L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 16 - 31 agosto 1944

• B Anno XXXV (nuova serie) N. 16 Zurigo, 31 Agosto 1944 LIBERARE E FEDERARE QUINDICINALE SOCIALISTA Redazione e A mm in i strazi on e: Casella postale No. 213, Zurigo 6 · Conto postale No. VIII 26 305; Telefono: 3 70 87 Abbonamenti: 24 numeri Fr. 6.-. 12 numeri Fr. 3.-. una copia Cent. 30 SOMMARIO G. D. H. Cole: L'unificazione europea e il socialismo Walter Citrine: Essere pronti L'Italia nella fase di transizione Seconda pagina: Pentad: L'Italia di domani Varsavia (poesia) Poesia 1944 Terza pagina: A. L.: Il pensiero federalista di Carlo Cattaneo Quarta pagina: Pre. Gi. : Socialisti e Cristiani Rispet!Qre (almeno) i morti Quinta pagina: Eric Valar: Gli inizi del movimento operaio italiano in Svizzera Sesta pagina: Come organizzare le comunità proletarie italiane in Svizzera? Corrispondenze L'unificazioneeuropeae il socialismo Una ,base comune di istituzioni economiche e sociali è indispensabile a qualunque gruppo di paesi si proponga di stabilire un governo sopra-nazionale o d'intraprendere in comune un piano economico su un territorio che oltrepassi i confini nazionali ... Ma questa considerazione non esclude affatto la possibilità di stretti rapporti commerciali tra gruppi di paesi a struttura economica e sociale diversa. Simili gruppi possono benJssimo concludere mutui accordi per lo scambio dei loro prodotti. Non vi è nessuna ragione valida, ad es., perché un'Europa socialista non debba avere stretti rapporti economici con un'America nonrsocialista. E' della massima importanza che vi siano rapporti commerciali di questo genere tra gli stati sopranazionali dell'avvenire. Ma sarebbe erroneo confondere rapporti simili con una pianificazione concertata, che richiede l'unificazione di certi servizi fondamentali sotto un comune controllo sopra-nazionale. Per essere efficace, un piano economico deve estendersi su una regione piuttosto vasta, ma con limiti ben definiti. L'Unione Sovietica è un paese abbastanza vasto per lo studio e la realizzazione di un piano soddisfacente. Cosi pure gli Stati Uniti d'America. I piani devono restare entro i limiti delle capacità umane, altrimenti crollerebbero nella pratica, per quanto eccellenti sembrino sulla carta. Né l'Unione Sovietica né gli Stati Uniti potrebbero, senza una forte perdita economica, pianificare su una base d'intera autonomia. Ma ciò non è necessario né desiderabile. Non si dovrebbe pianificare per l'autarchia ma per promuovere scambi utili tra le unioni regionali o continentali. Tra queste unionò. regionali o continentali è necessario un grado di affinità nelle istituzioni economiche e sociali molto minore di quello necessario tra i paesi destinati a partecipare alle stesse unioni. Si possono stabilire scambi su basi eque, tra regioni socialiste e non socialiste, a patto che pratichino metodi tra loro compatibili di commercio internazionale. Un gruppo di paesi socialisti può mantenere stretti rapporti economici con un gruppo che non ha un'organizzazione commerciale collettiva ... Ma è naturalmente più facile il commercio tra paesi retti da istituzioni economiche affini. Un monopolio statale può trattare più facilmente con un'organizzazione COIIh"llercialedello stesso tipo piuttosto che con una quantità di singoli compratori o venditori; e tra i monopolisti stessi i rapporti saranno più facili quando ambo i contraenti accettano gli stessi principi. Ma queste affinità sono vantaggi non una necessità. Non sarà indispensabile dover convincere il popolo americano della necessità del socialismo prima di poter stabilire rapporti commerciali relativamente soddisfacenti tra esso e un'Europa socialista. Non è neppure necessario, e forse nemmeno desiderabile, un solo piano economico per tutta l'Europa. Se l'Uruione Sovietica è abbastanza grande e diversa da formare un'unità economica P.iaqificabile, alme?;' er qualch~, Q _;el restò 'ciernmurce vi è ,posto1O 1u piano, e per più gruppi di paesi associati da piani economici e sociali su basi istituzionali comuni. Si può benissimo immaginare un piano economico per l'Europa centrale, orientale e sudorientale, ad ovest dell'U. R. S. S., e un'altro piano per l'Europa occidentale; aggiungendo ad essi l'U. R. S. S. avremmo tre gruppi economici, verso i quali graviterebbero anche alcuni territori minori extra-europei. Questi gruppi dovrebbero annodare stretti rapporti sia tra di loro che con gli Stati Uniti d' America, o forse con un gruppo americano più largo che comprenda anche l'America latina. Ma questi accordi si potrebbero concludere senza che ognuno dei piani collegati si debba basare obbligatoriamente su istituzioni politiche affini, o sia diretto dagli stessi partiti politici. Sarà dificile far funzionare, nel dopo-guerra, un piano europeo se non su basi simili. Pianificare l'Europa intera, anche senza l'Unione Sovietica, sarebbe un compito troppo vasto. Sarebbe già abbastanza difficile pensare, concepire e amministrare, nell'Europa occidentale, un piano comune per la Gran Bretagna, la Scandinavia, l'Olanda, il Belgio, la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Svizzera, l'Italia, e forse uno o due altri paesi. La Germania, l'Austria, l'Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia e i paesi balcanici formerebbero un secondo gruppo da pianificare, il più grande che possa essere effettivamente unificato, sia politicamente che economicamente, nello stadio attuale dello sviluppo dei metodi governativi e amministrativi. Volere di più sarebbe correre incontro al disastro, a causa dei pericoli della burocrazia e dell'eccessivo centralismo. Si capisce che i sudde.tti raggruppamenti sono esempi del tutto ipotetici. ... Sarà anche un disastro se la Gran Bretagna si ritirasse dalla Nuova Europa. Quest'eventualità è legata al fatto se il capitalismo sopravviverà come forza dominante della politica britannica. Perché quello che spingerebbe di più la Gran Bretagna verso l'America, e lontano dall'Europa, sarebbe la speranza di servirsi della forza americana per mantenere al potere il capitalismo anche in Inghilterra. II capitalismo dell'Europa continentale non può essere restaurato. Esso è minato fin nelle fondamenta. Ma lo stesso non si può dire del capitalismo britannico, il quale rimane tutt'ora in possesso dei controlli principali della vita economica nazionale. Scuotere questo potere del capitalismo britannico - fin da ora, mentre si è in guerra - è non solo necessario per la guerra stessa, ma anche di importanza vitale come il solo mezzo per impegnare la Gran Bretagna a partecipare alla ricostruzione europea. Il laburismo britannico è orientato, non verso l'America, ma verso l'Europa. Ma il Partito Laburista non potrà attuare il Socialismo in Inghilterra se non lavora per il socialismo, come base della ricostruzione non solo britannica ma europea. G. D. H. Cole. (Dal cap. XI del libro «L'Europa, la Russia, l'avvenire».) Essere pronti Riproduciamo dalla rivista mensile L a - b o u r , organo ufficiale del British Trades Union Congress (T. U. C.), un articolo del Segretario Generale di esso T. U. C., Sir W al - t e r Ci t r i n e , che è anche il presidente della Federazione Internazionale delle Trade Unions. Esso è un vigoroso appello alla classe lavoratrice britannica ed un invito a questa a tenersi pronta per i compiti della ricostruzione. Esso è anche un chiaro e diretto monito al governo ed alle classi dirigenti a prendere nota della situazione attuale e a non eludere le responsabilità del momento. Non soltanto questo appello e questo monito sono perfettamente tempestivi, ma essi si addìcono perfettamente anche a tutti gli altri paesi, lavoratori e classi dirigenti. «Dal principio di quest'anno in qua, è andato quotidiamamente aumentando l'interesse per quelli che saranno i nostri compiti nell'opera di ricostruzione del dopo-guerra e, rispettivamente, per la nostra opera di preparazione ad essi. Quando sarà finita la guerra non è possibile dirlo, ma è chiaro che non si può aspettare l'ultimo momento per iniziare una tale preparazione. Il ritorno alla pace dopo un conflitto delle dimensioni di quello attuale non potrà essere effettuato in un giorno. Anche dopo la sconfitta della Germania, la guerra contro il Giappone richiederà, probabilmente, non meno di qualche anno. Durante questo tempo la produzione delle armi e delle munizioni dovrà continuare, sebbene su scala ridotta. Parte dell'industria dovrà continuare a lavorare per la guerra. Bisognerà stabilire in quale misura ancora sarà necessario mantenere un controllo. Allorché la guerra contro il Giapone sarà finita ci troveremo di fronte ad un periodo di transizione. Durante tale periodo il governo dovrà conservare, una qualche forma di controllo sugli sviluppi dell'industria e dell'economia. Nella condizione nella quale ci troveremo non potrà essere questione di un precipitato ritorno alle iniziative private nel vasto campo dell'economia nazionale. Sarà il governo che dovrà stabilire come le risorse della nazione dovranno essere sfruttate e come distribuiti i suoi prodotti. E' opportuno ed urgente di esaminare fino a qual punto il movimento delle Trade Unions potrà esser influenzato da questa situazione. Le Trade Unions sono già state sottoposte a omneote di controllo. Esse hanno già compiuto gravi sacrifici: per aiutare lo sforzo bellico della nazione hanno consentito a modifiche ed a rinuncie ad istituzioni che esistevano da lunghissimo tempo. Lo sforzo della Nazione per raggiungere la pace non potrà non esigere sacrifici da parte della comunità, ma la cessazione dell'immediata minaccia alle nostre vite e alla nostra libertà farà sentire la propria influenza nel tono della risposta del proletariato. I tradeunionisti si rendono conto delle loro responsabilità non meno di chiunque altro. Essi hanno, inoltre, una chiara idea di quanto è richiesto da essi in quanto puntello dell'economia nazionale. Se si vorrà che il movimento accetti uno schema di ricostruzione che durante il periodo di transizione necessiti il sacrificio - anche se temporaneo - dei suoi diritti, sarà necessario che siano presi i più specifici impegni, sia da parte d~l governo che dei datori di lavoro. Per esempio, esiste il problema fondamentale dell'impiego totale della mano d'opera di cui tutti i piani più o meno realistici (come il piano Beveridge) con tanto interesse si occupano. Qualsiasi amministrazione può praticare l'impiego totale della mano d'opera, in un certo qual modo, facendo passare in seconda linea la libertà e gli interessi fondamentali delle masse popolari. I nazi, per esempio, risolsero il problema molto semplicemente, istituendo qualche cosa di simile ad un sistema di schiavismo. La nostra intenzione è di far si che i lavoratori abbiano un impiego totale nel senso di un lavoro pagato adeguatamente, con condizioni di vita sociale buone - come un'abitazione decente, delle vacanze pagate - e con pieno riconoscimento del diritto di dire la loro parola per quanto riguarda i prezzi medi e le altre condizioni delle paghe. Noi siamo perfettamente consci che il raggiungimento di un progresso economico e di un benessere sociale potrà esigere, nei suoi vari stadi, delle modificazioni ed in alcuni casi dei riadattamenti di sistemi che avevano avuto origine in condizioni di eccezione o di emergenza. Ma dichiariamo una volta per sempre che il movimento delle Trade Unions non rinuncerà mai a far uso dei poteri affidatigli e che non ne farà mai uso per uno scopo diverso da quelli che non siano gli interessi del popolo nel suo insieme. Il movimento delle Trade Unions non vuole compromettersi anticipatamente o prendere impegni per la sua azione avvenire nell'assenza di dati precisi relativamente alla politica governativa ed a quella degli altri partili. L'Italia nella fase di transizione Le forze del progresso Tra il partito socialista italiano e il partito comunista si è addivenuto ad un accordo per la lotta in comune in vista di un programma limitato. Per la direzione e la coordinazione di questa lotta è stato nominato u:i comitato composto da tre socialisti e tre comunisti e presieduta dal compagno Pietro Nenni, direttore del1' « A v a n t i » ! Alcuni commenti tendenziosi diffusi all'estero all'annuncio di questa notizia sono privi di ogni fondamento. II partito socialista italiano ha, fin dai primi atti della sua costituzione, definito come uno dei primi obbiettivi da raggiungere quello della unione del proletariato in un unico partito sotto l'insegna del socialismo. Infatti, nella dichiarazione politica del 25 agosto 1943 (paragrafo 6), pubblicata in «Libera Stampa» il 12 giugno di quest'anno) si legge: «Il P.S.I. intende realizzare nel suo seno l'unione di tutti coloro che, pur provenendo da diverse scuole politiche, sono giunti alle medesime condusioni pratiche, e riconoscono nella lotta di classe il mezzo per abbattere la borghesia capitalista, e nel Partito Socialista la organizzazione politica delle c 1 a s si I avo r atri ci.» Tutti coloro: chi? E' detto chiaramente nel paragrafo 4) della medesima dichiarazione: gli operai, i contadini, i braccianti, i piccoli proprietari, i ceti minori della borghesia produttrice e impiegatizia, i giovani studiosi, i professionisti e gli artisti. Quello che importa rilevare - per porre la notizia nelle sue vere proporzioni - è che tale comitato rappresenta l'attuazione dell'accordo, contenuto nel patto di unità di azione fra i due partiti del 2 5 a g o s t o 1 9 4 3 , secondo il quale si era convenuto tra l'altro: «di c re - are un comitato permanente di unità d'azione il quale elabori sui problemi politici e sociali, che via via si presentavano alla classe lavoratrice, una piattaforma comune di lotta dei socia- ! i s ti e de i com un i s ti». L'indirizzo politico del partito comunista nei confronti dei cattolici è nuovamente affermato in un articolo del Ministro Togliatti sulla «Unità» dell'8 corrente. Dopo aver premesso che «la offerta di collaborazione politica è stata .fatta nGn al!a Cbic::;a, rr..a ac? U!l partite, cioè alla democrazia cristiana», Togliatti dichiara che i comunisti non hanno tuttavia nessuna difficoltà a «allargare il dibattito fino a comprendere i rapporti più generali colla coscienza cattolica». La collaborazione a cui mira il partito comunista, egli spiega, è intesa ad impedire che «le caste dirigenti reazionarie italiane possano comunque riprendere ad esercitare un predominio politico» cioè a rendere impossibile un ritorno del fascismo. Vi è qualche cosa nell'orientamento politico della democrazia cristiana, domanda Togliatti, vi è qualche cosa nella coscienze. cattolica che faccia ostacolo ad una azione disciplinata e concorde di tutte le masse popolari per evitare che si ritorni a questo predominio di caste reazionarie, cioè che si ritorni al fascismo? Se qualcosa vi è, lo si dica, ma non si dica che noi, proponendo di unirci tutti allo scopo di distruggere per sempre il fascismo ed impedirgli di risorgere, meditiamo il danno e la rovina della religione. Quanto poi al rilievo, prosegue Togliatti, secondo cui noi diremmo una cosa ma ne sottintenderemmo un'altra, esso non ha nessun valore. Si può tacciare d'ipocrisia un individuo, ma non un movimento che tra poco abbraccerà e dirigerà milioni di donne e di uomini onesti e combattivi. Anche però supposto che noi fossimo così pazzi da voler ingannare queste masse, questa sarebbe, se mai, una ragione di più per prenderci in parola. Togliatti conclude ricordando ai cattolici quello che Dimitroff a nome dei comunisti disse nel 1935 ai socialdemocratici: «Facciamo l'unità, e se poi risulterà che per noi è solo una manovra, saremo noi che pagheremo l'inganno colla perdita del nostro prestigio fra le masse.» PAGINE SOCIALISTE E' uscito: DOCUME 1TI DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO A gioroi usciranno: POLITICA E AZIONE SOCIALISTA IL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO Al LAVORATORI E Al GIOVA I D'ITALIA I compagni e i simpatizzanti che desiderano ricevere gli opuscoli inviino le loro richieste a «LIBERA STAMPA·, LUGA O

Bi L'Italia di domani Nel settembre del 1941, nella collezione P e n - g u in b o o le s , venne pubblicato a Londra un libro: T h e Rema le in g o/ I tal y di Pentad. L'editore in prima pagina avvertiva: «Gli autori di questo libro, come è indicato dal loro pseudonimo, sono cinque. Essi sono attivamente impegnati nella lotta di liberazione dell'Italia dal giogo /ascista e tedesco, e per questa ragione i loro nomi non debbono essere divulgati. Ma possiamo dire che quattro di loro sono nati in Italùi e rappresentano i diversi aspetti della vita italiana: uno è lombardo, uno veneto, uno siciliano e il quarto emiliano. A loro si è unito un u/ficiale inglese, che ha ricordato l'aiuto dato dall' Inghilterra al primo Risorgimento dell'Italia.» Nella stessa collezione il libro è poi stato pubblicato nel 1942 in una traduzione italiana col titolo «L'Italia di domani». Neppure noi conosciamo il nome degli autori che si celano dietro lo pseudonimo di Pentad, ma ci sembra che il libro, pur nella sua breve mole, sia uno dei migliori stampati negli ultimi anni sull'argomento. Le prime quattro parti hanno, oggi, un minore interesse. Riproduciamo dai capitoli consacrati alla ricostruzione i pensieri che seguono. Eliminazione dei prhilegi Le forze reazionarie che hanno sbarrato in Italia la strada alla liibertà sono la monarchia, il grande capitalismo ed alcune sezioni della chiesa cattolica. La monarchia sabauda, sotto la cui egida si compiè l'unità politica del popolo italiano ebbe larga popolarità ed ad essa aveva finito coll'aderire anche la maggioranza di coloro che durante le lotte del Risogimento avevano parteggiato per una soluzione repubblicana. Tuttavia, dopo l'esperienza fascista, il distacco tra la monarchia e il popolo è diventato evidente ed incolmabile. Invece di ostacolare il cammino della dittatura, il re e gli ambienti di corte lo hanno agel'anima, sono le sole garanzie per una vita che voglia essere cristiana non nelle forme esteriori, ma nella coscienza libera di tutti gli italiani. Infine toccherà alla riorganizzazione economica del paese fare crollare una volta per sempre la terza colonna del privilegio, costituita dal capitalismo individualista, industriale ed agrario. Non si può pensare di ritornare puramente e semplicemente al sistema economico anarchico che si è dimostrato fonte di crisi, di lotte di classe e di guerre. Perciò la nostra riforma prevede il trasferimento della proprietà dei mezzi di produzione ai lavoratori (non allo stato) e un sistema di organizzazione della produzione nazionale che però non è burocratico. Il rimedio è eroico, tna l'economia italiana, alla caduta del fascismo, sarà in condizioni fallimentari e nessun rimedio che non fosse eroico potrebbe salvare il popolo dalla fame e da una crisi che si protrarrebbe per anni. Non ci facciamo nessuna illusione che l'applicazione delle nostre proposte possa fare sparire d'incanto la miseria, ma riteniamo che esse possano avviare il nostro paese verso una maggiore e più rapida prosperità, eliminando ad un tempo alla radice l'ingiustizia dei privilegi del danaro. L'espropriazione delle terre e delle fabbriche darà luogo ad una indennità a favore del capitalista espropriato. Tale indennità è soggetta ad un limite massimo dettato tra l'altro dalla considerazione che l'economia italiana non è in grado di pagare agli espropriandi l'intero valore dei beni espropriati. Nessuna indennità è invece prevista a favore dei responsabili del fascismo, perché sono essi i colpevoli della tragica situazione italiana, i responsabili della disorganizzazione industriale, coloro che mentre la nazione moriva di fame hanno accumulato ricchezze colossali a trattenere le quali non hanno né moralmente né giuridicamente alcun titolo. volato e hanno legato il loro destino a quelli La riforma politica delle forze più reazionarie della nazione. La monarchia ha infranto il giuramento solenne La riforma s'inizierà con la restaurazione di mantenere la costituzione e la forza della della libertà di associazione, di organizzazione legge e alienata la libertà di cui il popolo professionale e di stampa e con la sostituzione italiano l'aveva fatta suprema tutrice. della milizia e della polizia fascista con una guardia repubblicana. Indi, la nuova costituIn politica estera il re non ha esitato a san- zione politica mirerà ad organizzare la partezionare l'alleanza dell'Italia con il nazismo e cipazione del popolo all'amministrazione della la conseguente guerra contro le democrazie, e cosa pubblica nella forma più attiva e più varia si è infine macchiato dell'ultima infamia bran- possibile, si che abbia a scomparire ogni dendo la spada di Maramaldo contro la Francia traccia di psicologia fascista e sia rapida la e conducendo la nazione nell'abisso della do- rieducazione politica degli italiani che tanti minazione germanica. anni di dittatura hanno distolto dal governo Carica di tanti peccati, la monarchia ha del loro paese. ~ perso tutta la sua popolarità e ha attirato A tale scopo sarà operato un vasto decentrasopra di sè l'odio universale dell'antifascismo, mento dei pubblici poteri in modo da lasciare che non può a meno di ritenerla responsabile al governo centrale la cura dei soli interessi delle sventure che hanno colpito l'Italia in che riguardano la totalità del popolo, come questi ultimi anni. Essa non offre più nessuna l'amministrazione della giustizia, la sicurezza garanzia e non riscuote più la fiducia di alcuno. del paese, le comunicazioni ecc. Né è pensabile una abdicazione di Vittorio Ma non tutti i problemi di una nazione sono Emanuele III a favore del figlio e del ramo problemi centrali ed uniformi, e questo è particollaterale degli Aosta. Il principe ereditario colarmente vero per l'Italia, dove le tradizioni non ha agli occhi degli italiani né il prestigio e i costumi sono differentissimi da regione a morale, nè intelligenza politica che avrebbero regione e diversi i problemi ed il livello econopotuto fare di lui il portabandiera di un rinno- mico, specialmente tra il nord e il sud della vamento. La sua vita privata è caratteristica penisola. per la frivolità e i facili amori; la sua vita pub- Una costituzione francamente federale, sul 1 blica, non meno di quella paterna, è piena di atti di condiscenden,za verso il regime fascista, tipo di quella cantonale svizzera, è stata consigliata ed avrebbe tradizioni profonde nella di cui ha patrocinato le imprese con la presenza e col nome ed innalzato il prestigio con atti di st0 ria della penisola e nel pensiero dei suoi uomini politici. pubblica adesione. Naturalmente non si tratterrebbe di far riQuanto agli Aosta, basterà rico rd are che essi vivere le circoscrizioni dei vecchi stati italiani, sono stati fino dall'inizio a capo della camarilla di corte che ha influito decisamente sull'at- ma piuttoS t o di favorire il raggruppamento per libera scelta ed elezione di varie provincie tra teggiamento della monarchia a favore del loro, secondo l'affinità dei problemi e degli fascismo. interessi locali. E tali raggruppamenti dovrebLa successione degli Aosta con il loro pieno ibero avere i propri consigli ed il proprio eseconsenso, è stata minacciata a più riprese da cutivo e godere dellà massima autonomia conMussolini per piegare le ultime resistenze di un sentita dagli interessi generali della nazione. re senza carattere e senza forza morale. Il criterio della competenza degli enti regioIl popolo italiano non aveva sentimenti nali potrebbe essere trovato nello stabilire non monarchici al di fuori di quelli che lo legavano già quello, che essi sono autorizzati a fare, ma alla casa di Savoia, e che discendevano dalle piuttosto quello a cui non sono autorizzati, in tradizioni e dai ricordi della lotta per l'unità modo da lasciare a loro mano libera di speridurante il Risorgimento e non esiste nessuna mentare, al di fuori di quanto è riservato al altra dinastia che possa prendere il posto la- governo centrale. sciato libero dalla monarchia sabauda. Certo è che quello che gli abitanti del luogo La nuova costituzione repubblicana sarà possono fare per risolvere i loro problemi, con quindi insieme atto di necessità e di legittima la coscienza della comunità dei propositi e il difesa. vigore dell'opinione locale, è di più e di meglio Con essa una delle colonne del privilegio e di quanto non possa fare un potere centrale, della reazione cadrà infranta. lontano e non parimenti informato degli La seconda delle forze reazionarie contro cui interessi particolari. Un potere centrale che tende, per forza di cose, all'uniformità e albisognerà purtroppo combattere è costituita, l'applicazione di regole uguali a differenti come già detto, da certi ambien.ti del cattolice- circostanze. simo che hanno troppo a lungo avuto il sopravvento e che hanno tanto compromesso il nome Esula dal nostro compito dare un piano di cristiano e di cattolico. La «diplomazia vati- particolareggiato della costituzione amminicana», l'amore per il «quieto vivere» e i tanti strativa del futuro stato italiano, ma importa legami con cose che di cristiano e di cattolico mettere in luce la necessità di assicurare al non hanno neppure l'ombra, hanno contribuito popolo la massima diretta partecipazione alla a mantenere al fascismo vita e «aiuto morale». risoluzione dei suoi problemi sia generali che L'eliminazione di questi sistemi e di questi particolari. Perché quanto più grande è la legami troverà consenzienti tutte quelle forze partecipazione dei cittadini nella formulazione veramente cristiane, veramente cattoliche le delle leggi, tanto maggiore è il loro rispetto quali sanno dove attingere per la loro vita per esse e più pronta la reazione contro l'ilmorale e religiosa e sanino che una giusta legalità. democrazia, una lotta contro i privilegi delle Infine, il fatto di essere consultato frecaste contro l'inschiacto del corpo dea quentemente, dà al cittadino il senso di essere • qualche cosa nello stato e lo obbliga a formarsi una opinione intorno ai pubblici problemi. E tutto questo insieme di circostanze concorre ad educare alla libertà e a formare il cittadino. Saranno naturalmente ricostituiti i Consigli comunali e provinciali, eletti a suffragio universale, allargata la loro competenza e affermata la loro indipendenza dal governo centrale. Prima del fascismo, capo del comune era il Sindaco, carica elettiva abolita dalla dittatura che sostituì il Sindaco e il Consiglio comunale col Podestà di nomina governativa. A capo della Provincia invece, anche prima del regime fascista era un funzionario di nomina regia, il Prefetto, che, anche prima della dittatura, esercitava interferenze non sempre legittime né sempre disinteressate sull'amministrazione locale. Coll'avvento della dittatura Podestà e Prefetti sono divenuti gli strumenti più diretti e più efficaci della prepotenza della oligarchia al governo e gli organi legali attraverso i quali si esercita l'illegalità. La nuova costituzione italiana abolirà Prefetti e Podestà e attribuirà ai Consigli comunali e provinciali il potere di eleggersi i loro organi esecutivi. Il controllo di legittimità delle deliberazioni dei Consigli comunali e provinciali sarà deferito alla magistratura ordinaria. Al potere giudiziario dovrà essere restituita la più completa indipendenza dall'esecutivo e ai giudici la garanzia dell'inamovibilità. La sfera di competenza della magistratura ordinaria sarà allargata, deferendosi ad essa tutte le controversie tra enti pubblici e tra questi ed i privati che sono attualmente devolute a magistrature speciali facilmente soggette alle influenze pontiche. La giustizia dovrà essere resa gratuitamente, perché è il primo dovere dello Stato provvedere a far rispettare le leggi. Le spese di giustizia, che tra l'altro sono state subdolamente difese come un freno alla litigiosità, costituiscono un vero privilegio delle classi più abbienti. Un freno alla litigiosità potrà, caso mai, trovarsi nelle multe da imporsi alle parti che intentano liti temerarie. L'Assemblea Legislativa, eletta a suffragio universale segreto, manterrà i caratteri e le funzioni dei parlamenti democratici di modello inglese. Essa sarà la suprema regolatrice degli interessi spirituali e politici dell'intera collettività italiana. Ma poiché la riforma economica del paese prevede la socializzazione di certe industrie, la fine del capitalismo individualista e un piano organico di produzione, a fiianco dell'Assemblea politica sarà duopo porre un altro organo, anch'esso di carattere nazionale, cui sarà affidato il compito di tracciare un piano di ricostruzione economica del paese, di dare le direttive fondamentali della produzione e di coordinare fra di loro le varie attività economiche del paese. I membri di tale assemblea saranno scelti elettivamente e per un periodo limitato, in modo da rappresentare tutte le categorie economiche della nazione, tecnici, operai, agricoltori, impiegati, professionisti. In tal modo sarà evitato la costituzione di una burocrazia statale autoritaria, talora incompetente e che comunque non può mai «sentire» i problemi come chi è parte viva e interessata di essi. Il potere esecutivo, esercitato da un presidente della repubblica e dai ministri designati dall'Assemblea legislativa, sarà responsabile del suo operato verso di questa e, per quanto riguarda la legittimità formale dei suoi provvedimenti, anche verso il potere giudiziario. Edizioniitaliane del Partito Socialist.aSvizzero PRIMA SERIE: ~ Liberare e federare!~ f Olindo Comi: SOCIALISMO FEDERALISTA Fr. 1.- 2 Carlo Ro:uelli: PROFILO DI FILIPPO TURATI • 0.60 3 Piero Gobetti: PROFILO DI MATTEOTTI • O.SO 4 Walter Flieu: L'ECONOMIA DELL'EUROPA I FEDERATA . . . . . . • 1.- 5 Utinam: CENNI E CONSIDERAZIONI SUI MONOPOLI INDUSTRIALI • 0.40 SECONDA SERIE: Memorie f • Uno di allora•: L'ASSASSI IO DI MATTEOTTI Fr. 0.60 Deposito generale e vendita: •Edizioni dell'Avvenire dei Lavoratori• Conto postale Nr. VIU126305 Casella postale 213 Zurigo 6 - Militiirstrasse 36 VARSAVIA 1939 Noi non crediamo più alle vostre parole né a quelle che ci /urono care una volta. Il nostro cuore l'ha mangùito chi ha fame il sangue l'han bevuto le baionette. Noi non crediamo più ai dolori alle gioie eh' erano solo nostre ed erano sterilt. La nostra vita è nelle mani ai /ratelli e la speranza in chi possiamo amare. Noi non crediamo più agli dei lontani né agli idoli e agli spettri che ci abitano. La nostra /ede è la croce della terra dov'è croci/ isso il / igliuolo dell'uomo. 1943 E dopo verranno a ingannarti ancora una volta a contarli a insegnarti a mentirti. E dopo verranno uomini senza cuore a urlare /orte libertà e giustizia. Ma tu ricorda, popolo ucciso mio: Libertà è quella che i santi scolpiscono sempre per le caverne per i deserti in se stessi statua d'Adamo /aticosamente. Giustizia è quella che nel poeta sorride bianca vendetta di grazia sulla morte. Le mie parole che non ti danno pane le mie parole per le pupille dei figli. POESIA. 1944 Sulla rivista «Traits» di Losanna ( aprile 1944) leggiamo in un articolo dell'inglese Stephen Spender, «La guerre et l'expérience poétique en Angleterre et en France»: «Per la prima volta da molti anni (in Francia come in Inghilterra} il poeta non si sente più un essere a parte, che accede a realtà più profonde, ignorate dalla comune degli uomini; crede invece che la poesia è il mezzo più diretto e mani/estamente il più proprio ad esprimere quel che vivono oggi gli uomini. E'questa la ragione per cui in Inghilterra i giovani scrittori d'ingegno - che, dieci anni /a avrebbero scritto romanzi o magari diatribe politiche - si volgono quasi tutti verso la poesia ... » L' A. vede in tre attitudini fondamentali della esperienza poetica moderna (Romanticismo, cioè indipendenza del poeta dalla civiltà contemporanea; /uturismo, cioè simbolismo della macchina; surrealismo, cioè superamento pseudo-rivoluzionario della civiltà meccanica) un «disaccordo tra i valori poetici e i valori secondo i quali la maggior parte degli uomini vivono ed organizzano la loro vita». Divergenza che - egli scrive - sembra esser scomparsa dalla vita profonda della Francia. La vastità della catastro/e, rovesciando valori e rapporti sociali, /a si che il «centro del mondo poetico coincida di nuovo con i sentimenti più pro- / ondi della società». I poeti riacquistano una libertà espressiva, una fiducia nel prossimo e nel pubblico che sembrava definitivamente perduta. Aragon - che indubbiamente sta divenendo un simbolo e un punto di ri/erimento per molta parte della letteratura europea - Emmanuel, Eluard, ]ouve (su quest'ultimo nome faremmo qualche riserva) sono la poesia /rancese orientata in questo senso, voce della guerra «comune» e della guerra «solitaria» ( quella cioè che si /a per di/endere «la causa del mondo che attende l'ora di nascere» e per la quale - scrive l' A. - sarebbe necessario un poeta della statura di Leopardi). In Inghilterra, Comfort, Hendry, Treece. L'importanza di questo studio ci sembra tanto più rimarchevole in quanto non si trat.ta di un ennesimo «richiamo all'ordine», o ad una generica «umanità del poeta», né di una esempli/icazione elogiativa di scrittori di sinistra ( sebbene Malraux e i poeti della Brigata Internazionale spagnuola abbiano segnata la via di quelle che sono le attuali conquiste «collettive» della poesùi); ma un indice posto su di un fatto nuovo, indubbio: la poesia sta per diventare, è già divenuta, un mezzo espressivo e comunicativo assai più vasto di quel che siCLstato per le generazioni di jeri. Gli uomini parleranno e ascolteranno, in termini di poesia, liberati in parte dalla esasperata storicità del romanzo e da una psicologia i cui specchi di Narciso incantati sono andati in /rantumi sotto la violenza di spostamento d'aria di questa catastrofe. Non si tratta di una fittizia «letteratura di guerra» - olfatto. Ma di un autentico sentimento nuovo della ragion poetica. Chi può, si avvicini all'opera di questi poeti, che han sofferto, sperato e scritto «per gli altri». Forse, anche in Italia, c'è chi cerca le nuove parole che sono nel cuore dei compagni. « Sperano altri che un popolo straniero ci conquisti per darci la libertà: ed è questa delle ut.opie la più assurda e codarda ad un tempo stesso. La libertà ottenuta in dono non potrà essere che condizionata quindi mutilata. La libertà deve non solo conquistarsi ma conquistarsi senza aiuti. » CARW PISACANE ( dal « Saggio sulla Rivoluzione ») . i

Anno XXXV (nuova serie) N. 16 L'AVVENIRE DEI LAVORATORI Zurigo, 31 Agosto 1944 Il pensiero federalista di Carlo Cattaneo I. Fu soltanto - se io mal non ricordo - dopo l'insurrezione di Milano e dopo le delusioni che ne susseguirono, che Carlo Cattaneo parlò per la prima volta, esplicitamente, di federalismo. Ne parlò alla fine della vigorosissima, se non del tutto spassionata, disàmina che, all'inizio del suo lungo esilio, fece di quell'eroica azione di popolo, delle cause che l'avevano preparata, e delle circostanze nelle quali era stata soffocata. Ne parlò - o, per meglio dire, al federalismo accennò - in una forma, e con una formula, amplissima. ' Cosi diceva, infatti, additando il «puro modello americano» sul quale, a suo avviso, si sarebbe dovuto ricostruire l'edificio europeo, e prevedendo la dissoluzione dei «fortuiti imperi» in forza del principio di nazionalità, e la loro trasformazione «in federazioni di popoli liberi»: «Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d'Europa.» Un paio d'anni appresso, nelle considerazioni finali del primo volume dell' A re h iv i o T rie n n a 1 e, ribadiva la prògnosi e l'augurio, osservando « l'oceano agitato e vorticoso della politica», e presagendo che le sue correnti, pur cosi parie, non potessero tendere se non verso due capi: «o l' A u t o c r a t a d' E u r o p a , o g 1 i S t a t i U n i t i d'E u - r op a». Il merito di avere per primo, almeno tra gl'Italiani, osato esprimere un auspicio di cosi vasta e di cosi lunga portata, - egli, uno studioso, che preferiva di consueto le analisi severe ai voli suadenti della fantasia, - era riconosciuto al Cattaneo anche da Giuseppe Mazzini. Carlo Cattaneo, che, fin da quando commentava i primi documenti da lui pazientemente raccolti nel suo A r c h iv i o T r i e n n a 1e , era già in !svizzera, negli ordinamenti di questa libera terra ospitale, ch'egli considerò come la sua seconda Patria (e non se ne volle più dipartire) trovò, pei vantaggi che gli stessi offrivano all'educazione politica ed al benessere dei cittadini, la riprova della bontà dei suoi principi federalistici. Ai quali rimase costantemente fedele, non tralasciando occasione di riaffermarli, sia quale convinzione teorica, inanellata, come vedremo, alle altre sue, sia in linea di applicazione pratica. Ma se l'esempio svizzero, di cui egli ebbe agio di osservare da vicino l'effettivo svolgimento e gli effetti, gli potè offrire il paradigma per le riforme radicali, che ammirato quasi sempre, seguito quasi mai, - patrocinava anche per il proprio paese, - i germi dell'idea federale erano sbocciati nel suo pensiero prima ch'egli prendesse stabile residenza nel Canton Ticino. Esagerava certamente il Rovani allorché, nel 1858, manifestava, se pure in forma dubitativa, la supposizione che «la teoria della federazione politica» cominciasse «ad allignare nel Cattaneo» quando, nelle discussioni su la lingua italiana, aveva dichiarato essere fonti della lingua comune <<i dialetti tutti d'Italia, a differenza di quelli che volevano la nostra lingua fosse attinta alla sola Firenze». Ma è certo che il Cattaneo, il quale nel 1862 scriveva argutamente d'essere «federa 1e anche nei su o i studi»,-tutti sanno, infatti, con quanto amore egli tornasse ad occuparsi, in quell'epoca, della negletta Sardegna, - è certo, dico, che anche prima delle Cinque Giornate, allorquando egli, che poi doveva essere l'esponente, e quasi il simbolo, dell'intransigenza repubblicana, poteva a taluni sembrare un c o d in o , era animato dal principio federalistico nell'anteporre all'indipendenza dallo straniero l'aspirazione alla libertà, e si sarebbe magari accontentato, per il momento, di larghe autonomie dei vari Stati dominati dagli Austriaci. Laddove Giuseppe Mazzini, dal giorno in cui, nella cella di Savona, ebbe l'intuizione di un'Italia repubblicana, una ed indipendente, iniziatrice di nuova vita in Europa, consacrò tutto sè stesso, pensiero ed azione, a tradurre in realtà il suo grande sogno giovanile ( «questo chiodo d'Italia - egli scriveva una volta alla madre - m'è destinato da Dio, nè potrei, anche volendo, liberarmene»), per il pacato ed austero intelletto del Milanese la libertà, ch'era lo stesso principio d'individuazione delle persone, singole e collettive, fossero queste ultime le regioni d'uno Stato, fossero gli Stati d'un continente, e che doveva coltivarsi e rinvigorirsi con l'educazione, e rappresentare la guarentigia dello sviluppo e del benessere d'ognuno nell'armonico progresso comune, poteva e doveva avere, nella gerarchia delle idealità sociali, la priorità di fronte alla stessa indipendenza. Còmpito arduo, ma anche ozioso, il discutere quale, tra codeste due idealità del Risorgimento, meritasse di trionfare per prima. Se, in luogo dell'unitarismo, predicato con incrolla- ~e costanza e nono.st~t ogni del~one. dà) Mazzini, ma att ato"'J)01, er orbun~ come - <lenza di circostanze, dall'ordito, audace e paziente insieme, d'un geniale ministro della monarchia, dalla leggendaria bravura e generosità d'un condottiero di popolo, dalla gagliarda ambizione d'una casa regnante, fosse prevalso il federalismo democratico, patrocinato, ma non abbastanza attivamente predicato da Carlo Cattaneo, e da pochi altri con lui, l'indipendenza nazionale si sarebbe raggiunta in Italia, probabilmente, assai più tardi. Ma le libertà, che fossero state conquistate dalle energie consapevoli di tutto un popolo e presidiate dall'educazione diffusa in tutto il popolo, come il Cattaneo insegnava ed avrebbe voluto, sarebbero state, indubbiamente, più sicure. II. La ventennale permanenza in !svizzera, durata, con fugaci interruzioni, dall'indomani, si può dire, della dolorosa sconfitta dell'insurrezione milanese, fino alla morte che troncò la multiforme operosità di Carlo Cattaneo (or sono esattamente tre quarti di secolo) nell'amata solitudine di Castagnola, rafforzò in lui le convinzioni federalistiche. Ma egli, che aveva sortito da natura un ingegno, se pur mirabilmente assimilatore e cosi acuto da penetrare al fondo di molti problemi, storici ed economici, filologici ed agrari, troppo tuttavia curioso e di troppo disparate materie per poter stampare incancellabile la propria orma nell'una o nell'altra di esse (e ciò gli era cagione di rammarico nei suoi ultimi anni), non lasciò una trattazione organica neppure del federalismo, che fu indubbiamente uno dei principi prediletti del suo pensiero politico ed uno dei motivi fondamentali ricorrenti in tutta quanta l'opera sua. Anche per conoscere, dunque, quali fossero le sue idee su tale problema, come su tanti altri, bisogna cercare pazientemente gli spunti ch'egli vi ha dedicati qua e là, e non soltanto in lavori destinati alla stampa, ma altresi in lettere private che, in varie epoche e circostanze, egli diresse a questo od a quello dei suoi amici. Vero è che il Cattaneo non tralasciò occasione di esprimere e di ribadirei, a proposito dei più svariati argomenti, tale sua fede politica, la quale - come vedremo ben presto, - trovava i propri fondamenti in quella sua concezione generale della vita e della storia, che in un certo senso, potremo anche chiamare la sua filosofia. Cosi, per esempio, nell'analizzare un'opera del Thierry, osservando come l'Italia potesse « chiamarsi la culla della borghesia», - cioè di quell'« ordine cittadino», al quale apparteneva egli stesso, e che, come dice altrove, « partecipando nel medesimo tempo alla fatica, alla cultura e all'agiatezza, forma il nervo della nostra nazione » - e notando come « solo considerata sotto questo aspetto la storia italiana possa acquistare un carattere razionale », egli, pur deplorando che il nostro paese non avesse saputo costituirsi in nazione indipendente, e che, nel secolo XVI, i nostri piccoli centri politici cadessero all'urto delle nazioni straniere già composte ad unità e lottanti per il predominio dell'Europa, « è singolare conforto - aggiungeva - il pensare che quelle piccole repubbliche italiane erano rispetto al resto d'Europa un modello di civiltà e di sapienza politica». E lo storico eminentemente dotato che egli era, il quale doveva poi additare 1a città ... e o me principi o i d e a 1e d e 11e i s t o r i e i t a 1i a n e , - la città, in cui la vita municipale era « più intera, più popolare, più culta », fin dal 1848 aveva scritto che la « natura italiana» è « indelebilmente municipale e federale». Ma che il suo federalismo non fosse un gretto municipalismo, conservatore non già d'intimamente care glorie e tradizioni avite, bensi di privilegi, gelosie, rivalità incompatibili col progresso dei tempi, e fosse, invece, una forma d'unità, « la sola unità possibile in Italia», cioè in « una famiglia unita colla lingua, colla fratellanza, cogli interessi e sopratutto coll'amicizia, con un'amicizia non arrogante né avara», il Cattaneo, diede (amo ridirlo) una prova eloquente, oltre che coi suoi attenti, ripetuti studi su la Sardegna, ingiustamente dimenticata dai più, con le ragionate provvidenze ch'egli invocava per la nobile isola, la quale oggi ancora lo ricorda come uno dei più fedeli e sicuri amici ch'essa abbia avuto sul continente nell'epoca del Risorgimento nazionale. Per fare un altro esempio, tratto da un campo diverso, quello degli studi e dell'insegnamento superiore, egli, fedele al suo metodo di anteporre le induzioni prudenti, l'analisi, la divisione del lavoro, alle deduzioni dai principi aprioristici ed alle sintesi affrettate, come, nel riflettere su le condizioni della Francia e sui pericoli annidati nelle cagioni stesse della sua potenza, segnalava, tra questi, « l'unità prefettizia, l'unità universitaria », inevitabili conseguenze di quel principio della « centralità», che il Richelieu aveva mutuato dal secolo di Costantino, cosi, anche per l'Italia, insorgeva con,tr € niversità « tagliate sul letto unitario di Procuste » ed invocava la specificazione delle singole Facoltà. E quando, pregato dal Matteucci di esprimere il proprio parere « sul riordinamento degli studi scientifici in Italia», nella sua critica riformatrice spezzava una lancia in favore della divisione del lavoro, anche scientifico, cioè in pro dell'analisi, egli diceva proprio a tale proposito: « la sintesi sarà l'Italia; la sin tesi non è la ripetizione, non è l'uniformità; ma è la più semplice espressione della massima varietà ». Ma, com'è naturale, il campo nel quale più spesso e con risolutezza ancora maggiore il Cattaneo affermò i suoi convincimenti federalistici, fu quello più particolarmente politico. Se non che, politico a contraggenio, alle spicciole diatribe della politica egli preferiva di gran lunga la serenità degli studi, e credeva di meglio promuovere la causa del progresso, sia in Italia sia in !svizzera, con l'esame accurato dei vari problemi e coi consigli che prodigava negli scritti che andava via via pubblicando nell'uno o nell'altro dei periodici da lui iniziati od ai quali collaborava, che non col partecipare attivamente alla vita pubblica. E poiché (com'egli scrisse una volta, argutamente) « non v'è religione senza predicatore», è fuor di dubbio che alla diffusione dell'idea federalistica, quale il Cattaneo la intendeva, - come lo si può desumere dalla sua condotta rettilinea e dal suo pensiero, anche se manifestato soltanto occasionalmente e non mai organicamente sviluppato, - nocque la scarsissima propaganda. Se, come si accennava nel precedente paragrafo, prima del Quarantotto egli si sarebbe acconciato per la Lombardia, ad un assetto federale anche sotto lo scettro della Casa d'Absburgo, tale soluzione poteva vagheggiare non soltanto perché, avanti la gloriosa primavera di quell'anno, « un insorgimento di popolo (com'egli scrisse) non pareva ... la prima cosa a cui pensare», ma soprattutto perché, sperando di tenere gli Austriaci « nel duro e spinoso campo della legalità », confidava che anche il proprio paese, il quale da non molti decenni si stava ridestando a nuova vita economica ed intellettuale, si potessa avviare « alla libertà per una serie di franchigie, come accadde in Inghilterra e, altrove ». Decisamente e palesemente repubblicano fin aa quando, sollecitato ed acclamato ad essere uno dei capi della generosa insurrezione di popolo, seppe resistere, non pure alle minacce austriache che alle lusinghe piemontesi, - anche e soprattutto perché, come vedremo meglio in seguito, la federazione, corollario logico del principio di libertà, trovava nella repubblica la sua più coerente applicazione, - il Cattaneo, però, intelletto più comprensivo del Mazzini, seppe vedere più acutamente di questo, nel decennio che doveva intercorrere tra le delusioni del 49 e la liberazione della sua Lombardia, le ripercussioni che avrebbe avute anche sulla politica italiana la spedizione di Crimea, e la portata di quella, che il Genovese chiamò la « guerra regia » sabaudonapoleonica, l'una e l'altra preparate dal genio diplomatico del conte di Cavour. Il quale, se pur seppe trarre abilissimamente profitto dalla infaticabile propaganda unitaria del Mazzini, propaganda che, date le condizioni del paese, doveva (direi, fatalmente) sboccare in un trionfo della monarchia, come tempra positiva d'ingegno era assai più vicino a quello del repubblicano federalista, da lui egualmente avversato per ragioni politiche. Ma, ripeto, il Cattaneo, appunto perché, come il Cavour, intelletto tutt'insieme realistico e lungimirante, aveva veduto come la guerra di Crimea, alla quale, inascoltato, animava Carlo Pisacane a partecipare, fosse « il preludio » di quella « ricostruzione militare d'Italia», ch'era interesse del nuovo, ambizioso impero di Napoleone ID (il « napoleonismo » - egli diceva, - « ha le sue proprietà, come il triangolo e il circolo »), e nel 1859 incitava gl'Italiani, anche se repubblicani, a combattere: « chiunque sta contro l'Austria, - diceva, con eloquente anacoluto, - non badate a scrupoli, con quello potete in tutta coscienza star voi ». Nel 1860, tosto che Garibaldi ebbe compiuto la meravigliosa liberazione del Mezzogiorno, parve per un istante che le idee federalistiche del Cattaneo potessero trovare un principio di attuazione. Egli scriveva, il 18 luglio di quell'anno, a Francesco Crispi: « La mia formula è Stati Uniti, se volete Regni Uniti; l'idra di molti capi che fa però una bestia sola. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua. Le provincie sin qui annesse non sono per nulla soddisfatte del governo generale, e in breve tempo si avranno rancori profondi e gravi danni. I siciliani potrebbero fare un gran beneficio all'Italia dando all' a n n e s s i o n e il vero senso della parola, che non è a s s o r b i - m e n t o. Un gregge non è una pecora sola ... Congresso comune per le cose comuni; e ogni fratello padrone in casa sua. Quando ogni fralello ha casa sua, le cognate non fanno liti. » E' noto che, cedendo a ripetuti inviti, il Cattaneo lasciava nell'autunno la studiosa pace di Castagnola e si recava a Napoli presso Garibaldi. Ma è pur noto che, dopo un breve soggiorno colà, egli se ne parti, disperando oramai del trionfo delle sue idee. Gli è che, dopo che Garibaldi aveva (secondo il pungente verso dannunziano) « donato un regno al sopraggiunto re», i Piemontesi o, per dir meglio, i sistemi burocratici quasi necessariamente accentratori della monarchia dovevano prevalere anche nel debellato Mezzogiorno. Altre poderose cause concomitanti spiegano la nuova « sconfitta » del federalismo cattaneano in quell'epoca ed in quelle circostanze. Le ha sintetizzate Gaetano Salvèmini in due pagine, che sono, forse, le più felici della sua introduzione all'eccellente scelta cattaneana da lui curata. I liberali del Mezzogiorno, egli spiega, con le sole loro forze non potevano tenere il paese, agitato dalle rivolte dei contadini, ed i vecchi impiegati borbonici dovevano essere sostituiti o quanto meno controllati da funzionari che non fossero infeudati al vecchio regime, ed avessero esperienza amministrativa: sicché l'accentramento rappresentò la sola forma sotto la quale l'unità nazionale apparisse agli occhi di quei liberali. Alcuni di questi, poi, fra i più autorevoli e migliori, imbevuti com'erano della teoria politica hegeliana che idealizzava lo Stato, scambiavano per una necessità immanente quella che non era, tutt'al più, se non una passeggera opportunità. E sarebbe stato improvvido il dare in mano il fucile - per costituire la nazione armata, legittima conseguenza dell'idea federale, - a popolazioni nelle quali la natura stessa del terreno, la scarsità di comunicazioni, il deficiente sentimento di appartenenza ad una gran patria comune, il predominio di un clero malfido, potevano far rincrudire facilmente il brigantaggio. D'altra parte - nota lo stesso insigne storico - nelle file medesime della democrazia la propaganda unitaria mazziniana discreditava le teorie federalistiche (si, amico Salvèmini, ma non dimentichiamo che proprio a Napoli, nell'ottobre del 60, la folla gridava « muoia, muoia » sotto le finestre del Mazzini, mentr'egli che, non soltanto a quei facinorosi forse prezzolati, ma a quegli stessi zelatori della monarchia piemontese che li avevano probabilmente istigati contro di lui, poteva essere Maestro, di molti cubiti più alto, anche di fede patriotticamente unitaria, scriveva, come sempre imperturbabile, la prefazione per un nuovo appello ai giovani d'Italia). Ritornato al tranquillo asilo di Castagnola - che non poteva dirsi un esilio, sia pel suo ridente cielo italiano, sia, e più, pel rispetto e la stima accogliente di cui i Ticinesi lo circondavano -, Carlo Cattaneo, mémore delle recenti esperienze, nel maggio 1862 ammoniva il fido Agostino Bertani e, per suo tramite, la minoranza parlamentare: « Il Piemonte, essendo il solo centro organizzato e v iv e n te , è più forte di tutta la massa; padroneggia; pròdiga; abusa; rende odiosa ai popoli l'idea nazionale; finirà col far sospirare il passato. Per raffrenarlo e bilanciarlo, bisogna dar vita libera agli altri centri. Bisogna, nel nome della concordia e della vera unità libera e morale, costituirsi protettori delle autonomie. Per Dio, la Sicilia non ha un magistrato suo, che abbia l'autorità di chiudere un convento di frati; la Sardegna non ha un magistrato che possa sciogliere dagli ademprivili una pertica di palude per salvare una città dalla febbre. Il vostro Plebiscito ha fatto dell'Italia un orfanotrofio.» Ed insisteva: « ... la federazione è la sola unità possibile in Italia; la federazione è la pluralità dei centri viventi , stretti insieme dall'interesse comune, dalla fede data, dalla coscienza nazionale.,. Egli che, fin da quando aveva licenziato per la stampa il terzo volume dell' Are h iv i o T r i e n n a I e (apparso a Chieri, con la data 1° gennaio 1855), aveva detto albergare « in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell'avita sua terra» - « di là - aggiungendo - il diritto federale, ossia il diritto dei pop o 1i» - il quale (continuava subito, quasi per dissipare ogni sospetto di municipalismo) « debbe avere il suo luogo, accanto al diritto delle nazioni, accanto al diritto del1' u m ani t à », scrivendo nel 1864, nel giornale torinese I 1D i r i t t o , certe lettere « sulla legge comunale e provinciale», osservava come il popolo incominci ad acquistare coscienza di sè appunto nel Comune, che « è un fatto spontaneo di natura come la famiglia». I Comuni, questi « plessi nervei della vita vicinale » sono ben. essi la nazione: « sono la nazione nel più intimo asilo della sua libertà». E nella primavera del 1867, da Firenze, dove, com'è noto, recatosi fin su la soglia del Parla- (Continuazione pag. 4)

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