La Critica Politica - anno IV - n. 2 - 25 febbraio 1924

. LA CRITICJ\ POLITICI\ R.IVIST A MENSILE ANNO IV. 25 febbraio 1924 f ASC. 2. Il mito della democrazia Il professore Fovel spera in una rinascita della democrazia, e la sua speranza è cosl forte che lo induce ad affermare che nell'odierna vita politica italiana si avvertono gli inizi di questa rinascita. Chi guarda senza illusioni è costretto a essere molto scettico nei confronti delle rade formazioni elettorali, che alla democrazia si intitolano. La democrazia sociale con Gasparotto o con Di Cesarò non ha una fisonomia sua propria, non ha idee direttive· ~he la caratterizzino e facciano quindi ritenere che dietro la sua bandiera vi sieno forze reali. La democrazia indipendente di Bonomi è anch'essa un nome senza sostanza : si limita a ripetere vecchie formule e a portare sugli scudi uomini logoratisi più o meno precocemente, e queste sue manifestazioni di vita non danno alcun affidamento per l'avvenire. Fra queste tre correnti, che si paludano nell'etichetta democratica, non vi è nessun legame, mancando loro ogni patrimonio co.mune di idee, di direttive, di interessi e ogni capacità di affiatamento. Forse l'unica cosa comune ai tre aggruppamenti è l'aspirazione alla conquista del potere politico : ma con questa sola identità è evidente che non possono stare insieme, e che debbono anzi aceapigliarsi nella gara per arrivare al traguardo. La democrazia - quale è - ripete le antiche formule, che nel secolo scorso ebbero un contenuto e un significato : libertà statutarie, regime parlamentare, sovranità popolare; essa non esce dal cerchio chiuso del Parlamento elettorale, e questa istituzione, che fu la chiave di volta della Costituzione politica europea, appartiene a un passato irrevocabile e non all'avvenire. Il periodo storico dei Parlamenti elettorali si è chiuso con la grande guerra, che nel crogiolo ardente della vita nazionale ha gettato le masse rurali rimaste assenti per secoli da essa : dal travaglio della guerra, che ha scosso queste masse, deve necessariamente uscire un nuovo ordinamento, che molto difficilmente potrebbe adattarsi alle vecchie forme· politiche, rispondenti a un diverso ordinamento sociale. Il Parlamento futuro sarà q.na cosa profondamente diversa da quello basato sull'elettoralismo caratteristico del secolo scorso. I democratici, che vivono in mezzo a questo ciclo tumultuoso e si limitano a sospirare il ritorno· della vecchia Costituzione, si mettono fuori della realtà e non Bib·ioteca Gino Bianco

50 LA CRITICA POLITICA possono essere gli antesignani di una nuova formazione politica per la contraddizione intima fra aspirazioni vecchie e bisogni nuovi. Il presupposto del Parlamento elettorale era che il popolo chiamato a eleggere i suoi rappresentanti avesse la capacità di scegliere i migliori, e che questi una volta eletti fossero in grado di subordinare i particolari interessi proprii e quelli del proprio gruppo a una cerchia più vasta di interessi : perchè questo presupposto rispondesse a una realtà occorreva una classe dirigente, che fosse consapevole del suo valore e - del suo dovere e che possedesse la necessaria influenza sulle masse chiamate ad esercitare il diritto elettorale. Sino a quando questa classe · dirigente vi fu ed esercitò un'effettiva influenza, il Parlamento elettorale rispose alla sua funzione; ma a mano a mano che essa si decompose nell'esercizio del potere politico e venne perdendo la sua influenza, il Parlamento elettorale decadde e cessò ogni suo prestigio morale e ogni sua funzione efficace. I migliori non furono più i prescelti,\ e gli eletti dimenticarono che avevano dei doveri per ricordarsi solo dei loro diritti dando sfogo a tutti i loro appetiti. Si perdè di vista la Nazione, per occuparsi della Banca, dell'industria, del ceto, della clientela; si dimenticò che a Montecitorio si dovevano tutelare gli interessi generali, per occuparsi dell' interesse particolare : il Parlamento elettorale apparve in tutta la sua spaventosa miseria. La crisi bellica e post-bellica aggravò la decadenza: le nuove masse elettorali, scarsamente preparate all'esercizio dei diritti politici e premute da mille aspirazioni confuse e contradditorie, non seppero esercitare il loro diritto di scelta; caddero nelle reti dell'arrivism_o e della demagogia, e nella generale confusione i partiti di massa contribuirono potentemente con la loro organizzazione accentrata a far precipitare sempre più in basso il vecchio istituto. Dal 1919 al 1923 il Parlamento dette al paese il più miserando spettacolo, e ogni fiducia in esso cessò sia da parte delle masse sia da parte delle minoranze. Il Parlamento, che uscirà dai comizi elettorali del 6 aprile, con il netto predominio di un partito e con la sua subordinazione assoluta al potere esecutivo, non avrà alcuna influenza effettiva sulla vita italiana, e non servirà certo a ridare prestigio all' istituzione parlamentare. In tutta questa crisi la democrazia non seppe mai dire una parola alta, affermare eroicamente una fede, una volontà, un proposito ; come è possibile oggi aver fede in ·essa, nei suoi uo1nini, nei suoi - istituti ? Quando mai la democrazia parlamentare, cortigiana dei partiti di massa, mostrò di avvertire il fenomeno fondamentale della guerra < la partecipazione dei rurali>, e di trarne la logica conseguenza che questa partecipazione dava ai < rurali > diritti nuovi e creava doveri nuovi allo Stato ? Quando mai si propose il problema della libertà, intesa non come vana formula politica, ma come esigenza di ragionata disciplina, come limite alle pr~tese accentratrici dello Stato e dei partiti e alle esigenze di~poBiblioteca Gino Bianco

IL MITO DELLA DEMOCRAZIA 51 tiche dei ceti, delle categorie, delle coalizioni di particolari interessi? Neppure oggi avverte questi fermenti di vita nuova, queste esigenze di un nuovo assestamento ; la sua critica al fascismo è frammentaria, epi_sodica, formalistica; non comprende il fenomeno complesso, e in quanto non lo intende e non lo supera, come non comprese ~ non super~ l' infatuazione bolscevica. La democrazia elettorale è un cadavere da seppel- •lire, e non una persona viva da elevare sugli scudi. II con1pito di preparare il domani non può affidarsi alle mani tremolanti di Bono1ni e dei suoi, che già fecero la loro prova con manifesto insuccesso. Occorrono uomini e idee nuove : occorre uno spirito nuovo, che si riallacci alle prof onde tradizioni della stirpe e additi la meta nuova : e questo spirito nuovo va ricercato non nei grandi centri urbani, ma nelle campagne, con devota fede, con l'animo disposto al sacrificio umile e ignorato, con la volontà intesa tutta a comprendere le aspirazioni dei <rurali> che sono la grande riserva delle energie italiane. Milano e Torino ci danno l'attività industriale pulsante e fervida; Roma, Napoli, Firenze, Palenno ci danno l'attività artistica e intellettuale; ma gli innumeri centri minori, le campagne costituiscono il vero nerbo della vitalità italiana; è in questi centri minori che si produce e si risparmia, che si accumulano le energie per il domani ; alla valorizzazione di questi centri minori e minuscoli necessita sopratutto provvedere. Questo l' indirizzo nuovo e fecondo, su cui richiamiamo !'attenzione dei giovani: questo il significato intimo del nostro regionalismo, così profondamente diverso da quello accademico di Don Sturzo. Guardare alla provincia e non alla capitale ; alla campagna e non alla città; all'artigianato, alla piccola industria, all'agricoltura e non all' impresa plutocratica è un programma che può sembrare troppo modesto e troppo passatista, ma pure in esso - secondo noi - è la realtà concreta della vita italiana, è la forza capace di sviluppi grandiosi, è la garanzia di avvenire. A questa sola democrazia noi crediamo, non a quella mitica in ·cui spera il professore Fovel : ed essa avrà i suoi istituti nel Comune, che richiami in vita l'antico e glorioso ordinamento dei Comuni italiani, e nel nuovo Parlamento dei Comuni e delle Regioni, tutti subordinati, per istintivo senso di solidarietà e unità nazionale, alla Patria come feconda conseguenza dell'affratellamento cementatosi nell' ultima guerra. È una nuova Costituzione quella cui bisogna mirare con fede e con ferma speranza, preparandola con la intensificazione della produzione agricola, con lo sviluppo delle arti minori e con la diffusione della cultura, e mettendo il proprio spirito in comunione con quello dei rurali ; è un nuovo Parlamento quello verso cui bisogna tendere, libero dal dominio dei- partiti e dei professionisti della politica ed espressione genuina delle varie f (?rze locali, dei centri vitali dell'economia italiana, senza grandi retori che divaghino in cicalate armoniose ma inconcludenti, ma con uomini pratici che abbiano idee chiare e sappiano attuarle per l'esperienza acquisita nella produzione e nel lavoro. Biblioteca Gino Bianco .. I

52 LA CRITICA POLITICA II mito della Carta Albertina è estraneo alla mente e al cuore del popolo italiano, benchè ad esso da parti opposte si richiamino Orlando, Bonomi, Turati e Misuri; ha perduto la sua capacità di suscitare un movimento di affetti. Le invocazioni ad esso si perdono senza echi in questa vigilia elettorale. Dallo Stato costituzionale si è sviluppato per i~esorabili esigenze interiori lo Stato-padrone, lo Stato, che tutto vuole accentrare, dirigere, controllare : in questo Stato accentrato, fatalmente, pochi soltanto pochi possono comandare : è la logica del regime, che si afferma sia che salvaguardi le forme esteriori o apertamente le disprezzi. Contro questa logica si pone la democrazia, richiamandosi a ' un momento dello sviluppo e gridandogli <Fermati> quando già quel momento è trasvolato nel gorgo del passato irrevocabile. Bisogna porsi su altro terreno e mirare più avanti e più oltre, rinunciando definitivamente alla ·ideologia del regitne parlamentare e della sovranità popolare affermata nel suffragio politico dell'elettore : bisogna mirare a un nuovo ordinamento amministrativo e politico che assicuri la libertà degli individui con il Jimite kantiano fatto di consapevole disciplina, di dovere austero, di istintiva subordinazione degli interessi più particolari a quelli più vasti, e questo nuovo libero ordinamento deve trovare le sue basi incrollabili nei molteplici liberi istituti locali, presidiati da cittadini degni di questo nome. Per assicurare la partecipaziotfe effettiva delle masse rurali e dei cen- - tri minori alla vita nazionale, dall'accentramento statale, che il fascismo sta portando in questo momento all'estremo, bisogna passare al decentramento autarchico e federalista; la libertà effettiva, che non degeneri in licenz& demagogica, è possibile solo con un ordinamento rurale e federale. Lo Stato accentrato, il grande partito, il grande sindacato, la grande Banca sono necessariamente autoritarii e negatori di libertà : Don Sturzo, che si proclama democratico e regionalista, nel suo partito è un dittatore, e quando il partito popolare era in auge voleva esser lui, il padrone del Parlamento e dello Stato. Per dare un contenuto concreto. alla lotta per la libertà, è indispensabile quindi porsi contro tutte le organizzazioni accentrate, richiamandosi al pensiero di Carlo Cattaneo e di Proudhon. La minoranza, che fuori del Parlamento elettorale o entro esso af:.. fermi queste tesi rurali e federaliste e svolga nel paese opera di critica e di educazione in questo sens-o, finirà per vincere, perchè co_ntrariamente ad ogni apparenza i rurali sono la vera forza d' Italia. GIULIO PlERANGELl Di// ondere la rivista, significa far conoscere le nostre idee,, f arie discutere, f arie apprezzare. BibliotecaGino Bianco

Banca ed Industria Dobbiamo essere grati alla Banca Commerciale Italiana per la pubblicazione di un opuscolo che, indirizzato agli uomini di affari, non insegnerà forse a questi molto di nuovo, ma a noi ed a tutti i profani apre un largo spiraglio di luce su quel mondo misterioso. I < Cenni intorno ad alcuni valori industriali> pubblicati probabilmente per favorire il collocamento di nuove o vecchie azioni, contengono brevi ma preziose notizie sull'attività di 25 società anonime finanziate e più o meno controllate dalla Banca Commerciale. Il numero delle società prese in considerazione può apparire eccessivamente esiguo, quando si osservi che al 30 giugno 1923 le anonime registrate in Italia ammontavano a 7266. Ed anche il capitale delle 25 società, per quanto assai rilevante (2247 milioni), non rappresenta che una decima parte di tutto il capitale investito, effettivamente od apparentemente, in Italia nelle società per azioni (22.706 milioni). Ma, anche prescindendo dal fatto che i < Cenni > non parlano che di alcune soltanto fra le industrie direttamente controllate dalla Commerciale, e che questa poi, attraverso ad altri istituti bancari a cui è strettamente legata, esercita il suo controllo sopra un numero assai più grande di altre industrie ; a parte tutto ciò, l'opuscolo ha un notevole interesse non tanto per la quantità, quanto per la qualità, poichè rivela il metodo seguito dal nostro massimo istituto di credito mobiliare nella- scelta delle industrie da finanziare. A differenza dei due vecchi concorrenti i quali procedettero nei loro finanziamenti in forma tumultuaria ed ebbero anche per questo una sorte tanto avversa, la Commerciale si è rivolta di preferenza a pochi gruppi organici di industrie. Eccettuate infatti quattro so]e società indirizzate a scopi diversi (La Rinascente, la Manifattura Pacchetti, la Compagnia veneziana dei grandi alberghi, e la Fabbrica candele di Mira), le altre 21 imprese di cui la Banca s' interessa appartengono tutte a quattro soli gruppi : industrie elettriche, industrie siderurgiche e meccaniche, industrie minerarie, imprese di navigazione. Di quest'ultimo gruppo l'opuscolo non prende in considerazione che due sole società: la Navigazione Libera Triestina con 110 milioni di capitale e la Navigazione Generale Italiana con 300 milioni. Dato che oggi e~istono in Italia 68 società armatoriali con 1234 milioni di capitale, sembrerebbe dunque che non sussistesse affatto quel predominio della Biblioteca Gino Bianco . .

54 LA CRIT~CA POLITICA Commerciale sulle imprese di navigazione di cui si è tanto parlato alla vigilia della guerra. Ma in realtà la Navigazione Generale non solo è per • se stessa la società più potente in questo ramo d' industria, ma è il centro di un gruppo, a cui appartengono < La Veloce > e la < Società Italiana di Servizi Marittimi >, che si è assicurata la maggior parte delle linee sovvenzionate del Tirreno ; e d'altra parte la Commerciale eserci~a, direttamente o indirettamente, la sua influenza sul Lloyd Triestino, sul Lloyd Mediterraneo, sulla Società Ligure d'Armamento, sulla Società Veneziana di Navigazione a vapore, sulla Società Industriale per trasporti marittimi, sulla Marittima Italiana, e probabilmente su parecchie altre. Sono dunque quasi tutte le società che esercitano le linee sovvenzionate ed una buona parte di quelle che fanno il servizio di emigrazione od esercitano su vasta scala la marina libera, che cadono più o 1neno sotto il suo controllo. Anche del gruppo delle industrie minerarie due sole figurano nell'opuscolo : la Monte Amiata e la Montecatini. Non solo però se ne potrebbero aggiungere molte altre, come la 'Società torbiere d' Italia, la Soc. It. Petroli e bitumi, l'Elba, e la Società boracifera di Larderello, di cui sono evidenti i rapporti colla Commerciale ; ma è sopratutto significativa la partecipazione della Banca nella < Montecatini >, che oggi coi suoi 200 milioni di capitale è l'impresa più importante ed anzi la vera do1ninatrice della meschina industria mineraria italiana e dell' industria dei concimi chimici strettamente connessa con l'attività mineraria. I due gruppi però in cui la tendenza monopolistica ha raggiunto i risultati più evidenti sono quelli delle industrie elettriche e delle industrie metallurgiche. Col controllo sulla nuova Ilva~ sulla Terni e su tutto il gruppo Odero-Orlando, sulla Ernesto Breda, sulla Franchi-Gregorini, sugli stabilimenti di Dalmine, a cui si dovrebbe aggiungere per lo meno le Ferriere di Voltri, la Fonderia Milanese di Acciaio e la Ferrotaie, si può dire che la Commerciale eserciti su tutta la grande siderurgia italiana una influenza decisiva, rafforzata dalla partecipazione in alcune delle massime industrie meccaniche, come la stessa Breda, le officine Meccaniche Italiane· di Reggio Emilia, la Miani-Silvestri, il Tecnomasio Brown-Boveri. · Ma assai più larga è la messe raccolta nel campo della industria elettrica: Terni, Adamello, Elettricità Alta Italia, ldroelet~rica Piemonte, Conti, Valdarno, Generale Elettrica della Sicilia, Adriatica di Elettricità, Unione Esercizi Elettrici, Piemontese Lombarda E. Breda non solo rappresentano per se stesse un gruppo potentissimo con più di un miliardo .di lire di capitale, ma col dominio che ciascuna di quelle imprese esercita sopra un gran. numero di altre· società, coi rapporti assai stretti che ormai le uniscono alla Edison ed alla Società Lombarda di distribuzione, alla Negri, alla Meridionale, alla Società del Tirso, alla Sila, si può dire che questo gruppo rappresenti l'unione di tutte le maggiori forze italiane nel Biblioteca Gino l;3 ianco

BANCA ED INDUSTRIA 55 campo della produzione e della distribuzione dell'energia elettrica, e che perciò attraverso la Commerciale si sia attuato quel monopolio nazionale che da alcuni anni era invocato dai maggiori esponenti di tale industria. La sola Società Ad'riatica di Elettricità, per citare un solo ese~pio, con 100 milioni di ca_pitale, domina completamente la Società de] Cellina, la Idroelettrica Veneta e la Elettrica Milani con un capitale complessivo di 109 milioni ; 15 soèietà di distribuzione, con 98 milioni di capitale, per .una zona estesissima che dal Carso si spinge fino a Ravenna e Forlì. .. Oltre a questo che è il suo dominio ormai incontrastato, l'Adriatica è largamente interessata, fra le molte altre industrie, nella Società Bolognese di Elettricità, nella Idroelettrica Alto Savio, nella· Società Forze Idrauliche della Sila, nella Società Elettrica Coloniale. Poi eh è tutte le altre imprese elettriche descritte nell'opuscolo della Commerciale seguono più o meno la stessa strada della Adriatica, è evidente che il loro miliardo di capitale deve moltiplicarsi e non deve restare molto al disotto dei 2147 milioni messi insieme dalle 184 soèietà anonime registrate per questo ramo di industrie al 30 giugno 1923. * * * Risulta dunque chiarissimo che il metodo seguito dalla Banca· Commerciale è stato quello di preferire nei suoi finanziamenti quelle industrie che iosse possibile raggruppare avviandole in tal modo alla conquista di una posizione di monopolio, e eh' essa ritenne più agevole di raggiungere questo fine nelle industrie dove la coordinazione degli sforzi è imposta oltre che da ragioni economiche e· finanziarie, anche da ragioni tecniche, ed in· quelle industrie prevalentemente politiche, dove soltanto l'unione delle forze maggiori permetteva di esercitare la necessaria pressione sull'opinione pubblica e sugli organi statali. Dal punto di vista dell' interesse della Banca il sistema può forse essere utile od anche necessario. Quando essa. estende di preferenza i suoi finanziamenti a tutte le imprese principali che esercitano uno stessò ramo d' industria, e colloca nei consigli d'amministrazione di ciascuna società i propri uomini di fiducia, essa compie in forma indiretta queII' opera di concentrazione orizzontale che in altri paesi, più avanti dell' Italia nello sviluppo del grande capitalismo, è compiuta dagli stessi industriali ; e riuscendo per tale via ad eliminare concorrenze ed interferenze dannose alla maggior parte delle imprese finanziate, può darsi che essa tu- • teli efficacemente il proprio interesse e quello dei propri depositanti. Cos} pure in un paese dove le imprese di proporzioni più collossali e che più frequentemente ed in maggior misµra devono ricorrere a finanziamen_ti di lunga durata sono anche quelle che hanno maggiore bisogno degli aiuti dello Stato, è purtroppo naturale che I' Istituto di Credito chiamato a compiere tali finanziamenti e ad immobilizzare per essi .Bi lioteca Gino Bi 9 nco . . '

56 LA CRITICA POLITICA somme ingentissime, cerchi almeno di distribuirli e coordinarli in modo che ne risulti rafforzata e preponderante l'influenza politica del gruppo da essa finanziato. Ma se nell' interesse della Banca il sistema può apparire perfettamente logico, se può oggi giudicarsi frutto di ignoranza o di malafede la ripetizione periodica di vecchie accuse di congiure ·e manovre del ! capitalismo straniero ai danni dell' Italia ; non si deve tuttavia chiudere gli occhi e non riconoscere che quel metodo e la potenza raggiunta da quell'istituto rappresentano un pericolo assai grave per lo sviluppo b di alcuni rami dell')ndustria e per tutta l'economia nazionale. Un primo effetto - secondo noi dannosissimo - lo si è già visto in questi ultimi due anni. La rovina disastrosa dell' Ilva, seguita a breve distanza da quella dell' Ansaldo, non imputabile certamente alla campagna degli ~ntiprotezionisti e di cui nessuno di questi ha avuto il cattivo gusto di rallegrarsi, poteva almeno permettere, colla eliminazione del maggiore interesse contrario, di seguire una politica, che, mantenendo in vita una modesta e limitata siderurgia nazionale, liberasse una volta per sempre l'industria me~canica da una soggezione, che ne ritarda, e ne ostacola lo sviluppo. Invece coll'intervento della Commerciale non solo si è ricostituito, press'a poco nelle vecchie proporzioni, il grande trust del1' Ilva, ma coi legami stretti fra questa, l'Elba, il gruppo Terni-OrlandoOdero, e gran · parte della siderurgia Ligure-Lombarda e Piemontese si è creato o ci si avvia a creare il fronte unico della siderurgia, che i:ion solo ci ha impedito di ottenere il beneficio sperato, non solo ha determinato il seppellimento del" voto unanime per la sostituzione del premio di produzione al dazio sulla ghisa, ma farà sentire ben presto i suoi effetti più dannosi quando si intensifichi la tendenza all'aumento nella richiesta dei prodotfi siderurgici, di cui si hanno già accenni promettenti. Per l' industria dei concimi chimici il monopolio, che non si è ancora riusciti a costituire, ma verso il quale si tende con tutte le forze, rappresenta una minaccia così evidente per gli agricoltori e per l'avvenire dell'economia agraria, che non vi è davvero bisogno di darne alcuna dimostrazione. Ma il campo in cui il monopolio, nonostante le giustificazioni dei tecnici, sembra a noi più pericoloso, e dov' esso, come si è detto, è ormai pèr opera della Banca un ~atto comp!uto, è quello delle industrie elettriche. La concorrenza - si dice ed è in gran parte vero -- aumenta i costi di produzione e di distribuzione di energia; gli accordi fra le varie imprese rappresenterebbero quindi in questo ramo d'industria un beneficio invece che un danno per il consumatore. Ma il ragionamento ha il torto di essere unilaterale, e non ci dice affatto quale potrà essere la condizione dei consumatori, quando - a Biblioteca Gino Bianco ·

BANCA ED INDUSTRIA 57 , differenza di quel che oggi avviene - la domanda di energia superi di molto l'offerta, e produttori e distributori possano sfruttare in pieno la loro posizione di monopolisti. Si calcola che oggi l'Italia abbia utilizzato un po' meno di un quarto della sua forza idraulica trasformabile in energia elettrica. È evidente l'interesse dell'economia nazionale che questa utilizzazione sia ·fatta nel più breve tempo e nella miglior forma possibile: e per qualche anno è sembrato che con questo interesse genera-le coincidesse anche quello delle grandi società produttrici, che dal 1917 · in poi hanno fatto a gara per assicurarsi il maggior numero possibile di concessioni ed hanno inizi~to, sebbene in misura enormemente inferiore, nuovi lavori d'impianto. 1 Ma in parte per l'altissimo costo delle costruzioni ed assai più per l'eli1ninazione quasi totale della concorrenza fra le varie imprese, molti di quei lavori han cominciato a _rallentarsi ; e se nel frattempo la richiesta non ricomincierà a salire colla rapidità degli ultimi anJ?i di guerra, vi è il pericolo che, ultimati i lavori in corso, le nuove costruzioni si arrestino completarnente. Non vi è infatti alcuna ragione perchè il monopolio non compia in questo campo gli stessi effetti che esso compie in tutti gli altri; e che non si trovi molto più utile e sicuro trarre il massimo profitto dagli impianti esistenti taglieggiando i consumatori piuttostochè correre l'alea di spese ingentissime per la costruzione di impianti . nuov1. * * * L'inconveniente dei trusts, dei cartelli, dei monopoli è senza dubbio comune a tutti i paesi a rapido sviluppo capitalistico, e contro di esso sono state d~l tutto inefficaci le leggi restrittive e proibitive. Il solo correttivo veramente efficace si è sempre trovato nell'abbondanza stessa del capitale e nella possibilità illimitata della concorrenza, che ha permesso a lungo andare il costituirsi di nuove imprese indipendenti dai più potenti sindacati. Il pericolo è invece più grave in paesi come il nostro dove la formazione del capitale è ancora assai lenta, e dove sopratutto · il risparmio è ancora estremamente riluttante agli investimenti industriali che devono essere fatti per la massima parte attraverso le banche. In queste condizioni il monopolio esercitato, direttamente ed indirettamente, da un solo Istituto di Credito può determinare il form~rsi di una situazione,. solida forse e sicura, ma statica, può determinare cioè un arresto quasi totale nel nostro sviluppo industriale. Il rim~dio, altra volta tenta~o, di far sorgere coll'aiuto dello Stato is_tituti concorrenti, rappresenta, com'è confermato dalla esperienza troppo recente e dolorosa, un pericolo maggiore di quello che si vorrebbe evita~e. Resta solo da augurarsi che, acceleratasi la formazione dei risparmi ' . iblioteca Gino Bianco -

58 LA CRITICA POLITICA e venuto meno il troppo facile allett~mento degli investimenti in titoli pubblici, le nuove imprese possano sorgere spontaneamente. Ma in questa attesa, che potrà sembrare troppo lontana, sarà sempre opportuno che la minaccia rappresentata dalle tendenze al monopolio industriale sia tenuta sempre presente da quanti s' interessano al progresso della nostra vita economica, e che sopratutto, per amore di un liberismo di semplice apparenza, essi non si facciano involontari strumento di quelle tendenze. Per rimanere sempre nel campo dell'industria elettrica, noi crediamo che la diffidenza e l'antipatia largamente diffusesi negli ultimi tre anni contro le munieipalizzazioni e contro gli enti autonon1i consorziali, per quanto giustificate dagli sperperi e dagli errori commessi, abbiano fatto 1nagnificamente il giuoco delle potenti società monopolizzatrici. Conosciamo ad esempio il caso di una regione ricca di forze idrauliche e relativamente povera ancora di impianti idroelettrici, dove nel '18 o nel '19, per resistere alle pretese di una impresa assai nota per le sue •mire espansionistiche ed accaparratrici, si era costituito un Ente interprovinciale, alla testa del quale si erano messi tecnici di valore indi_scusso ed a cui aveva concesso il suo appoggio un nuovo e potente istituto pubblico di credito. Oggi invece di quell' Ente non si fa più quasi parola e l' Istituto è passato armi e bagagli dalla parte della Società privata, che domina ormai senza contrasto in tutta la regione ed anche al di là dei suoi confini. Se dunque la conoscenza del pericolo non può indurci ad invocare leggi restrittive o creazioni artificiali d' imprese concorrenti, essa deve almeno metterci in guardia contro una tendenza che è sostanzialmente la negazione del concetto di libera concorrenza, e per cui l'intervento, in molti casi inevitabile, di comuni, provincie, stato ed altri enti pubblici in materia economica, riuscirebbe alla fine a rafforzare ed ampliare quel monopolio di pochissimi gruppi bancario-industriali, che è già in via di rapida formazione. GINO LUZZATTO '' NOTE E COMMENTI,, non si pubblicano in questo fascicolo. Avremmo dovuto unicamente destinarle alla cronaca elettorale. Troppo poco, per quanto fosse possibile cavarne considerazioni interessanti ! E poi discorso troppo noioso, per noi. Delle elezioni come tali e del gi_uocodei partiti e' dei candidati, parleremo piuttosto quest'altra volta o addirittura a cose finite. I / atti ci offriranno allora argomento di più serio ed efficace discorso. BibliotecaGino Bian·co

SITUAZIONI POLITICHE La nuova lotta e il P. P. I. Non è mai sufficientemente messo nel debito rilievo nè apprezzato a m.odo il fatto che in Italia le forze cattoliche si cementarono, nel 1919, anzichè in un blocco retrogrado clericale, in un partito di sinistra a fondo conservatore, inserendosi d'acchito nella tradizione di liberalismo cavourriana. Come se ciò non bastasse, oggi il p. p. i. conserva malgrado ogni Iavorìo di disintegrazione, la sua fisionomia im1nutata; vale a dire, per la prima volta nella storia dei partiti medi in Italia, strati più o meno larghi di plebi rurali, di artigiani e di ceti medi, pur in mezzo a sì pietoso sfacelo di quasi ogni concezione liberale, resistendo agli allettamenti e rinunciando alle necessità del dominio, affermano una decisa volontà antigovernativa ed antitrasformistica, la volontà cioè di accettare solo una pratica di governo che non contrasti ai bisogni della Nazione. Ciò che deve renderci pensosi, ben più che non mostri la stessa stampa di opposizione al fascismo, della funzione duratura che esso partito è chiamato a compiere in avvenire. Le frazioni cattoliche orientate verso il fascismo, meglio, verso ogni governo, seguiranno le sorti di quello, dovranno cioè rapidamente spostarsi insieme con esso, com'è nella natura amorfa di esso. E quali si siano le sorti elettorali del momento (tutto il paese, partecipando così scarsamente alle lotte amministrative, tanto più astenendosi dalla presente campagna elettorale, vi mostra un assai mediocre interesse) il p. p. ne uscirà forse più compatto e, una volta libero dall'intrusione clericoconservatrice-nazionalista, più cosciente della sua immutabile missione liberale .. Or, se la sua forza presente è nella sua catteristica democratica, è chiaro che nessuno svuotamento vi potrà operare il fascismo, per quante concessioni esso faccia al cattolicismo. Il problema, a me pare, è appunto questo, solo questo, di vedere cioè quale serietà di affidamenti liberali esso p. p. può dare per l'avvenire. Ora, dinanzi all' inge- · ·nuità con cui il fascismo, non per errore, ma di proposito ha sacrificato gli interessi dei ceti medi e delle plebi, nel ·cui nome è sorto, l'opinione pubblica si è già avviata. Non trova ancora la strada per cui far valanga, ma si muove. Sente, se pur non vede chiaro, che il passato fu di pratica, utile pratica, di liberalismo democratico giolittiano, ma di ritornare a questo passato che ha, se non altro, la responsabilità di essersi lasciato battere, rilevando così tutta la sua fragilità costruttiva, di tornarvi < sic et simpliciter >, no, non c'è nessuno, di nessun partito, che voglia sentirne iblioteca Gino . .anca , I ...

60 LA CRITICA POLITICA parlare. Corresponsabili della sconfitta gli attuali dirigenti della variopinta opposizione. Dei quali perciò l'opinione pubblica diffida, ha, grossomodo, ragione di diffidare. Sono dei generali battuti ; potranno ancora combattere, anche vincere; non è prudente però affidare loro il comando supremo. Ora le varie opposizioni si sono cristalizzate nelle antiche formule : nella impossibilità pratica che i vecchi capi apprendano qualcosa dalla sconfitta, non appaiono uomini nuovi che correggano, aggiornando, . . . 1 vari programmi. Il liberalismo di destra del Corriere della Sera, che pur gode di ogni rispetto e di larghe simpatie, non affida: non arriva alla libertà della lotta di classe, senza della quale si può parlare di libertà solo per antifrasi. Nè persuade del tutto la democrazia de Il Mondo, attaccata più a ferire con la critica che a ricostruire, a dare la propria ricostruzione. Molto ci sarebbe da dire del vecchio Turati, che, in fondo, assorbe in sè quasi tutto il socialismo. Mentalità da· figlio di prefetto del Regno d' ItaJia, disse, due anni fa; uno studioso di cose politiche, che non occorre nominare. Gli concediamo la fede, oltre alla buona fede, non il contenuto pratico. Opposizioni di gruppi minori, repubblicani ecc., sono gravidi di idee, non si vede come di azione. Giovani studiosi teorizzano molto fortemente, ma per l'azione c'è tempo. Ora anche il p. p. ripubblica, per le elezioni, il suo vecchio programma del '19, si gloria anzi di ripresentarsi tale e quale come nel '19. Troppo poco, parmi, oltre che imprudente. Lasciamo da parte l'importanza, davvero preminente, del suo atteggiamento pratico di opposizione. Ma il pubblico bene o male, più bene che male, pensa .che quel programma, che quegli uomini furono sopraffatti, che non seppero antivedere e arginare la 1narea reazionaria. Qualche cos'altro bisogna pur portare al suo cervello, per nutrirne la f~de, perchè ricostruisca, filo per filo, il tessuto scombussolato dal fascismo della logica quotidiana di cui si alimenta. Le classi medie, le classi così dette intellettuali, se debbono lanciarsi in una lotta a fondo, definitiva, per la democrazia, non vogliono correre di nuovo il rischio di vedersi di nuovo guidate così balordamente da essere schiacciate ogni volta che faccia comodo alla reazione, e di dover pagare di persona. In mancanza gli uomini, nuovi, han bisogno, almeno, di for1nule nuove. Se no preferiscono, italianamente, di avvicinarsi, far la rana, aspettare .... lo stellone. Ora non si tratta di problemi elettorali. Non è solo per un atteggiamento del suo spirito polimorfo che Mussolini guarda con qualche disgusto al Parlamento e alle elezioni, ma gli è perchè sente che il problema della vita italiana non è nel Parlamento. Lui stesso del resto la sna soluzione l'ha promossa fin dal principio, fuori del Parlamento. Ora anche il paese sente che il problema del nuovo indirizzo da darsi non si risolve formando una Ca~era antifascista, come, del resto, una Camera fascista, non offrirebbe nessuna seria difesa al presente governo contro una sollevazione dell'opinione pubblica. E se il Parlamento ha dimostrato la sua Biblioteca Gino Bianco

LA NUOVA LOTTA E IL P. P. I. 61 incapacità a dirigere, la sua costituzionale impotenza a salvar sè e il paese dal prepotere del governo centrale, mancipio delle categorie parassitarie, il paese si disinteressa dell'esperimento parlamentare. E per • uscir dalla paralisi, per gettarsi nell'azione, aspetta parole più chiare. Che cosa dunque vuol dire che < il metodo elettorale mette in condizioni di inferiorità i partiti autonomi di fronte alla lista governativa >? Questo potrebbero dire i liberali di Salandra. Che vuol dire che il p. p. scendendo in lotta < vuol contribuire a far ritornare la vita pubblica alla .sua normalità costituzionale, ed opporsi ad ogni attentato contro l' istituto parlamentare e contro le libertà politiche della nazione >? Ma.... non si tratta di questo. Il Parlamento non esiste più, buona gente. Ma il metodo elettorale non mette in condizioni di inferiorità i partiti autonomi per la ragione lapalissiana che ogni funzione parlamentare è da un pezzo abolita, sono annientati i partiti. Che cosa può fare qualsiasi opposizione in Parla1nento? Ma è la lotta politica che non esiste più, da un pezzo. E non si tratta di normalizzare lo stato presente di cose che è un cul di sacco senza uscita, ma di sfasciarlo. Anche Don Sturzo pensa così. E allora? Ma lè preoccupazioni elettorali, se pur non debbono perdersi di vista, non facciano dimenticare l'essenziale, il rovesciamento spirituale da operare nel paese. II centro della lotta contro lo stato presente di cose va spostato fuori, nel paese. Se il fascismo vuol mantenere, con solenne incongruenza l' istituto parlamentare da esso stesso disprezzato e destinato, ora più che mai, a cader nell'ultima abbiezione per la sua infunzionalità che fu già un fatto ed ora è un proposito di esso fascismo, non dà che una nuova prova della propria incapacità ad accordare la prassi con le sue premesse ideali. Ma appunto per questo bisogna guardarsi dal commettere l'errore che Mussolini, col fatto stesso che non dà importanza alla lotta, mostra di saper evitare, sviarsi cioè dietro il fumo lasciando l'arrosto. Del Parlamento bisogna dire : aut sit sicut esse debet (non sicut erat), aut non sit. E, non c'è da dubitare, rinasceranno parlamento e parlamentarismo, solo se e. in quanto si rie1npiranno di contenuto reale, solo in quanto potranno assolvere al naturale compito di tutela della democrazia e degl'interessi delle categorie sin orà, con insigne stoltezza politica, conculcate. Se no, meglio lasciarlo buttare a mare definitivamente ; rivolgersi ad at- · tua re fo~me di partecipazione più diretta del popolo al potere, le quali siano più stabili, ci tolgano una buona volta alle annuali crisi d'indirizzo, assidano lo Stato su basi ben altrimenti solide che non quello fragilissime vantate sin ora, senza nemmeno crederci, dai vari governi. Ad ogni modo non confondere il principale· con l'accessorio. Il problema dunque pel p. p., come del resto per gli altri partiti, è di darsi un contenuto il più seriamente liberale possibile. Ora, innanzi al nuovo p~ogramma, che è il vecchio, il problema si presenta tale e quale. Parlare, come quello fa, oggi, che la vuotaggine parolaia nazional- ."blioteca Gino Bianco '

62 LA CRITICA POLITICA fascista va disseccando fin le linfe più prof onde della vita popolare, di contemperamento di libertà e autorità, di potere centrale con autonomie locali, di fine sociale con organizzazioni di classe, di con1pito direttivo integrativo con le libere iniziative, è, non solo vago, ma addirittura pericoloso, poichè lascia supporre che nella mentalità dei compilatori quei termini sieno antitetici. Mentalità proprio fascista, dunque. Nè soddisfa l'asserzione che detto programma < rimane identico nella sua caratt~ristica democratica e nella sua ispirazione cristiana, nella sua finalità patriottica e nella sua visione di solidarietà internazionale > : dei quali quattro tennini il secondo va chiarito o chiamato cattolico senz' altro, come va chiarito l'ultimo, e il terzo o è superfluo, perchè sottinteso in ogni partito, o può parer di nascondere fini fascisticamente paternalistici contro < l'organizzazione di classe riconosciuta e resa libera da coazione politica:). Lo stesso accenno al liberalisn10 andava connesso, se i lega1ni logici indicano qualcosa, non solo e non tanto con la difesa dell'agricoltura e con· la soluzione dei problemi del Mezzogiorno, cosa a cui arriva, almeno a parole, anche il fascismo, quanto con la soluzione del problema della libertà. Infine più aperte dichiarazioni ci vogliono sull'auspicato compie.mento della libertà d'insegnamento, oggi che, più che mai, le parole indicano molto spesso l'opposto di ciò che suonano. Un'Italia guelfa e cattolica contro la tradizione del risorgimento, se ne renda ben conto don Sturzo, è per la presenza e per le necessità del papato, un'ipotesi piena di formidabili incognite e addittura pericoli; la monarchia difficilmente la subirebbe, l'Italia, sebbene vada smettendo l'abito di preconcetta irreligiosità indossato per le note vicende del risorgimento, in nessun caso vi accorderà, senza la più seria garenzia delle proprie libertà contro ogni più remoto pericolo. Ora il gioco delle parole, vuote o a doppio fondo, può anche aver fortuna da noi, come dimostra la cronaca delle fortune politiche degli ultimi anni, nè d'altra parte la serietà e la sincerità delle posizioni ideali sono l'unica e la maggior causa di successo. Ma queste devono consi-- derarsi come conditio sine qua non pel capovolgimento di una situazione che, in fondo, dura dal '60, e che ora è così baldanzosamente sicura di sè, che non dubita di abbandonare ogni velo per ostentare al sole la sottostante nervatura degl' interessi parassitari agrario-industriali. Con queste chiarificazioni, il p. p. può compiere un'opera utile nella prossima lotta, può assumere una posizione fors'anche preminente, certo rilevantissima, in mezzo agli altri partiti che, attraverso alle varie soprastrutture teoriche, sapranno attuare un più reale contenuto di ~pratica della libertà. 1 febbraio 1924. ULENSPJEGEL BibliotecaGino Bianco

Patria e Libertà ·ORIGINE RIVOLUZIONARIA DEL SENTIMENTO PATRIO Il patriottismo nazionale - vale a dire quello 'abbracciante nello stesso sentimento tutta la nazione, e non più soltanto la regione, il comune o il piccolo Stato ducale e granducale - è sorto ed ha cominciato a manifestarsi come idea e passione c_ollettiva, con tutte le sue conseguenze politiche e sociali, in Italia, soltanto dopo la Rivoluzione francese del 1789. Anche in Francia, prima della Grande Rivoluzione, la patria era una concezione intellettuale e letteraria di pochi e niente affatto un sentimento di popolo. Le lotte regionali e le lotte civili, prima di Luigi XIV, eran ciò che appassionava di più. Al tempo del Re Sole esisteva bensl l'unità statale, ma la patria era il Re, non il paese, non la collettività dei francesi. Fu soltanto durante quella specie di pre-rivoluzione intellettuale che fu il movimento dell'Enciclopedia, che l'idea nazionale divenne qualcosa di definito e di concreto, al di sopra e magari in contrasto con gli interessi di casta e con l' idea monarchica. Si trattava ancora piil d'una concezione cerebrale che d'un sentimento; ma in sentimento poco. per volta si andò trasformando, man mano che alla, parola "patria" si andò congiungendo l'altra di " libertà 11, specialmente per l'enorme influenza che esercitò sulla Francia la rivoluzione e la guerra d' indipendenza dell'America del Nord, che per ragioni coloniali e dinastiche lo Stato francese, secolare nemico di quello inglese, aveva favorito, commettendo l'imprudenza di inviarvi o lasciarvi andare come volontari molti suoi sudditi. I reduci dalle guerre americane tornarono in Francia con un fiero spirito d'indipendenza e parlavano un linguaggio allora inusitato. Gli americani avevano conquistata la libertà della patria contro lo straniero; ma questa espressione < libertà della patria > per i francesi, che avevano tutto il loro territorio indipendente dallo straniero, assumeva un significato diverso, quello cioè di guerra ai despoti che opprimevano la patria dall'interno. "Durante l'ultimo mio viaggio in America (1784) - scriveva alla vigilia della rivoluzione il generale Lafayette - ebbi la sodisf azione di veder compiuta la rivoluzione americana, e pensando a quella della Francia, i,n un discorso pronunciato nel Congresso, dissi queste parole : Possa questa rivoluzione essere un avvertimento utile per gli oppressori ed un esempio per gli oppressi! (1) Dal concetto astratto di Stato si passava al concetto realistico di N a- (1) G. ONCKEN: Epoca della Rlvoluzlone, dell'Impero e delle guerre tf Indipendenza (Edit. Vallardi, Milano), Voi. I., pag. 311. iblioteca Gino Bianco

64 LA CRITICA POLITICA zione; e la rivoluzione fece il suo primo timido passo cambiando il " re di Francia" - che poteva orgogliosamente dire lo Stato sono io - in " re dei francesi ,, : vale a dire il Re non era più la personificazione di una astrazione, ma il rappresentante di una collettività. Mosso il primo passo, in un paio d'anni i francesi giunsero a ghigliottinare il loro re; e nel momento in cui la testa del tiranno cadeva nel lugubre paniere, dalla moltitudine che gremiva la Piazza si levò, insieme a quello di " viva la Repubblica I "' immenso e forte il grido che si ripercosse per tutta Parigi: Viva la Nazion.e ! L'idea di " nazione" veniva battezzata col sangue d'un re. "Viva la Nazione " fu il grido dei sanculotti; i quali Io gridarono non soltanto nei giorni di sommossa, ma anche su tutti i _campi di battaglia in cui sconfissero tutti i re dell'Europa ed i loro eserciti, unendo in uno stesso amore la patria e la libertà. E non la libertà della loro patria soltanto, ma quella di tutti i popoli, in una suprema aspirazione alla fraternità umana. · Nel 1793 Robespierre proponeva, in una seduta dei Giacobini, un emendamento ad un articolo della famosa Costituzione di quell'anno in questi termini : Oli uomini di tutti i paesi sono fratelli, ed i diversi popoli devono aiutarsi fra· loro, secondo le proprie forze, come cittadini di uno stesso Stato. Chi opprime una sola nazione si dichiara nemico anche di tutte le altre ( 1). I soldati della Repubblica si battevano, almeno nei primi anni, contro lo straniero non solo per difendere la libertà della Francia ma per portare la libertà ai popoli dei paesi invasi e per liberarli dai loro tiranni. Era certamente una illusione, quest'ultima, poichè la libertà non si impone per forza ai popoli dal di fuori ; essa non può essere che il risultato di uno sforzo volontario dei popoli medesimi. Pure l'illusione ebbe per alcuni anni - finchè la violenza di Buonaparte non la spense - tutte le apparenze e tutte le seduzioni della realtà. E quando, abbagliato dal miraggio imperialista, il popolo francese ebbe l'illusione opposta che la <patria> potesse diventar grande senza libertà, pel solo genio di un despota, ne fu tremendamente punito. Esso vide la sua patria invasa, ed i cavalli degli µlani e dei cosacchi calpestare il selciato di Parigi. · Gli stranieri in armi riportavano sul trono di Francia l'erede del re ghigliottinato; e solo nuove rivoluzioni potevano lavare di questa macchia la patria degli espugnatori della Bastiglia. COME L'IDEA DI PATRIA SORSE IN ITALIA. In Italia l'idea di una patria " italiana "' al di sopra delle patrie comunali e regionali, aveva cominciato a manifestarsi con una certa precisione fra gli scrittori politici della Rinascenza umanista; ma, come più tardi fra gli Enciclopedisti francesi, si trattava di aspirazioni e costruzioni ideologiche, puramente intellettuali di pochissimi ingegni superiori, e non d'un sentimento formato e collettivo. Inoltre, se Macchiavelli e Guicciardini estendono la " patria" del Comune libero a tutta una Italia unita, indipendente, liberata dei preti e dello (1) L. BLANC: Histotre de la Révolution Jrançatse (A. Lacroix, Paris, 1878), Vol. 10, pag. 21. BibriotecaGino Bianco

PATRIA E LIBERTÀ 65 straniero e non più sballottata tra il Papato e l'Impero, poco appresso Bruno e Campanella vanno più in là, si sentono universali ; ed in specie il secondo arriva all'apoteosi della scienza e dell'uguaglianza uma na, d'una fratellanza in cui non sia più distinzione di mio e di tuo. Ma la luce si spegne presto; e prendono il sopravvento i gesuiti, l' in- quisizione e il Concilio di Trento. Di patria e d'umanità non si parla più se non per vezzo arcadico. L'Italia infrollita e spagnolizzata, divisa e ancella dello straniero, ignorava il suo Vico, metteva all'indice Macchiav elli, tormentava Galileo, levava alle stelle il cavalier Marino ed aveva sul finir del 700, prima delle anticipazioni 'rivoluzionarie della letteratur a enciclope- .dista, per massimo esponente del suo patriottismo l'abate Me tastasio, poeta cesareo alla corte di Vienna: era inson1ma una < patria> di stucco, senz'anima, senza vita, innocuo dilettantismo di rimatori belanti inutilme nte sulla prostrazione più vergognosa della patria viva, che ignorava anco ra se stessa. La patria vera, reale, non potea rivelarsi che attraverso la Ri voluzione per la libertà. Le preparò il terreno intellettuale la influenza delle lontane rivoluzioni inglese ed americana e dell' Enciclopedia, per cui l'Alfieri non seppe concepire l'amor di patria se non attraverso il sentimen to di libertà e lo spirito di rivolta. L'ultima sua tragedia, Bruto Secondo, in cui si esaltava l'uccisione del Dittatore di Roma, fu scritta proprio nel 1789, primo anno della Grande Rivoluzione ; ed il poeta la dedicò " al Po polo Italiano futuro n• Dopo pochi anni il popolo rispondeva all'appello, e dava alla lib ertà del suo paese, a Torino, a Bologna, a Napoli i primi purissimi martiri. Lo scoppio della Rivoluzione in Francia fu come l'eruzione d i un vulcano, di cui le lave ardenti si fossero spinte quasi ai confini del mondo : l'Italia, che più· viveva da circa un secolo in stretta comunion e spirituale e di costumi con la Francia, ne fu infiammata. I Principi al c ontrario s'atterrirono, e strinsero i freni. Ma le idee dei clubs parigini, de l giornalismo rivoluzionario francese, della Convenzione penetravano ovunq ue. Delle società sorsero qua e là, più o meno segretamente, in cui non s i parlava che di libertà, di patriottismo, di fraternità dei popoli. Il successo giacobino, giustificando gli errori del partito omonimo agli occhi dei più , aveva fatto pullulare i giacobini anche in Italia. < Liberare l' Italia dai tiranni > poco per volta divenne il sogno più ardente di mille anime. I <tiranni> eran tutti i re e principi indigeni; l'odio allo stran iero, più tardi così fortemente eccitato dall'oppressione austriaca, allora non era sentito. Anzi, tremendo errore che costò disillusioni, dolori e sa ngue, - ma inevitabile, in un popolo debole ancora e senza forze proprie, - si sperava dalle armi straniere un aiuto contro le tirannidi 1)nterne. Lo stesso dominio austriaco era, prima della Rivoluzione, quello più sopportabile economicamente e politicamente ; e ciò contribuì a rafforzare l'errore. Si guardava alla Francia come alla terra promessa, alla sorella maggiore; e quando, declinando già a Parigi le sorti rivoluzionarie, gli eserciti sancu lotti s'affacciarono alle Alpi, il popolo delle città italiane si preparò a riceverli come liberatori. Alla te.sta dei.< liberatori > era un Italiano; e gli italiani non avrebber mai pensato che proprio lui avrebbe ritolto l'indomani con la sinistra quel che ieri avea· dato con la destra, e soffocata quella libertà in nome della Biblioteca Gino Bianco ·

66 LA CRITICA POLITICA quale guidava alla vittoria g,li " eserciti scalzi cittadini "" Così si ebbe questo fenomeno: che i più ardenti "patriotti " eran coloro che auspicavano, ed in più luoghi facilitarono, l'invasione straniera. Invano i Principi fecero appello ai popoli, per la difesa del territorio italiano contro i barbari; meno qualche eroica eccezione nel Napoletano ed in Piemonte - a Napoli dovuta solo a fanatismo religioso ed in Piemonte ad un sentimento più piemontese che italiano ed a lealismo militare e dinastico - le popolazioni, <? erano indifferenti e trepide solo della loro tranquillità, o vedevano la causa della patria italiana nell'esercito francese invasore. Il sentimento di patria sorgeva nei cuori attraverso il desiderio di libertà. L'Italia non fu più la fredda espressione geografica e letteraria dei frugoniani, <lacchè la passione rivoluzionaria la infiammò dall' AIpi al mare. Essa divenne qualcosa di concreto, di vivo, che valeva la pena di essere amata e difesa; era cioè la "patria"' il territorio della libertà popolare, nemica dei tiranni paesani e stranieri, sorella di tutte le patrie ugualmente libere. La patria senza la libertà era inconcepibile, parola priva di senso. Patriotta, repubblicano, rivoluzionario, giacobino, eran tanti sinonimi, in quel periodo turbinoso in cui per la prima volta in Italia, spezzato ogni ceppo al pensiero, il popolo potè manifestare tutta la vitalità di cui era capace neqe piazze, nella stampa, nelle assemblee e negli atenei. Il poco tempo in cui sbocciarono e vissero la vita delle rose tutte le Repubbliche fiorite in seguito all'invasione francese, dal 1796 al 1804, con nomi diversi (cispadana, cisalpina, romana, toscana, partenopea, ecc.) fu un tempo d'ebbrezza per i " patriotti Jn - non scevro d'amarezze e di bru- ~chi risvegli, ma pur sempre pieno d' illusioni e di speranze. II 21 gennaio 1799 si festeggiava alla Scala di Milano il supplizio di Luigi XVI; e si cantò un inno del Monti che dice quali fossero i sentimenti dell'epoca. È la nota ode che comincia " Il tiranno è caduto. Sorgete - genti oppresse!" ecc. e contiene la magnifica invocazione alla libertà: Oh soave dell'alma sospiro, Libertà, che del cielo sei figlia! Compi alfine l'antico desiro Della terra, che tutta è per te. Ma tua pianta radice non pone Che fra brani d' infrante corone; Nè si pasce di mute rugiade Ma di nembi e del sangue dei re. Vennero poi le disillusioni. Mentre sanguinava ancora la ferita di Campoformio, le successive vicende napoleoniche, col Regno Italico e l'Italia divisa in f.eudi regi fra i generali e i parenti del Buonaparte, le spogliazioni, le violenze militaresche, ecc. finiron con l'aprir tutti gli occhi e mostrare anche ai ciechi che una guerra di conquista non poteva essere una guerra di libertà. Purtroppo vi fu chi s'illuse ancora, e sperò la patria indipendenza, contro il tiranno di Francia, dalla vittoria dell'Austria; e scontò l'orribile errore d'averne favorito il _ritorno con una schiavitù raddoppiata e più tardi col carcete duro dello Spielberg. Ugo Foscolo partiva per l'esilio disperato, e potea ripetere, maledicendo ., , BibliotecaGino Bianco

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