova era ~torica, che in Vittorio Veneto aveva avuto il suo cominciamento, doveva trovare nella gioventù l' interprete delle sue necessità perchè i vecch.i impastoiati dai loro vincoli col passato non erano al caso di imprimere alla vita politica italiana quel nuovo indirizzo che era pur • necessario. In che consistesse la novità da attuare nessuno sapeva indicare con precisione, ma novità bisognava che fosse, e quindi occorreva collocare a riposo i vecchi. . Cominciarono socialisti e combattenti. Nel partito socialista Turati, Prampolini, Modigliani e gli altri uomini rappresentativi doverono cedere il posto a Bombacci, che agitando I~ gran barba cercava qualcuno da divorare. Nel campo opposto i combattenti predicarono il rinnovamento, e affacciarono i loro uomini. Il tentativo dei combattenti aborn silenziosamente nei compromessi; quello socialista si infranse miseramente, dopo il grande clangore di trombe rivoluzionarie che condussero al disastro le organizzazioni operaie. Si fecero avanti allora i giovanissimi del fascismo, assumendo contemporaneamente un atteggiamento di rivoluzionarii e di reazionarii, e riuscirono a conquistare il potere, tutto il potere. Un biennio di incontrastato dominio li ha logorati : Pinzi, Acerbo, Balbo, Giunta, Rosboch sono scivolati a uno a uno su buccie' d'arancio, dimostrando l' incomprensione radicale dei doveri creati loro dall' improvvisa ascesa. Dall'altra parte si sono riaffacciati i giovani del combattentismo, che al Convegno di Assisi avevano presentato più o meno abilmente la loro candidatura alla successione, trovando insperati appoggi : ma tale era la loro inconsistenza che una seduta parlamentare bastò a liquidare tanto essi quanto Sem Benelli : la discussione sul bilancio degli Interni mostrò in pieno il loro disorientamento, la loro mancanza di ·idee chiare, e il combattentismo visse per la seconda volta per un solo mattino, come una rosa. Per un destino, che può sembrare beffardo, i vecchi sono stati riabilitati completamente, e proprio il più vecchio fra gli uomini parlamentari dell'anteguerra è quello che ha saputo con abilità consumata ricollocarsi in prima linea per ·accorta chiarezza di idee e di propositi : Giolitti, l'esponente tipico della vecchia Italia parlamentarista e burocratica. SaBiblioteca Gino Bianco .,,

490 LA CRITICA POLITICA velli, Forni, Benelli apparvero incerti sul di fare, o 1nutarono opinione nel corso di poche ore : Orlando non seppe assumere una posizione veramente netta : Giolitti disse il suo no, con una schematica dichiarazione di voto, in cui apparvero la sua sicurezza logica e le sue attitudini di chiarificatore e di semplificatore. È amaro constatarlo : ma è cos). Facile è spiegare con una tautologia il fallimento dei giovani: manca ad essi la necessaria preparazione spirituale e morale, li spinge il bisogno del sollecito guadagno, hanno fretta di arrivare, sono ingenui, hanno avuto facile la via dell'ascesa, non sono la risultante di un processo selettivo, e.... si può continuare. I vecchi hanno esperienza degli uomini e delle cose : la retorica non fa più presa su loro, sono scaltriti, hanno raggiunto le loro posizioni dopo una serie di prove, e.... anche qui si . può continuare. Ma evidentemente non basta : ci deve essere una ragione più profonda, più inti1na; le cause del fenomeno occorre rintracciarle anche al di là della psicosi bellica, e chi spinga la sua indagine oltre quest'ultimo quinquennio avvertirà dei fatti, che spiegano questo triste fallimento della gioventù. La borghesia italiana da un cinquantennio almeno si _va estraniando grado a grado dalla vita politica: attende ai suoi traffici, ai suoi affari, ai suoi campi, ma abbandona progressivamente le sue funzioni di classe dirigente nel campo politico, affidandole a un ceto che vive nelJa politica e della politica. La molla del guadagno fa funzionare il suo spirito di iniziativa nel campo economico, e la porta a disinteressarsi delle sue funzioni politiche. In questo progressivo estraniarsi dalla politica il processo accentrativo dello Stato moderno ha avuto la sua parte di influenza: la vita politica si è fatta più complicata e più astratta, e la borghesia, quella che lavora e partecipa intensamente al fenomeno produttivo, ha trovato che la vita politica nei Comuni, nelle Provincie, nello Stato non la toccava 1nolto da vicino negli affari suoi, e ha lasciato che altri agisse per ~ua proc·ura. Manca alla vita politica italiana ogni partecipazione effettiva del vero agricoltore e del vero industriale : c'è l'uomo di affari, il plutocratico, non c'è il medio proprietario fondiario, il medio industriale, il direttore di azienda. Questo si verificava già ptima della guerra, quando era comune il lamento che i deputati fossero quasi tutti avvocati. .Il divorzio fra la funzione di classe dirigente nel campo economico e quella di elasse dirigente nel campo politico si è compiuto per la borghesia quasi inavvertita1nente; è stato progressivo, ma lento. Alla borghesia è venuto poco a poco a mancare il senso civico, non confondibile con quel patriottismo, manifestato con l'esposizione del tricolore e col finanziamento dei giornali dell'ordine. Questo divorzio e questo spegnersi del senso civico, favoriti dall'accentramento statale, hanno lasciato il campo libero ai demagoghi e ai politicanti, dando la cosa pubblica in mano a gente priva di ogni esperienza della vita pratica e incline a gargarizzarsi con la retorica più vu.ota . BibliotecaGino Bianco . ---

IL FALLIMENTO DEI GIOVANI 491' I Quando nel dopoguerra si sferrò l'offensiva socialista, con tutte lè sue impazienze, questa borghesia che non aveva più sottomano nè Io Stato nè i Comuni, si trovò di fronte al· pericolo di essere scalzata nel campo economico, che se_ntiva più suo e che avrebbe voluto difendere. Disabituata alla vita pubblica, priva di un' idea concreta e chiara sull'azione statale, lasciò senza difficoltà che in suo nome e per suo conto la gioventù fascista si impadronisse dello Stato, dandole carta bianca, purchè non fosse più molestata dalla pressione operaia e contadina nella sua sfera economica. Alla gioventù fascista non chiese nulla sui programmi, sugli uomini, sulle direttive : si contentò delle prove da essa date nei non metafisici assalti alle Camere del Lavoro e alle sedi delle leghe. Quali propositi avessero i giovani fascisti per l'economia nazionale (debiti pubblici, imposte, protezionismo doganale, ecc) non si curò di sapere: erano problemi che essa da tempo aveva lasciato alla classe politica vecc}:tia, e quindi li lasciava alle improvvisazioni della nuova classe politica. Altrettanto fece per la politica estera, pronta ad applaudire al gesto di Corfù e al patto di amicizia con la Iugoslavia, indifferentemente : non aveva lasciato prima ai diplomatici della Consulta l'incarico di occuparsi a loro talento dei problemi di politica estera? Delle sue relazioni con il proletariato urbano, con le masse rurali non si preoccupò punto : per il momento le leghe erano moleste con gli scioperi a ripetizione, con le occupazioni delle terre e delle officine, con la continua- spada di Damocle della rivoluzione sociale; bisognava reprimere, e i fascisti reprimevano; il problema del domani non la angosciò, perchè priva di senso civico il domani usciva dalla sfera della sua limitata sensibilità. Gli uomini della politica, vivendo fuori della esperienza economica in un loro limbo ideologico, avevano del pari perduto già prima della guerra la capacità di percepire le pulsazioni dell'anima nazionale, e si giunse così al nutro fiducia di Facta e alla non dimenticabile gaffe del Giornale d'Italia che alla vigilia della marcia su Roma commentava il discorso 'detto a Nàpoli da Mussolini_ come una sicura promessa di costituzionale soluzione della crisi. I fascisti accentuavano questo estraniarsi del ceto politico dalla economia produttiva : i loro quadri li costituirono in prevalenza con ex ufficiali che finita la guerra fion venivano riassorbi ti dalla produzione, con giornalisti, con organizzatori di professione, con_ giovani professionisti, che non si erano forma ti una clientela : e ci dettero l'esilarante e tipico episodio di un cameriere di ristorante promosso senza mezzi termini consigliere delegato di una grande banca, incaricata della p·enetrazione economica nell'Oriente e travolta dal più disastroso dei fallimenti. Vivendo al di fuori del processo produttivo, muovendosi nel falso ambiente dei corridoi ministeriali o parlamentari e delle sale di redazione dei giornali, anch'essi, come gli ultimi epigoni della vecchia Italia, si foggiarono un lor.o inondo secondo un' ideologia Biblioteca Gino Branco

492 LA CRITICA POLITICA viziata dalla retorica e dalla frase sonora : e si illusero che il loro potere dovesse durare quanto la loro volontà di detenerlo. Non si accorsero e non si accorgono del malcontento che serpeggia, del disagio economico che sale, e credono nelle frasi dei loro giornali e delle loro riviste. Essendo al potere e avendo la certezza di mantenerlo, o con un mezzo o con un altro, vogliono goderlo, senza incubi e senza preoccupazioni. Un Decreto della Provvidenza li ha chiamati al comando, ed essi obbediscono al Decreto. Mentre l'on. Salandra fa constatare che l'opinione pubblica - ente imponderabile ma decisivo - s·i stacca giorno per giorno dal partito dominante e il Capo del Governo deve riconoscere questa verità, i fascisti in alto e in basso agiscono come se avessero i consensi della gran maggioranza del pubblico : la loro stampa, così poco letta, non si arrende neppure ali' evidenza del suo scarsissimo smercio~ e proclama che le masse seguono con tutta fiducia l'esperimento fascista e che gli inesorabili sviluppi sono in -marcia : nei paesi i gruppi fascisti, circondati da avversità irreducibili, si baloccano in diatribe interne. Come loro, se non più, sono insensibili alla realtà della situazione i Benelli e i Savelli del limbo combattentista: essi cresciuti nella bambagia della retorica o nella terra del compro1nesso studiano e pesano le frasi, che dicano e non dicano : evitano di compromettersi con un atteggiamento reciso, e sperano nella taumaturgica efficacia di una parola poetica o di una parola abile. Stanno a cavalcioni sulle nubi, e si credono. grandi cavalieri che annusino il vento per partire con la lancia in testa contro il nemico, o autentici Mazzarino onusti di accortezza diplomatica. Giolitti è vecchio ed è cresciuto su un humus più realistico : la retorica non lo annebbia e non Io inebbria: ha mantenuto, per esperienza di molti lustri, i contatti con la realtà sociale ed economica: comprende i listini dei cambii, e quelli dei prezzi : forse tiene anche il libretto in cui segna la spesa giornaliera. È l'uomo della generazione di ieri, che era abituata a guardarsi attorno col desiderio di capire e di intendere: è l'uomo della generazione cresciuta, quando il divorzio fra classe dirigente politica e classe dirigente economica non si era compiuto e quando il processo accentratore dello Stato moderno era ben lontano dall'avere attinto i sommi fastigii cui oggi è giunto. Sa per questo tastare il polso del Paese con una possibilità di percezione, che manca ai giovani cresciuti a divorzio avvenuto. Così il vecchio ottuagenario è più vicino all'anima del Paese di quello che noi sieno i giovanissimi. Tutto ciò è profondamente triste, ma quei giovani, che non si sono invischiati nel giuoco dei partiti, non devono trarne motivo di sconforto. Il fallimento dei giovani, per non confessare il quale l' on. Delcroix rinnova il suo atto di fede nel Capo del fascismo, è il fallimento della borghesia chiusasi nel suo campo economico e -del ceto politico straniatosi dalla produzione : quei g.iovani, che oscuramente lavorano e nel Biblioteca Gino Bianco

... IL FALLIMENTO DEI GIOVANI 493 tempo stesso osservano e intendono i fenomeni politici, quei giovani, che non amano la retorica frasaiola e poetica, possono e debbono farsi avanti, con idee chiare, con direttive precise, perchè il domani è loro. C' è ancora in Italia una immensa riserva di energie sane, di uomini che non credono esaurito il loro compito, quando è pieno il baslott o quando hanno tenuto il discorso infiammato, e deve porsi in prima linea per amministrare saggiamente la cosa pubblica. Il gruppo politico, che saprà trarre da questa riserva di energie fresche i suoi rappresentanti e che saprà immettere nel circolo della vita politica gli uomini dell'agricoltura vera e dell' industria vera - dirigenti e lavoratori __: cacciandone i demagoghi i retori i plutocratici, ha per sè il domani e farà la grandezza vera dell'Italia, oggi resa esausta da una pressione fiscale eccessiva e da un indirizzo politico troppo costoso in confronto alla nostra potenzialità. Il fiscalismo e la plutocrazia bancaria con i suoi tentacoli assorbenti e con i suoi sperperi anemizzano la vita italiana e determinano un disagio economico, che si fa ogni giorno più acuto: l'accentramento statale è causa ed effetto dello strapotere dei ceti plutocratici e politici e ha la sua manifestazione concreta nel moltiplièarsi dei gravami tributarii: contro l'accentramento statale occorre dirigere lo sforzo dei ceti produttivi, in modo che essi riacquistino l'effettivo controllo della vita pubblica e_vi portino l'esperienza realistica dell'officina e del campo e le attitudini concrete dell'uomo che sa le difficoltà della vita pratica e non crede alla taumaturgica efficacia delle frasi, della coreografia, degli espedienti dilatorii. L'Aventino in tanto potrà trionfare sul Viminale in quanto comprenda che il punto fondamentale della lotta non è nell'episodio scandalista, e nel processo di questi episodi, ma è nel ridare la res pubblica ai produttori, industriali, agricoltori, artieri, operai, contadini e nel riorganizzare lo Stato su basi diverse da quelle attuali. Il tentativo dei confederali di dar vita in Italia a un partito del lavoro, in c1=1sii fondano su direttive precise e concrete uomini di diversa fede politica, potrebbe essere un primo indizio del maturarsi di una situazione politica veramente nuova, che non sbocchi nel gìolittismo o nel riformismo degli unitarii parlamentari collochi a riposo i politici puri. L'opposizione, che si ·chiude in una formula negativa e si trincera nei corridoi parlamentari, non può avere un domani e deve essere combattuta: è anch'essa un intralcio e un_ingombro per la nuova Italia del lavoro, seria composta e consapevole. GIULIO PIERANGELI · RINNOVATEL'ABBONAMENTOALLA CRÌTICA POLITICA Biblioteca Gino s·ianco ...

Audacie e pentimenti di una politica estera Il capo del Governo fascista, ministro degli Esteri, on. Mussolini è stato spinto a conquistare il potere con la violenza per impulsi di politica interna, non per necessità di politica estera. Dal suo biennale esperimento possiamo dedurre che egli ha l'ambizione di fare della politica estera, o meglio di essere il ministro degli esteri, ma non ne ha la passione. La politica interna lo ha incatenato alla difficoltà di alcuni problemi che Io hanno del tutto assorbito. Anche quando per gli sviluppi di al-- cuni tragici avvenimenti, per salvare la conservazione del potere rimpa-- stando il Gabinetto, ha dovuto cedere il dicastero dell'Interno, l' on. Mussolini è virtualmente rimasto il più vero ministro dell'Interno. L'imperativo categorico della politica di parte· Io ha obbligato. Ecco perchè l' on. Mussolini ha dovuto rovesciare la formula che ispira tutti i capi di Governo vo~enterosi di fare una politica estera agile, pronta a tutto, ansiosa di iniziative, largamente feconda: ordine pacifico all' interrio e libertà d'azione ali' estero. Uno dei meriti precipui della sua politica estera, decantati in tutte ·Ie auto-apologie da Mussolini, è considerato il rapido compimento di alcune questioni rimaste in sospeso, principalmente la pace adriatica e la presa di possesso del Giubaland riconosciuto spettante all'Italia dal1' Inghilterra, come compenso dei nuovi acquisti coloniali inglesi e francesi a spese della Gennania. Program1na di liquidazione dunque. Il Governo fascista ha liquidato, senza dubbio, e rapidamente, diremmo : frettolosamente liquidé;\to. . Il metodo rivela una intenzione; un Governo che si professava rivoluzionario, e che cercava di accaparrarsi un largo credito preventivo pres~o l'opinione pubblica svalutando senza scrupoli l'opera dei predecessori, aveva bisogno di presentarsi al giudizio dei cittadini con dei fatt_i, ed aveva sopratutto bisogno di far presto. Ma il programma di liquidazione ,era imposto dalla necessità di liberarsi da ogni impegno all'estero per aver mano libera all'interno. Abbiamo visto così il Governo fascista ripiegare quasi tutte le insegne guerriere che il movimento fascista aveva inalberate prirna della conquista del potere agitando un ambizioso programma di politica estera che doveva far morire dalla vergogna tutti i precedenti Governi delle umilianti rinuncie. Sembrava che l'antinittiano Mussolini dovesse far tesoro di una osservazione di Nitti che si legge a pag. 248 del libro La decadenza dell'Europa: <L'Italia quasi interamente occupata delle sue difficoltà e dei suoi dissidi interni, segue Biblioteca Gino Bianco . ,--

AUDACIE E PENTIMENTI DI UNA POLITICA ESTERA 495 una politica irresoluta, tra gli errori del passato e il bisogno di rinnovazione e di vita dell' Europa, che è per essa condizione non solo di sviluppo economico ma di vita>. ·Le difficoltà di politica interna dell'Italia non sono cessate. La politica estera è in parte cambiata : in bene o in male ? Pareva sul serio che dovesse cambiare, ma non si sono verificati radicali cambiamenti. E nemmeno il tono è cambiato. L'episodio di Corfù è a parte, sta a se, è una brusca parentesi e segna la fase tipica del disorientamento fra le audacie e i pentimenti della politica estera fascista. Quando Mussolini giunse alla Consulta fu parere generale che qualche cosa di nuovo e di imprevisto doveva nascere; il caso Sforza ne fu il sintomo. Il nostro ambasciatore a Parigi che aveva indubbiamente preso sul serio le manifestazioni di Mussolini giornalista si aspettava una applicazione delle idee già conosciute da Mussolini ministro: Deve essere stata una bella sorpresa per l'ambasciatore Sforza quella frase del telegramma-richiamo di Mussolini in cui erano giudicate inopportune le dimissioni < prima di avere ufficialmente conosciuto le mie direttive di politica estera >. Sforza aveva creduto, chi sa perchè, di conoscerle già; ma, come abbiamo detto, la rivoluzione delle camicie nere che si avventava famelica negli uffici e negli affari dello Stato ripiegava le insegne guerriere in politica estera. L'esordio di Mussolini fu una prova solenne delle prime rinuncie. Il capo della rivoluzione si mostrò il più scrupoloso servitore della realtà. Il tono fu un errore, ma la sostanza delle sue prime dichiarazioni assicurarono la turbata opinione pubblica. Affrontando la spinosa questione adriatica fece alla Can1era questo ragionamento: - Con la Jugoslavia non ci sono che due vie : o la pace o la guerra ; non posso fare la guerr~ perchè scatenerei una coalizione di potenze interessate contro l'Italia isolata, quindi faccio la pace -. Noi salutammo la pace, ma ci dispiacque in quella forma che non teneva alcun conto della dignità nazionale. Quella pace per necessità ci parve umiliante quanto una sconfitta, mentre eravamo certi che si poteva fare una pace con onore, nelle intenzioni leale e negli effetti utile. Non c'era anzi che da mandare a termine una pace già iniziata col trattato di Rapallo. Il negoziatore per l'Italia di quel trattato aveva voluto cornpiere una pace di utilità e di principio, Mussolini ripudiò il principio e si attenne ali' utilità. Non è la stessa cosa. Nel primo caso la pace adriatica era il primo atto di una nuova politica, il primo passo dato dall'Italia veramente grande potenza verso un avvenire fecondo di iniziative nell'Oriente balcanico, nel secondo caso la pace adriatica è stata la liquidazione di una pendenza, la definizione di una ' controversia che cominciava ad infastidire. Abbiamo visto il Governo jugoslavo accettare le trattative dir.ette col Governo fascista, che portarono alla cancellazione dello stato autonomo di Fiu1ne, con un senso di sollievo malcelato ; chi può sostenere in buona fede oggi che fra l'Italia e la Jugoslavia sia incominciata una feconda politica di mutua collaboBiblioteca Gino Bianco

• 496 LA CRITICA POLITICA razione, di cui Fiume doveva essere l'anello essenziale? Fiume agonizza alle porte della muraglia che la separa dalla Jugoslavia. La liquidazione frettolosa è stata completa, ed ormai irreparabile. L'episodio di Corfù è un pezzo staccato della politica estera realistica, talvolta grettamente mercantile del governo fascista. Parve allora a Mussolini che ag) di suo personale impulso e senza il controllo di consiglieri esperti, altra volta utilmente accettato, di potere cogliere una bella occasione per fare della politica forte, imperiosa, avventurosa. Ma il bilancio morale ed economico di quell'episodio si è presentato con un deficit assai notevole. Ciò che ci spettava non ci era negato ; ciò che ottenemmo non fu quello che avevamo chiesto. Fu uno scacco allora. Da .un gesto di audacia l'Italia ne uscl con una mortificazione. . Ma l'episodio di Corfù trascurabile in sè espresse i riposti pensieri di Mussolini nei riguardi della Società delle Nazioni. L'audacia di volere assumere verso l'alto consesso internazionale un atteggiamento di altera autonomia fu evidente, e si venne durante la discussione a sostenere da parte del Governo italiano la tesi .della gerarchia delle nazioni che vulnerava alle radici il principio di diritto internazionale in virtù del quale l'assemblea di Ginevra è stata fondata. Da allora l'atteggiamento del1' Italia verso la Società delle Nazioni si è mantenuto riservato e diffidente, mentre· l'Italia a sua volta è rimasta diffidata. Con .i successivi atteggiamenti dell' on. Salandra si è cercato di ristabilire una maggiore cordi.alità di rapporti e nel convegno romano della Società il nostro rappresentante ha ripreso la concezione solidaristica della politica internazionale, ed ha voluto ricondurre lo spirito del Governo fascista alle aspirazioni di una s.olidarietà fra le nazioni per una augurale ascensione dell'umanità verso una pace stabile ed una civiltà superiore. Le parole umanità, solidarietà, civiltà, pace erano cadute in disuso nel linguaggio del governo fascista. Ora tornano onorate nelle occasioni solenni. Siano le benvenute. La verità è che in Ispagna tramonta la stella di De Rivera e· in Germ~nia si è spenta del tutto quella di Ludendorff e di Hitler; la navigazione mediterranea della accesa fantasia nazionalfascista non è dunque più possibile. E allora si rimettono sugli altari' gli idoli infranti della Società delle Nazioni. Fra un'audacia e un pentimento la politica estera 1nussoliniana naufraga nella liquidazione generale del fascismo. Bisogna ringraziare i numi tutelari di Palazzo Chigi se l'eredità intestata della politica estera, pur dovendola i successori accettare con beneficio d'inventario, non si presenterà del tutto disastrosa. ALFREDO DE DONNO Procurate abbonati alla CRITICA per il nuovo anno. Fatela penetrare nei Circoli di lettura, nelle Biblioteche. ' -- BibliotecaGino.Bianco

• Il fascismo nella sua mentalità Il fascismo tira le cuoia in un contorcersi spasmodico di violenze e collassi. Prima che il fenomeno sia svanito del tutto a me pare che sarebbe interessante ed utile tentare una specie di indagine etico-sociale circa le sue concezioni, i suoi metodi, la sua cosidetta < élite >. * * * Esso è animato dal giacobinismo più ottuso. Non crede che alle costrizioni ed alle forze brute : il poliziotto, la prigione, il manganello, la rivoltella o la bomba, il decreto-legge, il danaro. Il mezzo è preso per il fine. Come i fumatori d'oppio, i fascisti prendono le loro chiacchiere e le loro fantasie per azioni e pensiero. Essi mettono le parole al servizio degli istinti, della pigrizia e dei capricci, cercando di mascherare uno spaventoso ritorno verso la barbarie. Da ciò la garrulità, colla quale cercano di stordire e di stordirsi e che li rende sempre più inadatti a tenere conto delle realtà sociali. Dinamismo è la parola di cui fanno più uso ed abuso ed è perciò ch'essi credono d'esser fattori di p_rogressÒ. Il progresso è il cambiamento, ed ogni cambiamento è progresso : ecco una delle loro concezioni fondamentali. Essa è puerile, ma permette di seguire tutti i capricci e di commettere tutti gli arbitrii. Per quella specie di autofagia sociale, che è la mania critica, il mondo si mostra loro com' una polvere di fatti, un caos d' idee senza direzione, senza unità, senza ordine. Ed è così che le loro coscienze e le loro intelligenze trovano facilmente delle scuse e delle ragioni ad ogni aberrazione. Non c'è nulla che possa ricondurli, non c'è nulla che possa contenerli. Il disordine mentale e morale della cosi detta élite fasci sta è al suo colmo. Ciascuno si fa una concezione su tutte le cose, qualunque sia la ~ua incompetenza, e secondo i suoi interessi immediati e più stretti, i suoi pregiudiz!i, i suoi umori, a meno che non lasci libero sfogo all' ubbriacatura di un' immaginazione, che non contiene nulla, nemmeno l'umiltà. Così la demenza si afferma ed il cuore non disciplina più il cervello. E tutto viene da loro negato, perchè niente è da loro compreso. Ma bisogna pur vivere. Certo, ognuno vuol vivere. Ed essi vivono spesso al di fuori delle condizioni stesse della vita. Non si vive veramente che Biblioteca Gino Bianco D

498 LA CRITICA POLITICA cogli altri e per gli altri. Quanti Io sanno fra loro, quanti lo vogliono ? Se è pennesso di predicare tutte le follie, rudemente la vita ci farà sentire che bisogna guardarsi dall'applicarle. La ragione non regolata tutto analizza, tutto dissolve, essa non suscita che la peggiore delle illusioni : il desiderio irrefrenabile ed incontentabile della gioia e del piacere. * * * L'egotismo è alla base di tutta la loro azione, di qualsiasi loro concezione. Ora l'egotisn10 inclina verso il subiettivismo senza base, senza contrappeso. La follia, morale od intellettuale, si potrebbe definire un egotismo assoluto. Ed ogni egotismo, partendo da un principio assolutista, va verso l'assoluto. L'egotismo è una propensione viziosa diretta a rovinare l' insieme per soddisfare le parti. Ed è perciò che l'anarchia è nei loro cuori, nei loro spiriti, nelle loro istituzioni. Un genio in un'orda di cannibali · non rappresenta che un bruto di più, un saggio in un 1nanicomio non è che un demente di più, una santa in un lupanare non è che una prostituta di più. Ragion per cui tutti gli inviti di collaborazione, rivolti dal fascismo agli uomini di buona volontà ed agli onesti, non possono necessariamente se non cadere nel vuoto. Ciò che c'è di. orribile nel1a loro spaventevole anarchia è che, partecipandovi, per qualsiasi ragione, volente o nolente, cosciente1nente, o incoscientemente, si contribuisce ad accrescerla .. E le migliori intenzioni rimangono sterili. • Nella loro mentalità am111alata, come negli isterici, le reazioni sono incoerenti, i riflessi disordinati, le impressioni nulle od esagerate. Fatti sociali considerevoli passano per loro inosservati, incidenti d'una portata insignificante prendono proporzioni grandiose. Ed ecco perchè il governo fascista non può essere altro che una tirannia di capricci incoerenti, tormentosa ed ~nsopportabile. L'anarchia intellettuale della cosidetta élite fascista non può riescire se non ad intensificare i disordini ed i mali che affliggono il paese. Col governo fascista non più organizzazione, non funzioni nettamente deter1ninate, non più g~rarchia, non più direzione, non più unità, non più continuità di direzione. Gli esempi sono superflui: tali e tanti sono. Basta qualcuno, tanto per darne un piccolo saggiò. Balbo d9 semplice tenente diviene comandante della Milizia Nazionale, equiparato ad un comandante d'Armata dell'esercito regolare. Chiarini- da umilissimo funzionario diviene il deux ex machina delle Ferro vie dello Stato. In loro manca quasi del tutto- il senso sociale, ed è proprio per questa mancanza che il regime fascista non può che provocare l'anarchia morale. Ora l'anarchia 111orale tende sempre naturalmente a generalizzarsi, ne consegue quindi che il regime fascista bisogna combatterlo tutto od accettarlo tutto. Non ci sono mezze misure, non si son mezzi termini, non c'è nessuna possib_ilità di accomodamento. C'è più madorBibliotecaGino Sia.neo

• IL FASCISMO NELLA SUA MENTALITÀ 499 nale follia di quella di voler piegare i fatti sociali alla nostra fantasia ? Ed invece tutta l'azione del regime fascista s'impernia proprio su questa follia. I nostri desiderii non possono nulla sui fatti sociali, come pure le . frasi più eloquenti. Il regime fascista continuerà a vivere fino al momento in cui la volontà di vivere della nazione, fondamento di tutte le realtà umane, non sentirà la necessità di cancellare l'assurdo delle sue divagazioni più arbitrarie e più incoerenti. * * * Il fascismo giura e spergiura sulla sua ferrea disciplina. È già ridotto ad un mosaico di crepe. Lanciando delle grandi parole che non hanno alcun significato, ognuno della pseudo-élite va per conto suo, ed ogni suo atto Io considera in rapporto a se stesso. Il fascismo dice di voier proteggere l'ordine, e l'ordine stesso è difeso con ragioni e mezzi di disordine, poichè ciascuno non vuole ammettere se non ciò che gli è immediatamente utile. Ogni fascista della cosidetta èlite vede tutto in rapporto a se stesso. Ecco perchè ogni fascista si sente un Duce. Ma sanno costoro che a non occuparsi se non di se stesso il cuore • si dissecca? L'individuo non è che un'astrazione. Non si può dire dove incomincia, dove finisce e quanto dura. Sola, la società continua, ed è una realtà. In quest'accozzaglia di déclassés che forma l'élite fascista si trovano: alcuni che son divenuti fascisti per debolezza di spirito, altri per imitazione, molti per disquilibrio economico, moltissimi per assoluta assenza di dottrina: poi la mancanza d'autorità spirituale in tutti loro ha facilitato grandemente il contagio. Naturalmente costoro sono qualche volta capaci di ragionamenti interminabili e complicati, come certi alienati, come pure di devozione e di eroismo, come certi criminali. Le grandi parole coprono i loro piccoli atti, ed è cos) che hanno fatto perdere a queste parole, col loro senso profondo, la loro virtù d' esaltazione. Ognuno vuol essere il prirno e non aspira che a destreggiarsi bassamente. S' impanca a competente senza conoscere nulla di nulla. Tutti parlano, nessuno ascolta. Tutti scrivono, nessuno legge. In quest'accozzaglia di isterici, di invidiosi e di megalomani, dove regna soltanto l'assurdità, è disprezzato ·quei che richiama la mentalità alla chiarezza ed al buon senso, le volontà alla disciplina ed i cuori alla sottomissione. Far danaro, parlar truculento, divertirsi, procurarsi la sensazione d'un momento più o meno elegante : ecco gli scopi ordinarii, la ragion di vivere di quasi tutti costoro. Essi non sentono e non sanno di aver· dei doveri, e quando esiste in un uomo quest'assenza di ogni dovere, non si può avere altro scopo che il godi1nento. Non doveri verso se stesso, poichè l' individuo isolato (come non può non sentirsi isolato colui chè · si preoccupa soltanto del proprio io?) non è -più che un accidente di un momen_to, non doveri verso il proprio mestiere o professione, poichè Biblioteca Gino Bianco

• 500 LA CRITICA POLITICA non agisce se non esclusivamente per il proprio guadagno, non doveri verso lo Stato, poichè lo Stato in tanto esiste per loro in quanto può essere sfruttato, - non doveri verso la società, poichè per ciascuno di loro non c'è più vita sociale. . In quest'anarchia morale ed intellettuale ogni gioia, ogni godimento sono legittimi. Non si ferma una valanga. . Che cosa è, e sotto quale aspetto ci si mostra la fede fascista? La fede fascista è concentrata .nel vuoto e nel proprio profitto ed una fede che non fonde niente non è che ipocrisia. In che cosa si racchiude l' ideale fascista? Nella rettorica più megalomane e spregiudicata, ed un ideale, che si soddisfa della rettorica, non è che menzogna. L'uomo senza fede non ammette più legge. Non ubbidisce. se non ai suoi bisogni fisiologici, non si sottomette se non alla forza. Cos) il f~scista che dicesi < libero ed emancipato >, non è che uno schiavo ed è tropp'o inebetito dal suo egocentrismo per rendersene conto. Per lui non c' è che se stesso ed i suoi < diritti ». È il mostro asociale che la pseudo-metafisica fascista ha partorito. Bel retaggio, del quale l'Italia dovrà fati- -care a disfarsene l Costoro non hanno la virile· volontà della felicità che si conquista, ma la sete inestinguibile dei piaceri facili e delle a1nbizioni sfrenate coli' assenza assoluta di qualunque capacità. Attendersi da costoro che ·fossero stati· degli educatori e delle guide, come la maggior parte degli italiani nel primo sorgere del fascismo sperava, anzi ne era convinta, sarebbe stato lo stesso, che aspettarsi dai fabbricanti di liquori una strenua lotta contro l'alcoolismo. PAOLO MANTICA INGENUITÀ MILITARE # Il generale Giardino nel notevole discorso pronunciato al Senato sul Bilancio degli Interni ha:proposto con tutta serietà che il compito di epurare il partito fascista dal furfantismo sia affidato ai Prefetti. Con questa proposta il Generale Giardino ha dimostrato a un tempo due cose: la prima è che nelle sfere militari non si distingue nettamente il concetto dello Stato da quello del Partito, menando per buona quella confusione che i fascisti attuano ogni g·iorno e che la coscienza morale e giuridica del Paese co_ndanna: la seconda è che nelle stesse sfere militari non si ha nessun' idea del modo co,ne funzionano le Prefetture, asservite oggi come ieri alle consorterie del partito dominante. , Da questa dimostrazione deriva un corollario: che alle autorità militari manca quella conoscenza concreta della situazione italiana, che sarebbe indispensabile perchè si potesse attuare quella Dittatura militare di transizione in cui sperano alcuni gruppi dell'opposizione dell'Aventino e il senatore Albertini. Com'è possibile un governo militare superiore ai partiti e capace di rimettere ordine nella dissestata vita politica italiana, se, ogni altra considerazione a parte, i più autorevoli generali cadono in ingenuità come quelle del senatore Qiardino? BibliotecaGino Bianco ' r--

Positivismo e aventinismo repubblicani L'ESPERIMENTO DI UN METODO • Occupandomi, in questa rivista, del partito repubblicano nell'odierno momento storico, intendo c.onsiderare compendiosamente non solo la sua vita esterna, ma anche la sua vita interiore, in continua formazione così concettuale come psicologica. Forse a nessun altro partito accadd~ di sentire l'ambiente e di mutarsi con esso, in questi ultimi tempi, quanto al partito repubblicano, che, a volta a volta, si colorì alquanto di nazionalistico, di socialistico, di .. democratico, e anche d'intransigenza egocentrica quando la caratteristica della intransigenza fu propria degli altri partiti sovversivi che andavano per la maggiore. Ciò dipese da due motivi: l'essere il repubblica- .nesimo in Italia, piil un partito - pur non organato con la tecnica perfetta dei vari partiti socialisti - che non un movimento, per quanto abbia in sè fondamentali ma non coltivate tendenze ad essere un originale movimento spirituale politico. E, come partito, fu flettuto variamente dai temperamenti e dalle idee fisse dei nauti che si sono via via avvicendati al timone di esso. Devesi a questo instabile ma personalistico criterio o giuoco di gestione del partito se questo assunse, un tempo, proporzioni tascabili e non potè dilatarsi, diffondere calorie e svilupparsi nel sentimento nazionale, quanto avrebbe meritato e come sarebbe stata sua specifica funzione. Da qualche anno il partito repubblicano, peraltro, sta tentando, purconfusamente, di stabilire le sue relazioni di vita esterna e ~ta introducendosi nella vita politica col suo fascio di nervi, se non con idee sempre chiare e volitive. È, del resto, ben evidente oggi l'interessamento pubblico che desta la sua attività onesta e vivace, ed è indul;Jbio che la soluzione repubblicana è ora prospettata da molti, anche al di fuori del partito, come l'unica soluzione possibile, o una delle soluzioni possibili. Fin dall'avvento del fascismo, o per meglio dire, dalla vigilia di codesto avvento, molti ebbero l'idea che il partito repubblicano avrebbe potuto flettere gli avvenimenti a proprio vantaggio. La facilità eccessiva e sorprendente con cui il fascismo potè occupare il Governo e lo Stato, ci dice, oggi, che vi dovette essere un momento in Italia in cui Governo e Stato erano all'incanto al primo offerente, al primo che avesse avuto. l'idea chiara e la volontà decisa di rovesciare il paravento di un regime che aveva perduto coscienza e personalità. ' Senonchè è doveroso osservare, che, essendo quello un momento di , Bibliote·ca Gino B~anco

502 LA CRITICA POLITICA reazione a una mancata rivoluzione di massa, il partito repubblicano, ii quale non avrebbe potuto prima sognar di capeggiare codesta rivoluzione, non poteva assumersi neanche la funzione opposta di reazione e di ritorno su posizioni antitetiche classiste, cioè di reazione borghese, come sempre acutamente soste.nne Giovanni Conti. Il fascismo seguiva questo program1na: parlare di rivoluzione, usare il vocabolario rivoluzionario, la violenza rivoluzionaria) tanto per attrarre a sè molta parte della massa che era in istato di epilessia psichica rivoluzionaria; e, ad un tetnpo, con questi espedienti di linguaggio, di psicologia e di metodo, ridare il predominio alla borghesia industriale, bancaria, facendosi foraggiare e armare da essa. Va da sè che il regime istituzionale politico, che poi è un organo della borghesia in quanto è casta dominante; si adattò alle circostanze, reagendo e irritandosi' solo quando anche la sola apparenza potè indurre in lui il dubbio che il fascismo, in quanto era stato d'animo rivoluzionario, fosse per oltrepassare -il limite istituzionale. Secondo me è stato bene che il partito repubblicano non si sia· fatto incorporare da un movimento che avrebbe potuto, nella migliore delle ipotesi, culminare in una repubblica reazionaria e· antiniazziniana, poco durevole come tutte le cose che vivano fuori del naturale e della morale e comunque contrastante al nostro schema ideale. La funzione, quindi, del partito repubblicano affiora logica e storica, solo, dopo questo esperimento di borghesismo rivoluzionario e reazionario e di rincrudimento, in certo senso, del monarcato. Ha coscienza di questa funzione - che è vasta, non episodica, nè esaurentesi in un metodo contingentista - il partito repubblicano ? Ha avvertito che si tratta per lui di una ripresa storica? Può subito dirsi che esso, invero, poco ha fatto - anche pel suo limitato modo di vivere e di concepire la vita - per riconnettere sè stesso al travaglio e allo spirito· del Risorgimento e a quanto, nel movimento repubblicano di quell'epoca, era di sqciale, di libertario, di sanamento spirituale e nazionale. Poco, cioè, ha fatto per dare agli italiani la nozione o la sensazione che, infineJ la soluzione repubblicana_ non sarebbe che l'integrazione dell'indipendenza e unità territoriale col risorgimento morale e democratico nazionale : il compimento, cioè, dell' opèra del Risorgimento. Non ha fatto, insomma, il partito repubblicano ampia ed appassionata opera di persuasione morale, di diffusione ed effusione idealistica. Piuttosto la necessità della soluzione repubblicana esso ha cercato e cerca di farla derivare da situazioni di malessere ed episodiche, da .a.sprezza di critica, di pole1nica ora frammentaria, ora frontale che - opportune per determinare le milieu de culture - non bastano, tuttavia, ad ottenere l'effetto di imporre, ad un dato momento, una anzi che un'altra soluzione, nè ad assicurarci, frattanto, che dal monte delle critiche e dalle ipercritiche sia per uscire di più che il modesto topolino di un altro ministero, il quale darebbe, s), la libertà col contatore agli ex uomini BibliotecaGino Bianco

POSITIVISMO E AVENTINISMO REPUBBLICANI : L'ESPERIMENTODI UN METODO 503 del sovversivismo, ma riassesterebbe le cose della Monarchia e rimetterebbe questa in carreggiata, risospingendo in soffitta l'illusione repubblicana. Il partito, in vero, avendo posto il suo fulcro d'attività in quella cosa eomplessa che è la coalizione delle opposizioni - la quale, per la sua costituzione stessa, non è destinata a camminare spedita - si aggira, volente o nolente, intorno ad un punto particolare di essa : punto che può essere individuato e identificato, per usare un neologismo in luogo di troppe parole, nell' amendolismo. Con ciò non intendo dire che il partito stia, senz'altro, costituzionalizzandosi, ossia dimenticando la sua ragione di vita. È da distinguere, piuttosto, due tipi, due temperamenti di repubblicani in questa tattica contingentista: quelli che si illudono da siffatto esperimento tattico trarre vantaggi per la realizzazione, anche sollecita, repubblicana1 che sperano, cioè, proprio lungo il cammino di questa tattica, sia per avverarsi qualche evento favorevole alla soluzione repubblicana: e quelli che, invece, si preoccupano solo di superare il fascismo - più che cautamente non dicano -, guidati da un criterio polemico contingentista, o da principi umanitaristi, o dalla sete di libertà almeno elementari, o da limitati punti programmatici : processo Matteotti1 abolizione della Milizia, ecc. Non sarebbe giusto, quindi, giudicare che l'odierno indirizzo del partito sia DEL TUTTO radicaleggiante (indirizzo che oggi non ha al suo attivo che il grido facchinettiano) pel fatto solo che il partito stesso collabora con le opposizioni ; è più esatto dire - ripeto - ch'esso è la combinazione di due mentalità, una delle quali, pur nel suo contingentismo, intransigente (contigentista e intransigente insie- . me: eclettica o contradittoria ?) e l'altra transigente o radicaleggiante che dir si voglìa. Dato questo odierno orientamento del partito, on1ogeneo solo in apparenza e variamente positivo come metodo, si comprende subito che a tale esperimento ai congiungano difficoltà e pericoli, di cui molti repubblicani, pur o.ssequienti alla disciplina anche formale, vivamente si preoccupano. Preoccupazione, questa, che non è tanto diffidenza preconcetta quanto il naturale interessamento che i repubblicani usano sempre portare ai fatti e contegni che interessino la dirittura morale e politica del proprio partito. L'indirizzo repubblicano, approvato dall'ultimo Comitato Centrale del partito repubblicano, non è che l'accentuazione del precedente, o meglio dell' indirizzo che in precedenza era riuscito a prevalere e funzionare a traverso, tuttavia, critiche e controlli. Dopo i deliberati del Comitato ultimo, preordinato al fine di dare una maggiore spedi~ezza a questo indirizzo, ossia più lata fiducia agli uomini che di esso sono gli artefic~, la tattica contingentista e aventiniana può - insomma - ritenersi molto rinfrancata. Lo che - come dicevo -- induce nell'animo di molti repubblicani_ (non intransigenti nel vecchio senso di astratti o avulsi dalla Biblioteca Gino Bianco

504 LA CRITICA POLITICA realtà, ma intransigenti nel volere che il metodo sperimentale non ci allontani troppo per strade non nostre) il timore che l'odierno indirizzo possa dimostrarsi espressione di debolezza politica. È da augurare, frattanto, che il. partito non si irrigidisca, sotto il pretesto dello sperimento d'un metodo, in una unilateralità che non potrebbe non identificarsi in una forma personalistica, di per sè e per questo stesso polemica e pregiudizievole. Ecco perchè molti attendono da_ un Congresso Nazionale, più che il crisma di un metodo, infine eclettico ed opportunistico ed espressione anche, indubbiamente, di temperamenti personali, l'affermazione della vera unità spirituale e programmatica del partito. Roma, dicembre 1924 CARLO FRANCESCO ANSALDI, N. d. R. - Sullo stesso argomento, nel prossimo fascicolo, un articolo del prof. Fernando Schiavetti. Il passo avanti necessario L'ora che volge è triste ed oscura; ma è l'ora di un trapasso decisivo e salutare. L' Italia si è retta, dall' unificazione in poi, con un governo intermedio tra l'assolutismo monarchico-aristocratico di prima del 1848 e la democrazia integrale, quale maturò nella Svizzera e, dopo il 1870, nella Francia. Questi governi intermedi tra l'assolutismo e la democrazia, sia pure in forme diverse, furono comuni fino al 1914 a~tutti gli Stati dell'Europa continentale, la repubblica elvetica., la repubblica francese e l'impero russo eccettuati. Che anche l' Italia facesse lungamente la prova, era inevitabile, e fu bene. Storicamente, è qui il punto debole della critica repubblicana alla politica che fondò e resse il regno d' Italia. Le contradizioni e le dissimulazioni, di cui i repubblicani accusan·o il regno, sono vere : ma potevamo noi sfuggire alle une e alle altre ? L' Italia, quale era nel 1848, avrebbe potuto mutarsi di colpo in una democrazia, quale Mazzini l' imaginava? La storia fa meno salti, che non sembri a chi la studia alla sfuggita. Senonchè la guerra mondiale, rovesciando le grandi dinastie dell' Europa centrale e orientale, indebolendo per contraccolpo il principi0 dinastico nei paesi in c_uila monarchia si regge ancora, ha o rovesciato o indebolito queste forme intennedie. La democrazia, che tanti si affrettano a dichiarare morta, incomincia adesso, in Eµropa e quindi anche in Italia, come conseguenza della catastrofe che ha colpito, nella Germania, nell'Austria e nella Russia, il vecchio sistema monarchico dell'Europa. Quello che nel 1848 sarebbe stato un verosimile salto di Rodi sarà tra poco un passo, se non facile e piano, tale però che l' Italia potrà cimentarsi a superarlo, certa di riescire. Il cammino che essa prese nel 1848 la conduce direttamente a questo passo: che essa debba cadere a mezza via, ferendosi mortalmente, non si può credere. Noi siamo gli esecutori fedeli di una necessità storica, che sarà più forte delle passioni e delle illusioni di un'ora. GUGLIELMO FERRERO Biblioteca Gino Sia.neo ' --

• . . ELEMENTIDELLA SITUAZIONE N·azionalisti e fascisti Nella situazione che sta creandosi al Fascismo è interessante ciò che avviene fuori, ma è anche molto interessante ciò che avviene dentro. Dentro è necessario tener d'occhio i nazionalisti. Fascisti e nazionalisti hanno costituito sempre - anche dopo la fusione - due elementi distinti. La fusione fu fatta, e da Mussolini imposta, unicamente per impedire tra le due organizzazioni un contrasto che altrimenti sarebbe stato inevitabile. Mussolini, come capo del fascismo, volle togliersi di mezzo anche ogni possibilità di concorrenza. I nazionalisti f ecero però anche l'impossibile per evitare e ritardare la fusione . Allorchè avvenne la " storica passeggiata " i nazionalisti dei fascisti non si fidavano, e si buttarono pure essi su Roma, per difendere all'occorrenza il Quirinale. L'on. Misuri, in una lettera aperta a Mussolini pubblicata · nel suo giornale " Campane a stormo " uscito in questi giorni a Roma, così espone quale fu in tale occasione l'azione dei nazionalisti: " Quanto ai nazionalisti, tra i quali ero ospitato allora anch'io, vi dirò che nessuno si fidava di voi. Concentrammo in Roma quanto maggior numero dei nostri potemmo concentrarvi e con quarantott'ore di precedenza sui vostri, montaintl}O la popolazione romana in senso cosl spasmodicamente monarchico, che molti dei vostri, partiti dalle proprie sedi con truculenti velleità repubblicane, andarono a sgolarsi con gli alalà vociati sotto la Reggia. "La Reggia fu il colossale macigno che vi ponemmo attraverso la strada ed anche io, senza alcun rimorso, vi dichiaro di avere avuto la mia parte nella faccenda, insieme con Paolucci e Greco in piazza, mentre ForgesDavanzati e Federzoni facevano il resto n· Avvenuta la fusione i nazionalisti, che l'avevano dovuta subire senza condizioni, si preoccuparono di esercitare un'influenza decisiva sull' indirizzo politico e sociale del partito e di assicurare ai proprt uomini una posizione preminente. Restarono un partito nel partito. E man mano sono riusciti a conquistare molti posti direttivi volgendo a loro beneficio ogni nuova disavventura che colpisce il governo e il partito nelle persone dei suoi alti gerarchi. La fortuna dei nazionalisti incominciò cos} colle disgrazie del fascismo. Dopo il delitto Matteotti, Mussolini dovette di necessità far posto nel ·Ministero degli Interni a Federzoni, che egli aveva avuto la preoccu.pazione costante di tenere indietro a un posto di secondo ordine, e a molti elementi nazionalisti nelle cariche diretti ve del partito. E da allora ad ogni alto gerarca fascista che cade c'è sempre un nazioaalista pronto a occuparne il posto. Questa invasione nazionalista nelle cariche conquistate e tenute dai fascisti - per quanto sia un fatto interno della vita di partito - è per se stessa una forma di liquidazione del fascismo. I fascisti puri hanno visto ed Biblioteca Gi o Bi·anco ,,

506 LA CRITICA POLITICA hanno capito. Hanno capito intanto che il lealismo tradizionale dei nazionalisti verso Casa Savoia rende difficile se non addirittura impossibile ogni loro azione di resistenza, specialmente se armata, il giorno in cui il re si decidesse a dire a Mussolini di andarsene. E per ciò, quando fu giocoforza rinunciare a De Bono come comandante della Milizia, si opposero a che gli si desse per successore il generale Guglielmotti dai nazionalisti voluto, perchè uno dei· loro. Il contrasto tra nazionalisti e fascisti riapertosi in tale occasione si va accentuando. I fascisti accusano i nazionalisti di lavorare a disarmare e ad indebolire il fascismo. La politica interna di Federzoni è giudicata addirittura come antifascista. Certo è, ad ogni modo, che i nazionalisti perseguono, oggi come ieri, una loro politica che non è precisamente quella che Mussolini vorrebbe. Che Mussolini resti al potere ai nazionalisti interessa assai poco, purchè vi restino essi anche in caso di disgrazia del fascismo .e del suo duce. Si può anzi ritenere che tutta l'azione dei nazionalisti si svolga ora nel partito, nelle attuali circostanze difficili per il duce e per il fascismo, in vista di tale possibilità. Il nazionalismo sta così compiendo la funzione di tarlo roditore del fasci1mo. Non per questo, però, si salverà. X. Y. A PROPOSITO DI LIBERTÀ E DI GO VERNO FORTE ' « La libertà esiste in Italia» E una scoperta che proprio in questi giorni l'on.· Mussolini ha conzunicato al Senato, dopo avere assicurato appena qualche mese avanti che nessuno in Italia gli aveva richiesto libertà. Visto che ora gliela chiedono da tutte le parti, non riesce a rendersi ragione della domanda. La libertà esiste. Esiste perchè - nonostante i divieti per pubbliche riunioni, nonostante le disposizioni sulla stampa, la polizia in funzioné e il manganello in vista - i cervelli continuano a pensare e' l'opinione pubblica a manifestare come può e quando può decisamente il proprio scontento. Per Mussolini è libertà tuttociò che egli - nonostante i poteri e i mezzi eccezionali di cui dispone - non riesce a sopprimere. E in questo senso potremmo anche aggiungere che la libertà c'è dal momento che gl' italiani possono sempre, senza limiti di tempo, e cioè tutte le volte che ne abbiano voglia e bisogno, soffiarsi il naso e andare o non andare a letto all'oscuro. E in questo senso il governo di Mussolini può anche considerarsi un governo liberale. Per gl' italiani la libertà sarebbe, invece, nel diritto di governarsi a proprio modo, di scegliere secondo le loro pref erenze gli uomini che debbono guidare e risolvere gli affari dello Stato, nella possibilità data a tutti e a tutti garantita di esercitare gli stessi diritti, nella tutela sempre egualmente sollecita delle cose e delle persone, nella applicazione eguale per tutti di determinate sanzioni. A questa libertà - che Mussolini non intende e non intenderà mai - si riferiva Anatole France quando scrive11a: « non nego che la libertà sia il bene sommo per una Nazione, ma più vivo e più mi convinco che solo un governo forte può tutelare i cittadini». Tutelare i cittadini ! E cioè garantirli contro la sopraffazione, contro la violenza, contro la prepotenza. « Governo forte> nell'esercizio di questa sua suprema funzione, nella quale però - on. Mussolini -- la forza può venire solo dalla spontaneità e dalla larghezza dei consensi. Forza non di briganti insomma, ma di uomini giusti, imparziali, superiori al sospetto ! BibliotecaGino Bianco ' --

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