L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 17 - 15 settembre 1944

f Bi Anno XXXV (nuova serie) N. 17 Zurigo, 15 settembre 1944 LIBERARE E FEDERARE QUINDICINALE SOCIALISTA Redazione e A mm in i strazi on e: Casella postale No. 213, Zurigo 6 · Conto postale No. VIII 26 305; Telefono: 3 70 87 Abbonamenti: 24 numeri Fr. 6.-, 12 numeri Fr. 3.-, una copia Cent. 30 Il ~ociali~mo e la federazione europea Barbara Wootton è una esponente del partito laburista inglese ed una delle più brillanti scrittrici di argomenti economici. Insegnante nell'Università di Londra, ha fatto parte dal 1922 al 1925 del Research Officer Trades Union Oongress e del Labour Party Joint Research Department. Dal 1938, è membra della Royal Oommission on Workmen's Compensation. Le sue opere che hanno avuto maggiore successo sono: Twos and Threes (1933), Plan or No Plan (1934), London's Burning (1936), Lament for Economics (1938), End Social Inequality (1941). Il saggio Socialism and Federation fu scritto dalla Wootton nel novembre del 1940 per il Federal Research Institute - Centro di studi creato in quel anno stesso dalla Federal Union, di cui la Wootton è stata una delle fondatrici - ed è ristampato nella raccolta cli saggi, pubblicati a cura di Patrick Ransome, col titolo Studies in Federal Planning (Londra, ed. Macmillan, 1943). Cos'è il socialismo? Il termine «socialismo> viene continuamente adoperato nelle discussioni senza alcun riguardo alla precisione del significato. Ci sono oggi diverse sette e, all'interno di queste, altre sette minori; e e' è una straordinaria varietà di ortodossie e di eresie. Sarebbe perciò assai facile scrivere, in tutta sincerità, un opuscolo su socialismo e federazione, di cui molti che si professano socialisti potrebbero dire che sono perfettamente d'accordo sul suo contenuto, ma che non ha niente a che fare col socialismo. Anzi è quasi impossibile scrivere su questo argomento senza che alcuni socialisti facciano una tale osservazione. Nella speranza di ridurre al minimo quella forma di controversia sommamente futile in cui i contendenti adoperano la stessa parola con significati contraddittori, comincerò col fissare pochi chiari principii che mi paiono le caratteristiche salienti del socialismo, nel senso in cui il termine è generalmente usato dai socialisti stessi. Ai fini del presente scritto, pertanto, è socialista colui che: 1. vuol vedere le risorse disponibili impiegate in modo da procurare la miglior vita possibile a tutti gli uomini; 2. attribuisce una particolare importanza all'uguaglianza economica e sociale per sè stessa (cioè un socialista non si contenta che sia stabilito un tenore di vita minimo per tutti, se una minoranza gode di posizioni e privilegi che le assicurano una grande superiorità); 3. crede che i detti due primi obiettivi non possano raggiungersi senza una estesa e cosciente disciplina collettiva della vita economica, specialmente mediante la sostituzione in larga misura della proprietà collettiva alla proprietà privata delle risorse industriai i; 4. vede nella presente disuguale distribuzione del potere economico, sociale e politico (che egli chiama regime di classi) un grave ostacolo all'uso con successo del metodo descritto sub 3. per raggiungere gli scopi descritti sub 1. e 2. A queste proposizioni bisogna aggiungere che un socialista afferma sempre di essere internazionalista; e che, se vi sono socialisli che non dànno importanza alla libertà civile e politica o che sacrificherebbero volentieri tale libertà in vista di ciò che concepiscono come utile per i loro obiettivi socialisti, questo opuscolo non è scritto per loro: giacchè un socialista che non sia nello stesso tempo politicamente un democratico non può interessarsi a progetti per una federazione democratica. Queste pagine sono destinate alla grande massa dei socialisti che insieme rispettano e accellano il titolo di democratici. Inevitabilmente queste definizioni approssimative lasciano ancora molti punti nell'ombra; e che servirann~ ll'e in qualch eh sru,:e ~ rtp1e gat . E' e<iic:I'eritée', o lo comprende, che assentire isolatamente a una o due delle proposizioni di cui sopra non basta per essere socialista: esse devono prendersi nel loro insieme. Per esempio, anche dei non socialisti sottoscriverebbero la prima proposizione. L'antisocialista direbbe (oggi, ma non un secolo fa) che anch'egli desidera che ognuno abbia una vita conveniente; ma aggiungerebbe che la via migliore per ottenere un tale risultato è di lasciar agire liberamente l'usuale impresa commerciale e di evitare che il socialisla esaltato metta i bastoni fra le ruote di un sistema economico, che adempirebbe la sua funzione meravigliosamente purché gli si desse la possibilità di farlo. E' anche abbastanza chiaro che la disciplina economica e la proprietà collettiva possono essere (e in fatto sono) usate per fini che farebbero orrore a ogni persona per cui il socialismo significa rispetto per l'uguaglianza sociale, per la libertà e per il benessere di tutti. Disciplina economica e proprietà collettiva sono strumenti neutri. Il socialista è convinto ch'essi sono utensili indispensabili per il suo scopo; ma egli sa bene che, come avviene per altre armi potenti (si pensi all'aeroplano), la loro capacità di giovare può essere uguagliata dalla loro capacità di nuocere. Cos'è la federazione? Venendo a parlare della federazione, abbiamo da preoccuparci molto del problema di definirla: giacché la federazione, essendo meno ambiziosa nelle sue pretese, è più precisa nel suo significato di quanto può essere un concetto generale come il socialismo. Federazione significa l'istituzione, al di sopra di più stati prima indipendenti, di un governo supernazionale con funzioni strettamente limitate. Tali funzioni possono essere classificale in un certo ordine di precedenze, come segue. Anzitutto, c'è un minimo assoluto senza il quale non si può parlare di federazione, cioè il controllo federalè delle forze armate e della politica estera. Vengono poi dei poteri che una gran parte dei federalisti vuol vedere attribuiti alla federazione, ma la cui mancanza non distruggerebbe il carattere tipicamente federale d'uno stato supernazionale: la disciplina delle dogane e di altre restrizioni al commercio, delle migrazioni, della moneta e l'amministrazione di ogni specie di possedimento coloniale. Nel presente scritto si suppone che questi poleri saranno, di fatto, assegnati all'autorità federale che c'interessa. Da ultimo viene un terzo gruppo di poteri, come la facoltà di promuovere opere pubbliche e di gerire servizi pubblici e quella di provvedere al miglioramento delle condizioni di lavoro e delle istituzioni sociali. La competenza a questo riguardo, come vedremo, dipenderà in larga misura dall'atteggiamento dei socialisti stessi. • Entro i limiti indicati, la costituzione della nostra federazione dev'essere lasciata indeterminata, finché non sappiamo quali paesi si uniranno in federazione e in quali circostanze. Altrettanto deve dirsi per la sua estensione geografica. Le cose cambiano molto presto al giorno d'oggi; nel momento in cui queste parole sono scritte vi è interesse per la federazione come una soluzione possibile dei problemi dell'Europa, e in ispecie dell'Europa occidentale, alla fine della presente guerra, e come un possibile obietti\'O su cui taluni movimenti, che sono rivoluzionari in Germania e costituzionali in Gran Bretagna, potrebbero concentrare i loro sforzi per abbre,·iare la guerra, eliminando i conilitti che alla guerra medesima diedero origine. Quella che io ho qui in mente è dunque particolarmente una federazione europea, o almeno una federazione dell'Europa occidentale; ma molto di quanto dirò può avere un riferimento più generale ed essere rilevante per qualunque federazione che sia democratica, nel senso che i governi della federazione stessa e dei singoli stati membri possano cambiare senza far ricorso alla forza. Quest'ultimo requisito deve ritener i sottinteso in tutto il lavoro. Non varrebbe la pena di spre- a-re{:)Per discutere su una dittatura fedeJJal-e. L'internazionalismo socialista Ora il primo interesse del socialista a una simile federazione europea è l'interesse, ch'egli ha in comune con tutti coloro che vivono in questo continente martoriato, a istituire una pace duratura; ma per il socialista, a causa del suo urgente desiderio di ricostruzione sociale e a causa delle sue simpatie internazionali, questo interesse comune appare aumentalo di qualche cosa che per gli altri non c'è. Vediamo che cosa la mancanza della pace e di un ordine ii.ternazionale stabile, particolarmente in Europa, ha voluto dire per il movimento socialista. Prima della guerra del 1914 i socialisti avevano costruito ciò che sembrava essere un polf'nte movimento internazionale. La Seconda Internazionale socialista (Seconda, perché seguì al primo tentativo abortito di Marx degli anni dopo il 1860) si vantava di avere dodici milioni di membri, affiliati ai partiti socialisti di ventidue paesi; e non aveva rivali. Nella t(.nsione della politica internazionale al principio di questo secolo, la Internazionale prese p•>sizione contro la guerra che minacciava. Nel 1910 circa 900 socialisti, rappresentanti ventih-e nazioni, si riunirono a Copenaghen per esprimere il punto di vista del socialisrriò internazionale sulla questione. La conferenza don andò il disarmo, un'attiva propaganda della c~sse lavoratrice a favore della pace e la cessà~ione dei sistema dei trattali segreti; e aììidò al proprio esecutivo il compito di esaminare la possibilità di usare lo sciopero generale come arma per prevenire la guerra. Una relazione su quest'ultimo punto doveva essere sottoposta a un'ulteriore conferenza convocata per il 23 agosto 1914. Il 1° agosto la Germania dichiarava la guerra alla Russia. Lo stesso giorno i socialisti tedeschi inviarono un messo ai loro compagni francesi, nel tentativo di accordarsi perché entrambe le parti \'Otassero contro i crediti di guerra. I france i rifiutarono tale assicurazione. Il 4 agosto il partilo socialdemocratico tedesco dichiarò di accettare <l'atroce fatto della guerra> e di non volere «abbandonare la patria di fronte agli 4'orrori dell'invasione nemica>. Da quel giorno a oggi, non vi è più stato un movimento socialista internazionale unito. E, fatta eccezione per piccoli partiti di minoranza, non vi è più un movimento socialista internazionale che non abbia una volta o l'altra preso parte alle controversie internazionali e perfino esortato i propri membri a prendere le armi. La maggior parte del periodo fra le due guerre fu occupata dallo spettacolo poco edificante delle dispute esiziali fra la ricostituita Seconda Internazionale socialdemocratica e la nuova Terza Internazionale Comunista. Per molti anni la Seconda e i partiti ad essa affiliati lottarono per far risorgere il loro tradizionale pacifismo, fondalo sulla credenza nella necessità, per gli uomini e le donne di tutto il mondo, di riconoscere una comunione d'interessi che trascenda le distinzioni di nazionalità e superi i confini nazionali. Ma dopo l'avvento di Hitler si ebbe un rovesciamento completo. Il partito laburista britannico, il più influente di tutti i membri della Seconda, abbandonò la sua assoluta oppoizione al riarmo di qualunque paese in qualunque circostanza:. e diede il suo appoggio a un sistema di sicurezza collettiva fondato sulle forze armate dei paesi partecipanti. Nella guerra del 1939 i partiti socialisti di maggioranza nei paesi alleati portarono questa: politica alla sua logica conclu ione, sostenendo i loro governi o unendosi ad essi nella condotta della guerra. Intanto la Terza Internazionale, dopo avere per più di dieci anni scagliato i suoi fulmini contro il grande tradimento> del 1914, contro la «guerra imperialista> e la Società delle Nazioni <rapinatrice>, cambiava tono anch'essa con l'ingres o dell'Unione Sovietica nella Società delle Nazioni. Nel 1935, in previsione del1' attacco di una grande Potenza contro una piccola Potenza>, es a dava istruzioni ai comunisti di «allinear i nei primi ranghi dei combattenti per l'indipendenza nazionale e portare a termine la guerra di liberazione;,,. L'Italia nena fase di transizione Le forze del progresso I componenti della delegazione delle TradeUnions sono stati ricevuti a Roma dal rappresentante degli Stati Uniti nella Commissione consultiva alleata e dall'alto commissario britannico. I delegati per gli Stati Uniti sono Antonini (Federazione americana del Lavoro), Baldanzi (Comitato Internazionale Operaio); per la Gran Bretagna William Lawty, Presidente della Confederazione dei minatori di Gran Bretagna, Tom Obrien, della Federazione dello spettacolo, Walter Shevenals, Segreta.rio della Federazione internazionale sindacale. Al Teatro Parioli il Ministro dell' Agricoltura, Commercio e Lavoro Gronchi, ha pronunciato un importante discorso. Erano presenti i rappresentanti dei partiti anti-fascisti, della Confederazione generale del Lavoro Italiana ed il rappresentante delle organizzazioni operaie americane, Luigi Antonini, che si trova a Roma. Gronchi salutando in Antonini il rappresentante delle più grandi organizzazioni operaie americane ha rilevato che la sua presenza a Roma costituiva un motivo di fiducia e di comprensione e mutua solidarietà delle classi operaie dei vari paesi, p r e m e s s a i n d i s p e n s a - b i 1 e p e r 1 a c o s t r u z i o n e d e 11 a c iv i 1t à d i d o m a n i. Gronchi ha affermato che nel presente momento tutti debbono assumere le proprie responsabilità, tutti devono chiarificare il proprio punto di vista di fronte ai vari problemi contingenti, senza preoccuparsi eccessivamente di proselitismo. L'oratore ha quindi dichiarato che il processo che si deve fare al fascismo non deve limitarsi al terreno politico, ma deve estendersi a quello morale. Tale revisione deve investire ogni parte e ogni grado della vita politica sociale italiana. Il Ministro ha quindi affermato che allo stato accentratore da cui si è appena usciti, bisogna contrapporre uno stato veramente democratico, in cui sia restituita alla provincia, alla regione, al comune la loro autonomia e ha soggiunto che dal punto di vista sociale contro le grandi concentrazioni finanziarie bisogna porre i 1 p r o - b 1 e m a d e I 1 a s o c i a 1 i z z a z i o n e. Dopo aver detto che bisogna dare alle classi lavoratrici l'indipendenza economica e che bisogna interessarle allo sforzo di ricostruzione del Paese, si è occupato del problema sindacale e di quello della coalizione delle forze antifasciste affermando che gli accordi raggiunti non solo possono e devono durare oltre la contingenza attuale, ma devono approfondirsi e rendersi più larghi e sostanziali in modo che i parwLi pussauu l:orn~.n~ ruuiL<1. :,t!'Gl.·.la in.sieu1e, anche dopo la costituente. L'alto commissario aggiunto per la punizione dei delitti del fascismo, comunica che l'imputazione per cui furono tratti in arresto i generali Pentimalli e Del Tetto è la seguente: «Dal settembre del '43 e successivamente essi hanno collaborato a Napoli e nei dintorni con i tedeschi, prestando ad essi aiuto ed assistenza, omettendo ogni preparazione difensiva, diramando ordini diretti ad impedire ogni azione delle truppe italiane e a favorire l'azione tedesca, reprimendo la reazione delle stesse truppe italiane e della popolazione agli attacchi del nemico, col quale tenevano continui rapporti, aderendo alle sue richieste, ordinando l'evacuazione delle caserme, ove reparti italiani resistevano, la distruzione delle armi e la restituzione dei prigionieri tedeschi, abbandonando il comando, vestendo l'abito borghese, rifugiandosi in varie case private, disponendo la formazione di pattuglie miste di militari italiani e tedeschi dirette a salvaguardare la sicurezza del nemico, minacciando manifeste rappresaglie, giungenti sino alla cattura di 60 cittadini innocenti o colpevoli, che avrebbero dovuto pagare per tutti e pervenendo con tale condotta contraria alle leggi dell'onore e della difesa militare, a rendere possibile e comunque ad agevolare l'occupazione tedesca. I due generali arrestati nel mezzogiorno, sono stati ora tradotti a Roma dove saranno subito sottoposti ad un interrogatorio.» Il 2 settembre si è inaugurato a Napoli il quarto Consiglio nazionale del partito socialista italiano al quale partecipano tutte le federazioni provinciali dell'Italia liberata, comprese quelle della Toscana, Marche e Umbria. E' stato eletto per acclamazione l'Ufficio di presidenza composto di Domenico Fioritto di Foggia, Olindo Vernocchi di Roma e Maria Giudice. Il partito comunista in una mozione della federazione comunista napoletana ha fatto pervenire il suo saluto augurale ai socialisti facendo voti di proficuo lavoro per gli ideali che affratellano i due partiti. Pietro Nenni, segretario del partito e direttore di «Avanti» ha svolta la sua relazione politica passando in rassegna tutti i problemi di politica estera ed interna che preoccupano il mondo, l'Italia ed il partito ed ha illustrato i compiti che questo si pone nell'ora presente. Nenni ha proposto al Consiglio come temi fondamentali: il contributo del partito alla guerra fino alla vittoria attraverso la più stretta unione nazionale sotto la direzione dei Comitati di liberazione; la politica del partito nella fase della precostituente, da orientare verso il blocco delle forze repubblicane; la politica del partito dopo la costituente, che dovrà concretarsi nella lotta per dare alla repubblica un contenuto profondamente sociale.

Bit Gli inizidelmovimentoperaioitalianoin Svizzera (Continuazione) Il Movimento Socialista Nel 1894 i circoli si federarono e fondarono. con l'adesione delle organizzazioni sindacali, il N u c 1 e o soci a 1 i sta degli italiani residenti in !svizzera. Il carattere prettamente sindacale del N u c 1 e o risulta evidente dalla disposizione statutaria che stabiliva quale compito la propaganda sindacale e proibiva espressamente quella politica. Il primo congresso del N u c 1 e o ebbe luogo a Zurigo, nello «Stlissihof», il 16 e 17 febbraio 1895. Erano rappresentate o avevano inviato l'adesione scritta le associazioni delle seguenti località: Zurigo, Winterthur, Berna, Lucerna, Basilea, Lugano, Ginevra e Saint-Irnier. Erano intervenuti 13 compagni che rappresentavano 200 organizzati. L'attività del N u c 1 e o era stata molto modesta: Furono fondate, a Winterthur e in Aussersihl (Zurigo), due nuove sezioni, organizzati 14 comizi, distribuiti una cinquantina di manifesti con una tiratura di 500 e 1000 copie ciascuno. Le entrate furono di 415 franchi, le sottoscrizioni resero franchi 154.15, devolti a favore delle vittime della reazione in Italia. Il congresso deliberò di cambiare il nome di N u c l e o s o c i a l i s t a in quello di U n i o n e s o c i a 1 i s t a , pur conservando il vecchio programma. Durante questo primo periodo di vita dell'organizzazione si distinsero quali organizzatori e conferenzieri gli operai Speroni, Prati, Tonazzi e l'ing. Bondolfi. 1 i sta», poi, siccome l'accenno al socialismo contenuto nel nome spaventava molli operai e li tratteneva dall'acquistare il giornale, in «L'Avvenir e de 1 Lavoratore», con pubblicazione settimanale. Il primo numero uscì il 18 settembre 1897 in quattro pagine in grande formato; la tiratura, che variava secondo la stagione, raggiunse presto nell'estate le 3000 copie. Tra i diversi giornali, cui l'immigrazione italiana in !svizzera dette origine e qualcheduno dei quali durò decenni, «L ' A v - v e n i r e» è quello che, in corrispondenza al movimento del quale era l'organo, per il contenuto meglio e più genuinamente rispecchia il carattere del movimento operaio tra gli immigrati. Non inceppato da preconcetti dottrinali, come il «R i s v e g l i o» libertario, o unilaterale come l' «Ed i 1 i zia», dal 1921, organo della Federazione muraria, politico e per lungo tempo, sindacale, l' «A v v e n i r e>> affrontò sempre in pieno tutti i problemi concreti dell'organizzazione degli immigrati, e fu la palestra principale su cui quei problemi si dibatterono. Al carattere incerto, tentennante dell' U n i o n e S o c i a 1 i s t a durante i suoi primi anni di vita corrisponde anche il contenuto del giornale, formato da notizie, trattazioni, corrispondenze e altre cose, senza nessun ordine logico e tipografico. Vergnanini faceva il possibile per assolvere il compito affidatogli, era continuamente in viaggio, teneva conferenze, fondava nuove sezioni, assisteva gli operai. Le sezioni svolgevano una svariata attività: compivano gite in paesi vicini per fondare nuove sezioni e fare della propaganda, inauguravano bandiere, organizzavano conferenze e rappresentazioni teatrali, raccoglievano denaro per scioperanti, per infortunati, per esercitare la solidarietà internazionale, fondavano scuole popolari e biblioteche. Allorché nel 1897 in Berna minacciò una ripetizione della sommossa del 1893, perché degli italiani erano occupati nella costruzione del palazzo del parlamento e del ponte della Kornhaus, i muratori italiani si riunirono in comizio e approvarono, dopo una relazione di A. Vergnanini, una mozione, nella quale riconoscevano come giustificata la richiesta degli operai svizzeri, che in lavori eseguiti per conto delle autorità si dovesse dare la preferenza agli indigeni. Gli sforzi del segretario per influenzare l'emigrazione dall'Italia non dettero alcun risultato. L'azione politica, alla quale Vergnanini ed i suoi amici attribuivano una cosi grande importanza, consisteva, oltre che nella diffusione delle idee socialiste, in una severa critica delle condizioni politiche dell'Italia d'allor.f, critica favorita dalla pratica governativa delle leggi eccezionali, dell'oppressione della libertà e di ogni azione autonoma della classe operaia, della persecuzione degli esponenti del movimento operaio, dell'indifferenza per i problemi sociali del paese, delle avventure coloniali, della dilapidazione dell'erario e degli scandali finanziari. Al di sopra della vita un po' grama che conducevano tutte le sezioni, si elevò per breve tempo quella di Losanna per opera di un tale Peduzzi, nato il 1854 a Schignano, imprenditore benestante, che era riuscito a procacciarsi tra gli italiani di quella località una grande popolarità. Vergnanini, suo avversario, lo chiama una voi ta un asceta, ed ha con questo ricordato il lato della sua personalità che doveva maggiormente colpire degli uomini che, come gli immigranti, si lasciavano guidare nei loro atti più dal sentimento e dalla fantasia che dalla ragione; l'assenza di ogni senso pratico lo dovea bensi fare promotore di azioni talmente assurde da diventare ridicole, che però gli cattivavano in un primo tempo l'entusiastica adesione della massa. Per il resto Peduzzi era testardo e prepotente e fini col guastarsi con tutti. Nel 1896 sorse per sua iniziativa una «Società dei lavoratori italiani in Losanna, Sezione del Partito Socialista Italiano», che in breve volger di tempo contava 800 soci, acquistava in Rue Madeleine una casa che doveva diventare il centro di una impresa cooperativa; si vuole che Peduzzi abbia anticipato 10 000 franchi; il tutto fini dopo poco tempo con un rumoroso fallimento. Un anno di azione pratica secondo le nuove direttive deluse tutti. Era bensi vero che i comizi organizzati dall' U n i o n e costituivano, per il numero degli intervenuti, dei successi soddisfacenti, la speranza di vedere e sentire un «grande oratore» attirava sempre le masse; l'aumento degli iscritti ali' U n i on e non corrispondeva però in nessun modo né a questo successo esteriore né alle speranze; in realtà non si poteva parlare né di una attività politica né di una sindacale dell' U n i o n e. Conferenze, escursioni, recite filodrammatiche e altre storie del genere potevano interessare per qualche tempo gli immigrati, non però fare di essi dei proletari coscienti di classe. Su questa via non si sarebbe mai risolta la questione degli italiani in !svizzera. Riprese allora la discussione per determinare con maggiore precisione i fini ed i mezzi del movimento, discussione che si concluse con una chiarificazione generale e con l'impostazione di direttive corrispondenti ai reali bisogni. A ritardare quest'opera di chiarificazione intervennero gravi incidenti, che danneggiarono il movimento e ne minacciarono persino l'esistenza. (Continua) Eri c h V a 1 a r. Nel 1895 aderirono all'Un i on e soci a - 1 i s t a Giovanni Rigoli, i fratelli Germani, a Losanna un certo Peduzzi e alcuni giovani socialisti italiani che erano fuggiti in !svizzera dinanzi alla reazione crispina del 1894 al 1895; tra di essi dovevano distinguersi Angelo Cabrini, che insegn9 per alcuni anni al ginnasio di Mendrisio, e Antonio Vergnanini. Il Vergnanini, nato a Reggio Emilia il 16 maggio 1861, da genitori ricchi, godette tutti i vantaggi di un'educazione liberale che potè coronare con l'Università. Dopo la morte del padre, in seguito al fallimento della di lui impresa, Antonio perdè tutto il suo patrimonio e fu costretto a guadagnarsi da vivere. Il giovane, che si era prima dedicato alla letteratura e aveva scritto commedie che riportarono dei notevoli successi, divenne socialista e partecipò dal 1890 attivamente al movimento, collaborò a diversi giornali e dovette nel 1894 sottrarsi con la fuga al domicilio coatto; dopo un breve soggiorno nel Ticino, si era domiciliato a Ginevra. Egli possedeva una grande entusiasmo, una ricca cultura, un bel talento oratorio, e la tendenza a procedere sempre, a qualsivoglia compito egli si dedicasse, dal piccolo al grande, dal semplice al complesso, e di procedere subito alla realizzazione delle sue idee. Che egli non riconoscesse sempre i limiti del possibile, di ciò fecero l'esperienza prima i socialisti italiani della Svizzera, più tardi anche quelli dell'Italia. Il socialisIDo e la federazione europea Vergnanini criticò subito l'organizzazione e il programma dell' U n i o n e s o c i a 1 i s t a. Egli attribuiva i risultati poco soddisfacenti della sua attività alla coesistenza in essa di sezioni politiche e di sezioni sindacali; egli pensava che bisognava dare all'Un i on e un carattere prettamente politico ed escludere da essa le sezioni sindacali; solo su questa base essa avrebbe potuto svolgere un'attività veramente proficua. In questa maniera Vergnanini impostava il problema che dominerà fino al 1900 la discussione interna dell' U n i o n e. Il secondo congresso dell' U n i o n e (Berna, 24 maggio 1896), al quale erano rappresentate 25 associazioni, decise all'unanimità di aggiungere all'art. 4 degli statuti l'obbligo della propaganda politica. Questa non era però che una tappa. In un convegno, tenutosi a Losanna il 7 febbraio 1897, e al terzo (che fu nel seguito considerato il primo) congresso dell'Un i on e (Lucerna, 6 e 7 giugno 1897) gli innovatori tentarono di imporre radicalmente le loro idee, ebbero però contro di sè la recisa opposizione di Bondolfi, Tonazzi, Rigoli ed altri sostenitori della lotta economica e dei sindacati. La lunga e alle volte vivace discussione terminò con un compromesso, secondo il quale potevano aderire all'Unione oltre alle sezioni socialiste quei sindacati che aderivano all'Unione sindacale svizzera, che in quei tempi si dichiara va nei suoi statuti ancora favorevole al socialismo e non era quindi del tutto apolitica come ora. In seguito i sindacati uscirono dal1' U n i o n e , il congresso significò quindi una piena vittoria dell'indirizzo politico di Vergnanini. Il congresso deliberò anche di pubblicare un proprio giornale, e la continuazione del segretariato operaio italiano, creato a titolo di prova al convegno di Losanna, con Vergnanini come segretario. Oltre alla cura degli affari dell' U n i o n e , alla propaganda dei principi socialisti e dell'organizzazione sindacale, era affidato al segretario il compito di cercare di influenzare per l'intermediario delle camere del lavoro, dei sindacati e del Partito Socialista d'Italia, l'emigrazione verso la Svizzera e di organizzare allo stesso scopo in Italia un servizio di informazioni sulle condizioni del mercato del lavoro svizzero. Riformata in questa maniera l'Unione, i compagni ripresero con entusiasmo e pieni di ci · avoro. Fu · to « L' E en e · tt i S (Continuazione prima pagina) La morale è ben chiara. Il socialismo internazionale non può resistere di fronte all'anarchia internazionale. Le esigenze della sicurezza nazionale, se non quelle di un abbietto nazionalismo, sono troppo forti. Finché non c·è altro mezzo che la guerra per affrontare il banditismo politico, il socialista si tro\·a di fronte a un dilemma intollerabile: o deve prendere le armi contro i suoi compagni oppure soggiacere all'aggressione. In generale egli ha scelto la prima delle due alternative. E il socialismo come movimento internazionale è in rovina. l\fa c'è dell'altro. Il socialista dà importanza all'uguaglianza e al tenor di vita dell'uomo comune. Si deve ai partiti socialisti se è stato messo in movimento (specialmente nel nostro paese e negli stati scandinavi) un imponente compie so di servizi, del quale può dirsi almeno che ha fatto qualche co. a per raddrizzare la bilancia follemente squilibrata fra ricchi e po- ,·eri. Ma il più grande nemico di siffatto progresso sociale è sempre la guerra e la preparazione della guerra. Nel nostro paese, nel settembre 1939, eravamo giunti al punto in cui ci disponevamo a lenere tutti i nostri bambini a scuola almeno fino al quindicesimo anno d'età, cosi che l'istruzione della maggioranza sarebbe stata inferiore di soli tre anni, e non di quattro, a quella dei pochi privilegiali. Invece, grazie alla guerra, la frequenza obbligatoria della scuola, che era contemplala nella no tra legge da più di sessant'anni, cessò del lutto, e non è stata più restituita pienamente da allora. Sempre nel nostro paese, nel bilancio dell'aprile 1940, il co to di un anno di guerra è stato calcolato in 2000 milioni di sterline (stima che è già risultata del lutto in ufficiente). Quanto sono 2000 milioni di sterline? In Gran Bretagna ci sono circa 15 milioni di salariali assicurati. Il danaro deslinalo a scopi di guerra basterebbe dunque per elevare i salari di ogni uomo, donna, ragazzo e ragazza, compresi in questi 15 milioni, di qualche cosa come 50 scellini alla settimana. aturalmenle, io non penso, nemmeno per un momento, che una tale piatta ridistribuzione sarebbe l'impiego migliore di quel danaro, qualora l'abolizione della minaccia della guerra rendesse disponibile una simile somma per fini sociali. La cifra è indicata soltanto per dare un'idea delle enormi pos ibililà che ci sono inlerdelle dalla persit 1CG'anarchia internazionale. Il socialismo e la pace Cosi, due volte in un cinquantennio, i socialisti hanno vislo sparire in una nolle il progresso sociale di anni; due volte in un cinquanten nio essi hanno vislo il danaro, disperatamente necessario per le case e la alule degli uomini, di tolto invece per i \'ergognosi affari della guerra. Finché avremo da sopportare oneri tanto pesanti, non potremo avere la p10sperità e l'uguaglianza socialista, bensi po'"ertà, denutrizione e immane dispersione di risorse cosi umane come materiali. E" intollerabile che dobbiamo adattarci a questa situazione, solo per la mancanza di un congegno che vi ponga fine. Ma, fino a quando i socialisti non avranno una politica internazionale costrutliYa, noi dovremo sopportare questo peso. In altre parole, l'idea che si debba raggiungere anzitutto il socialismo e che, fatto ciò, tutto quanto concerne i rapporti internazionali si sistema da sé, é un'idea che ignora le lezioni dell'esperienza. Con questo metodo si otterranno, senza alcun dubbio. alcune cose che trovano poslo nell'elenco delle esigenze essenziali del socialismo col quale si apre questo scritto. Si otterrà una cosciente pianificazione collettiva della vita economica; ma una pianificazione attuata nella guerra e per la guerra. Un piano per l'uguaglianza. un piano per la costruzione e per il bene sere quotidiano dell'uomo comune, tutti questi piani sono rimandali indefinitamente. Ogni progresso viene tenulo in sospeso o, peggio ancora, abbandonato, perché non abbiamo pensato abbastanza al problema dell'ordine internazionale e in ispecie dell'ordine europeo. Finora il movimento sociali ta ha lentato di eludere questo problema in due maniere alternatesi e in contraddizione fra loro: prima una fase di pacifismo, di asserzione della solidarietà internazionale fra gli appartenenti alla classe lavoratrice e della loro determinazione di non comballere né armarsi gli uni contro gli altri; poi un completo voltafaccia ,·er o i fronti popolari, verso il so legno ai programmi di sicurezza nazionale o collettiva e infine, nel caso dei socialisti di maggioranza, verso la pa_rtecipazione di lutto cuore alla guerra. E lutto quello che abbiamo guadagnalo è l'amaro rimprovero che dobbiamo ai socialisti se, quando dobbiamo comballere, combattiamo sempre male equipaggiati e impreparali. (Continua) Barbara Woollon. Una Partigiana Quando il campanello suonava una volta sola, noi si rimaneva col fiato sospeso, perché era convenuto che gli amici suonassero tre volte, e nessuno doveva sapere che noi ora abitavamo là. Cosi anche quella sera guardai fuori prima di aprire: era mio fratello, e lì per lì quasi non lo riconoscevo, perché si era fatta crescere la barba. Aprii piano: «Sei venuto, dissi, come mai?» - «!fanno arrestato il prete, disse lui, ormai ci avevano scoperto.» - «!\'on sa nessuno che sei venuto qua?» domandai. «Spero di no, rispose, in ogni modo mi tratterrò poco.» Mia madre si mise a preparargli qualcosa da mangiare: «Vedi, disse, questa è ora la nostra casa; come hai fatto a venire fin qui?» - «Le monache me l'hanno insegnata, disse mio fratello, non volevano dirmelo, ma poi ho detto che ero tuo figlio.» Mia madre s'impressionò: «Le monache? disse, ma le monache sapevano che io non avevo figli maschi. Per via delle rappresaglie, sai», disse poi come vergognandosi. - «In ogni modo, disse mio fratello, ora sono qua: l'abbiamo scampata bella.:.- Il prete l'avevano preso perché c'era stata una spiata. Ma per fortuna delle armi non se ne erano accorti, cosi mio fratello aveva potuto salvarle. «Meno male, disse mia madre, tutte quelle belle armi.» «Hanno cercato anche di te», chiesi. Mio fratello mi fece cenno di si. «Con che nome ti hanno cercalo, con quello vero?» - «/'l.'on lo so. disse mio fratello, ma in ogni modo bisognerà che lo cambi ancora.» «Dimmi delle armi, dissi io, cosa ne avete fatto?» - A buio le abbiamo portale in montagna, rispose, eravamo in quattro. La più brava è stata l'Angiò, disse poi mio fratello, ha lavorato tutta la notte come un uomo. Sempre su e giù dalla casa alla montagna, con noi, carica come una bestia; e la mallina, quando sono venute le guardie fingeva di dormire come un angiolino.» «E' una brava ragazza, l'Angiò», disse mia madre, e so1;·ise, pensando come erano prima le sorelle dei preti; «ora è diverso, disse. Anche lei, disse poi indicando me, anche lei sta sempre intorno con le armi, e prima sembrava tanto clelicalina.» Dopo qualche giorno venne un compagno e ci raccontò del prete: l'avevano portato via e ora lo torturavano con quegli interrogatori. La cJsa glie l'avevano bruciala. Erano andati in una decina, avevano buttalo ciel petrolio e poi avevano dato fuoco. «E l'Angiò?» dissi io. «L'Angiò? rispose il compagno, l'Angiò non c'era già più in casa. La notte, si era vestila da uomo e era andata anche lei sulla montagna.» L.A. Saluto dall'esilio Lionello Venturi, Professore di storia dell'arte all'Università di Torino fino al 1931, epoca in cui fu obbligalo a lasciare l'Italia per la sua opposizione alle dottrine fasciste, ha fatto le seguenti dichiarazioni alla radio nazioni unile per l'Italia liberala: «Leggo nell'Italia di Roma del 15 agosto che sono stato rimesso nella mia cattedra iiniversilaria, cosi come lutti gli altri colleghi che, per avere rifiutalo nel '31 di prestare il giuramento fascista, furono cacciati dalla scuola. ono lieto di essere ancora in vita e di ricevere questo alto di riparazione dal nuovo Governo italiano e sono commosso di non essere stato dimenticalo dopo tanti anni ed in un momento in cui tanti altri e più gravi e urgenti problemi s'impongono all'attuale Governo. La mia risposta è come deve essere, e cioè che sono pronto a riprendere il mio posto, anzi ansioso di ritornare in Italia. Non tutti purtroppo potranno tornare ai loro JJosli e vorrei con voi sostare e riflettere al destino doloroso di coloro che, come Francesco Ruffini o Mario Carrara, sostennero come noi e più di noi la lolla per l'indipendenza del sapere e non sono più con noi a rallegrarsi ora della vittoria cui la loro lolla ha contribtiito. In nome loro e nostro esultiamo per questo riconoscimento dell'attuale Governo italiano, riconoscimento dato più che a persone all'idea cui siamo devoti: l'idea della libertà. Eravamo e siaino convinti che senza libertà non c'è nè scienza, nè arte, nè altra vita spirituale. Quando la soppressione della libertà politica penetrò i più appartati, più intinii recessi dell'inlelligen:a, ci accorgemmo che i delitti dei fascisti erano sopraffalli dalla loro stupidità. Perciò affrontammo l'esilio. Ma allora non sapevamo quanto il no tro atto d'indipendenza ci sarebbe costato caro. Non parlo della vita materiale, poich è a Parigi o a New York si vive assai bene. Parlo di quel sentirsi tagliati fuori della vita intellettuale della Nazione. In Italia era ima vita sotterranea che si conduceva malgrado e contro il fascismo ed essa ha tenuto alto l'onore della tradizione culturale italiana. Ora la mia gioia e la mia ambizione sono di rientrare nella tradizione cultttrale italiana e di vederla rifiorire di nuovo. In attesta mando il mio saluto commosso a lulli gli uomini liberi d'Italia.» La questione oggi, prima che di organizzazione sociale, è di valori. Prima che di sistemi, di. realtà. La contrapposizione che si deve fare non è tra fascismo e comunismo, fascismo e socialismo, e tutti gli «ismi» sul mercato. Ma tra lo stato, astratto, dispotico, dittatoriale, e la persona umana. Il resto cioè l'organizzazione socialista concepita in vista non del piano ma dell'uomo, segue necessariamente. C a r 1 o R o s s e l 1 i (1935).

\ Bi Il pen~iero lederali~ta di Carlo Cattaneo m. Se nella multiforme ma troppo dispersa opera del Cattaneo manca una trattazione compiuta ed omogenea dello stesso federalismo, cioè del principio politico che più gli stava a cuore, e pel quale, sopratutto, s'infutura il suo pensiero, nel principio stesso, in compenso, è scolpita quella che si potrebbe chiamare la fisionomia cli tale pensiero, nei suoi tratti più schietti o significativi. Oserei dire che il federalismo è 11 figlio legittimo e prediletto del positivismo politico cattaneano. Oggi ribadisco quella mia vecchia affermazione, allargandone, anzi, la portata, col sostenere essere il federalismo il corollario politico, logico e coerente, cli tutto quanto l'orientamento intellettuale del Cattaneo, che fu, ava n ti 1 e t te r a , il primo positivista italiano. Ma - potrà obiettare taluno - si deve chiamare propriamente positivistica, o non piuttosto ( che so io?) illuministica, razionalistica, oppure semplicemente liberale, la concezione politica del Cattaneo? E - potrà obiettare qualche altro - ammesso che il federalismo sia la dottrina più conseguente della libertà, come s'inquadra tale valore, ch'è in primo luogo un valore dello spirito, in un modo di pensare, qual'è quello positivistico, che, per necessità logica, si deve professare aderente ai fatti? (Ed è poi - si potrebbe aggiungere in parentesi - fare un elogio al Cattaneo il chiamarlo un positivista od un precursore del positivismo, oggi che il ringagliardito, anche se spesso piuttosto sedicente che effettivo e compiuto idealismo, dopo la • campagna intrapresa già da qualche decennio contro quel sistema, o meglio contro quel metodo filosofico, proclama di averlo debellato per sempre?) M'incombe l'obbligo cli dimostrare, se pure con la maggior rapidità possibile, la fondatezza della mia modesta, ma radicata opinione. Potrei, anzitutto, richiamare l'autorità cli competenti storici della filosofia, i quali, prima di me, non si peritarono cli far risalire al Cattaneo, e non prima né dopo, gl'inizi del positivismo italiano. Ma qui, senza aver l'aria cli nascondermi dietro spalle più robuste delle mie, voglio rammentare piuttosto che il mio maestro Roberto Ardigò, rivendicanào contro uno di quegli storici l'originalità del proprio positivismo, scriveva che il Cattaneo, il quale «non ricorda mai il Comte, mentre sempre si appella al Locke, chiude splendidamente la scuola del Romagnosi, ma non ha avuto dopo cli lui una scuola sua; sottentrando invece da noi nell'avviamento per la filosofia positiva (ma con caratteri propri) quella iniziata in Francia da A. Comte». Il che è vero, in ispecie per quanto riguarda la filiazione spirituale del Cattaneo, il suo riferirsi al Locke e non mai al proprio contemporaneo Augusto Comte (di cui, probabilmente, egli non ebbe modo cli conoscere le opere nella allora scarsamente provveduta Lugano), la influenza del Comte stesso, e, in modo particolarissimo, i «caratteri propri» della filosofia positiva in Italia. Se non che mi sia lecito cli ripetere un'altra mia vecchia osservazione proprio a proposito di tali caratteri peculiari del positivismo italiano, quanto meno, del migliore e più serio positivismo, che da alcuni si suol mettere tutto in un mazzo con ogni altra, più o meno analoga, pseudo-scientifica dottrina, per potersene sbrigare con altezzosa noncuranza, senza prendersi la fatica - non lieve - di leggerne e di studiarne le opere austere (ma, io ne ho fiducia, multar e n a - s ce n tu r ... dopo tanta orgia d'idealismo, più o meno attuale). Mi sia lecito, dico, di manifestare anche qui la mia opinione che nelle opere dell'Ardigò si possano scoprire parecchi punti cattaneani; non più che spunti per lo svolgimento delle proprie meditate teorie filosofiche, ma in maggior copia, forse, cli quanto egli (della cui candida buona fede non è davvero lecito dubitare) non, ricordasse allorché, ottantenne, citava in uno dei suoi scritti, come s'è veduto testé, il nome del Milanese. (Il punto, che qui non può essere toccato se non di sfuggita, meriterebbe cli essere approfondito.) Nell'opera del Cattaneo io sarei propenso a ravvisare, anzi, l'anello cli congiunzione, a dir cosi, tra il sistema di Giandomenico Romangnosi ch'era ancora prevalentemente illuministico, se pur non senza qualche tentativo d'integrazione tra psicologica e gnoseologica, ed il positivismo dell'Arcligò, che affonda le sue radici nella critica della conoscenza ed eleva le fronde tuttora verdi e fresche della sua etica fino alla ottimistica dottrina delle idealità sociali impellenti il volere dell'uomo (non dimentichiamo che un acuto critico francese ebbe a scrivere, più di sessant'anni or sono, che, se si fosse tentati di accusare l'Ardigò di materialismo, «il faudrait prendre garde qu'il pourrait bien etre aussi un idéaliste radical»). Orbene, il pensiero del Cattaneo, che anche per ragione di cronologia si accampa fra quello del suo maestro Romagnosi e quello del!' Ardigò (venuto a contatto delle sue dottrine a traverso la comune amicizia cli Jessie ed Alberto Mario), a me sembra un positivismo, il quale, orientato dalle vedute e forse più dall'esempio del primo verso uno storicismo, meno comprensivo ma er'-a a· più ro~u to e meg, io~ · ila Q, re- !ude, anche e soprattutto per questo, a quell'umanesimo ch'è, a parer mio, la linfa più vitale del pensiero dell'Arcligò, pur senza anticiparne, se non con qualche barlume, le severe dottrine gnoseologiche. Ma positivismo, anche quello del Cattaneo, con caratteri propri che anticipano più decisi indirizzi futuri, se pur non scevro di certo ingenuo «scientismo», imputabile, del resto, più che alla sua, alla mentalità dell'epoca in cui visse, incantata dalle meraviglie della tecnica e della scienza, ma prona forse troppo, e per og;ni dove, al metodo naturalistico di quest'ultima. Perché, se può suonare ancora giustissimo il mònito del Cattaneo (il quale par preludere ad altro analogo cli Benedetto Croce) - «che il filosofo non possa accingersi al suo ministerio se non con ampia preparazione di molto e vario sapere» - a chi, pur pensando che la stessa filosofia non debba essere se non una problematica dell'esperienza, ritenga che, appunto per oiò, il suo debba essere un metodo critico, e non quello d'ogni altra scienza che l'esperienza accetti quale dato e ·studi, come deve, soltanto a parte obiecti, oggi non può non apparire antiquata e troppo (perché non dirlo?) banalmente positivistica la concezione della filosofia come «i 1 n es s o c o m un e di tu t t e 1 e s c i e n z e», come «s ci e n z a d i r i a s s u n - t o, di connessione, di sintesi», fondata anche essa sopra un fenomenismo acritico, cioè oggettivamente empiristico. Ma il Cattaneo era un intelletto troppo pensoso e profondo per potersi appagare d'una tale maniera superficiale (il termine va preso proprio nel suo significato concreto, non metaforico) d'intendere la filosofia positiva. Ed ecco che quello stesso Cattaneo, il quale si compiace cli far osservare ai suoi allievi del Liceo di Lugano che quella «filosofia sperimentale» ch'egli professa «accetta tutte le verità, ossia tutti i fatti: om n i s h i s t o ria b o n a», e dice, ancora, che il suo s i s t e m a ha per principio «l'esperienza fisica e morale, l'istoria naturale e l'istoria civile» - e chi vorrà negargli, dopo ciò, patente e qualifica di positivista? - ecco che il Cattaneo, nei suoi momenti migliori, col suo sguardo lincèo scorge, od almeno intravede, la necessità d'integrazioni, critiche e storicistiche, del positivismo. Ed allora egli - che, come si accennava testé, sembrava sovente contentarsi d'una filosofia come sintesi, necessariamente scialba e necessariamente naturalistica, dei dati e dei risultati delle altre scienze - insegna che «la filosofia deve proporsi uno studio fondamentale: 1' a n a 1 i si de 11 a libera analisi», ch'è critica metodologica dei procedimenti delle scienze, e non mera registrazione dei loro risultati. E, rammentandosi dell'antico imperativo socratico: con o sci te s t e s s o , il quale significa, insomma, che la filosofia è, si, un'indagine dell'esperienza, ma un'indagine a p a r te s u bi e c ti , cli fronte alla quale l'esperienza stessa non è un dato, ma un problema, insegna che «la filosofia è lo studio del pensiero». Ma poiché - com'egli dice, stupendamente- il pensiero è «l'atto più sociale delli uomini», con ispirazione vichiana, cioè con risoluto, anche se non forse pienamente consapevole, orientamento storicistico, invita gli «amatori della filosofia» a considerare «le lingue ... , le lettere, le arti, le leggi, le religioni, le opere tutte dell'umanità», che sono «nella prima origine loro fa t ti d e 11 ' ani - ma», quali «segni de 11 a segreta su a natura». Cosi Carlo Cattaneo intende, nei suoi momenti più felici, la filosofia; non un sistema chiuso in un proprio dogmatismo, sia esso idealistico o materialistico; anzi «sempre aperto e vivo ... finché l'intelligenza si troverà in cospetto del mondo»; perché l'intelletto anzi l'intero spirito dell'uomo, non è uno specchio meramente recettivo della realtà, ma una energia la quale intende, domina e trasforma la realtà stessa, che ne è la matrice, in quel perpetuo gioco cli azione e di reazione tra soggetto ed oggetto, ch'è appunto la nostra esperienza. E nello studio delle opere dell'uomo - e che è, se non questo, la storia? - opere, nelle quali l'uomo deve, com' ei disse, «contemplarsi» per impa rare a conoscere sé stesso il Cattaneo addita il compito precipuo di quella «costante e universale ricerca», che dev'essere la filosofia; in particolare, di quella che, con espressione mutuata dal suo Romagnosi, egli chiamava la filosofia civile. In cotesta filosofia civile, materiata cli positivismo umanistico e storicistico, e non di un astratto razionalismo, s'inquadra la sua dottrina della libertà, cli cui il federalismo - pensiero ed azione - è la discendenza più conseguente e più genuina. Perché il pensatore, che si compiacque di qualificarsi «amico della libertà sopra ogni cosa», non intese la libertà come un dato naturalistico né come la deduzione da un principio metafisico. La libertà non è un fatto cli natura. L'uomo primitivo, che ad una superficiale osservazione può sembrare alla natura più vicino, non ritiene quasi nessun fatto come naturale, ma anzi come il prodotto di voleri, benèfici o malèfici, soprannaturali: può dirsi libero chi, ad ogni istante d~a s~J vita, si crede in balia di misteriose 1 forze estranee al suo controllo? «Il selvaggio - scrive il Cattaneo - avendo un cerchio assai ristretto di idee e cli sentimenti, è in mezzo alle selve assai meno libero che non l'uomo civile, in seno alla società più artificiosa e disciplinata. A questo non aveva pensato Rousseau, quando esaltava sulla vita civile la selvaggia.» Ma la libertà, che non è un portato insth1tivo di natura, non è nemmeno un diritto cli natura, il quale sia, cioè, insito nell'uomo ed anteriore ad ogni norma, che lo dichiari, lo riconosca, lo tuteli. Il severo studioso, cui fu caro il motto: 1 i ber t à e verità, perché, secondo lui, i due termini del binomio si condizionano reciprocamente, identificava, con perfetta coerenza, la libertà con «l'esercizio della ragione». Chi dunque può dirsi libero? Meditiamo queste altre parole cattaneane: «Chi fa il proprio volere, chi si determina giusta i motivi suoi propri e le proprie idee, si dice libero; la libertà è la volontà nel suo razionale e pieno esercizio; la libertà è la volontà.» Questo, anzitutto e propriamente questo, è, pel Cattaneo, la libertà: non il vecchio a r bi - t r i u m indi f ferenti a e nella sfera .psicologica, non insofferenza cli nonne nella vita morale, bensi disciplina, autocontrollo della volontà, cioè autonomia, nel preciso, ed angusto, significato etimologico della parola. Ma appunto perciò, perché la libertà non è possesso, bensi, nella stessa accezione anzidetta, operosa e diuturna conquista, che non può essere se non il prodotto dell'educazione, anche nel campo giuridico e politico non è né un diritto ( o, forse più esattamente, uno sta - tu s) soggettivo di natura, né una graziosa concessione del potere. O quanto meno, nessuna delle molteplici libertà civili e politiche, nelle quali il principio della libertà individuale si specifica, può essere sicura, quando sia largita dall'alto, anziché essere reclamata, conquistata e difesa da chi ne sia degno. «La libertà (questo è il genuino monito cattaneano) non deve piovere dai santi del cielo, ma scaturisce dalle viscere dei popoli. Chi vuole altrimenti è nemico della libertà.» Ma «l a 1 i b e r t à - com'egli disse con una delle sue felici metafore - è u n a p i a n t a di mo 1 te rad i ci». E lo studioso di tante scienze ch'egli era, ed il promotore od ausiliatore di tante feconde iniziative pratiche, come, un secolo fa, in uno scritto ancora degnissimo d'essere riletto, sottoponeva ad una critica spietata il borioso nazionalismo economico di Fe- ;ierico List, argutamente beffando il «guardinfante protettivo», invocato e adoperato da pigri industriali a detrimento della massa dei consumatori, e come, più d'un secolo fa, con la sua generosa campagna contro le interdizioni israelitiche - campagna che oggi, ahimé, sarebbe ancora più dolorosamente viva - si proponeva, non soltanto cli compiere un'opera buona, ma altresi di dimostrare un teorema cli economia, facendo toccar con mano i danni che venivano alle stesse nazioni, le quali agli Ebrei vietavano l'esercizio cli certe arti e professioni, e, segnatamente, la possidenza fondiaria, cosi, nell'età più matura - per non fare che un solo altro esempio - quando patrocinò, non senza esporsi a calunnie ed amarezze, la causa del traforo del Gottardo, cioè la ferrovia dai due mari d'Italia all'Europa centrale, poteva scrivere ad un amico: «io l'ho considerata sopratutto come questione di libertà; sapete che per me tutta, tutta la politica dei popoli si stringe in questa unica parola». E, storico profondo, curioso della vita d'ogni popolo, dalle più lontane scaturigini giù a traverso secolari o addiritura millenarie evoluzioni, come, nell'originaria pluralità delle umane stirpi, illustrata dalla luminosa dottrina del Morton, trovava «un'àncora ad ogni istoria» - ma non si scorgeva una rèmora al processo d'intesa fra le nazioni, tutte «egualmente inviolabili», nessuna predestinata ad esercitare «egemonie del genere umano» - cosi, discorresse dell'antica Persia o della Cina, dell'Egitto o della Grecia classica, delle nostre lotte mediovali tra Guelfi e Ghibellini oppure della contesa, ai suoi tempi attualissima, ed infine sanguinosa, fra gli Stati della Confederazione Americana, quelli del Nord prevalentemente industriali e quelli meridionali quasi esclusivamente agricoli (pure oppugnando s'intende lo schiavismo, vergogna di questi ultimi, ch'era stato «appuntellato» dal protezionismo dei primi, e fin dal 1833 dicendosi «quasi tentato», per abolir quella «infamia», ad invocar la guerra), non trascurava occasione per mostrare i pericoli e i danni del dispotismo accentratore, per celebrare i pregi fecondi di ogni forma di libertà, economica, intellettuale, civile, la quale aveva dato maggior splendore a piccole repubbliche, fari di luce spirituale, che non a sconfinati imperi, oppressi da un plumbeo, opaco autoritarismo. Qui, veramente, cioè a questo proposito, avrebbe trovato più degna sede il già ricordato suo motto: «o m n i s h i - storia bona». E, per quanto cauto fosse nelle sue previsioni, e troppo acuto conoscitore degli uomini, per non sapere quanto lento sia, in confronto del progresso meccanico, quello morale, e troppo scaltrito dallo studio e dalla meditazione dei fatti politici per cullarsi in utopie pacifistiche - ché anzi (com'è noto, non foss'altro, da una citazione del Carducci), il Cattaneo intese, come pochi altri, quali possano pur essere gli effetti, benefici per lo sviluppo della socialità, delle stesse guerre - egli, non soltanto auspicava, ma «dal caos delle istorie antiche e .moderne» propriamente credeva di veder sorgere, come «f a t t o c o s t a n t e e d un iv e r sa 1 e», cioè come «l e g g e», «l'azione d'una forza morale che ... spinge le genti verso una sola e u n i v e r s a 1 e a s s o e i a - zio ne». Conclusione, dunque, a malgrado di alcune espressioni e riserve, sostanzialmente ottomistica, questa, cui giungeva il Cattaneo. Il quale fu, per inclinazione spirituale prima ancora che per meditata dottrina (la filosofia che si professa - secondo una sagace osservazione del Fichte - dipende anche dal temperamento che si possiede), un credente nella libertà, nell'opera educatrice della ragione, nel progresso «continuo e indefinito», ch'era, com'egli diceva, la «fede», che distingueva il suo secolo «da tutti i secoli antecedenti». L'ottimismo, del resto, un sano e virile ottimismo, non può non stare al fondo di ogni concezione liiberale, mentre l'autoritario conseguente è, o dovrebb'essere, un pessimista, destituito di fiducia nel potere cli autocontrollo ( ch'è il principio giustificatore dell'autonomia) quanto meno degli altri uomini, se non cli se stesso, più sovente portato ad imporsi agli altri, magari con la prepotenza, che non dispoto ad osservare norme, le quali s'impongano a lui come agli altri. Il liberalismo, invece, che, prima d'essere la generica insegna d'una certa quantità cli partiti politici, potrebbe e dovrebbe essere uno «stato d'animo» comune a uomini i quali pur militino in partiti propugnanti prograimmi sotto certi rispetti assai diversi, il liberalismo cosi inteso, dico, ha, come ogni altro stato d'animo, un suo, più o meno remoto e consaputo, fondamento fideistico: si fonda, cioè, com'è ovvio, su la fede, la quale sarà poi confermata da argomenti. richiesti alla ragione ed alla storia, in quello ch'è, anzitutto, un valore dello spirito: la libertà. A. L. L'ASSASSINIO D IIATTEOTTf< 1 > La seconda serie degli opuscoli dell' «Avvenire dei Lavoratori» è consacrata alle «Memorie» e porta come motto: A g i r e c o m e uomini di pensiero, pensare come uomini di azione. Il primo opuscolo della nuova serie è dedicato all'assassinio dì Matteotti ed è stato accolto con unanime favore dalla stampa e dagii antifascisti cli tutte le correnti. Specialmente tra i giovani, infatti, se sono rari quelli che ignorano il martirio del capo socialis.ta, la maggior parte non conosce però i particolari della tragedia e della crisi politica che ne risultò: per essi quell'assassinio fu un avvenimento oscuro, al quale, negli anni del trionfo fascista, udivano qualche volta alludere con parole reticenti e timorose in conversazioni private, ma senza che fosse possibile saperne altro. E' stato dunque utile raccogliere in una pubblicazione alla portata di tutti i dati essenziali di quel fatto la cui importanza giganteggia sempre più nella storia contemporanea dell'Italia. Come ogni grave fatto storico, esso occuperà ancora per molto tempo le menti degli uomini i quali si dedicheranno a decifrare la crisi italiana dell'ultimo ventennio: tra il giugno del 1924 e il gennaio del 1925, non il solo il fascismo mise a nudo la propria natura, ma tutta la società italiana, la monarchia, la chiesa, i partiti, il ceto intellettuale, i capitalisti, il popolo, la magistratura, le forze armate. Capire la crisi Matteotti vuol dire in sostanza capire le debolezze e le risorse dell'Italia moderna. Non è perciò un avvenimento legato alla cronaca e all'attualità. Fra cento o duecento anni, sarà ancora indagato discusso e giudicato quel periodo tristissimo della vita italiana. Non c'è stato alcun episodo del fascismo più rivelatore cli quello. «Uno di allora», l'autore dell'opuscolo, era la persona più indicata per parlarci con precisione di quell'assassinio e di quel processo; egli sarà anche la persona più indicata per dirigere a Roma la revisione del processo annunziata dalla stampa. Noi gli auguriamo di cuore salute e forza perché possa adempiere alla missione cui il destino sembra averlo riservato: unico dei superstiti dell'ammirevole e proba falange dei pionieri del socialismo italiano, assistere alla realizzazione dell'ideale di libertà e giustizia al quale è stato fedelissimo in tutta la sua vita. (1) «Uno di allora:. - L'Assassinio di Matteotti. Un opuscolo di 40 pagine, prezzo 60 cent. Inviare ordinazioni all'«Avvenire dei Lavoratori» Casella postale 213, Zurigo 6. ' Leviamoci l'illusione che si possa fare in Italia la copia sia pure riveduta e corretta, della rivoluzione d'ottobre. La rivoluzione italiana procederà per vie sue, secondo le necessità e le lotte italiane e europee. La Russia, con la quale si stabiliranno certi rapporti fraterni, sarà per noi non un punto cli arrivo ma di partenza; sarà sopratutto un capitale di preziose esperienze. Ca r 1 o R o s se 11 i (1935).

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