la critica politica - anno III - n. 12 - 25 dicembre 1923

Ll\. CRITICI\ -POLITICI\ R.IVISTA MENSILE ANNO III. 25 dicembre 1923 f ASC. 12. Nuove esigenze della lotta politica Le idee che da tempo andiamo sostenendo su questa rivista e, sopratutto, le esigenze che in esse crediamo si trovino espresse ed affermate, acquistano ora il diritto a sperare in una valutazione maggiore e migliore. Indipendentemente da ogni altra considerazione soggettiva sui suoi metodi fini e risultati, un merito al Fascismo deve essere riconosciuto : di avere spogliato il problema politico e sociale della nazione da tutto il ciarpame di sovrapposizioni che contribuiva ad oscurarlo e a renderlo meno intelligibile. Questa chiarificazione non è per tutti allo stesso modo evidente, nè sono molti coloro che hanno saputo trarne profitto. Il Fascis1:110 avrà, però, poco da temere dai suoi avversari finchè contro di esso non si saprà portare che gli argomenti e le soluzioni per cui si rese inconcludente e insopportabile la vita politica del non lontano passato. Erano là infatti, nello Stato e nei partiti, i principali elen1enti di successo e la giustificazione stessa del Fascismo il quale ha proceduto su un terreno preparato e spianat~ dai suoi predecessori nel governo dello Stato. La dittatura doveva essere l' inevitabile sbocco di un sistema in cui le funzioni, le attribuzioni, i poteri andavano ogni giorno maggiormente restringendosi al centro. Quando tutti gli affari finiscono col concentrarsi nello Stato, è inevitabile che tutti gl' interessi particolari mirino a costituirsi nello Stato una posizione di privilegio. Quando poi gl' interessi in gara diventano troppi e lo Stato non è più in grado di contenerli e il prevalere degli uni esige il decadere degli altri e il loro sacrificio, gl' interessi privilegiati non hanno altra via che quella di assicurarsi in modo stabile il loro predominio. E lo Stato, difatti, aveva cessato di essere la Nazione: come realtà se non come idea. Gruppi ristretti se ne contendevano e se ne dividevano il dominio. I partiti politici nel paese - persino i cosidetti partiti di masse, come il socialista che nel periodo di suo maggiore sviluppo non superò i 200 mila iscritti - si riducevano a piccole minoranze organizzate e governate dittatorialmente. La sovra- . nità dei singoli si annullava nel partito prima ancora di arrivare alle istituzioni rappresentative, che erano anche perciò una costituzione assolutamente artificiosa. Artificiosa e impotente di fronte alla vastità e alla complessità dei problemi che lo Stato assom1nava in se stesso. Il Parlamento, che avrebbe dovuto esserne l'organo regolatore, s'inseriva nello Bibliotecà Gino Bianco

490 LA CRITICA POLITICA Stato solo per contribuir.e alla sua disorganizzazione e per accrescerne la difficoltà di funzionamento. Il Fascismo ha posto fine, in forma spiccia e brutale, all'anarchia delle dittature in compartecipazione dei partiti destinate a trovare nel Parlamento un terreno costantemente instabile, imponendo la propria dittatura al di fuori del Parlamento e contro il Parlamento. E così non solo ha risolto per proprio conto e per vie dirette quel problema della conquista assoluta dello Stato che gli altri Partiti si studiavano di realizzare attraverso il giuoco delle schermaglie e delle combinazioni parlamentari, ma Io ha anche risolto nel solo modo che lo Stato oggi, cos) come è costituito, potesse comportare. La realtà presente sarà, anzi è insopportabile. E si capisce come di fronte ad essa molti sentano il desiderio di un ritorno al passato, dove almeno le forme esteriori erano salve, e incruenta la lotta per la sup,remazia dei partiti e dei gruppi, e libera la espressione del pensiero individuale, e le elezioni offrivano al _popolo là illusione di un esercizio di sovranità praticamente nullo. Ma se il passato può essere oggetto di ,. qualche rimpianto, se ricordandolo si può oggi dire che < si stava meglio quando si stava peggio », non può offrire il punto di arrivo per l'avvenire. Anche per una ragione: che il Fascismo potrà sempre dire ai < pregiudiziaiuoli delle forme > di non aver distrutto niente. La interna costituzione dello Stato è intatta. Resta la Monarchia. Resta il Parlamenro. II meccanismo elettorale ha subìto una sostanziale modificazione che p~rò risponde ad una necessità assoluta dello Stato moderno. L'accentramento esige unità e continuità di governo : due cose che, per la facile mutabilità delle Assemblee parlamentari, dovuta al frazionamento dei gruppi si era addimostrato praticamente impossibile ottenere col precedente sistema di elezioni. Quanto al resto nessuno può più pensare o I sperare, dopo quel che è avvenuto e restando lo Stato quale è, che le cosidette libertà costituzionali (riconosciute e sancite dallo Statuto) possano trovare domani nella Dinastia il loro presìdio o che il Parlamento possa mettersi in grado di salvaguardare comunque quella sovranità del popolo che in esso avrebbe dovuto trovare la propria espressione. Se in un domani più o meno lontano la libertà dovrà essere riconquistata dai cittadini - e non v' è dubbio che lo sarà - dovrà pure trovare forme di difesa meno fragili e incerte. Le dinastie alla libertà saranno sempre infedeli 1 La sovranità del popolo non potrà, no, fineh è non mutino l'officio e l'organizzazione dello Stato, sperare di realizza~si nella forme puramente esteriori del sistema parlamentare. Guglielmo Ferrero - che pur se n'è fatto strenuo difensore in questo momento - riconosce che il governo rappresentativo è il risqltato di un giuoco nel quale, non diversamente di quello che si fa a Montecarlo, vincono i più abili e fortunati, e non già i più capaci. Un giuoco pacifico, regolato da leggi convenzionali che ha potuto assolvere il suo compito soltanto fino a che i partiti che vi partecipavano .non hanno avuto la voglia e il mezzo di riBiblioteca Gino Bianco

... NUOVE ESIGENZEDELLA LOTTA POLITICA 491 bellarsi : fino a che cioè presentava per tutti rischi e probabilità quasi identiche. Ma ora l'equilibrio s' è rotto. E non è sullo stesso punto e allo stesso modo, colle stesse forme, che potrà essere ristabilito. La crisi che ha avuto in Italia la sua manifestazione più grave e caratteristica nel Fascismo, investe il sistema rappresentativo anche fuori del nostro paese. In tutti gli Stati europei il sistema rappresentativo corre seri pericoli. Si tratta di un fenomeno generale che i residui di rancore e di violenza è le speranze chimeriche che la guerra ha lasciato non bastano a spiegare. L'Europa soffre di statalismo. Il sistema rappresentativo ha sofferto meno là dove appunto lo statalismo potè essere contenuto e sopratutto non assunse la forma d'intervenzionismo economico. Esempio : l'Inghilterra. Ovunque, invece, lo Stato divenne una realtà troppo complessa, il sistema parlamentare vacilla. Si vede assai ~ene ora come esso non fosse e non sia altro che l'etichetta di un edificio dove solo gl' interessi particolari riuscivano a prevalere e la plutocrazia ad impadronirsi del governo. La democrazia non ha trovato nel Parlamento le forme della sua pratica realizzazione. Dalla Rivoluzione Francese la democrazia ha esistito ed esiste come speranza, come es'igenza del mondo moderno ; come realtà, mai. Ed ecco la nostra p9sizione : nella realtà di oggi per la realtà di don1ani. Pochi o molti (non abbiamo fatto la conta del numero, e farla sarebbe impossibile) sentiamo di esprimere le esigenze insopprimibili dell'epoca 'moderna, della nostra vita cos) varia e complessa che Io Stato è assolutamente incapace di abbracciare e dirigere, che può solo comprimere. Sono le esigenze stesse della libertà, se è ancora consentito adoperare questa parola senza pericòlo di essere -fraintesi. L'accentramento, che la Rivoluzione Francese ereditò dall' ancien régime e conservò, può avere corrisposto ad un periodo della nostra civiltà industriale e in un certo senso giovato. È possibile ammettere che abbia rappresentato una necessità storica. Oggi costituisce un punto di arresto, un pericolo di regresso, di decadenza. Quello nel quale viviamo è appunto uno di quei momenti nella storia in cui, come ha notato Pareto, le forze sociali troppo fortemente compresse da un periodo di < statismo > eccessivo hanno bisogno di spezzare i vincoli dei rigidi ordinamenti dello Stato per potere, nella scioltezza e nella libertà delle opere, rinnovarsi e progredire. È solo in considerazione della posizione che lo Stato è venuto ad assumere nell'attività umana, che diventa intelliggibile la crisi politica e sociale nella quale si dibatte l' Europa. È solo in dipendenza dello Stato quale è, che esiste una crisi del sistema rappresentativo e una crisi della legalità, e la libertà è un argomento sul quale non è possibile intendersi. Ed è inutile pensare di trovare ad esRe una soluzione senza avere prima risolto il problema di ciò che lo Stato deve essere. Revisione quindi, a cui devoho assoggettarsi quanti, uomini e partiti, intendono ca~minare al passo colla storia. Il Fascismo, ripetiamo, Bibliotecà Gino Bianco

492 LA CRITICA POLITICA spezzando una infinità di sovranità particolari e addimostrando quanto illusorio fosse pensare che, non già tutti i diritti, ma anche solo tutti gli appetiti potessero trovare soddisfazione nello Stato ha contribuito a chiarir meglio, a rendere evidente il problema. Lo Stato deve, anzitutto, essere, nella sua espressione visibile, lo Stato giuridico, lo Stato di tutti, aperto a tutti, a nessuno !inaccessibile, fav~revole o contrario. Perchè Io Stato non sia l'argomento di tutti i contrasti, il centro di tutti gli appetiti, di tutte le aspirazioni, occorre che nessuna forza o gruppo, nessun interesse particolare possa attendere o sperare di conquistare in esso una posizione di privilegio o di difesa. Unicamente così lo Stato può cessare di essere la causa_ principale di perturbamento economico e di perturbamento sociale. Questo punto è essenziale. La radice del male è qui. · Gli antagonismi economici e sociali diverranno benefici il giorno• in cui non troveranno nello Stato il loro campo di battaglia e serviranno a stimolare e a sviluppare le facoltà di ciascuno. Ii progresso economico è nella misura in cui tutte le funzioni sono compiute da energie · spontanee. Nulla potrà mai impedire che le forze produttive dall' industria, dell'agricoltura, del commercio, separatamente e per proprio conto, si uniscano, si organizzino per regolare i propri interessi, tutte le volte che lo stimino conveniente. Ma la loro attività deve svolgersi nel campo che è loro proprio, fuori dello Stato. Nel campo dell'attività economica nessuna soluzione può esservi migliore di quella che gl' interessi governino se stessi. 01' interessi agricoli per esempio, e lo stesso dicasi per quelli del commercio e della industria, potrebbero benissimo trovare secondo i criteri della particolare convenienza (locale, regionale, nazionale) la loro sistemazione, le loro provvidenze e i loro organismi di rappresentanza e di tutela. È ad una nuova concezione dello Stato che bisogna arrivare. Segnato il punto di partenza, alle soluzioni politiche si arriverà senza difficoltà, per via logica. Perchè la sovranità popolare possa esercitarsi Io Stato deve essere semplice. Perchè possa essere diretta deve essere frazionata. La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica è più viva quando i problemi di essa sono vicini, conosciuti e sentiti piuttosto che astratti e lontani. La formazione di uno Stato non può essere monolitica. Deve corrispondere invece alle diversità dei costumi, di ambiente, di esigenze esistenti in ogni nazione, presso ogni popolo. Snodate debbono essere le giunture perchè l'organismo politico sia agile. Occorre, insomma, approfittare della esperienza che il Fascismo ci offre e in una diversa impostazione del problema dello Stato trovare alle esigenze insopprimibili di libertà e di autonomia che sono nel paese soluzioni migliori di quelle nelle quali, nel passato, la libertà si annullò e il sistema rappresentativo si ridusse ad un giuoco di probabilità. OLIVIERO ZUCCARINI Biblioteca Gino Bianco

Le cause profonde del caos in Germania O logica itnplacabile della storia! Il tentativo di violentarla è una follla stolida. E inflessibile, e persegue la sua strada inesorabilmente, schiacciando e maciullando tutti coloro che non ubbidiscono alla sua legge. È quanto capita alla Germania, che è caduta nel caos più spaventoso, sopratutto per aver voluto nel dopo guerra ricostruire la sua vita con la mentalità del pass.ato. Altri elementi, non esclusa la politica di compressione violenta ed inesorabile della Francia, hanno indubbiamente contribuito a creare il caos in Germania, ma io credo che la causa principale bisogna ricercarla in questo cozzo pazzesco e stolido d'un popolo che : vuol sopraffare e distruggere la realtà inesorabile. Un anno dopo il giorno, nel quale il popolo di Parigi, il 14 luglio 1789, dette il segnale della rivolta contro l'antico regime, i rappresentanti di tutte le provincie francesi si riunirono per festeggiare sul Can1po di Marte questo risveglio della libertà. La nazione, in uno slancio unanime aveva, compreso che tempi nuovi si annunziavano. Il 9 novembre 1918, la Germania ha cacciato i suoi re ed i suoi principi ed ha proclamato la Repubblica. Nessuno, da allora, ha mai solennemente celebrato l'anniversario di quella giornata. L'opinione pubblica ne accoglie l'anniversario con querele e proteste. I conservatori accusano la rivoluzione d'aver provocato la disfatta < pugnalando l'esercito tedesco alla schiena> e credono sempre, ed anche oggi, possibile di cancellare gli ultimi anni della storia per riprendere il corso della tradizione bismarckiana. La storia non si cancella. Una follìa pitt insensata e più inaudita non s' è mai vista. Le masse operaie avevano pensato che, dopo le lunghe 1niserie, la rivoluzione avrebbe immediatamente sollevato la loro sorte e che il proletariato avrebbe imposto la sua volontà alla nazione ; esse hanno visto svanire le loro speranze. In quanto alla borghesia liberale, essa si domanda se l'ordine e la prosperità d' una volta non valevano meglio delle lotte e delle incertezze di oggi. La rivoluzione è un delitto nazionale agli occhi degli uni, essa è stata per gli altri un errore, un' illusione. La rivoluzione del 9 novembre non ha cambiato nulla nella mentalità tedesca. * * * AI principio del settembre del 1918, il popolo tedesco viveva ancora nell'ignoranza più completa della situazione. Attendeva passivamente il Bibliotecà Gino Bi CO

494 LA CRITICA POLITICA miracolo o la pace bianca che doveva por fine alla guerra, come oggi attende l'aiuto americano. Da lungo te1npo, e sopratutto dal messaggio imperiale del 7 aprile 1917, gli si prometteva, come premio della sua saggezza, di stabilire in Prussia il suffragio universale, e di sopprimere il sistem~ di voto arcaico che divideva il corpo elettorale in tre classi di diritti disuguali. L'opposizione dei conservatori aveva impedito tutte le riforme ed il popolo non protestava nè punto nè poco. La mancanza completa d'educazione politica, che aveva impedita alla Germania di conquistare le libertà indispensabili ad Gna grande nazione, non poteva essere improvvisata dall'oggi al domani. Chi in Germania era capace, al momento della disfatta di sostituire subito e bruscamente il regime che crollava con un regime nuovo ? Non e' era borghesia repubblicana e nemmeno una classe simile a quel solido Terzo Stato, cui il liberalismo illuminato aveva preparato l'avvenire della rivoluzione francese. La Germania er.a un impero 1nilitare di diritto divino. Non si concepiva che un giorno potesse divenire altra cosa. Il partito socialdemocratico, il meglio organizzato, non aveva previsto niente. Dal primo agosto 1912 aveva abdicato i suoi diritti al governo imperiale e sanzionato tutti gli atti della politica di guerra. Sottomesso alla disciplina dei sindacati, per i quali si trattava di proteggere l'esistenza materiale dei lavoratori, si disinteressava quasi delle discussioni politiche. Il giorno stesso della proclamazione della Repubblica, il 9 novembre 1918, < La Corrispondenza della Commissione Generale dei Sindacati> trovava ch'era prematuro di porre la questione dell'abdicazione dell'Imperatore e del Kronprinz : ('.A Berlino, era scritto, c' è della gente che pensa seriamente a far con un decreto della Germania una Repubblica. Questo problema non potrà essese risoluto se non quando si saranno prima stabilite le basi dello Stato popolare >. La gente che scriveva ciò allora, mostrando la più completa incomprensione della situazione, è quella stessa che oggi è l'arbitra della vita politica tedesca. Questa constatazione è di una eloquenza straordinaria per far capire la mostruosa incapacità politica degli uomini della socialdemocrazia. Gli altri sono anche al di sotto per la mala ventura del popolo tedesco. Continuiamo intanto nelle nostre ricerche obiettive. Il governo imperiale avrebbe dunque vissuto ancora giorni felici se la disfatta militare avesse potuto essere contenuta. Esso aveva avuto facilmente ragione degli scioperi avvenuti in più riprese durante la guerra, nel maggio 1915, nell'aprile del 1917 ed anche nel gennaio del 1918, quando più di 500.000 operai a Berlino avevano reclamato soddisfazioni economiche ed una pace senz'annessio9e. Un brivido d'inquietudine era passato in quel momento sulla Gennania, poi s'era dissipato. Il popolo, nell' insieme, restava calmo. La propaganda rivoluzionaria, fatta in segreto dai socialisti di estrema sinistra e dal gruppo degli spartachisti, non aveva avuto su di esso un'azione profonda. . . Biblioteca Gino Bianco ..

• LE CAVSE PROFONDE DEL CAOS IN GERMANIA 495 Lo Stato maggiore teneva. con gran cura la nazione nell' ignoranza. Liidendorff, l'uomo che imperterrito e con la più grande incoscienza continua a spingere la Germania sulla via del precipizio, sapeva che bisognava troncare al più presto le ostilità. Fin dal primo di ottobre aveva domandato al governo di fare imm·ediatamente agli Alleati proposte di armistizio. Ma, fino all'ultimo momento, nascose all'opinione pubblica la gravità della situazione. Il popolo tedesco, per quanto la disfatta bulgara, gli avesse un po' aperto· gli occhi, non credeva ancora alla possibilità del trionfo dell'Intesa, e si riattaccava alla speranza d'una pace senza vincitore nè vinto. È questa una caratteristica del popolo tedesco: quando non riesce a superare una difficoltà non si rasségna alla inesorabile realtà, ma si attacca alle più folli ed ingenue speranze compiendo le azioni più inverosimili e più incomprensibili. Nessuno pensava a domandare allora i conti all'ammiraglio von Tirpitz, il promotore della guerra sottomarina, che aveva affermato, alcuni mesi prima che < l'aiuto americano restava e resterebbe un fantasma>. Il 31 ottobre del 1918 Stresemann, cancelliere di ieri atteggiantesi a dittatore (la debolezza umana evidentemente non ha limiti !) dichiarava che < non esisteva pericolo immediato sul fronte occidentale >. Appena due settimane prima dell'armistizio, l'ex vice-cancelliere Von Payer proclamava: < Noi non pensiamo menomamente di abbandonare le nostre conquiste nell' Est ; noi ci teniamo al vecchio detto tedesco : Conserva ciò che hai>. La rivoluzione non è partita dall'interno del paese, come affermano i conservatori, per propagarsi nell'esercito e disgregarlo; è venuta invece dalle regioni nelle quali si con1batteva; essa è stata la conseguenza naturale e la ripercussione immediata della disfatta. La cad'uta del fronte ha provocato la rottura dell'equilibrio politico. Il popolo tedesco, che aveva sopportato per quattro anni . privazioni spaventose, avrebbe resistito un quarto d'ora di più se l'esercito avesse ancora tenuto fermo. Ebbene, non c' è tedesco che non pensi che l'esercito non è stato vinto. Giustamente Massilniliano Harden scrisse : < Allorchè fu impossibile ai giornali narrare gesta vittoriose e che la cocaina venne a mancare, questa mancanza improvvisa di narcotico fece piombare la Germania in una grave debolezza. Ecco ciò che una cortesia· tradizionale chiama la Rivoluzione >. I partiti politici di sinistra non erano preparati a infrenare o a guidare un movi1nento rivoluzionario che, per tutti, ebbe il carattere d'una sorpresa. Essi s'erano abituati all'idea che la trasformazione del governo imperiale autocratico in governo < popolare > si sarebbe compiuta senza urti; legalmente, come il principe Max di Baden, nominato cancelliere il 3 ottobre 1918, aveva incominciato a fare. Non era questione nè di rivoluzione nè di repubblica. Il principe Max di Baden aveva costituito il primo 1ninistero parlamentare tedesco facendo appello non più ai funBiblioteca Gino Bianco

496 LA CRITICA POLITICA zionari dell'antico regime, ma ai rappresentanti dei grandi partiti politici e, naturalmente, anche al capo della socialdemocrazia Scheidemann. Sapeva, e per la verità, in Germania in quel momento era un merito abbastanza raro, che la guerra era perduta. Voleva concludere immediatamente l'armistizio e dare al popolo i diritti necessari, per evitare che la disfatta dell'esercito non provocasse la disorganizzazione interna della nazione. Il 15 ottobre fece votare dal Bundesrat un progetto di legge, col quale· ogni dichiarazione di guerra ed ogni trattato di pace dovevano essere sanzionati dal Reichstag. L'autorità militare fu sottomessa all'autorità civile, il suffragio universale introdotto in Prussia, il cancelliere reso responsabile avanti al Parlamento. Ad ogni disfatta sul fronte rispondeva la concessione d' una nuova libertà. Ma le disfatte divennero così rapide che il governo non trovò più abbastanza diritti da accordare al popolo senza farlo affogare sotto il peso delle sue libertà I L'Austria, l'Ungheria erano in piena effervescenza; l' Impero tedesco incominciò ad agitarsi. Dalla pèriferia il vento di rivolta guadagnò l'interno. Fu a Kiel, in una città di marinai, sulle navi da guerra e non nelle officine, che si ebbe il primo moto rivoluzionario, il 4 novembre. Un Consiglio di soldati s'impadronì delle navi e del potere locale. Una volta dato il segnale, le grandi città della Germania seguirono l'esempio. Istantaneamente si crearono consigli di operai e di soldati. La rivoluzione a Berlino non scoppiò se non quando era già padrona di tutti gli Stati del Sud, del Nord e dell'Ovest. La notizia che la Repubblica era stata proclamata a Monaco e che il socialista Kurt Eisner, in ·carcere da più di otto mesi, ne era stato nominato a capo, produsse a Berlino un effetto fulminante. L' 8 novembre Berlino era come circondata da un cerchio di fuoco. Il tempo spingeva, l'armistizio non era ancora firmato, l'esercito rifluiva in disordine ; non era più possibile rimandare. Scheidemann giocò allora un colpo decisivo. Aveva compreso che una rivoluzione era inevitabile e che la socialdemocrazia non poteva più attardarsi a prenderne la direzione, altrimenti sarebbe stata anch'essa spazzata via dall' uragano. Per paura di lasciarsi sorpassare dai socialisti indipendenti e dagli spartachisti si pose alla testa nella rivoluzione. Risvegliato da un lungo torpore, il partito socialdemocratico pose al cancelliere un ultimatum che esigeva l'abdicazione· dell'imperatore e del Kromprinz e la completa sottomissione dell'autorità militare agli ordini del governo. Il principe Max di Baden si ritirò e consegnò i suoi poteri ad uno dei capi alla socialdemocrazia, a Federico Ebert. Durante questa crisi il Reichstag non aveva dato segno di vita. L'avvenire della rivoluzione era nelle mani di alcuni uomini che, prima di aver avuto il tempo di stabilire un programma d'azione, si trovarono di fronte a difficoltà inestricabili tanto per la situazione interna quanto ;.,. Biblioteca Gino Bianco

LE CAUSE PROFONDE DEL CAOS IN GERMANIA 497 per quella estera. Invano si sarebbe domandato alla nazione un programma di rivendicazioni positive. La rivoluzione tedesca non è stata che una ,-ivoluzione politica e militare, un cambiamento improvviso di regime, operato sotto il colpo della disfatta, non è stata la conseguenza logica d' una lenta e lunga trasformazione di mentalità. Dal contrasto fra la n1entalità collettiva e la realtà incombente ed inesorabile non poteva nascere che il caos. Se poi a questo elemento principalissimo, determinante una situazione impossibile, si aggiunge la mancanza assoluta di uomini di Stato e la politica inesorabilmente comprimente della Francia, non si farà fatica a capire che si giungerà ad un tale assurdo paradossale, pel qual~ soltanto la violenza determinerà una soluzione qualsiasi ; che certamente sai:à temporanea, ma che lascerà il tempo di ripigliar fiato a ,questo popolo che se pure ha ed ha avuto dei torti, è tuttavia stato provato, ed oggi più che mai, da terribili privazioni. Indubbiamente, dopo un periodo di terribile crisi e di completo sfacelo, la Germania rinascerà e ridiverrà grande ed il suo genio brillerà di nuovo sul mondo. Ma qual prezzo sarà costata la sua rinnovazione I Il pensiero di questi sacr~ficii che sono il riscatto dei suoi errori, dovrà restare continuamente presente nello spirito di questa e della prossima generazione. È una cosa impossibile, fra tutte, che il popolo tedesco continui ad agire ed a pensare come pel passato. A lato degli errori dei grandi industriali, delle grandi società finanziarie, dei ministri, del potere di direzione del popo.lo tedesco, non bisogna dimenticare che ci sono pure le responsabilità dei semplici cittadini, di quelli che potevano tutto cambiare con la loro volontà. Quando queste responsabilità sentiranno. i cittadini tedeschi, allora incomincerà la nuova era per la Germania. Finchè non sarà arrivato quel giorno la marcia inesorabile verso la catastrofe non può arrestarsi. Berlino. PAOLO MANTICA UNA COSA CHE S'IMPONE Revisione di programmi e sopratuttto di metodi : ecco quel che s' impone. Perchè i partiti possano pretendere di difendere la libertà nello Stato devono intanto rinunciare ad essere essi delle costruzioni oligarchiche. I socialisti debbono rinunciare non solo ad ogni idea vicina e lontana di « dittatura del proletariato » ma altresl ali' idea di fare dello Staio lo strumento riparatore delle ingiustizie e delle ineguaglianze sociali. I lavoratori debbono fidare nelle proprie forze e costruirsi giorno per giorno, con istituzioni da essi create ed amministrate, il proprio avvenire. L' ideale di giustizia sociale non può e non deve trovare altro termine di relazione che non sia quello di libertà. . Biblioteca Gino Bianco

PARTITI JUGOSLAVI Il Partito Repubblicano dei Contadini Croati Di Radic e delle ultime vicende del suo partito i giornali italiani si sono occupati largamente, e spesso, come al solito, superficialmente: non crediamo perciò necessario parlarne. ' . Il programma, che pubblichiamo integralmente, e che fa parte di un volume su "Il movimento dei contadini croati,, pubblicato a Zagabria, è scritto e pensato soltanto per contadini (delle altre classi i capi del partito dei contadini non si curano) e perciò i lettori italiani vi riscontreranno facilmenteingenuità e contraddizioni, che sono però naturali alla mentalità dei contadini croati. La traduzione è di Bruno Neri. L'autore, Rudolf Herceg, è uno dei capi ~ più influenti del partito dei contadini. Durante le elezioni per la Costituente, che avvennero il 28 novembre 1920, i membri del partito dei contadini croati, poterono, la prima volta dopo la guerra, convocare pubblici comiz'ì e liberamente parlare del proprio programma-: e questo, essi fecero largamente, però soltanto in Croazia; mentre nella Dalmazia e in Bosnia non giunsero in tempo a· svolgere alcuna propaganda in mancanza di uomini e di tempo. Erano quei giorni, decisivi. Si trattava di sapere, se il popolo croato avrebbe dato ragion.e a Radic o ai < signori > che il giorno 27 novembre 1918, avevano deciso di dare a Belgrado il potere sorra la Croazia. 11 popolo croato doveva pronunziarsi per la sua libertà o per la sua volontaria schiavitù. Ecco, brevemente, nei suoi punti principali, il programma col quale il partito dei contadini si presentò alle elezioni : 1 °) Il partito dei contadini domanda che il popolo croato rimanga il Popolo croato, come lo è da 1300 anni; e non diventi una qualche stirpe, parte o ramo di un certo popolo dai tre nomi. Questo popolo croato può essere fratello dei serbi e degli sloveni, ma non vuole, che tre fratelli abbiamo· una testa; vuole invece; che ogni fratello si tenga anche per l'avvenire la sua testa. E per ciò, il partito dei contadini vuole che la patria croata, che per mille anni fu uno Stato, ora più ora meno libero, ritnanga anche per l'avvenire co1npletamente libera, e non permette che venga divisa. 2°) Circa il proble1na sociale, i contadini domandano che il popolo stesso organizzi la nazione in Repubblica. E la repubblica dal punto Biblioteca Gino Bianco

LA CRITICA POLITICA 499 · di vista sociale, non è un pro~Iema formalistico, ma sopratutto di sostanza. La monarchia, secondo l' e.sperienza, dell'anteguerra e della guerra, è un'organizzazione del potere e della forza, dall'alto in basso. I contadini vogliono, invece, che lo Stato sia un'organizzazione culturale ed economica, nella quale il potere venga dal basso in alto, nella quale il popolo decida, e gl' impiegati non comandino ma seguano la volontà popolare, espressa con le elezioni comunali, circondariali, regionali e statali. Questo modo di governo, viene inteso dai contadini per repubblica. . 3°) Questa repubblica deve essere, presso di noi, contadina, perchè necessita che la costruzione statale abbia larghe basi. Domandando questo, il partito dei contadini, intende che vi si dovrà governare secondo giustizia ed umanità. E non ci sarà giustizia, finchè gli uomini non saranno giudicati in base al lavoro fatto, cioè dal valore dell'opera compiuta, senza riguardo alla loro condizione, fede e nazionalità. Per un'opera benefica i singoli possono essere ben ricompensati e altamente onorati, ma mai potranno avere per ciò potere alcuno sull' intero popolo. 4°) La repubblica dei contadini dovrà esser neutrale, verso i popoli vicini. Da questa neutralità segue naturalmente il disarmo e l'abolizione del1'esercito ·permanente. La repubblica dei contadini può essere pacifista e non ha bisogno d'un esercito permanente, perchè non sarà governata da una minoranza ; sarà il popolo che governerà se stesso. In essa non decideranno i singoli ma il popolo unanime mediante le votazioni. La repubblica dei contadini terrà soltanto un conveniente numero di soldati per il mantenimento della pac·e e dell'ordine interno. Basterà che ogni cittadino, una volta nella sua vita, presti sei mesi di servizio militare : due mesi di addestramento, e quattro mesi di servizio. Durante il servizio i soldati potranno compiere opere di utilità pubblica e generale (costruzione di linee ferroviarie, strade, arginazione dei fiumi, ecc. ecc). In tal modo la repubblica dei contadini cambierebbe l'esercito della guerra, in esercito del lavoro. 5°) Referendum per l'approvazione delle leggi da parte del popolo. 6°) Plebiscito e diritto di iniziativa. Col referendum, col plebiscito e col diritto d' iniziativa si garantirà ai contadini il governo della repubblica e s'impedirà ogni violenza da parte del governo. Per questo programma, i contadini croati, che costituiscono la parte più numerosa del popolo croato, votarono in maggioranza. Di 440.000 voti in Croazia, il partito dei contadini ebbe 230.000 voti, 49 deputati in un totale di 93 deputati da eleggersi. Ed erano in lizza undici partiti ! Biblioteca Gino Bianco

"' 500 IL PARITO REPUBBLICANO DEI CONTADINI CROATI * * * Il 1novimento dei contadini iri Croazia con questa vittoria acquistò la sua precisa fisionomia ed il popolo croato ebbe la sua vera rappresentanza nazionale : pronta alla lotta.-· Le elezioni servirono àl popolo croato per dire che quanto il Consiglio Nazionale, senza interpellarlo, aveva deciso il 24 novembre 1918, e tutto quello che durante due anni aveva compiuto il governo di Belgrado, non era stato fatto con la sua volontà. Il processo iniziato dai contadini croati contro i governanti di Belgrado, ch'era cominciato l'anno 1918, finiva così con la vittoria del popolo contadino croato. Il popolo croato conquistò così il diritto al potere, ma no_n ne .prese possesso : il potere ri1nase ancora in mano dei governanti di Belgrado. Il compito dell'intera politica del popolo croato, è adesso quello appunto di giungere in possesso del potere. Noi sappiamo, che nella vita privata si può giungere al possesso d'un terreno, malg.rado tutti i diritti, o con la forza, o per mezzo dei tribunali. Così accade anche in politica. Quello che nella vita privata è la violenza, nella vita pubblica è la rivoluzione, e quello che nella vita privata è il Tribunale, nella vita pubblica è la lotta politica. La rappresentanza nazionale croata (la maggioranza parlamentare formata dai rappresentanti repubblicani dei contadini croati) si è decisa per la lotta politica, ciò che il popolo c~oato, e specialmente i contadini, approvò il giorno 8 dicembre 1920, e confermò successivamente con le elezioni del i 923. I rappresentanti repubblicani dei contadini croati, non si decisero per la rivoluzione per le seguenti tre ragioni: Primo : perchè la rivoluzione è guerra, ed i contadini croati, pacifisti, non vogliono la guerra. Secondo : nessuna rivoluzione ancora, si è conclusa, secondo il desiderio degli iniziatori. Ed il popolo croato non vuole iniziare la rivoluzione, perchè i suoi nemici ne approfittino. Terzo : perchè tutte le grandi potenze, che hanno firmato i trattati di pace, hanno dichiarato solennemente che saranno contro tutti coloro che mineranno la pace. E sollevare la rivoluzione, vuol dire distruggere la pace .... Sollevi la ri~oluzione (e ne sopporti tutte le conseguenze) chi non vuole l'accordo .... Perciò il P. R. C. C. si è deciso per la lotta politica. E siccome per la lotta che un popolo conduce contro la violenza dei detentori del potere, è necessario innanzitutto organizzare questo popolo, il primo compito degli aderenti del nostro partito è stato que11o di creare una perfetta organizzazione, non solo nella Croazia, ma anche nell'Erzegovina, nella Bosnia ed in America tra gli emigrati. BibliotecaGino Bianco

LA CRITICA POLITICA 501 In secondo luogo il nostro _partito ha cercato di trovare amici, per la sua causa, nel mondo, e di conquistare a favore dell'autodecisione del popolo croato l'opinione pubblica dei popoli civilizzati. Per questa ragione furono inviati diversi memoriali a Ginevra, alla Lega delle Nazioni, alla Conferenza di Genova, ecc. ecc. In terzo luogo abbiamo V(?luto persuadere i contadini serbi, che le pretese del popolo e dei contadini croati erano giustificate e che la repubblica dei contadini era l'unica salvezza per loro. I rappresentanti dei contadini croati, repubblicani, non avrebbero potuto condurre questa lotta nel Parlamento di Belgrado, dove dopo il giuramento al re ed alle l~ggi, non ci sarebbe stata più lotta, ma riconoscimento di un fatto che il popolo non vuol accettare. * * * Nelle elezioni del 18 marzo 1923, il partito dei contadini è sceso nella lotta elettorale, solo, senza alcun compromesso con gli altri partiti. E questo per il bene del movimento contadino, di cui esso è il portavoce e che non conosce compromessi quando domanda la soluzione del problema sociale con la fondazione dello Stato dei contadini. Anche in questa lotta però, la ragione politica era più forte delle ragioni di partito. Nelle elezioni per la Costituente il popolo croato s'era dichiarato favorevole per il programma e la politica per la quale Radic combatteva già nel Consiglio Nazionale di Zagabria. In queste elezioni il popolo della Croazia doveva dichiarare se approvava ancora questa azione politica, e il popolo della Dalmazia, della Bosnia e dell' Erzegovina, doveva dal suo canto dire, se si univa a lui in questa lotta. Ora ciò non sarebbe stato possibile, se nelle elezioni fosse sceso in lotta· il Blocco Croato, e neanche se il partito dei contadini avesse dato la candidatura anche a persone dell' Unione Croata, con il loro vecchio programma. Non ci pote~a dunque essere un'< unione elettorale>, sebbene l'Unione Croata abbia creduto di dover appoggiare i candidati dei contadini. In queste elezioni bisognava dimostrare che i contadini croati non avevano cambiato, e che la maggioranza del popolo croato appoggiava il partito repubblicano dei contadini. E questo venne chiaramente dimostrato e col numero dei votanti e col numero degli eletti, come anche per le città (Zagabria 1) dove questi vennero eletti in maggioranza. Queste elezioni dimostrarono anche, che il movimento dei contadini, cioè il desiderio dei contadini per una giusta organizzazione social~ della vita - desiderio che è la fede e la religione che dovrà rinnovare ed attuare l'insegnamento di Cristo sull'eguaglianza e sulla giustizia sociale - è come una enorme cascata che darà l'energia per attuare la redenzione dei contadini e dell' umanità . . ibliotec Gino Bianco

J 502 IL PARTITO REPUBBLICANO DEI CONTADINI CROATI * * * Alla fine bisogna rilevare la differenza fondamentale tra il movimento dei contadini e gli altri movimenti, cioè quello borghese e quello proletario. I borghesi ed i proletari panno avuto largo seguito di masse - perchè il popolo incosciente, che non conosce i propri diritti, e che per loro non combatte, forma la massa - che non s'erano ancora affacciate alle soglie della vita pubblica. Perciò l'ideale massimo, tanto per la borghesia, che per il proletariato, era lo Stato, lo Stato forte, mentre invece per i contadini è l' umanità, la libertà e la nobiltà dell'individuo. Inoltre i contadini, che non hanno dietro a loro nessuna classe la quale non fosse già stata al potere, possono e devono essere giusti. Le altre classi, essendo minoranze, potevano vivere alle spalle degli altri : questo ha fatto, e fa ancora, la borghesia. I contadini, invece, non possono f~rlo perchè sono la maggioranza. Il contadino dovrà, però, restare laborioso giusto anche quando assumerà il potere. È ingiustificata la paura di quelli che temono il movimento dei contadini. Soltanto coloro che hanno sfrut- .. tato il popolo devono temere ! La giustizia e l' umanità, sono dunque le qualità essenziali del nostro movimento in riguardo allo scopo. In quanto al metodo, il movimento dei contadini deve essere naturalmente combattivo, perchè il potere si conquisterà soltanto con la lotta. In questa lotta non bisogna, però, dimenticare la ferrea legge dello sviluppo sociale, secondo la quale ogni nuova classe dev~ adempiere a queste tre condizioni : 1 °) maggioranza numerica ; 2°) indipendenza economica ; 3°) raggiungimento dell'eguaglianza culturale con le classi precedenti. I contadini posseggono - e l' hanno sempre posseduta - la forza numerica. L' indipend~nza economica viene raggiunta dai contadini con le cooperative. E noi siamo testimoni che i contadini croati hanno cominciato ad assumere le cooperative nelle proprie mani, e le dirigono da soli. L'eguaglianza culturale, da noi in Croazia, all'infuori di qualche lieve eccezione, è già completamente raggiunta. Da noi non esistono, al di sotto dei 40 anni, analfabeti, al contrario abbiamo in ogni villaggio, parecchie persone, capaci di dirigere le cooperative, e questi nella repubblica sapranno anche amministrare il proprio comune. Infine i principali dirigenti del movimento contadino - contadini essi stessi - si sono addestrati ed educati assieme con i capi della borghesia e li hanno superati in tutte le lotte, e con la parola, e con gli scritti. Perciò la repubblica è vicina. RUDOLf HERCEG RACCOGLIETE ABBONAMENTI ALLA CRITICA POLITICA Biblioteca Gino Bianco

• . . SITUAZIONI REGIONALI Il Fascismo nelle Marche Le Marche vennero militarmente occupate dai fascisti nella prima settimana dell'agosto dello scorso anno. La marcia su Ancona serviva a render possibile il tentativo su Roma. Fu dunque una necessità strategica che spinse il fascismo a tentare, per la conquista della Marche un'azione militare su · grande stile che avrebbe anche permesso di saggiare le difficoltà della impresa più vasta che era in programma e la possibilità di grandi spostamenti di masse armate, rendendosi conto al tempo stesso della posizione che di fronte ad esse avrebbe preso l'esercito e della esistenza o meno a Roma di un residuo di autorità e di volontà di Governo. L'occasione per l'esperimento fu scelta assai bene. Senza lo sciopero generale il successo dell' impresa sarebbe stato meno sicuro, certamente meno facile. La tanto infamata "Alleanza del Lavoro" ha operato in modo, e cioè cos} inopportunamente e con cos} scarsa serietà d' intenzioni e di preparazione, che non ci sarebbe affatto da sorprendersi se un giorno si venisse a scoprire che fu proprio il fascismo ad ispirarne le mosse. Comunque l'occupazione di Ancona si sarebbe tentata anche senza lo sciopero generale. Non riguardava questa città la diffida del fascismo di entrare in azione solo nel caso che nelle 48 ore lo sciopero non fosse cessato. Al Prefetto della Provincia che nella mattina della seconda giornata gli annunciava la deliberata cessazione dello sciopero per _lamezzanotte, l'on. Gaj rispondeva che nulla poteva impedire che ciò che doveva avvenire avvenisse: l'occupazione di Ancona essendo oramai decisa, le autorità si disponessero ad a%evolarla e ad appoggiarla. I fascisti entravano la sera stessa nella città (il primo nucleo fu di poche diecine di uomini) mentre le truppe e le guardie regie si ponevano a loro disposizione. La Casa del Proletariato bruciava e il Circolo dei Ferrovieri veniva devastato prima ancora che le prescritte 48 ore scoccassero. Chi ha assistito agli avvenimenti di quei giorni e vide succedersi alla stazione di Ancona treni speciali di migliaia di fascisti armati ed equipaggiati provenienti dall'Alta Italia e dall' Umbria e le autorità politiche e militari non limitarsi ad agevolarne le imprese ma porsi addirittura ai loro ordini, e i magazzini militari aprirsi perchè questi potessero rifornirsi di munizioni e di armi (un ufficiale superiore che qualche tempo dopo ebbe a deplorare il fatto venne aggredito e percosso sulla pubblica strada e offeso anche a mezzo della stampa) e guardie regie e carabinieri procedere di conserva nella sparatoria e nelle devastazioni, non potè non avere fin da quel momento la sensazione precisa di quel che sarebbe avvenuto qualche mese dopo. Da allora per il fascismo - non tanto per la sua forza aggressiva quanto per l'assenza assoluta di un governo a Roma - la vittoria si presentò non solo certa, ma facile e rapida. Biblioteca Gi• o Bianco

504 LA CRITICA POLITICA Ancona cadde in mano ai fascisti quasi senza resistenza. Per quanto sia registrata tra le più difficili e gloriose del· fascismo, l'impresa non ebbe nulla di eroico. Vennero consumate moltissime mu.nizioni di ogni genere, ma conflitti veri e propri non ci furono. Solo gl' invasori, sotto l'orgasmo d'insidie immaginarie che faceva loro vedere dietro ogni persiana chiusa un fucile contro essi spianato, sottoposero per vari giorni le vie della città ad una sparatoria continua. Nessuno però si mosse. Il fatto ha meravigliato perchè Ancona aveva fama di città tipicamente rivoluzionaria, essendo stata la sola in Italia in cui prima e dopo la guerra, nel '14 e nel '19 - in due momenti assai diversi - si siano avuti tentativi d'insurrezione armata. Gli stessi fascisti in un primo tempo non si fidarono della vittoria tanto facilmente ottenuta e per alcuni giorni si tennero di preferenza al centro. Tutti erano infatti convinti, nella stessa Ancona, che l'occupazione della città sarebbe costata ai fascisti assai cara. Come sia avvenuto che i fatti dovessero poi smentire tale previsione è difficile stabilire. Il coraggio non è _fatto di tutti i giorni. Nelle masse come negli individui singoli vi hanno momenti di eroismo e momenti di preoccupazione, di abbandono, di grande viltà. Lo abbiamo visto alla guerra. Nel caso di Ancona l'eroismo avrebbe voluto dire un sacrificio inutile. Senza lo sciopero l'occupazione di Ancona si sarebbe egualmente compiuta, ma è probabile che avrebbe avuto uno svolgimento diverso: • nelle truppe e nelle forze di polizia concentrate nella città per l'occasione e poste a guardia degli sbocchi delle strade e dei punti strategici i fascisti trovarono, invece, aperto l'ingresso alla città, coperte le spalle. Ogni seria resistenza si rendeva impossibile. La evidenza della inutilità del sacrificio la volontà decisa dei dirigenti repubblicani ( i repubblicani erano e restano tuttavia nùmerosissimi) di non impegnare le loro masse in una lotta senza scopo e senza risultato - hanno certo molto influito nell'atteggiamento passiyo della massa. È anche vero, però, che dopo due mesi di tensione nervosa nell'attesa di questa spedizione tante volte annunciata lo stato d'animo della popolazione era molto depresso. A forza di ripetere che non si aveva paura e che ad Ancona i fascisti non sarebbero entrati s'incominciò ad avere paura sul serio. Nel periodo di venti giorni appena gli organizzatori operai avevano dato tre volte l'ordine di sciopero e si era stanchi di questa continua mobilitazione, tanto più che a conti fatti se ne vedevano le perdite senza che se ne vedessero i vantaggi. L'ordine di cessazione di questo ultimo sciopero che annunciava come nemmeno esso avesse servito a niente e che la partita contro il fascismo nel resto d'Italia doveva considerarsi perduta, demoralizzò completamente. Tuttavia dedizione non ci fu. Non vi furono, come altrove, omaggi ai vincitori, manifestazioni di tripudio o segni di consenso. I nuovi venuti vennero accolti invece dalla stessa gente d'ordine con un'ostentata freddezza. Per due giorni Ancona restò muta ed ostile. Poi, al terzo giorno, ·la città incominciò a mutar faccia e a rivestirsi di tricolore; ma il sentimento non mutò. Occupata Ancona, l'occupazione si estese di mano in mano in tutta la regione. Le squadre che avevano marciato sul capoluogo vennero successivamente sguinzagliate nei centri minori. Ancona ebbe per oltre due mesi, e cioè fino all'ottobre del '22, una speciale guarnigione fornita periodicamente, a turno, dalle squadre delle regioni vicine e un Comando del Corpo Biblioteca Gino Bianco

IL FASCISMONELLEMARCHE 505 di occupazione - che aveva preso sede all'albergo "Roma e Pace,, come indicava una grossa tabella - dal quale partivano gli ordini di operazione. E cos\ anche le Marche divennero fasciste. Prima fasciste non lo erano, nè tendevano a diventarlo. Altrove il fascismo trovò ragioni particolari di sviluppo e di successo, ebbe manifestazioni di spontaneità, rispose a stati di animo e a sentimenti alquanto diffusi. Nelle Marche è, invece, il risultato dell'esito fortunato di una spedizione armata, voluta ed organizzata dal di fuori. * * * A ricevere il fascismo mancava nelle Marche ogni preparazione psicologica. Qui i contrasti sociali non furono mai molto forti. L'industria ha avuto qualche- sviluppo, specialmente negli ultimi anni, però sotto la forma della piccola e media intrapresa e per i bisogni locali : tra capitale e lavoro i rapporti sono restati quelli stessi che esistevano nella bottega dell'arti- · giaqo tra operai della stessa fatica e per ciò facilmente portati ad intendersi. L' industriale è di solito un operaio egli stesso che ha perfezionato la sua bottega, che l'ha ingrandita, che l'ha adottata alle cresciute esigenze della vita locale. C' è stato un vero progresso in questo senso al quale ha assai contribuito lo sfruttamento delle energie idroelettriche che per la regione può ora dirsi quasi completo. Là dove poi sono sorti stabilimenti veri e propri occupanti centinaia di operai - come, nella provincia di Ancona, coli' industria della seta nel Jesino e con quella della carta a Fabriano - v' è stata sempre una grande facilità ad intendersi, tra operai ed industriali, sulle questioni di orario e di salario. Nell'agricoltura le cose non sono passate diversamente. Mancarono quasi del tutto quelle grandi agitazioni agrarie che negli anni del dopo guerra hanno profondamente turbato la vita di alcune regioni dell'alta e della media Italia. Le leghe dei contadini create a questo scopo, da socialisti e da popolari in concorrenza, ebbero una consistenza effimera e servirono appena a qualche modesto ritocco dei patti colonici nonostante le richieste molto larghe avanzate nei memoriali e nei manifesti. Ragioni di malcontento e di disagio per i contadini esistevano cosl come esistono oggi; mancava, però, la possibilità di offrire ad esse soddisfazioni sensibili sul terreno dei rapporti di classe. E ciò appunto per le particolari condizioni della proprietà agraria che sono su per giù eguali per le quattro provincie, per quanto varino spesso profondamente le condizioni di sviluppo agrario e quello di produttività del terreno. Una caratteristica della nostra economia regionale, oltre alla esistenza della mezzadria, è l'eccessivo frazionamento della proprietà rurale. Manca la grandissima proprietà e la grande è neutralizzata, nei suoi effetti sociali, dalla media, piccola e piccolissima proprietà a cui debbono assegnarsi ben 697.000 ettari su 927.000. Sono oltre 55 mila gli agricoltori che possiedono da 1 a 20 ettari di terreno; circa 47 mila quelli che possiedono da 10 are ad un ettaro. Ognuno di questi rappresenta generalmente una famiglia di agricoltori. La mezzadria trovasi in tal modo frammista alla piccola proprietà degli agricoltori che lavorano sul proprio. Molti sono i mezzadri che sono a lor volta proprietari, e ve ne sono di quelli dai quali - per il terreno o i terreni che son di loro proprietà - altri mezzadri dipendono. Il senso della proprietà è talmente diffuso che è difficile trovare un mezzadro Biblioteca Gino Bianco

506 LA CRITICA POLITICA il quale consideri stabile la propria posizione e non si proponga di diventare proprietario. Quando si accorge che tale possibilità gli sfugge, allora emigra. Ed è quello che si verifica appunto nelle zone economicamente più disgraziate In tale ambiente non v'era posto per profondi dissidi sociali. Le condizioni di disagio economico finirono sempre coll'esser fatte risalire al governo e ai governanti, come una conseguenza della guerra anzitutto e della politica del dopo guerra. Si imprecò alle tasse, al fisco, alla monarchia, s' inneggiò magari al socialismo e al comunismo, e all'anarchia persino, ma l'odio di classe non fiorl. Non vi furono invasioni di proprietà o prese di possesso. Qualche caso isolato non servirebbe a smentire questa constatazione di carattere generale. Manifestazioni, agitazioni, anche se condotte da socialisti, finirono sempre coll'assumere carattere politico. E politico fu il tentativo insurrezionale di Ancona, nel maggio del '20, durante il quale nè ad Ancona, nè nelle altre località ove esso ebbe ripercussioni, la proprietà privata fu offesa e comunque minacciata. * * * I socialisti ebbero il momento di loro maggiore successo nelle elezioni politiche del 1919. Vi contribui, come. altrove, il malcontento dei contadini per la guerra. Il successo elettorale fu quasi completo dove, nel Pesarese e in particolar modo nel Montefeltro, l'agricoltura è povera e assai disagiate sono le condizioni delle classi rurali. Però, per le ragioni che ho già dette, non ebbe gravi ripercussioni di carattere sociale. Quelle politiche si esaurirono in manifestazioni di ostilità contro coloro ai quali si credette di poter in qualche modo attribuire la responsabilità della guerra. Violenze individuali e collettive contro le persone qua e là ce ne furono. L'on. De Andreis ebbe a S. Lorenzo in Campo la testa spaccata da una sassata. Ma occorre anqhe dire che queste violenze trovarono una immediata ed efficace reazione nei repubblicani che nella provincia di Ancona seppero riprendere molto presto le posizioni tenute avanti la guerra. Mancò ai socialisti - nonostante la cifra imponente di voti raggiunta - la possibilità di stabilirsi in una posizione di assoluto predolninio. Avevano ottenuto i voti della campagna ma non erano riusciti ad avere i maggiori centri urbani dove, come ad Ancona, come a Jesi, come a Fabriano, come a Senigallia, come a Pesaro-città gli operai continuarono a raccogliersi in prevalenza nelle associazioni del partito repubblicano. Questo fatto ha grande importanza nella valutazione della situazione marchigiana del dopo guerra. Persino nella organizzazione sindacale operaia (sempre poco sviluppata fuori della provincia di Ancona, le cui tre Camere non vollero mai aderire alla Confederazione del Lavoro per conservare la loro autonomia politica e sindacale) l'influenza socialista era alquanto ridotta. I repubblicani - elettoralmente tantò meno forti - contavano di più. L& elezioni amministrative del '20 e quelle politiche del '21 segnavano già un sensibile ribasso nelle azioni social-comuniste: nella provincia di Ancona precipitavano aqdirittura mentre aumentavano la forza e il prestigio dei repubblicani (1). Nella seconda metà del '21 e nella prima metà del '22 (1) Nelle elezioni amministrative del settembre e ottobre 1920i socia! comunisti, non ancora divisi, ottenevano appena cinque posti nell'amministrazione Provinciale e tre o quattro Comuni Biblioteca Gino Bianco

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