la critica politica - anno III - n. 5 - 25 maggio 1923

LJ\ CRITICJ\ POLITICJ\ ~IVIST A MENSILE ANNO III. 25 maggio 1923 f ASC. 5. ,Vecchio e nuovo repubblicanismo I. La ~ortuna politica non ha mai accompagn8:to in Italia i repubblicani. Dal '60 ad oggi furono, del resto, anche assai rari i momenti in cui si sia loro offerta qualche possibilità di afferrnazione se non di successo. In due soli momenti i repubblicani sembrarono interessare e vennero in qualche modo discussi : dopo il '98 durante la lotta contro la reazione pellouxiana; nel 1915 nell'accentuarsi della lotta interventista. Poi la critica tacque di essi o se ne occupò unicamente per spogliarli di quelle qualità e di quei meriti che già aveva loro attribuito. Adesso stanno ritornando interessanti. Merito dell'azione storica del fascismo da un lato, ma anche del presentarsi sul terreno dell'ardente contrasto politico di un repubblicanismo nuovo. Diamo atto a Gobetti dell'esattezza di questa constatazione; che v'è un genere di repubblicanismo che è morto e ben morto {I). È morto, infatti, il repubblicanismo dei sopravvissuti al na~fragio delle speranze e delle audacie rivoluzionarie, il repubblicanismo dei simboli, delle commemorazioni, delle sfilat~, della coreografia la cui attività si esauriva nella moltiplicazione ·delle lapidi e delle bandiere. Il fascismo ne ha ereditato, più o meno legittimamente, i motivi estetici e sentitnentali. Ma diciamo anche· che il nuovo, quello che ora si vede sol perchè l'altro · è scomparso, è uscito da una volontà di rinnovamento compiutasi nel _ seno stesso del vecchio repubblicanismo e che ciò che in esso è vivo e può apparire originale è pur sempre tratto e alimentato da quel pen.: siero repubblicano del quale s' illuminò la lotta del nostro risorgimento nazionale. È morto del vecchio repubblicanismo, tradizionale e tradizio:- nalista, quel che doveva morire perchè era fuori della vita, ma è morta anche la caricatura che tutte le cosidette persone ben pensanti se ne erano fabbricata per le proprie distrazioni polemiche e per i propri comodi politici. Diciamo pure quest' altra verità : che quel vecchio repubblica- (1) PIERO GoBETTI: / r(!pubbllcanl, articolo nella Rivoluzione liberale del 17 aprile 1923che ci ha fornito l'occasione per scrivere questo e gli articoli successivi, che speriamo non inutili alla individuazione delle idee e delle correnti politiche di questo confuso e interessantissimo momento della nostra storia nazionale. Biblioteca Gino Bianco

198 LA. CRITICA POLITICA nismo morto e sepolto - e di cui speriamo nessuno vorrà rifabbricare l'artificioso figurino per prendersi l'inutile gusto di bastonarvi sopra - era molto n1igliore di quel che comunemente se ne dicesse e scrivesse. Intanto fu una scuola di _severità e di rettitudine in un periodo di grande leggerezza di costumi politici. Se non altro vi si educava il carattere. Non piccola cosa allora e.... oggi. Molta g~nte v'è passata e· poi.... ha cercato e trovato altrove la propria via e il personale successo. Pochissimi sono gli uomini politici di qualche notorietà, .delle ultime generazioni come delle più lontane, che non abbiano incominciato di là., Assai .pochi quelli che entrativi abbiano avuto la forza e la costanza di rimanervi, sapendo di dover con ciò contenere. in limiti molto modesti, q~alche volta eccessivamente modesti, le proprie_ aspira~ioni e la propria .. attività. Ha avuto pur esso i suoi net, i suoi difetti, più frequenti là dove situazioni locali di maggioranza offrivano all' arrivismo ed agli interessi particolari qualche possibilità - fili d'erba cattiva finiscono sempre co_l1' allignare pur .nei terreni meglio e più attentamente curati - ; in fondo, però, i furbi e i farabutti che vi sono capitati non vi hanno trovato fortuna· e hanno dovuto piantare altrove le tende. E potrebbe darsi che sia stato proprio questo - in un'epoca in cui l'abilità, la furberia, lo scetticismo erano qualità politiche molto apprezzate - uno dei principali motivi della generale incomprensione del repubblicanismo in Italia. Il quale non è poi stato, nell'ultimo cinquantennio, del tutto sprovvisto di uon1ini d'intelletto e di sapere. È vero che alla formazione della cultura italiana i repubblicani hanno poco influito. Ma questo è un altro discorso. Sarebbe 1nolto facile dimostrare come alla cultura italiana - durante lo stesso periodo - il pensiero italiano è quello che meno ha contribuito. Ciò che è vero pèr i repubblicani è vero anche per gli altri. Il che non toglie che qualche cosa facessero e tentassero in condizioni che se erano difficili per gli altri, per essi lo erano particolarmente. La Rivista Repubblicana di cui nel 1878 Alberto Mario scrisse il manifesto programma che, sia detto per incidenza, può essere sempre letto utilmente ; la Lega della Democrazia ; il Cuore e Critica ; la Rivista Popolare fondata da Antonio Fratti nel '94; la Educazione Politica del Ghisleri nel '99 e successivi, furono ·altrettanti tentativi diretti ad influire sulla formazione della cultura italiana. E tacciamo pure di altre attività editoriali e giornalistiche, modeste ma innumerevoli. La critica le ignora. Perchè potesse giudicarle dovrebbe almeno conoscerle. Forse allora vedrebbe che v'era in esse una sufficiente· unità di pensiero, che quegli scrittori repubblicani partivano tutti da una medesima preoccupazione e seguivano la _ stessa guida ideale, studiavano e intendevano i problemi della politica, dell'economia e anche dello· spirito con senso di realtà e di -modernità - per noi almeno che siamo venuti più tardi. E forse troverebbe: che Bovio non è sempre oscuro ed eccelle comunque per vigoria di pensiero, per precisione ed effiéacia di sintesi sui pensatori suoi contempoBiblioteca Gino Bianco

. \' VECCHIO E NUOVO REPUBBLICANISMO 199 ranei ; che Alberto Mario, Dario Papa, Vendemini, Semmola, Fratti, Pel- . legrini, Viazzi, Lucini - per parlar di alcuni e solo degli scomparsi - hanno, in un periodo di grande povertà intellettuale, lasciato qualche traccia di purissimo metallo italiano. Ciò non toglie che i repubblicani restassero senza influenza, nella stessa vita pubblica. Ed è ciò che importa. Incompresi dagli avversari, non riuscirono nemmeno a n1uovere l'azione degli amici ad efficaci battaglie, a ro1npere .il cerchio chiuso del loro isolamento, a determinare un'ondata rinnovatrice. Vissero fuori del lqro tempo. Non che mancassero d'iniziativa. Il grido < definirsi o sparire», che Bovio osò lanciare nel '94 alla Camera contro l'opportunis1no e l'equivoco parlamentare ormai dilagante, segnò un insuccesso. E un insuccesso completo ebbe l'ardente can1pagna che pubblicisti repubblicani, con a capo il Ghisleri, condussero per qualche anno nell'Educazione Politica e nell'Italia del Popolo di Milano, dal '900 al '902, contro la < sbornia delle illusioni > colla quale doveva iniziarsi l'esperimento giolittiano. Troppo pochi erano per farsi sentire e troppo impacciati in formazioni antiquate di organizzazione, spesso sovrapponentisi, per muoversi con sufficiente speditezza. Il fatto di possedere una posizione di predominio in Romagna (e cioè limitatamente a due provincie del regno) doveva d'altra parte contribuire ad una deformaz·ione localistica della visione di taluni problemi nazionali. Risenti1nenti, passioni e interessi locali influirono ad indebolire l'efficacia dell'azione politica repubblicana e a ostacolarne la penetrazione in alcune regioni d'Italia. Un'altra causa d'inefficienza fu l'intimo contrasto tra il sentimento antiparla1nentaristico, nei repubblicani vivissimo, e la pratica elettorale che essi avevano finito col seguire. Deputati e partito non furono 1nai legati da vincoli troppo saldi di reciproca stima e co1nprensione. L'organizzazione politica partecipò sempre alle elezioni senza passione. I deputati non si sentirono spesso tenuti a _seguire il partito o ad obbedirlo, e la loro attività parlamentare - per nulla differenziata da quella di altri gruppi di estrema - servì nel paese ad una ulteriore svalutazione del repubblicanismo. Si aggiunga una eccessiva abbondanza di uomini - rispettabili e venerati per il passato patriottico - vecchi d'anni, d'idee, di spirito, di abitudini. Questo repubblicanesimo è morto. Ma l' altro, quello che si prepara a sostituirlo, di cui qualcuno oggi si accorge e che Gobetti, nella sua Rivoliizione liberale, trova degno di qualche attenzione, non è nato proprio ora, in occasione e in conseguenza della crisi del dopo guerra. Esiste da anni. Già 1nolto prima della guerra noi lo andavamo preparando nel partito nel quale ci trascinò la seduzione deila battaglia contro la sbornia delle illusioni e in cui siamo restati senza pentircene, nemmeno quando più forte ci prese ]o sconforto per l' inutilità e l' impossibilità dell' azione. Non potendo operare fuori - in una realtà politica nella quale non ci avrebbero egualmente consentito d' inserirci la nostra sen- .. ibl"oteca Gino Bia co .. ..

200 LA CRITICA POLITICA sibilità morale e la nostra volontà di rinnovamento - operammo dentro, nel Partito. I fini, i limiti, le funzioni di un repubblicanismo in Italia ci apparvero presto chiarissimi, e molto ci giovò il consiglio e la guida di un uomo, un educator.e, il Ghisleri, al quale dobbiamo molto e del quale ci sentiamo discepoli pure se come tali egli stentasse qualche volta a riconoscerci. Ebbene, noi avemmo ragione sul partito con una relativa facilità. Negli anni dal 1912 al 1915 v' è stato, veramente, nelle file repubblicane fervore di vita nuova. Qualche idolo fu infranto. Mentre i vecchi si ritraevano - e diradavano per via dell' età - i giovani si facevano avanti. E ne venivano ! Alcuni ricchi di promesse. Nel 1914 il vecchio partito repubblicano ci appariva profondamente trasformato. Il Congresso nazionale che nel maggio di quell' anno si ~ tenne a Bologna fu una rivelazione di giovinezza, e dal grandioso Teatro Comunale - per tre giorni gremito di giovani convenuti dalle più diverse parti d' Italia - use} il nostro atto di fede. Nelle linee della relazione che quel Congresso approvò sull' indirizzo politico sono pur oggi le linee fondamentali del nostro pensiero e del nostro programma ( 1). Eravamo già, nel' 14, quello che siamo. Ed eravamo fin d'allora molto vicini al Salvemini dell' Unità e a quanti in Italia - in altri campi o isolati e per quanto apparentemente distanti - perseguivano uno stesso ideale di rinnovamento e di epurazione della vita pubblica italiana e si preoccupavano di soluzioni piuttosto che di affermazioni, di realizzazioni piuttosto che di aspirazioni. Nè si può dire che non cercassimo di spingerci fuori del nostro campo, di stabilire rapporti di affinità con chi stabilirli era possibile, di portare in tutti i luoghi che non ci fossero preclusi la nostra parola, per la critica e per l' azione. E una parola l' avem- . mo. E avremmo potuto avere una influenza se la guerra europea non (1) E perchè si veda quanto poco ce ne siamo discostati anche nell'opera di questa rivista, riproduciamo qui la prima parte dell'ordine del giorno_ approvato dal Congresso e da noi compilato. Eccola: Il Congresso Nazionale Repubblicano ritenuto: che il problema della sovranità vera ed effettiva del popolo non si risolva nello sviluppo e nel perfezionamento dell'attuale sistema rappresentativo; che anzi lo Stato di oggi - coli' accrescersi della burocrazia, coll'assorbire le funzioni già riservate ali' iniziativa ed ali' attività degli individui, coll' intervento sempre più largo nel campo della produzione e dei rapporti sociali - riesca alla creazione di nuove forme di privilegio e di oppressione e, insieme, si renda incapace ad esprimere e a soddisfare i bisogni collettivi; afferma che la democrazia può trovare effettiva attuazione solo là dove lo Stato riduca le sue funzioni al minor numero possibile e precisamente a quelle che sono profittevoli alla totalità. dei cittadini, in un sistema di ampie autonomie locali e regionali ; dove le funzioni rappresentative siano temperate e vigilate dalla partècipazione diretta del popolo alle deliberazioni che riflettono problemi e interessi generali; dove il diritto d'lnlzlativa e di revoca siano in pieno esercizio; dove non l'esercito permanente ma la nazione armata provveda alla difesa della integrità nazionale e dei diritti dei cittadini ; · intende come compito del partito repubblicano la lotta contro la monarchia, istituzione incompatibile con la democrazia, e anche contro l' ordinamento presente dello Stato per un sistema che attui, nelle forme migliori, la Iibertà cosl nell' ordine politico come nell' ordine economico>. Biblioteca Gino Bianco

• VECCHIO E NUOVO REPUBBLICANISMO 201 fosse venuta ad interromperè la crisi interna del paese per precipitarci in un'altra più vasta. Perchè se la gioventù italiana veniva finalmente a noi - e avrebbe continuato a venire - è perchè le stesse condizioni di ambiente erano mutate. La situazione che parlamentarismo, riformismo, parassitismo avevano determinato in Italia era diventata fin d' allora insopportabile. Passata la sbornia delle illusioni il paese si accorgeva di essere assai indietro e pessimamente governato. La sfiducia verso le classi dirigenti e verso il parlamento cresceva giorno per giorno. Sotto éovava la ribellione, e le prime manifestazioni se ne ebbero nel giugno del '14 ad Ancona, nelle Marche, in Romagna, meno accentuatamente in tutto il resto d' Italia. La guerra interruppe il corso degli avvenimenti interni altrimenti inevitabile .. Il ,partito repubblicano - che appena tre mesi prima aveva dato una diversa impostazione alla questione dell' irredentismo - fu per la guerra e lo fu con una chiara visione del proprio posto. Per un partito che aveva costantemente avversato quella politica estera che aveva portato I' Italia nella Triplice Alleanza, il porre in urto il sentimento nazionale con la politica della dinastia presenteva evidenti possibilità rivoluzionarie. L' irredentismo è stato, del resto, sempre vivissimo nei repubblicani e rispondeva ad una necessità storica. La guerra fu poi intesa come possibilità rivoluzionaria unicamente per la trasformazion_e profonda di istituti, di sentimenti, di relazioni che avrebbe determinato in Europa, e come il precipitare e il concludersi di una crisi della quale gli effetti si offrivano a ~utti visibili, all' interno e ali' estero. Alla guerra democratica, umanitaria, rivoluzionaria gli uomini che in quel tempo tenevano la direzione dell' organizzazione repubblicana, o che la ispiravano attraverso la stampa, non hanno mai creduto. Anche a guerra dichiarata il loro atteggiamento fu di diffidenza verso la politica dei governanti. Le famose Leghe di azione antitedesca non furono una creazione repubblicana, nè i repubblicani v1 parteciparono salvo casi isolati. La figurazione che del repubblicano durante la guerra s' è fatto il Gobetti è perciò assolutamente falsa. Se egli vuol vedere quale sia stata la esatta posizione dei repubblicani durante il conflitto europeo e l'intervento italiano cerchi piuttosto nei giornali dell' epoca i resoconti del Convegno nazionale da essi tenuto a Roma verso la fine del 15 e d~l Convegno dei Fasci interventisti a Milano nella prima metà del '16. Più tardi ogni azione repubblicana nel paese cessava. Coloro che avrebbero potuto svolgerla erano oramai tutti aila guerra. Finita la guerra i repubblicani del '14 nel partito non si sono più ritrovati. È la verità. Morti parecchi, altri mutati, pochi ancora a posto. Il partito era ritornato, nella sua interna struttura, quello del buon tempo antico ; rivalorizzate istituzioni, formalità, consuetudini che dovevano ritenersi e tenersi per tramontate. Peggio ancora: il manifestarsi in alcuni di una mentalità di guerra : nazionalista e conservatrice. Da ciò il dissenso, l' urto, e l' incapacità nel. partito di uscire da certe contraddi- • I iblioteca Gino Bianco . . .

- ' 202 LA CR.ITICA POLITICA zioni determinate dalla coesistenza nel suo seno di due diversi stati di animo, anzi di due opposte mentalità. L' azione energica ed isolata di alcuni fu impotente - nonostante gli apparenti successi - a liberare il repubblicanesimo dalle incertezze, a farne una forza .viva operante nel paese. Il partito apparentemente si salvò, l' anima nuova finì coll' avere il sopravvento e riuscì a prendere le redini dell'organizzazione, a svilupparla, a farla penetrare dove prima non era, a creare un giornale quotidiano capace di vivere. Tuttavia il peso morto rimase, e se non impedì ai repubblicani di camminare, li obbligò, però, a rimanere indietro . nel corso degli avvenimenti. La situazione è mutata colla vittoria del fascismo. Del partito repubblicano resta ora quello che era m·eritevole di restare : e occorre dire _ che quello che è restato è molto. In questa occasione è apparso evidente quanto valga in politica una forte educazione morale. A parità di forze e di condizioni, ovunque i repubblicani hanno, nei confronti' degli uomini di altri partiti di avanguardia, saputo resistere 1nolto di più all'assorbimento fascista. Presi di fianco e di fronte, coi sapienti aggiramenti ideali e coli' impeto della violenza materiale, 1neno facile era la difesa delle loro posizioni. Esistono tuttora i quadri della ·organizzazione e restano le forze : decitnate in alcuni punti, crescono in altri. Ciò, del resto, ha importanza relativa. Il repubblicanisn10 in Italia non può ritornare ad essere quello che era, nemmeno come tipo di organizzazione per quanto pel momento convenga che ne conservi gli aspetti e gli organi. Diremo anzi che non deve essere nemmeno il partito. Partito dà l' idea di una funzione limitata: suppone, intanto, adattamento alla realtà parlamentare e, finchè il parlamento resti (non essendosi Mussolini deciso ancora ad abolirlo), finisce sempre col ridursi a bottega. E invece non può altrimenti essere che movimento, incontro di forze su uno stesso terreno, realizzazione. Il nostro repubblicanismo è concepito così. Diremo nel prossimo numero, ciò che siamo e ci proponiamo di essere. OLIVIERO ZUCCARINI Per quanto sia nel costume del cretinismo parlamentare nostrano l'attribuire alle forme politiche un semplice valore di etichetta l'ordinamento politico, la struttura dello Stato hanno una importanza fondamentale. La libertà del cittadino non si realizza nel suffragio universale o nella rappresentanza proporzionale. La nostra Repubblica vuol essere qualche cosa di più e di meglio. Quando diciamo decentramento, diciamo anche Repubblica. Quando diciamo sburocratizzazione diciamo ,Repubblica. Quando diciamo autonomie, diciamo Repubblica. Non perchè ciascuna di queste cose sia Repubblica; ma perchè ogni aumento di attribuzioni dello Stato è diminuzione di libertà. Di tanto il potere dello Stato aumenta, di tanto diminuisce il potere dei cittaaini. E per noi Repubblica è nell'aver raggiunto per ogni cittadino, nell'ordine politico come in quello economico e sociale, il massimo di libertà compatibile con la libertà altrui. · Biblioteca _GinoBianco

., Merluzzi islandesi e quattrini italiani I S. A. R. il Principe di Udine ha tenuto recentemente a Biella una conferenza di propaganda a favo re di < una iniziativa, della quale egli è a capo, che si propone d'inviare nei mari del Nord, sulle coste del1' Islanda, mari ricchi di pesce, dai quali la nostra bandiera nazionale fu sempre assente, una flotfa di grossi pescherecci moderni > attrezzati con capitali ed equipaggi italiani allo scopo di < sottrarre il mercato de] nostro Paese dalla dipendenza economica straniera per il consumo del pesce>. S. A. R. ha anche soggiunto che l'attuale Governo, compreso di questa necessità di emancipazione economica, ha favorito con speciali facilitazioni di pagamento gli acquisti che la nuova Compagnia intende fare di materiale peschereccio in Germania, e che i promotori dell' impresa fanno conto di sfruttare la legge del 24 1narzo 1921, la quale concede alle imprese italiane l'esenzione dei dazi doganali per l' importazione del pesce salato e seccato, ed esenta per dieci anni i redditi delle imprese nazionali di pesca sino al 1 Oper cento dall' imposta di ricchezza mobile e da ogni altra imposta sui redditi industriali. Non sarà male di guardare un poco a fondo in questa faccenda di c~pitali italiani mandati all'estero, sia pure sotto la protezione del tricolore nazionale ed allo scopo di emancipare il Paese da una < esosa soggezione straniera>. Anzitutto vediamo come stanno le cose in fatto d' importazioni di pesci in Italia. Prima della guerra, noi importavamo ogni anno circa 700.000 quintali di pesci, tra freschi e preparati in varie forme : secchi, salati, in salamoia, sott' olio ecc. ecc., per un valore complessivo di 65- 70 milioni di lire. Di questa importazione complessiva oltre 400.000 quintali, per un valore di 40 milioni di lire, erano di merluzzo e stoccafisso, di cui 150-200.000 quintàli ci venivano dalla Norvegia e 100-120.000 quintali dal Canadà. r Secondo la statistica ufficiale testè pubblicata, nell'anno scorso, 1922, l' importazione totale in Italia di prodòtti della pesca è salita a poco meno di 423 milioni di lire attuali (una lira-carta corrispondente al cambio del 400 °lo,·a circa il quarto dell'effettivo valore della nostra lira buona dell'av anguerra), su una quantità complessiva di oltre 630.000 quintali. · iblioteca Gino Bianco

204 LA CRITICA POLITICA II grosso delle nostre importazioni di pesci continua ad essere il merluzzo secco, salato ed affumicato, che, nelle due principali specie di baccalà e stoccafisso, è stato calcolato per il 1922 in un valore totale di qualche cosa meno di .210 milioni di lire. I pesci freschi, anche congelati, superano i 12 milioni di lire. Altri 20 milioni e mezzo sono dati dalle aringhe secche, salate ed affumicate. Le sa_rdelle, salacche ed acciughe variamente preparate (salate, p_ressate, in salamoia, marinate e sott' olio, in diverse forni e di recipienti) rappresentano un' importazione di quasi 11 O milioni di lire. Il tonno figura per 64 milioni e mezzo di l'ire. È interessante di vedere come queste varie importazioni si ripartiscono per quantità e per principali_ paesi di provenienza. GENERE Baccalà. > • • • • • • • • • > > . > Stoccafisso . > • • • • • • • . Arringhe • • • • • • • • • > Sardelle salate e pressate, salacche e salacchini. . . . Sardelle e acciughe in salamoia. > > Tonno in scatole . > > • • • • • Sardine e acciughe in scatole . > PROVENIENZA Canadà . . . . • • Gran Bretagna . . . Norvegia. . . . . . Francia . . . • . . Stati-Uniti ..... Danimarca .. • • • • Norvegia. . . . . . Stati-Uniti • . . . . Gran Bretagna Norvegia. . . • • • • • • Gran Bretagna . . . Spagna .....• Portogallo . . . . . Spagna ..... . Portogallo . . . . . Algeria . . . . . . Spagna ..... . Portogallo . . . . . Tri politania. . . . . Portogallo . . . Spagna . . . . • • • • QUINTALI 122.060 72..928 68.502 57.985 28.607 13.930 116.008 1.216 • 53.244 3.231 20.901 19.871 3.127 77.813 22.063 6.951 29.175 18.696 3.845 48.329 6.765 Risulta da una informazione comunicata da Milano al < Manchester Guardian Commerciai > e da questo autorevolissimo giornale pubblicata nel suo numero del 26 aprile u. s., che i promotori della nuova Compagnia italiana per la pesca nei ·mari del Nord si propongono di pescare Biblioteca Gino Bianco

... MERLUZZI ISLANDESI E QUATTRINI ITALIANI 205 ed introdurre annualmente in Italia circa 70.000 quintali di pesci, che essi fanno conto di poter vendere facilmente al prezzo di lire 2,70 al K., realizzando un profitto annuo complessivo di due milioni di lire, che è quanto dire un profitto medio di lire 0,30 circa per ogni chilogramma di pesce venduto. Non so quanto attendibili siano questi calcoli che certamente il corrispondente del giornale inglese ha avuto da buona fonte, ma suppongo che, come sempre è il caso per i calcoli fatti dai pro1notori di società commerciali alla pesca di azionisti, essi siano piuttosto rosei, e non tengano conto adeguato di tutti i rischi e pericoli dell' impresa, compreso quello della difficoltà che non deve essere lieve di utilizzare pienamente gli equipaggi italiani in mari nordici ed in una specialità di pesca per essi del tutto nuova e sconosciuta, come lo ha del resto onestamente riconosciuto il Principe di Udine nella sua conferenza di Biella, accen- , nando alla novità assoluta dell' iniziativa della quale egli è a capo·. Accettiamo tuttavia per buone le previsioni che servono da base finanziaria ai promotori della nuova impresa commerciale, e solo cerchiamo di vedere chiaro da dove verranno, e da chi saranno effettivamente pagati questi sperati dividendi. Prima di tutto, occorre tenere presente che nessuna legge e nessun provvedimento dello Stato ha la virtù di creare un capitale nuovo in aggiunta ai capitali che esistono effettivamente nel paese e che possono essere in un dato momento investiti negli usi produttivi del commercio e dell' industria. Tutto quello che il Governo può fare coi suoi provvedimenti ed incoraggiamenti è di deviare una parte, grande o piccola, dei capitali che esistono nel paese dagli impieghi naturalmente più produttivi per incanalarla, colla promessa di esenzioni fiscali e di altri sacrifizi imposti forzatamente ai contribuenti ed ai consumatori, verso investimenti, dai quali le banche ed i privati capitalisti naturalmente rifuggono perchè li sanno o passivi o meno rimuneratori degli altri. D'altra parte, è ovvio che, nella misura in cui una parte grande o piccola del capitale che oggi esiste in Italia potrà essere allettata dalla promessa di esenzioni fiscali e doganali ad investirsi nella nuova impresa peschereccia, lo Stato perderà i proventi fiscali che avrebbe riscosso nel caso in cui quel capitale fosse stato diversamente impiegato, e nello stesso tempo i proventi doganali per i pesci che la nuova Compagnia avrà il privilegio di importare in franchigia di dazio, vale a dire riscuotendo ess~ il dazio invece dello Stato nei prezzi che farà per i consumatori italiani. I dazi stabiliti colla nuova Tariffa doganale sui prodotti della pesca pagabili, come si sa, in lire-oro, cioè al cambio del dollaro americano, ciò che equivale alla loro moltiplicazione attuale per 4, vanno da un minimo di lire 5, - per quintale per il baccalà e di lire 6, - per lo stoccafisso, le arin_ghe, le sardelle secche, salate, affumicate ed in salaiblioteca Gino . 1anco I

206 LA CRITICA POLITICA ================================================ __---__-_-_-_-_-_----~__-_- -- moia, a lire 35, - per il salmone, a lire 45, - e 60, - per il · tonno varian1ente preparato, sino al massitno di lire-oro 120, - per le sardine ed acciughe marinate, sott' olio od altrimenti preparate ,in scatole, del peso fino a mezzo chilogramma (compreso il recipiente). Facendo l' ipotesi più moderata, che è quella che la progettata Co1npagnia, dato il suo programma di pesca nei mari .del Nord e sulle coste dell' Islanda, non pensi per adesso ad organizzarsi per godere della franchigia sui dazi maggiori della nostra tariffa doganale, ma faccia i suoi calcoli soltanto sul dazio di lire-oro 6, - corrispondenti al cambio attuaie a lire-carta 24, - per quintale sullo stoccafisso, la conseguenza evidente è che dei 30 centesimi per chilogr_amma che la Compagnia prevede ·di guadagnare sul pesce che importerà e venderà in Italia, ben 24 centesimi :, saranno regalati dallo Stato colla rinuncia al dazio doganale, mentre i consumatori continueranno a pagare quel dazio agli azionisti della Compagnia; alla quale non per nulla deve essere accordato il privilegio della importazione in franchigia. Le altre esenzioni fiscali accordate dallo Stato costituiranno certa- . . mente per esso una perdita d' imposte e di tasse. assai maggiore degli altri 6 centesimi di guadagno per chilogramma, lire 420.000 in tutto, che la· Compagnia potrà fare annualtnente realizzando completamente il suo preventivo di una vendita di 70.000 quintali di pesce in Italia. ' E così molto chiaramente dimostrato che la nuova Compagnia pescherà sì il merluzzo e le aringhe nelle acque territoriali dell'Islanda o della Norvegia all'ombra del tricolore nazi?nale, ma i suoi dividendi li pescherà molto prosaica,nente soltanto nelle smunte saccoccie dei contribuer,ti e dei consumatori italiani. Ma vi è di più e di peggio. L' Italia non è oggi, purtroppo, un paese talmente ricco da potersi permettere il lusso di sottrarre una parte qualsiasi dei troppo scarsi capitali da cui dipende il progresso della sua agricoltura e delle sue industrie allo scopo di procurarsi il piacere di spese passive e di lusso, anche se il fatto di un aun1entato prestigio della bandiera nazionale sventolante alla pesca nei lontani mari del Nord potrebbe lusingare e soddisfare per adesso, in mancanza ùi meglio, il sentimento di quella parte per certo .non ancora molto numerosa di Italiani che pensano < ron1anamente > delle sorti future del nuovo e grande Impero italiano. Per tutti coloro che simili fisime non hanno, e che, pur essendo buoni e sinceri italiani del secolo XX, non credono che la storia si ripeta 1naterialmente e che debba venire più o meno presto un periodo nel quale il mondo intero rito_rnerà ad essere governato dal Campidoglio o da Palazzo Chigi - di Montecitorio non è più il caso di p~r}are, oramai -, intanto bisognerebbe spiegare e chiarire una patente ed enorme contraddizione. Mentre ha .incontrato ed incontra l'unanime consenso degli italiani la Biblioteca Gino Bianco

MERLUZZI ISLANDESI E QUATTRINI ITALIANI 207 politica colla quale il presente Governo favorisce coll'esenzione da tutte le imposte per un numero abbastanza lungo di anni il capitale estero che si dispone a cercare in Italia i propri investimenti, per supplire alla constatata deficienza dei capitali nazionali, come può venire in testa, non dico al Governo, ma ad alcun italiano di buon ~enso di favorire l'esodo del capitale italiano, sia pure allo scopo di < distendere il ter~ore > del nostro nuovo Imperio terrestre e marittimo in mezzo alle pacifiche popolazioni di merluzzi delle coste islandesi e norvegesi ? Non per la gente che pensa ed opera < imperialmente >, 1na per il grosso pubblico che si contenta di pensare e di lavorare < italianan1ente >, e di < italianamente > pagare le tasse e le imposte necessarie per mettere in sesto l'azienda dello Stato, e con essa quella maggiore del Paese, vi è ancora da considerare che dalla creazione artificiale di un nuovo organismo industriale e con1merciale parassitario, non potrà non derivare un aumento delle forze e dèlle difficoltà che oggi già si oppongono alla riforma del nostro regime doganale nel senso reclamato dagli interessi generali del Paese e dall'urgenza di attenuare la piaga dolorosa della carestia dei viveri di prima necessità, e di riattivare i nostri scambi coll'estero. È già noto come, per l'influenza di un piccolo gruppo di stabilimenti che attendono alla preparazione del pesce in Italia, nella recente rinnovazione dell'accordo com1nerciale colla Francia, il nostro Governo non ha più voluto vincolare il dazio ridotto di Jire 15, - per quintale sulle sardine e acciughe marinate sott' olio, in scatole o altrimenti preparate, per modo che per quelle importazioni è ora in vigore la nuova tariffa doganale coi suoi dazi enormi da lire-oro 60, - a lire-oro 120, - per quintale (lire-carta 240, - e 480, -), dazi che, se non saranno grandemente diminuiti, ci renderanno impossibile qualsiasi ragionevole e vantaggioso accordo commerciale colla Spagna e col Portogallo, i due paesi maggiormente interessati nell'esportazione delle sardine ed acciughe. La stessa condizione di cose si presenterà da ora innanzi coi paesi del Nord, massime colla Dani,narca e colla Norvegia. Ammesso che questi due paesi si inducessero a trattare con noi sulla base di di1ninuzioni • reciproche da dazi per le nostre e le loro esportazioni più naturali, ecco che la nuova Compagnia commerciale e finanziaria eserciterà tutta la possibile sua influenza politica allo scopo di in1pedire simili accordi utilissimi non soltanto agli esportatori, ma anche ai consumatori italiani interessati alla riduzione dei dazi sul pesce, e, in ogni caso, don1anderà al Governo il risarcimento dei danni subiti per un preteso inadempimento degli impegni da esso assunti. Chi ci assicura d'altra parte che questo regime di favore fatto alla nuova Cotnpagnia peschereccia italiana non susciterà le diffidenze e le eventuali rappresaglie dei paesi, sulle cui coste territoriali essa si propone di esercitare la pesca ? ; iblioteca Gino Bianco

208 LA CRITICA POLITICA Supponete che domani, tanto per fare un'ipotesi, gli Stati-Uniti accordas~ero l'esenzione dal loro dazio proibitivo sulle se~e torte italiane ad una società americana che venisse in Italia per esercitare alcuni ~iJatoi da seta; non sarebbe logico e naturale che il nostro Governo fa- _ cesse sue le vive e legittime proteste degli industriali ed esportatori italiani assoggettati ad una simile iniqua ed intollerabile differenza di trattamento ? Il meno che può capitare alla Compagnia italiana per la pesca è. che per le proteste dei pescatori danneggiati il Governo danese le inibisca la pesca nelle acque territoriali dell' Islanda,. o per lo meno la assoggetti a. diritti differenziali per compensare il privilegio doganale fatto ali' i'n- ~ traduzione dei suoi prodotti in Italia. I promotori della Compagnia privilegiata per la pesca non hanno però scrupoli d' in.dole protezionista, quando si tratta di provvedere all'attrezzamento della loro flotta, e per questo - giustamente del resto - essi preferiscono l'industria tedesca alla nazionale, a patto però che il Governo. intervenga a facilitare le loro compere, 1nettendole queste sul conto delle riparazioni che la Germania paga in natura, ed eventua~mente anticipando il capitale necessario. Per quanto il Governo attuale sia ora investito di pieni poteri per fare anche operazioni di simile genere che nulla veratnente hanno da vedere col raggiungimento del pareggio e coJla ricostruzione finanziaria ed economica dello Stato, non sembra questa una buona ragione perchè si debba rimanere tutti perfettamente all'oscuro di ciò che sta facendo il Governo impiegando i quattrini, e sacrificando gli interessi generali del Paese. In modo particolare. si domanda all' on. Ministro delle finanze se e come i favori da regalarsi alla Co1npagnia privilegiata per la pesca si acéordino colle sue affermazioni ripetute di un programma governativo tendenzialmente liberista. Non è possibile che egli, da quel valoroso ed onesto economista che è, abbia dimenticato quello che, in pagine immortali, Adamo Smith ha scritto sopra i disastrosi effetti delle leggi protettive della pesca e sopra i famosi bastimenti scozzezi che si mettevano alla vela per il solo oggetto di pescare non le aringhe, ma il premio che lo Stato concedeva alla pesca delle aringhe ! , Resta da vedere ancora un lato della questione, per sfrondare l' ultima illusione che un' importazione di pesci pescati con capitali italiani e con equipaggi italian1 più o meno addestrati al clima e alle opera-. zioni peschereccie in mari cos) diversi dai nostri possa in qualche modo emancipare il nostro paese da· una sua pretesa soggezione straniera. È questo il sofisma protezionista nella sua forma più grossolana ; e sembra incredibile che ad ogni momento si debba tornare a farne la confutazione. ~ Se mi potéssi prendere la libertà di dare un modesto consiglio a Biblioteca Gino Bianco

MERLUZZI ISLANDESI ~ QUATTR,NI ITALIANI 209 S. A. R. il Principe di Udine, che mi dicono giovane studioso ed intelligente, gli darei quello di ricercare quel prezioso e purtroppo dimenti- .cato capolavoro che sono i < Sophismes économiques > di Federico Bastiat. Può darsi che la lettura di un simile libro, oltrechè essergli di un vero diletto intellettuale, lo persuaderebbe a buttare a mare l'iniziativa della quale è a capo di una pesca in Islanda, e ciò sarebbe tanto di guadagnato per lui e per il popolo italiano. Ad ogni modo, ai promotori della Compagnia per la pesca incombe l'obbligo di dimostrare come una importazione da essi fatta in Italia nel modo che abbiamo visto, in sostituzione di una corrispondente importazione fatta ora da Ditte danesi o norvegesi, costituisca in qualche maniera e tnisura una nostra minore dipendenza dall'estero per il nostro normale fabbisogno nazionale di pesci. Questa dimostrazione non sarà mai data, ed è impossibile che essa sia data. È invece perfettarnente dimostrabile il contrario, cioè che al- ~ l' Italia conviene immensamente di più lasciare andare le cose, come sono sempre andate sino ad ora, e, in luogo di impegnare una parte dei suoi capitali in una impresa passiva e di serra calda per la pesca in mari lontani dei merluzzi e delle aringhe che essa consuma, lasciare che quei capitali restino a fecondare e ad alimentare le sue industrie naturali, i cui prodotti le serviranno, come sono serviti per il passato, da mezzo di scambio per procurarsi il pesce e tutte le altre cose che essa non può produrre economicamente ed ha quindi il tornaconto di importare dall'estero. Vi sarà sempre ad ogni modo questo sicuro vantaggio, che sui capitali che restano investiti in Italia il Governo italiano continuerà a riscuotere le imposte e le tasse che invece dovrebbe perdere sui capitali messi alJa ventura in una impresa cos) rischiosa, come è quella posta ora ·dai_ suoi promotori sotto l'alto patrocinio di S. A. R. il Principe di Udine. Attualmente, una importazione annua di 400-500 milioni di lire di pesce è pagata con una pari esportazione di merci e di derrate, la cui produzione ha permesso di vivere in Italia ad un numero di italiani cer- . tamente maggiore di quello dei marinai e pescatori che potrebbero_ occupare fuori del Paese tutte le Compagnie privilegiate per la pesca nei • mari vicini e lontani. Buona parte di cotesta esportazione, in quanto eccede il rimborso delle spese materiali di produzione delle mere\ e delle derrate esportate, costituisce un profitto netto che rimane in Italia, ed a cui non si contrappone alcuna perdita dell'erario nazionale. Ci vuole davvero poca pena per comprendere che i capitali italiani impiegati a produrre del vino, della frutta, dell'olio, del bestiame e della seta, rendono naturalmente m~lto di più che non renderebbero, se fossero esportati ed investiti in imprese favorite e sovvenzionate dal Governo per pescare i meriblioteca vino Bianco

210 LA CRITICA POLITICA luzzi ed altri pesci più o· meno grossi in mari ed in climi troppo diversi dai nostri perchè in essi il lavoro italiano possa essere elevato e mantenuto alla sua normale e piena efficienza. Tutto ciò è di una semplicità ed evidenza così palmare, che davvero ci è da provare vergogna di essere costretti a ripetere sempre e con sì poco frutto le verità elementari e orn1ai non più confutabili della scienza economica. Ma poichè queste .verità da molta gente continuano a non essere conosciute, e poichè, nelle questioni economiche - ciò che non avviene in aritmetica pura - può sempre convenire a taluno di sostenere nel suo privato interesse che 2 + 2 ~on è uguale a 4, ma, secondo i casi, è uguale a 5 od a 3, condendo questa assurda pretesa di sofismi atti ad ~ eccitare le passioni ed a solleticare i sentimenti patriottici od altri degli uditori ignoranti, non è e non sarà un lavoro superfluo quello di prendere la difesa, anche se non richiesta, degli ignoranti e degli illusi, e di mostrare ad essi ciò che sta veramente in fondo a queste ubbìe persistenti_ ed ognora rinnovantisi di < emancipazione economica del Paese dalla sogg.ezione straniera>., EDOARDO GIRETTI Previsioni finanziarie pel 23-24 Da quella stessa Milano da cui appena un mese e mezzo addietro il comm. Michelino Bianchi, segretario generale del Ministero degli interni e del partito nazionale fascista, annunciava solennemente che " fra un anno e mezzo il ministro De Sie/ani garantisce il pareggio dei bilanci"' l'on. De Stef ani, mini~tro responsabile delle finanze e del tesoro, ha con altrettanta solennità, dinanzi al capo del Governo e a rappresentanti autorevoli della finanza e della politica, snientito onestamente l'allegra anticipazione sui ri- · sultati della sua opera di ministro. Come aveva,no immaginato la situazione finanziaria dello Stato italiano è ancora lontana dal raggiungere il sospirato porto del pareggio. Per ora c'è solo il nobile proposito di raggiungerlo che fu, del resto, anche dt tutti i governi passati. Non crediamo vi sia stato nessuno governo che si sia proposto di aumentare il disavanzo piuttosto che di di1ninuirlo I Il ministro ha iniziato il suo discorso avvertendo che " sia,no ancora in cammino verso una stazione che si sposta, che si allontana»· Dell'esercizio finanziario in corso ha preferito non parlare. Ci ha dichiarato, però, che "fuso délla libertà che gli venne concessa e l'ordinaria opera di governo gli permettono di prevedere per t'(!sercizio 1923-24 un disavanzo di un tniliardo e 187 milioni,,. l'esercizio _acui 'fon. De Stefani si riferisce incominc(!rà come si sa dal 1° luglio p. v. e le previsioni - come pure è ormai ben risaputo - sono sempre molto più rosee della realtà, per questa ragione tra le altre : che se delle spese ordinarie tutte è possibile tener stretto conto, nulla può stabilirsi per quelle straordinarie che sortono fuori dove e quando meno si Biblioteca Gino Bianco

PREVISIONI FINANZIARIE PEL 23-24 211 pensa. Il bilancio del governo fascista non farà, neppur esso, eccezione alla regola. Poco dire,no sul discorso del ministro. L'opera di un governo non va giudicata da quel che i ministri dicono o proniettono, nia da quello che fanno. Per giudicare, intanto, dei risultati sperati nell'esercizio venturo, amerenimo vedere i risultati ottenuti in questo primo periodo di governo, specialmente ri~uardo alle spese e a certe spese, anche per vedere se alcuni di quei risultati di cui il governo fascista pensa di ootersi render merito col bilancio 23-24 non siano a s·capito dei risultati dell'esercizio in corso, 22-23. Prendiamo atto, ad ogni modo, che lo sforzo per le economie è tutto per l'esercizio venturo. Una cosa certa e... l'aumento considerevole della pressione fiscale. " Trovai - ha detto con evidente compiacimento l' on. De Stef ani - " un esercito di 600 mila C(!ntribuenti all'imposta di ricchezza mobile. Dal novembre ad oggi ho inquadrato 50 mila disertori; la nuova leva tributaria dei salariati si è chiusa con 100 mila iscritti, quella dei proprietari-coltivatori e dei coloni con 1 111,ilione 315 mila denunce. " ·Benissimo per i disertori. Ma per gli altri, per i nuovi arruolati - neghiamo che si sia realizzata una maggiore giustizia distributiva. Raggiungeré la sufficienza delle itnposte può essere ottinia cosa, purchè però non si finisca, oltre che a creare ,naggiori sperequazioni, col compri,nere " il libero e naturale svolgi11iento delle energie del paese n· Se è vero, come riteniamo, quanto ha detto l'on. De Stefani, che cioè "ogni progra,nma è condizionato alla realtà, e qu.esta realtà è la struttura economica della Nazione"' il Ministro delle finanze tale realtà l'ha dimenticata I Altri rilievi non facciamo per ora. Ci sianio troppe volte intrattenuti sulf artificiosità dei bilanci, sulle deficienze, oscurità e reticenze di tutte le esposizioni finanziarie per prenderci ancora il gu!:.:todi rilievi, di appunti, d' interrogativi. Il quadro dell'econoniie realizzate o in via di realizzazione non ci convince. È assoluta,nente un 1nistero - che chiederebbe di essere spiegato - in quale modo il governo possa realizzare una riduzione delle spese militari portando al tempo stesso la /erma a 18 mesi, aumentando i quadri e attuando il prograninia· del generale Diaz ritenuto indispensabile e fatto proprio dal governo. Un punto sul quale niolto ci sarebbe da discorrere è quello della finanza locale. ll Ministro ha fatto dichiarazioni molto gravi per i Comuni e per le provincie: ha intanto af fer11iato di voler subordinare ancora di più di quel che non sia attualmente le possibilità della finanza locale alle esigenze dello Stato. Ecco un proposito che proprio non ci sentiamo di poter approvare. E facciamo pure punto qui. Riconosciamo - e lo abbiamo detto altra volta - all'on. De Stefani il merito di essersi messo con serietà ed impegno nel conipito difficile che gli è stato affidato. Il suo discorso s,nentisce l'allegra faciloneria con cui molti altri uomini responsabili trattano e risolvono, a parole, i problemi più delicati e più difficili della vita della nazione. Ed è già - in questo contrasto col solito stile fascista e perchè riavvicina l'occhio un pochino di più alla realtà - un indiscutibile merito. DIFFONDETE LARGAMENTE LA CRITICA POLITICA ' iblioteca Gino Bianco

212 LA CRITICA POLITICA L'imposta sui redditi agrarii L'on. De Stef ani nel suo discorso di Milano ha tenuto a porre al suo attivo l'imposta sui redditi agrarii, che avrebbe colpito quasi un milione e mezzo di agricoltori: non sappiamo quali risultati fiscali sia per dare la nuova imposta, ma innegabilmente essa ha seminato così largo malumore fra i contadini da far ritenere che il beneficio fiscale risentito dallo Stato non sia com- • pletamente superato dal danno politico. La campagna, violentemente agitata dalla guerra e sommossa dal mito del boscevismo russo, aveva riacquistato ora la ·sua tranquillità: proprietarii. e mezzadri non si guardavano più in cagnesco nel 1923 come nel 1920: si respirava dopo la burrasca impetuosa, ~ e si riprendeva il lavoro pacifico. L'imposta sui redditi agrarii è v·enuta a turbare questo pacifico riassetto: il falcetto scende nuovamente iroso, perchè nelle Marche, nella Toscana, nell' Abruzzo, nell' Umbria il contadino non sa ca13acitarsi della nuova tassa, inattesa e improvvisa che lo ha colpito, costringendolo a novità di denuncie e minacciandolo di multe. Il congegno della nuova tassa, che ai burocratici del palazzo adorno de~ monumenti a Sella e a Minghetti è apparso meraviglioso per semplicità, è riuscito incomprensibile ai contadini, che nelle famose tabelle hanno capito una cosa sola : « il reddito attribuito a loro è quasi doppio di quello attribuito ai proprietari > e non se ne possono capacitare perch~ non hanno seguito nessun corso di economia politica, che permetta loro di distinguere fra il reddito fondiario e il reddito industriale della terra. Se il Governo aveva bisogno di chiedere ai proprietarii e ai contadini un sacrificio tributario, senza mettere il campo a rumore, aveva sottomano per le regioni a mezzadria un sistema molto semplice, che non avrebbe richiesto nè denuncie, nè ruoli speciali, nè accertamenti nuovi: poteva raddoppiare la tassa bestiame in1posta dai Comuni e devolvere questa a suo vantaggio. I contribuenti già abituati a pagar questa tassa avrebbero pagato senza strilli e senza proteste. La teoria ha prevalso sull'espediente tributario ottimo e semplice; e si è messo in moto un meccanismo complicato, che irrita per la sua novità e per le sue modalità e che grava di un. lavoro schiacciante le Agenzie delle imposte già oberate di lavoro per il controllo dell'imposta sul patrimonio e per la disposta e opportunissima revisione degli estimi catastali. I nostri governanti e i nostri burocratici vivono troppo lontani dalla realtà per avvertire le ripercussioni politiche e sociali dei loro provvedimenti, e come in omaggio a teorie ci hanno regalato le meravigliose assicurazioni sociali in un momento di crisi economica gravissima, cos} in un , · · momento politico di estrema delicatezza ci hanno regalato questa nuova imposta, che mette in subbuglio milioni di cittadini, e turba quella tranquillità operos~ che era indispensabile rafforzare nelle campagne s~ si vuole veramente intensificare la produzione e ricostruire. IL PASSANTE .,. Biblioteca Gino Bianco

La "Riforma Gentile" Siamo lieti di poter offrire ai nostri lettori questo acuto esame della riforma della Scuola Media preparata dall'on. Gentile. Il problenia della scuola è un problema essenzialmente politico, e il fatto che Augusto Monti possa discuterlo con criterii che si inquadrano spontaneamente nelle nostre direttive autonomistiche è prova indiretta ma efficacissima della fecondità del nostro punto di vista. Augusto Monti, pone implicitamente a base del suo ragionamento e della sua concezione le nostre tesi f on:danientali, per una adesione istintiva alla realtà. La riforma Gentile è intimamente viziata dal criterio burocratico della uni/ ormità : essa vuol dare un)impronta unica a tutti i diversi tipi di scuola, sorgano nei grandi o nei piccoli centri, nel Sud o nel Nord, in regioni rurali o industriali. I suoi autori si illudono che per riformare la scuola basti riformare le leggi stampate che si assumono di regolarla e disciplinarla. Via completamente diversa indichianio noi e indica il Monti, e non per preconcetta _ostilità al Governo. La scuola non deve essere più un'entità astratta, un concetto elaborato nei saloni e negli ufficii della Minerva romana : deve invece aderire alla realtà dei singoli paesi ove sorge e ove esplica la sua azione, modellandosi sulle loro esigenze e sulla loro natura. Il prof. Augusto Monti ha pubblicato in questi giorni, presso l'editore Arnaldo Pittavino e C. di Torino, un geniale ed interessante libro su: " Scuola classica e vita moderna,,. IL PROGRAMMA SCOLASTICO DI GENTILE Il pensiero di Giovanni Gentile a proposito di riforma scolastica io credo si possa, sinteticamente, ridurre a questi punti : t 0 ) Scuole governative : le scuole tenute dallo Stato devono essere poche ma b1:1one, poche ma scuole I 2°) Insegnanti governativi: pochi, scelti, ben rimunerati, liberi sl amministrativamente che didatticamente. 3°) Scuole private: al di ·tà delle sue scuole, Io Stato deve permettere anzi desiderare e procurare la massima libertà all' istruzione privata. 4°) f same di Stato: mezzo per giungere aUa riduzione e selezione della scuola governativa, e per assicurare la libertà alla scuola privata : l'Esame di Stato, inteso come esami di ammissione a tutti gli ordini di scuole. - Sono queste, come è risaputo, le idee contenute nell'Appello per un Fascio di Educazione Nazionale, ed elaborate, via via, nell'ultimo ventennio dagli scrittori dei Nuovi Doveri, della Voce, dell'Unità, de La nostra scuola, de l'Educazione Nazionale. Quando Giovanni Gentile, elaboratore e predicatore autorevolissimo di queste idee, fu assunto al potere dopo la marcia su Roma, grande fu l' in- • 1broteca G·no Bianco ...

214 LA CRITICA POLITICA certezza e il disorientamento tra gli aderenti al Fascio di Educazione Na- • zionale : alcuni, seguitando per la via presa già da qualche tempo, proclamarono l'assoluta identità di spirito e di scopi tra Fascio di Educazione e Partito Fascista e proposero l'adesione del Fascio di E. N. come corpo, al Fascismo; altri, considerando che con la marcia su Roma la questione scolastica si era annullata e risolta in una più vasta questione di libertà elementari e di garanzie costituzionaU, negarono ogni fiducia a Giovanni Gentile ministro del governo fascista e si disinteressarono, di fatto, del programma del Fascio di Educazione Nazionale; altri, mantenendo nei riguardi del fascimo tutte le riserve e le diffidenze e magari le ostilità di prima della marcia riconfermarono la loro fiducia a Giovanni Gentile, e attesero, per pronunziare un loro definitivo giudizio, la. pubblicazione e apµlicazione della promessa riforma. Ora la riforma è nota anche ne' suoi particolari: ora può essere, da chi aveva atteso, sciolto ogni riserbo e dato un giudizio pubblico e firmato. POCHE SCUOLE, MA SCUOLE Che le scuole medie governative in Italia siano troppo numerose è cosa risaputa: l'aveva già notato l'Oriani quando disse ch'esse eran fin dal principio del Regno < confuse, troppe e male distribuite> l'aveva lamentato nel '91 il Carducci ammonendo (cito dal Gentile) che < il ministero della P. I. volle fare in piccol tempo troppe scuole e troppi professori in un paese che non poteva nè dare tanto nè portare tanto > ; circa il 1895 il Fischer (L' Italia e gl' Italiani) diceva: " Se il valore dell'insegnamento secondario di un paese dovesse dipendere unicamente dal numero delle scuole, I' Italia sarebbe senza dubbio in questo ramo dell'attività pubblica (istruzione media) la prima potenza d'Europa: infatti l'Italia possedeva nell'anno scolastico 1895-96 nientemeno che 1500 scuole medie, laddove la Prussia, il paese classico delle scuole, con una popolazione press' apoco eguale, si contentava di 576 istituti dello stesso genere >. Dal pri~cipio del Regno al '95, dal '95 al 1906 le scuole medie governative andarono sempre, sebbene lentamente, aumentando per mezzo di sempre nuove creazioni_ di istituti regi, o regificazioni di scuole private o pareggiate; con la legge del 1906, la quale poneva, per i professori governativi, la novità dei ruoli aperti, ogni remora alla regificazione di scuole medie pareggiate fu tolta, e il numero di tali istituti crebbe da allora con una rapidità vertiginosa: tanto che nel '13 Giolitti dava esplicitamente l'allarme contro tale pericoloso incremento : a,Ilarme che fu raccolto, al solito, ~ai giornali clericali, ma anche fu, allora per la prima volta in Italia, rilevato da una rivista di cultura, diremo, laica, o liberale se volete, la Voce di Firenze, in · cui il sottoscritto in due articoli (3 aprile '13, 1 maggio '13), poneva il principio dell'abolizione del protezionismo scolastico statale, e s~ggeriva perciò il rimedio dell'abolizione delle licenze e della loro sostituzione con l'esame di ammissione. - L'allarme di Giolitti e la proposta de La Voce non ebbero per allora nè eco nè effett~ ; poi veniva la- guerra, cadeva Giolitti; finiva la guerra, tor- . nava Giolitti ; si riprendeva l' idea e la si concretava nel progetto Croce, Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==