la critica politica - anno III - n. 3 - 25 marzo 1923

LA CRITICA POLITICA RIVISTA MENSILE ANNO III. 25 marzo 1923 F ASC. 3. La crisi del liberalismo · È necessario distinguere : v'è una crisi dello Stato liberale e v'è una crisi dei gruppi parlamentari che, sotto aggettivazioni diverse, si considerano frazioni di un unico partito, il partito liberale. La relazione tra le due crisi è naturalmente assai stretta. Però, mentre per lo Stato liberale si tratta di provare la propria capacità di resistenza alla difficile prova alla quale lo sottopone il Governo fascista, per i secondi si tratta s emplice1nente di una crisi di assestamento in cui le tradizioni liberali, il rispetto allo Statuto, la devozione alla legge e la fede nella libertà entrano molto limitatarnente. Basterebbe cioè, per intenderci, che i gruppi della maggioranza parlamentare riuscissero a garantirsi nella nuova situazione la posizione nel passato conservata nei confronti di tutti i governi, attraverso tutte le co1nbinazioni, perchè la crisi dei liberali cessasse di esistere. Ma continuerebbe sempre ad esistere la crisi del liberalismo la quale va, quindi, diversa1nente intesa sia che la presenti il prof. Giovannini nell'interesse dell'unità dei gruppi e qei partiti liberali da realizzare dentro e fuori la Camera, sia che la presenti il senatore Albertini nel1' interesse della tradizione, dei principi e della stabilità del regime. * * * Facciamoci dal secondo. Le preoccupazioni del senatore Albertini sono più che legittime. Se non sono molto diffuse vuol dire che in Italia no·n esiste una coscienza conservatrice. E a provare il contrario non basta la irritazione di sentimenti di conservazione che ha contribuito, per la sua parte, alla vittoria del fascismo. Certo è che il fascismo procede nel governo dello Stato come se non esistessero le leggi fondamentali sulle quali questo si fonda. Restaurazione del prestigio e del1' autorità dello Stato ? Si, ma per atto di forza, per volontà di dominatori. Meglio sarebbe dunque riferirsi all'autorità di chi oggi comanda. L' autorità dello Stato non può essere che nelle sue leggi e nei suoi istituti, e nella loro valorizzazione il suo prestigio. È, ad ogni modo, del capo del fascismo e del governo, l'affermazione che lo Stato liberale è morto e lo Stato fascista ha preso il suo posto. Altra cosa cioè, per quanto la differenza trà Stato liberale e Stato fascista non si veda ancora, se il . Biblioteca Gino Bianco

102 iA CRITICA POLITICA primo è morto, non si sa cosa debba essere il secondo. Mussolini ha tentatò definirli distinguendoli : < Se Io Stato liberale si difende, lo Stato fascista attacca >. Ma la distinzione non serve a stabilire cosa lo Stato sia, su quali istituzioni si regga, su quali principi, su quali leggi. Il fascismo ha annullato praticamente le istituzioni tradizionali dello Stato liberale, ma non ne ha decretato la mòrte ; anzi gli prof essa un apparente rispetto. Ed è ciò appunto, la finzione dello Stato costituzionale, che ferisce la concezione liberale_ assai più profondamente della soppressione stessa della costituzione. La finzione non era necessaria. Mussolini avrebbe potuto· benissimo sprangare le porte del Parlamento - Giolitti le tenne chiuse durante la guerra libica fin che gli fece comodo e .... nessuno se ne commosse - e stabilire di fatto e di diritto la dittatura. Il periodo di eccezione avrebbe anzi servito a rivalorizzare certe istituzioni dello Stato liberale : in prin10 luogo l'istituto parlamentare la cui ripresa sarebbe stata considerata ed attesa corne il ritorno alla nonnalità. Per una politica severa e restrittiva lo Statuto del regno - nel conce-. dere il quale Carlo Alberto non largheggiò eccessiva1nente verso Io spirito liberale - offriva al Governo tutte le possibilità. Quando, dopo il '98, Sonnino volle una politica di reazione, non chiese la soppressione delle garanzie costituzionali, ma si li1nitò a dire < Ritorniamo allo Statuto ». Per Sonnino - che era un liberale - si trattava di rin1ettere in pieno vigore le prerogative regie e di applicare rigorosamente le leggi - anche quelle che potevano considerarsi oramai superate dai tempi. Lo Statuto per lui doveva restare la carta inderogabile della costituzione dello Stato ; Mussolini, invece, ne fa a meno. Dirà l'avvenire con quali risultati. Ma il liberale che ha aiutato sinceramente il fascismo a salire credendo di trovare in esso una forza restauratrice dello Stato, di questo Stato, non può oggi, onestamente, di fronte all'opera del governo sentirsi in pace con la propria coscienza. Lo Stato - egli còmprende benissimo - può rimanere in piedi in quanto restino in piedi le colonne fondamentali ~ulle quali si regge. Di qui la sua nuova posizione di fronte al fascismo, che non è precisan1ente di ostilità, ma di amico e alleato che vuol evitare al fascismo ora che è al timone dello Stato salti. pericolosi n'el buio. Così ci sembra debba essere considerato l'atteggiamento d·el sen. Albertini (1), il quale non yuol nuocere al fascismo, al contrario lo vuole aiutare ed è per ciò che si preoccupa di richiamare gli uomini del Governo alla nozione della misura del limite oltre il quale è pericoloso andare. < Appunto perchè ci sen-· tiamo corresponsabili di questa reazione.... - scrive - ci corre l' obbligo di esaminarne la portata e di fare quanto è in noi perchè non (1) Escludiamo che si possa riconoscere nell'atteggiamento del sen. Albertini il risultato di oscure manovre d'interessi politici e finanziari oifesi dall'opera del uovo Governo. Il risenti- · mento dei fascisti contro di lui è sopratutto determinato dalla importanza che il Corriere della Sera ba in Italia come organo formativo della pubblica opinione. Biblioteca Gir'o ■ 1anGo

LA CRISI DEL LIBERALISMO 103 trascenda e non dia luogo poi ad una reazione opposta di cui le conseguenze sareb~ero disastrose >. È o non è compito del Governo, di questo Governo restaurare l'autorità dello Stato? Non ha affermato e riaffermato di proporsi tale compito ? E allora per restaurar.e lo Stato e farci rientrare nella norn1alità < occorre che gli uomini di governo siano i primi a rispettare le leggi, fra le quali lo Statuto a_lbertino sovrasta ». Si deve operare < nell'ambito, nei !imiti, col risp~tto delle leggi esistenti > e, lungi dal soffocarle, < restituire loro il prestigio e la forza che hanno perduto> l Il punto di vista liberale in _Italia non può essere che questo. Il sen. Albertini da liberale intelligente e fedele al regime intende assai bene che vi è un minitno di libertà che vuole e deve essere salvaguardato ~ che non è possibile considerare < 40 milioni d' italiani come 40 1nilioni d' iloti che nulla hanno da dire e da vedere nella direzione della cosa pubblica>. Un popolo uscito vincitore dalla guerra non può ess~re trattato come un ·1ninorenne < o peggio ancora - poichè maggiorenne è stato per oltre settant'anni - essere minacciato d'interdizione > come lo minaccia l' on. 1\tlussolini. Nessuno potrà rnai itnmaginare < che un popolo simile voglia permanentemente far getto del diritto .di governarsi, considerarsi inferiore e men degno degli altri popoli civili, ripetere la sua fortuna o la sua disgrazia dall'onniscienza di un solo o di un direttorio di pochi eletti '>. E poichè gli uo1nini e la stan1pa del _governo insistono nel ricordare che la situazione e lo stato d'animo attuali del paese debbono considerarsi come definitivi per un trentennio almeno, il sen. Albertini osserva che non si potrà 111ai credere sul serio < che per un trentennio tutta la nostra vita sia regolata da deliberazioni del Consiglio dei 111inistriinsindacabili e indiscutibili, la stampa taccia come ora tace, le schiere si pieghino co1ne ora si piegano perchè per le zucche che si rialzano ci s_onocinquecentoniila nianganelli e della buona mitraglia e delle bonibe a ,nano>, secondo un avvertimento del < Popolo d'Italia >. Badi, piuttosto, l' on. Mussolini < a non inebbriarsi della vittoria, a non superare più di quanto abbia superato i limiti legali, a ricondurre invece gradatamente il Governo entro questi limiti >. Il consenso popolare non è cosa della quale si può fare eternamente a meno. Viene un momento in cui lo spirito pubblic~ troppo fortemente compresso si ribella e insorge. Ed è pe~chè paventa taie eventualità che il sen. Albertini la denuncia. La ~ua posizione è quella di un conservatore illutninato per il quale la s~ona p~ssata e recente della vita politica dei popoli costituisce un insieme dt esperienze ·alle quali l'uomo di governo deve rifarsi costantemente. Più an~ora di 9uanto non lo siano quei fascisti i quali amano tanto spesso ripeterlo, egh è persuaso < che il fallimento di Mussolini potrebbe avere conseguenze gravissime > e per il paese e per quelle classi dirigenti che al · fascismo si so.no solidamente appoggiate. Ma appunto per ciò si può aiutare Mussolini a riuscire, non già a fallire lo scopo I Tanto più che sulla spons·bti6teca Gino Bianco -

104 LA CRITICA POLITICA taneità e stabilità dei sentimenti éhe ora sembrano prevalere non è possibile fare assegnamento soverchio. La rapidità con cui tanti socialisti rivoluzionari sono passati all'ultima ora e dopo l'ultima ora al fascismo non garantisce affatto sulla genuinità della conversione. Allo stesso modo il < miracolo che ha convertito al fascismo tutti quei riformisti, democratici sociali, giolittiani, popolari e via dicendo i quali non auspicavano se non la collaborazione coi socialisti e successivi maggiori, esperimenti di socialismo di Stato > è uno di quelli sulla cui natura c'è da restare pensosi (1). I consensi sono troppi. Le conversioni troppo rapide e troppo recenti. L'Italia che appena un anno addietro sembrava camminare a gran passi verso un estre1nismo di sinistra - si che non v'era più un partito solo che non si proclamasse per lo meno den10cratico (2) - è ora dominata dà un estremismo di destra che ogni giorno si accentua. Ma estremismo è sempre, mentre la macchina dello Stato è nelle condizioni meno favorevoli per sopportare una sterzata così forte. * * * Il sen. Albertini non è certo il solo a nutrire queste preoccupazioni. Potreino anzi dire che egli esprime uno stato d'animo abbastanza diffuso,. per quanto raramente confessato. Quando egli, però, si spinge a fissare un minimo di esigenze nelle quali lo Stato liberale dovrebbe trovare oggi la propria affermazione e difesa e il partito liberale il fondamento programmatico per la propria ricostituzione, non ha più chi l'intenda .. Siamo oramai lontani dal tempo in cui lo Stato liberale - quale compromesso tra la reazione e la rivoluzione - era considerato come risultato di illuminata saggezza e di previdenza, S'è smarrita la tradizione liberale insieme alle premesse del liberalismo. La libertà era allora il presupposto delle forme giuridico politiche che la contenevano e la limitavano: in materia economica era metodo direttivo in quanto serviva anche a dare soddisfazione alle preoccupazioni conservatrici della borghesia. Il liberalismo si poneva in contrasto deciso colla dottrina socialista che alla iniziativa libera degli individui e delle associazioni spontanee tendeva a sostituire la iniziativa collettiva regolata dallo Stato .. Ogni concessione ali' intervezi'onismo statale era negata co1ne concessione fatta allo spirito del socialismo. Il rispetto al principio di nazionalità si poneva anch'esso, logicamente, come base fonda1nentale ed esclusiva della politica· estera di uno ·stato per il quale realizzare l'unità della (1) Vedere gli articoli del Co"iere della Sera degli 8, 9, 11 e 17 marzo. l2} I soli nazionalisti non hanno mai fatto professioni di fede democratica ad eccezione del primo periodo dell'intervento quando resero pur essi larghissimo omaggio alle finalità democratiche che si pretendeva assegnare alla guerra europea. Ma i nazionalisti - a parte la esiguità. · delle forze numeriche di cui disposero fino al giorno in cui incominciò a delinearsi il successo del fascismo - non s'era dato nome di partito politico. Quando pensò di assumerne veramente la funzione provvide il fascismo a deliberarne la liquidazione. Biblioteca Gino Bianco

• LA CRISI DEL LIBERALISMO 105 nazione italiana era già un'aspirazione superba. Il liberalismo si era nutrito cioè delle aspirazioni democratiche del secolo scorso. Era conservatore, ma in quanto si preoccupava di contenere q~elle aspirazioni, non perchè ne negasse la legittimità ideale. Al contrario vi si rifaceva. Dopo mezzo secolo - tanti anni sono passati nella Storia d' Italia - l' idea di un ritorno ai principt del liberalismo nella condotta politica dello Stato è certo una idea coraggiosa, ma è fuori della realtà. Lo Stato si è mosso cos) decisamente fuori di tutti i presupposti e le esigenze del liberalismo che non si vede come potrebbe esservi mai ricondotto. Il suo ordinamento si è sviluppato e tutti i suoi organi si sono abituati a funzionare in senso assolutamente opposto a quello che la concezione liberale aveva loro segnato. Coloro stessi - e sono molti - che si chiamano tuttora e noi a~biam preso l'abitudine di chiamar liberali, sono ben lontani da ogni vicinanza ideale con i liberali del -risorgimento. Può · darsi che la suppongano ; ma è anche vero che non si sono preoccupati in nessuna occasione di vedere se esistesse. E niente deve averli tanto urtati e sorpresi quanto l'affermazione del sen. Albertini che non si può essere liberali senza essere liberisti. Nessuno, ad ogni modo, sembra disposto a disciplinare la propria attività sopra un programma politico che, insie1ne alla difesa degli istituti fondamentali dello Stato, ponga come caposaldi : la fine di ogni intervenzionismo statale; il liberismo in economia; il rispetto del principio di nazionalità come metodo di una politica internazionale di pace tra i popoli contro ogni infatuazione nazionalista. Quelli stessi che meno sembrano disposti a consentire al fascismo la soppressione delle libertà elementari sancite dallo Statuto, si rifiutano di riconoscere nel programma del liberalismo affermato dall'on. Albertini il loro programn1a. È sulle idee economiche che in special modo dissentono. Appunto perchè si sono abituati a vedere nella politica dello Stato una politica d'interessi privilegiati e siccome sanno di rappresentare in maggiore o minore misura quegli interessi, sono condotti a consi~erare come condannato al più sterile isolamento un partito che volesse proporsi il liberismo come idea direttiva. Della politica si sono poi formata una concezione che non ha nessuna parentela diretta o indiretta col liberalismo, ne è anzi l'antitesi. E forse dal punto conservatore, in quanto si preoccupano di trovare nello Stato il terreno di conciliazione tra le forz~ sociali esistenti e contrastanti, aderiscono maggiormente alla realtà. Una politica che vada incontro agli interessi privilegiati è, infatti, assai più facile di una politica che contro quelli si ponga decisamente. Sono cos) portati a riconoscere la f.orza conservatrice del riformismo che app~nt~ pe! c!ò resisterà anche al fascismo. Significative a tale riguardo le d1ch1araz1on1della Stampa. Questo giornale - che rappresenta il superstite partito giolittiano - assume appunto la difesa di quell' indirizzo della politica ·statale, verso un intervenzionismo sempre più largo e dir~tto, che il sen. Albertini condanna in nome della concezione liberale Biblioteca Gino Bianco I ' •

106 LA CRITICA POLITICA dello Stato e come da essa aberrante. < Nelle condizioni presenti scrive - il liberalismo non poteva essere che democrazia o social democrazia >. Cioè social democrazia, non liberalismo 1 (1). È del periodo della infatuazione bolscevica, quando la politica sem- , brava volgere decisan1ente a sinistra, il tentativo di presentare il program1na social democratico co1ne un ulteriore sviluppo della dottrina liberale. Politici e giornalisti vi consumarono con ardore le loro oneste fatiche. Il liberalismo doyeva assu111ersi quello stesso cotnpito <li conciliazio1~e tra aspirazioni rivoluzionarie e interessi conservatori che esercitò nel Risorgimento. Donde la sua continuità storica, dimenticando semplice1nente una cosa: che liberalisn10 e riformismo sono due n1etodi assolutamente divergenti anche se, in momenti assai diversi, possono esercitare identica funzione. Si può seguire l' uno o l'altro ; non si può pretendere di seguire insieme l' uno e l'altro, sia pure adoperando dell' uno 4 il nome e dell'altro la sostanza. .. La politica ci ha abituati, del resto, anche troppo a questi giuochi di bussolotti. Lo stesso sforzo che alcuni còmpievano, appena è un anno, per adattare il liberalismo al programma social democr~tico, altri co1npiono adesso per adattarlo alla realtà fascista. Forse perchè c'è verso i nomi un attaccamento che non c'è per le cose. Forse perchè a} :permanere dei nomi sono legate molte situazioni politiche personali. La posizione di quei liberali che nei confronti del fascismo hanno in qualche 1nodo addimostrato una certa indipendenza ideale e qualche attaccamento alle istituzioni sulle quali lo Stato si fonda era quella che a noi particolarmente ora interessava. Ma gli altri non sono per ciò men degni di attenzione. Anche perchè sono molti. Liberali la cui preoccupazione è volta alla ricerca del modo come donarsi meglio al fascismo. < Liberali senza liberalismo >, se è permesso usare, con maggiore esattezza, una espressione dell' on. Mussolini. Basta pensare che fanno senza riserve di sorta adesione al fascisn10 il quale non trascura occasione per dichiarare per le istituzioni dello Stato liber~le il suo profondo disprezzo e che afferma il proposito di mutarle con altre di sua creazione, per avvertire tutta la stranezza della loro posizione. Il bello è che l' on. Salandra - contro i filofascisti dell'ùltima ora, i quali appunto per ciò hanno più fretta - sostiene che l'attuale è s~mpre stata la sua posizione. Ecco una dimostrazione per· la quale il suo libro su La Politica Nazionale e il Partito Liberale, del 1912, deve essere, almeno quello, considerato fuori corso. < Il liberalis1no senza libertà > ha comunque già i suoi teorici. * * * Della crisi del liberalismo avendo visto gli aspetti dovremmo ora cercar di vedere le soluzioni possibili. Vero è che la nostra indagine è (1) E, aggiungiamo, nemmeno democrazia; tanto per quella proprietà dei termini della quale in questa epoca di confusionismo, nessuno sembra preoccuparsi. Bit:JliotecaGino Bianco

LA CRISI DEL LIBERALISMO 107 volta. innanzitutto a studiare e a intendere il presente. Ad ogni modo un fatto è evidente : la dissoluzione completa delle forze liberali. Il fallimento dei tentativi per ricostituire un unico partito liberale ne è l'ultima conferma. Una riscossa liberale, nel senso di una rivalutazione delle istituzioni che nominalmente ancora esistono ma che praticamente hanno cessato di funzionare, non ci sembra possibile. Ne deve essere convinto lo stesso sen. Alb~rtini se si preoccupa d'impostare solidamente sul liberismo il programma per un nuovo partito liberale. Egli dovrebbe però tener presente un avvertimento di Francesco Ferrara che gli stessi economisti liberali amano dimenticare : < tutte le libertà sono solidali>. Non è possibile seguire due teorie della libertà: una in economia e un'altra in politica. Il liberalismo è sul terreno politico una teoria protezionista della libertà: l'accetta per limitarla. La libertà dei liberali è, infatti, una libertà che si limita ad assicùrare ai cittadini solo alcune garanzie considerate. più naturali e necessarie, in cui la sovranità non risiede in tutti n1a solo in alcuni il privilegio dei quali non è nem1neno dovuto al fatto di essere i migliori e più capaci; non è ancora la libertà c/ie si esercita, che s' imprime feconda sulle cose. Nessun dubbio che certe esigenze di libertà politica ed econo1nica - che il fascistno ha il torto di disprezzare - torneranno presto a farsi sentire assai vive e vorranno e riusciranno a farsi valere. Ma cercheranno altre vie, tenteranno altre soluzioni. Le istituzioni di domani vorranno essere più aderenti alla vita del popolo, più se1nplici, più snodate, più aperte alle iniziative di un popolo che vuol muoversi, che vuol progredire, che ha acquistato, insieme al senso della propria personalità, la fede in se stesso. Il difetto più 'grave dello Stato italiano è quello appunto - come fu osservato di recente in questa rivista - di essere rimasto un meccanismo estern~ al popolo. I liberali Io avevano concepito così. L'accentramento e il protezionismo f~cero il resto. Nè l'allargamento del suffragio, nè il perfezionamento del sistema di elezione valsero a colmare il distacco tra popolo e Stato. Lo resero, al contrario, più evidente e sensibile. Se l'avvento del fascismo non ha prodotto scosse profonde nella sensibilità popolare è sopratutto perchè il popolo si sentiva di già estraneo alla vita dello Stato. Di fronte al fas~ismo - il cui successo fu tanto più possibile e facile &ppunto per ciò, 1na che sbarrando la porta alla libertà anche formale si taglia fuod dalle correnti vive del popolo che solo potevano dargli forza di consensi e possibilità di realizzazioni durature - non è possibile porsi col progra1nma di ritornare a ciò che già c'era. Non è cogli occhi volti al passato che si può intendere l'avvenire 1 Il fascismo non è solo una reazione, è una situazione distrutta. Bisogna procedere oltre. • OLIVIERO ZUCCARINI ... Biblioteca Gino Bia. co

• Le incognite della politica economica Due mesi fa scrivevamo su questa rivista che, qualunque fosse il programtna del governo in fatto di politica economica, le necessità ferree del bilancio avrebbero finito per imporre un indirizzo di libertà, perchè qu~sto è enormemente meno costoso dell'indirizzo mercantilistico seguito da tutti i governi che si son succeduti negli ultitni otto anni. Questa nostra opinione, a cui non credian10 nen1n1eno oggi di dover rinunciare, trova tuttavia una smentita assai cruda in numero_sissimi fatti che si sono manifestati in forma sempre più significativa dal gennaio . . 1n poi. _ Le strettezze di cassa, che nell' estate scorso doveano essere state assillanti, sono, per quel che sen1bra, sensibilmente diminuite ; ed è bastato questo fatto, che non ha alcun rapporto diretto con la situazione del bilancio, perchè la maggior parte dei ministri si sentissero autorizzati a rinviare le economie od a chiedere nuovi aumenti di spese. I frequenti comunicati alla stampa in materia finanziaria, la forma teatrale che si è voluta dare alla revisione dei bilanci degli interni e degli esteri, l'annunciato discorso del Ministero De Stefani a Milano, sono tutti sintomi molto evidenti della lotta che il Tesoro deve co1nbattere contro gli altri ministeri e del bisogno che esso sente di essere sorretto dall'opinione pubblica per aver la forza di resistere alle domande di nuove spese che lo urgono da tutte le parti. Dopo soli cinque mesi di esperimento si rivela in 1nodo evidente quello che ogni persona non del tutto digiuna di conoscenze storiche sapeva già da gran tempo : eh~ cioè il regime dei pieni poteri non offre per risanare una finanza dissestata mezzi migliori di quelli c_hepossa çffrire il tanto infamato regime parlan1entare, poichè se da un lato esso lib~ra il governo dalla pressione di un certo numero di avvocati degli inte~e.ssi particolari, gli togliè -dall' altro la forza che soltanto la· pubblicità della discussione e del controllo può dargli per resistere a que1le pret,ese che trovano in qualunque regime il mezzo di farsi valere e di . ~ - 1mpors1. · Il Ministro del Tesoro - ne sia1no convinti -, per i suoi precedenti di studioso e per le diffico_ltàfinanziarie, contro cui deve lottare, non può essere certamente favorevole alla politica dei salvataggi e di tutte le altre forme d' intervento che costano fior di milioni e c}:te giovano soltanto a proiu·ngare di qualche anno la vita di organi parassitari, perBib· ioteca Gir,o Bianco

• LE INCOGNITE DELLA POLITICA ECONOMICA 109 chè essi possano dopo un breve intervallo ritornare all'assalto e su~- chiar nuovo sangue ai contribuenti ed ai consumatori. Eppure in quest' ultime settimane anch' egli ha dovuto cedere alle vecchie e vituperate tendenze, ne' più ne' meno di quel che avrebbe ceduto il più debole dei ministri democratici, ed i provvedimenti, che egli ha approvato o si è lasciato strappare, si sono succeduti con un rapidità che nel vecchio mondo parla1nentare non sarebbe stata assolutamente possibile. Per citare soltanto i più importanti, i soli decreti per le costruzioni navali, per i servizi marittimi sovvenzionati, per il Consorzio Zolfifero siciliano, per la sistemazione dell'Ansaldo, succedutisi tutti in meno di due mesi, impegnano l' erario• per una somma di almeno mezzo miliardo, che serve indubbiamente ad evitare dei fallimenti e dei dissesti assai gravi, ma non giova affatto a risanare delle forze poderose di produzione che possano, dopo quest' ultimo aiuto, mettersi in condizione di vivere di vita propria senza bisogno di nuovi sussidi e di nuovi salvataggi. Sarebbe poco onesto non riconoscere che ciascuna di tali questioni era grave1nente pregiudicata dall'azione di tutti i governi precedenti e dal pericolo che il tracollo di quelle industrie coinvolgesse la rovina dei nostri maggiori istituti bancari e del credito nazionale. -- Ma concesso questo, un governo il quale si proponesse di 1nutare totalmente l'indirizzo della politica economica, di liberare lo ·stato da ogni ingerenza· e da ogni responsabilità in tutte quelle attività che devono essere lasciate esclusivamente ali' iniziativa privata, avrebbe dovuto, - anche a costo di sacrifici immediati maggiori - adottare quei provvedimenti che mirasser~ a liquidare definitivamente il passato, senza creare nuove cause di futuri interventi. Invece i provvedimenti per i cantieri, che avrebbero aperto una via nuova colla concessione della franchigia per l' importazione dei materiali da scafo, sono poi ricadut"i nel vecchio sistema delle compromissioni con la ·protezione eh' essi han voluto 1nantenere in favore dell' industria meccanica, ed in proporzioni minori, anche della siderurgia a spese delle costruzioni navali ; col mantenimento per ciò, nella misura d' anteguerra, del premio di costruzione ; e sopratutto col riconoscere esplicitamente 1' interesse dello Stato a tenere in vita un certo numero di cantieri. Perciò questi; non liberati del tutto dal vincolo che ancora li lega all' industria metallurgica, avranno buon giuoco per affermare, come già fanno, che il Decreto Ciano non ha raggiunto il suo scopo per l' insufficiente misura dei premi, e per ottenere non solo che essi siano aumentati, n1a che siano anche prorogati illimitatamente al di là del termine prefissato. Cos\ i provvedimenti per i servizi marittimi sovvenzionati, se rappresentano uh miglioramento in confronto a quell' enormità che era il mantenimento fittizio e rovinoso del regime delle requisizioni, di cui del resto da quasi un anno era deciso l' abbandono, se rappresentano una iblioteca Gino Biar co

' . . - · 110 LA CRITICA POLITICA necessità per i servizi postali con le isole, con le colonie, con la Dalmazia e con qualche porto del Mediterraneo, non hanno però saputo svincolarsi dai vecchi sistemi ed hanno creato un nuovo pericolo per P avvenire dell' economia nazionale coll' istituire i premi di navigazione per le cosidette linee di penetrazione con11nerciale, dove è ormai risaputo da tutti i competenti che la n1arina libera farebbe assai 1neglio gli interessi propri e quelli del coFnmercio italiano, senza gravare in alcuna 1naniera sulle spalle dei contribuenti. Il Dec;eto per la sisten1azione finanziaria del Consorzio zoJfifero siciliano è anch' esso un' eredità dei governi passati, di cui anzi si è potuto leggermente attenuare il peso, diminuendo da 125 a 100 milioni di lire la s0111madelle obbligazioni garantite· dallo Stato. Ma quei provvedimenti, che alcuni interessati han voluto rappresentare come diretti alla salvezza della maggiore industria siciliana 1 non solo non la salvano, n1a minacciano di danneggiarla gravemente. · Per liberare dal pericolo di una perdita grave, 1na non certa1nente vitale, il Banco di Sicilia ed in misura minore gli altri istituti di emissione ed altre banche palermitane che hanno scontato i warrants del Consorzio sopra una 1nerce che vale ora assai n1eno del co1nplesso delle anti- , cipazioni concesse ai produttori, lo Stato crea il precedente pericoloso di garantire le obbligazioni emesse da un ente in istato fallimentare ; mantiene in vita almeno per altri nove anni un Consorzio obbligatorio di vendita, che è la più schietta manifestazione di una concezione politica ed economica contradditoria a quella di cui si son fatti banditori gli uomini che sono oggi al governo ; ed obbliga lo Stato, per evitare la perdita dei milioni garantiti, a tenere artificialmente alto il prezzo dello zolfo con danno gravissimo dell'avvenire dell' industria siciliana, che dovrebbe invece rivolgere tutti i suoi sforzi a diminuire i costi per non essere sopraffatta .ed uccisa della concorrenza aruericana. * ;le * Ma la concessione più grave che abbia fatto il tesoro ad un gruppo d' interessi particolari è quella che riguarda il salvataggio deli' Ansaldo. Di quei provvedimenti, i quali comprendono abbuoni fiscali, premi alle costruzioni navali, sussidi alle fabbriche d'armi, commesse di favore, . apporto diretto di capitali, nessuno ha potuto, nonostante le numerose discussioni ·di queste settimane, determinare la completa portata finanziaria, che in ogni caso dev'essere altissima a giudicaré soltanto dai bisogni enormi di quell'azienda che in due soli anni di crisi ha assorbito _ l'intero capitale sociale di mezzo miliardo, quasi cento 1nilioni di obbligazioni, e si è indebitata verso le banche per più di 750 milioni. N è si è potuto esattamente capire se il risultato a cui mira l' intervento· dello Stato sia quello di frazionare il gruppo colossale in varie società corri-· spandenti ai suoi diversi rami, oppure tenerle tutte ancora riunite . Biblioteca Gino Bianco ~

. . LE INCOGNITE DELLA POLITICA ECONOMICA 111 Il cominento ufficioso ai pro·vvedimenti dichiara esplicitamente che l'Ansaldo verrà a decomporsi in più società ; che finora se ne sono staccati il gruppo Cogne-Aosta, il gruppo navigazione e cantieri, ed il gruppo artiglierie ; e che per il restante gruppo delle altre officine si procederà rapidarnente ad una generale revisione, col criterio di lasciar cadere quello che non è in grado di sopravvivere. A giudicare invece da quello che asserisce un competente ed autorevole difensore dei provvedimenti governativi, parrebbe che il grande sindacato verticale ideato durante la guerra, per cui si potesse entro Io stesso organismo partire dalla miniera per arrivare alla macchina n1ontata, dovesse essere mantenuto in vita, e che· il Ministero in tale materia non avesse alcun preconcetto. Per conto nostro, pur apprezzando le ragioni tecniche che hanno sedotto il Cabiati, seguitiamo a ritenere che il ·nostro paese non sia maturo per queste enormi concentrazioni verticali, e che esse valgano ad aumentare e 1noltiplicare i costi invece che a diminuirli ; ed è appunto l'esempio dell'Ansaldo e dei suoi risultati disastrosi che ci ha anche megiio convinti del pericolo di questi tentativi. Ma nell'annuncio ufficiale dei provvedimenti quello che ci ha più di tutto sorpreso e preoccupato è la forma dell'intervento per il gruppo Cogne-Aosta ed il silenzio completo sulla responsabilità degli antichi am1ninistratori. L'apporto di 70 milioni fatti nella forma dell'aquisto di circa metà delle azioni della nuova società Cogne-Aosta, mentre l'altra metà sarebbe rappresentata dagli impianti, ha trovato naturalmente i suoi difensori, ed ha trovato persino qualcuno, il quale parafrasando il comrnento ufficioso, ha magnificato questa forma d' intervento, con1e un atto coraggioso di politica liberista. Anche in questo caso, co1ne per tutti i dazi proibitivi, è sempre l'Inghilterra che deve fornire gli argomenti e gli esernpi ; e si cita il canale di Suez, le società petrolifere del Messico e della Persia in cui lo Stato inglese ha una larga partecipazione come azionista. Ma si dimentica semplice1nente che in tutti questi casi, come in altri simili si ., tratta di imprese all'estero, in cui l'interesse politico è superiore o per lo meno uguale ali' interesse economico, e che tuttavia lo Stato non può assumere direttamente in proprio nome per le complicazioni diplomatiche che ne potrebbero derivare; e si dimentica pure che si tratta, in generale, di affari buonissimi, di veri e ·propri impegni di capitali ad un profitto forse non immediato, n1a sicuro. Nel caso del gruppo siderurgico Ansaldo manca totalmente l'interesse politico, perchè nessuno vorrà affacciare il pericolo che il ferro di Val d'Aosta ci sia sottratto da qualche potenza straniera ; e manca ugualmente qualunque prospettiva non solo d' impiego fruttifero del capitale~ ·ma della semplice conservazione del capitale stesso. II Cabiati, assai più prudente· e realista, spiega molto chiaramente quale sia stata l'origine Biblioteca Gino Bianco

112 LA CRITICA POLITICA dell'aquisto di azioni per una som1na così cospicua. Egli ci infor1na che i primi dirigenti del Gruppo Ansaldo (i fratelli Perrone) denunciarono per gli impianti nella Val d'Aosta una spesa complessiva di 300 milioni, che egli però crede di dover ridurre a 250 milioni; e poichè una parte . considerevole di questi lavori avrebbe rappresentato delle opere di preponderante utilità pubblica, gli interessati chiedevano allo Stato un concorso di 130 milioni a fondo perduto. Per risolvere la vertenza il senatore Conti, presidente della Commissione per le liquidazioni delle spese di guerra, faceva studiare dai tecnici il problema, ed essi riconoscevano che le spese per opere da considerarsi pubbliche ammontavano a 90 milioni, e proponevano che lo Stato ne desse gli 8 /, 0 , cioè 72 milioni. « ~l Ministero, conclude il Cabiati, ha ragionato che, dal momento che si dovevano dare 70 ,nilioni in cifra tonda a fondo perduto, era più op- ~ portuno partecipare all'operazione per ritrarne un guadagno~. Perchè lo Stato dovesse dare quella somma il Cabiati non Io dice, e non sarebbe facile clirnostrare che la costruzione di alcune strade, e di qualche tronco di filovia, in un breve tratto della val d'Aosta indirizzate per di più ad un fine particolare, possa costituire un complesso di opere d'interesse generale di così grande valore, a 1neno che non si cornprendano in esse anche gli i1npianti idroelettrici. Ma anche in questo caso più favorevole e non molto probabile, dato il valore di 120 milioni che si assegna a tutti gli altri impianti, ci sernbra che l'acquisto di quelle opere pubbliche da !)arte dello Stato' sarebbe stato assai meno pericoloso che il suo ingre~<;o come azionista in una impresa dissestata. Di fronte a 70 n1ilioni dati dallo Stato la vecchia Ansaldo non porta che gli impianti, enorme1nente svalutati e gravati da debiti ipotecari su almeno un terzo del suo valore.... no1ninale. D'altra parte gli impianti stessi non sono ancora ultitnati e richiederanno decine di 1nilioni di nuovi lavori. Il giorno in cui l' itnpresa grandiosa, ma anche spaventosamente costosa, potrà esplicare completamente la sua attività, in cui oggi si afferma che la parte idroelettrica dovrà avere la prevalenza sulla parte siderurgica, necessariamente limitata dai costi altissimi ~ dalla modesta produzione delle miniere, in quel giorno il capitale d'esercizio verrà completamente a mancare, e .Io Stato azionista si troverà nella necessità di far nuovi apporti di capitale o di lasciare cadere l' i1npresa in cui si è impegnato cos) a fondo. In realtà la trovata dello Stato azionista è un espediente poco sincero e assai più pericoloso per continuare sotto altra forma il vecchio sistema di regalare periodica1nente i danari dei contribuenti a gruppi industriali, che fanno i 1negalo1nani, non per semplice ingenuità perchè questa· megalomania è il mezzo migliore per costruirvi sopra delle grandiose speculazioni finanziarie a spese dello Stato e degli azionisti in- . genu1. Se il governo credeva di dover intervenire nell' interesse dei creditori Biblioteca Gino Bianco

LE INCOGNITE DELLA POLITICA ECONOMICA 113 della Banca Italiana di Sconto e per evitare una perdita rovinosa alla Banca d' Italia che si è dovuta fare garante di questi crediti, era assai più onesto e prudente regalare !0 o 1_00 rnilioni ~ fondo perdut~ e nell_o stesso tempo procedere senza riguardi e senza pietà contro gh ain1n1nistratori che aveano condotto l' impresa a cos) rapida e disastrosa rovina. Una delle più grandi debolezze dell'econo1nia italiana è la sfiducia . che mostra il risparmio verso gli investimenti industriali ;. e niente contribuisce a tener viva ed esasperare questa sfiducia quanto il vedere la leggerezza, la facilità e la completa impunità con cui speculatori privi di scrupoli giuocano sulla pelle degli azionisti. * * * Si potrebbe tuttavia supporre che il governo debole verso il grande capitalismo bancario ed industriale, resistesse almeno alle pressioni che gli vengono dal basso, dall' inviso cooperativismo < piovra dello Stato>. Ma anche qui, per 1nolti indizi almeno, pare che basti un 1nutamento di colore politico in chi chiede, perchè il vecchio sistema dei favori e delle eccessive larghezze nel credito continui come per il passato; e se sono vere le voci che circolano con insistenza, lo stess.o Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione, contro cui si sono appuntate per due anni le critiche più severe e che sembrava l'esponente massimo di una politica socialistoide sperperatrice, l' Istituto che pare abbia più di 600 milioni d' itnmobilizzazioni, difficilmente realizzabili, sarà anch'esso, con tutta probabilità, salvato a spese dell'erario ed anco rafforzato per finanziare le nuove cooperative n_azionali, che son poi se1npre quelle contro cui si è tanto tuonato. * * * In realtà coesistono nei giovani che oggi dominano l'opinione pubblica od hanno in mano il potere due mentalità opposte e nettamente contraddittorie : da un lato vi sono dei liberisti sinceri, i quali non solo per ispirito antisocialista ed antiproletario, ma per convinzione, vorrebbero spogliare lo Stato di tutte le sue funzioni economiche e restituire la intera libertà e responsabilità all' iniziativa privata. Dall' altro ci sono degli ingenui che in buona fede credono di potere con un atto di volontà o di violenza radd1;izzare la via delle correnti economiche, e sono convinti che .la milizia volontaria ferro viaria restaurerà il bilancio delle ferrovie, che la milizia agricola obbligherà i contadini a lavorare meglio la terra, od obbligherà la terra a produrre di più. Di una tale mentalità cos) tipicamente e ingenuamente paternalistica approfittano i furbi per costruire su ~i essa la propria piccola o grande fortuna personale. Un esempio significante di questo connubio tra ingenuità intervenzionalistica e furberia di speculatori e di affaristi, s'era avuta nella costituzione 1blioteca Gino Bia. co I •

• 114 LA CRITICA POLITICA in Roma di quel < Consorzio Mercantile italiano, che si proponeva senza un soldo di capitale - di valorizzare le risorse nazionali all' interno ed ali' estero, agendo in forma autonoma, ma sotto l'egida dello Stato, di controllare quanto si svolge nell' ambito economico del Paese ~ a garantire che gli interessi delle singole imprese non contrastino con quelli superiori della Nazione, a 1noralizzare in una parola ogni attività economica italiana>. E per cominciare quest'opera di 1noralizzazione il Consorzio, senza un soldo di capitale, chiedeva subito che gli fosse · intanto affidata la gestione del porto di Napoli. Per fortuna pare che il governo non abbia troppo gradita l' iniziativa geniale, e dopo il rumore dei primi giorni non se n'è più sentito parlare. · Ma all'infuori di questo caso, nell'urto tra le due mentalità, la vittoria finora è sempre rimasta agli intervenzionisti, e se non ci aiuteranno le strettezze finanziarie e la politica della lesina che ne dovrà derivare, · l'era dei salvataggi periodici, che in settant'anni di vita non ha mai permesso alla nostra vita economica di superare completamente i periodi di crisi e di risanarne le piaghe, l'era degli interventi costosi ed inutili, che sacrificano le energie migliori per tenere in vita dei moribondi, sarà continuata con nomi diversi ma coi medesimi risultati, quasi essa fosse una triste fatalità che incombe sul nostro Paese. GINO LUZZATTO L'ITALIA DI DOMANI La stupenda varietà dei tipi, dei sangui, dei pensieri, dei caratteri, dei paesi, degli idiomi, del g_enio, dell'istoria, onde l'Italia fu grande, e sarà ancor grande, non può tollerare un medesimo trattamento senza oltraggio costante alla natura e alla realtà irreducibile. Che ogni regione faccia le sue leggi civili, criminali, municipa~i e finanziarie, d'istruzione, di sicurezza e d'igiene e le esegr,isca; che si creino coteste autono,uie veraci e non 1nenzognere; che si proceda a ·così fatta snodatura; che s'inauguri il ge- !iuino governo di casa, e si coordini alla unità politica della nazione e al suo governo centrale; e cesserà la paralisi e assisteremo ali' azione poderosa e feconda d'un_ corpo articolato e sano e gagliardo, allo spettacolo di una 1 talia felice. Forse l'Italia non percepisce ancora con occhio abbastanza linipido il magistero di questa articolazione, di questa libera ed equabile circolazione del proprio sangue, di queste armoniche funzioni della sua complessa vitalità, df questa moltiplicità nell'unità, di questo self-governement, nia per istinto vi aspira, per legge fisica vi gravita, per forza ,notrice della sua Storia vi arriverà. (1877) ALBERTO MARIO Bi~•-Jteca Gino Bianco

La Commissione d'inchiesta per le spese di guerr~ Nella storia delle Commissioni Parlamentari, divenute in questi ultimi tempi abbastanza più frequenti che non una volta, un posto notevole dovrà esser fatto a quella d' inchiesta sulla guerra, non solo per le tante discussioni che ebbe a suscitare durante il suo funzionamento, n1a anche e sopratutto per le svariate considerazioni ed i non pochi ammaestramenti che se ne possono trarre. E non ultimo i~ seguente : che quando la materia da esaminare sia troppo vasta e si deve far luogo a Commissioni molto numerose, i risultati non possono essere nè completi nè definitivi. Non è dubbio che la Comn1issione per le spese di guerra abbia compiuto un notevole ed importantissimo lavoro, e che abbia proposto recuperi ingenti a favore dell' Erario dello Stato; ma. non può neppure dubitarsi che essa non sia riuscita, per ragioni di tempo, ad esaminare che una piccola parte delle spese fatte in occasione o in dipendenza della guerra. Ed è accaduto il fatto abbastanza nuovo che la Commissione che rispondeva all'epoca in cui venne istituita ad esigenze sentitissime della pubblica opinione, nel volger del tempo apparve come la creazione di una mentalità superata dagli avvenimenti, tanto che il nuovo Governo potette decretarne la fine (dichiarando di opporsi ad ulteriori proroghe) senza che alcuno se ne commovesse troppo. È vero che in quei momenti, in cui così gravi avvenitnenti si seguivano di giorno in giorno, l'attenzione della pubblica opinione era rivolta a ben altro che alla Commissione d' inchiesta per le spese di_guerra I Giammai, crediamo, in Italia una Commissione Parlamentare ebbe compito così vasto e tanta autorità da poter persino prescindere < da qualsiasi sentenza o decisione di qualsiasi giurisdizione ordinaria o speciale anche se passata in cosa giudicata >. La legge istitutiva voluta dal Ministero Giolitti (18 luglio 1920) le affidava il con1pito non solo di accertare gli oneri finanziari risultanti da spese dipendenti dalla guerra, ma anche di procedere a revisione dei contratti, delle commesse, delle in- . dennità di requisizione e di espropriazione, dei con1pensi attribuiti in sede di sistemazione dei contratti di guerra, dei provvedimenti relativi all' alienazione del materiale bellico, nonchè dei paga1nenti di qualsiasi . . Nota. della Redazione - L'autore di questo scritto ebbe parte nei lavori della inchiesta sulle spese di guerra in qualità di segretario della Commissione Parlamentare. Le sue considerazioni sulla istituzione della Commissione e sul modo come l'inchiesta fu intesa sono il frutto di osservazioni dirette fatte proprio durante il funzionamento della commissione e meritano per ciò ogni attenzione. Data la sua qualità l'autore di questo articolo ha voluto astenersi da osserv~zioni e considerazioni sui risultati dell'Inchiesta il riassunto dei quali è stato fatto da noi. ibl"oteca Gino Biar1co

• 116 LA CRITICA POLITICA genere, fatti o da farsi in dipendenza della guerra, accertando le responsabilità morali, giuridiche, amministrative e politiche. Or se si pensa che le spese di guerra ammontano a varie decine di miliardi è facile vedere quanto vasto fosse il compito della· Com1nissione. Un' indagine accurata ed esauriente di tali spese avrebbe indubbiamente richiesto molti anni di lavoro, e forse alla fine la maggior parte dei parlamentari chiamati a farne parte non sarebbero stati più tali e molti sarebbero passati nel numero dei più ! Questo, secondo noi, il difetto fondamentale dell' istituzione della Commissione, giacchè in conseguenza di esso son derivati tanti inconvenienti : difficoltà di indagini testimoniali a distanza di tempo ; difficoltà nel· ricercare i documenti appartenenti ad enti creati durante la guerra e poscia scomparsi; diversità di criteri nell'apprezzamento dei fatti dipendente dal mutare delle condizioni economiche, sociali, politiche etc.; cambiamenti nella composizione e nella direzione sia della Presidenza che dei componenti la Commissione, sia del personale di segreteria. E tutto ciò ha portato altresì come conseguenza che sia gl' interessati colpiti dall'inchiesta, sia il pubblico abbiano spesso, erroneamente, accusata di parzialità la Commissione o alcuni dei componenti di essa, attribuendo loro fini partigiani o asservitnento a gruppi politici e finanziari. Nulla di più falso di tali accuse, ma ci sembra che il fatto stesso della loro frequenza abbia turbata la serenità dell'ambiente necessaria ad un obbiettivo accerta1nento dei fatti. La stessa divisione in varie sottocommissioni, indispensabile data la mole ingente di lavoro da compiere, ha di necessità portato differenza di criteri sulle indagini, che non hanno potuto non ripercuotersi nell'apprezzamento complessivo da parte della Commissione plenaria. Senza dire che appartenendo i componenti a tutti i settori della Camera varia1nente distribuiti nelle sottocomn1issioni, assai spesso si sono dalla stampa e dalla pubblica opinione attribuite ad infl_uenze politiche le indagini a carico di ministri, uo1nini politici, gruppi finanziari, supponendosi che i componenti delle Sottocomrr1issioni si ri-- volgessero contro avversari politici ·ed a fine partigiano. Ma ciò che ha reso ancor ·più difficile il compito della Commissione è stato il fatto che essa oltre che tendere all'accertamento di responsabilità politiche, morali ed amministrative, doveva inoltre accertare e proporsi recuperi a favore dell' Erario in danno di tutti coloro che avessero indebitamente od eccessivamente lucrato. Ora io credo non si possa non riconoscere, qualunque giudizio si voglia portare sulla opportunità o meno di procedere a tali recuperi, che una Commissione parlamentare non è l'organo più adatto a tale scopo, a meno che essa non avesse potuto esplicare il proprio mandato in un maggior tempo. Invece la legge istitutiva della Commissione limitava ad un anno il termine per la presentazione della relazione al Parlamento e tale termine fu poscia prorogato per poco più di ·un altro anno. D'altra parte più sopra si son rilevati i Bibl"oteca Gino Bianco

LA COMMISSIONED'INCHIESTA PER LE SPESE DI GUERRA 117 numerosi inconvenienti cui dà luogo il fissare un troppo lungo termine al funzionamento di una Commissione parlan1entare, specie in una materia come quella di cui trattasi. Inoltre è da notare che così come la legge 18 luglio. 1920 aveva regolata la materia dei recuperi, nessun_a gara?zia _rimaneva a carie~ de~ privati colpiti dall'inchiesta sul proprio patrimonio, onde la necessità d1 una nuova legge che venne emanata il 29 dicembre 1921 e con cui nel prorogarsi il termine dei lavori della Commissione e nell'estendersi le responsabilità da ricercare anche contro gli amministratori di Società contraenti, in proprio, per recupero dei lucri indebiti ed eccessivi, si stabil\ che avverso i provvedimenti conservativi e definitivi da rendersi esecutivi con decreto del ministro del tesoro, fosse concesso reclamo, la cui cognizione venne deferita ad uno speciale collegio arbitrale. Tutto questo ha portato alla conseguenza che i recuperi furon resi più difficili, giacchè per quanto proposti da una Commissione parla1nentare, devono, in caso di recla1no, esser ritenuti giustificati dal collegio arbitrale di, cui sopra. E tanto questa materia non sembra propria di una Commissione parlamentare che il nuovo Governo ha creduto con recente decreto di ordinare la continuazione delle indagini e dei ricuperi a-mezzo di funzionari addotti dal Con1itato liquidatore delle gestioni di guerra. La verità è che l' inchiesta sulle spese di guerra fu deliberata in un momento, psicologico della nazione indubbian1ente anormale ed ebbe sopratutto lo scopo di caltnare gli ani1ni eccitati dalla vista di tanti arricchiti di guerra che in quel tempo ostentavano sfacciatamente un lusso cui non erano abituati e che rivelava le loro origini plebee. Se si pensa che la legge istitutiva della Commissione è di poco anteriore all'occupazione delle fabbriche, si comprende facilmente come allora la nazione fosse ancora in quello stato di psicosi post-bellica, in cui è tanto facile perder la calma e la ragionevolezza. Il che non toglie che una inchiesta parlamentare, composta di un piccolo numero di autorevoli parlamentari, rapidamente condotta e sollecitamente definita, non fosse molto utile e molto opportuna. Basta solamente osservare quel che la Commissione istituita ha potuto rilevare in una piccola parte delle spese di guerra per rendersi conto che se Io sforzo dell'Italia durante la guerra era stato mirabile, non si possono certo negare le enormi deficienze dell'organizzazione bellica e lo sperpero del danaro dello Stato. Secondo noi, però, l'inchiesta avrebbe dovuto avere carattere prevalentemente politico ed amministrativo : dovevano cioè essere esaminate a preferenza le responsabilità degli uomini di governo rivelatisi insufficienti, e quelle dei funzionari che avevano, per negligenza o dolo, danneggiato gl' interessi dello Stato. Giacchè evidentemente se i privati potettero lucrare eccessivamente ?d in~~bitamente a danno dell'Erario, ciò non potette avvenire che per 1nsuff1c1enza degli organismi, della legis~azione, dei provvedimenti del goBibl"oteca Gino Bianco

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