L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 11 - 15 giugno 1944

I I Anno XXXV (nuova serie) N. 11 Zurigo, 15 Giugno 1944 LIBERARE E FEDERARE! QUINDICINALE SOCIALISTA Re dazi O n e e A mm in i strazi O n e: Casella postale No. 213, Zurigo 6 · Conto postale No. VIII 26 305; Telefono: 3 70 87 Abbonamenti: 24 numeri Fr. 6 -, 12 numeri Fr. 3.-, una copia Cent. 30 Uccidete me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai! Matteotti. Nel 20m0 • • ann1ver~ar10 dell' a~~a~~inio di Giacomo Matteotti Il martire della libertà guata parte di colpa deve essere data a tutti coloro i quali sino al 1922, e successivamente, hanno con il loro ausilio diretto od indiretto Alla fine del 1920 in Italia, l'asserito «pericolo bolscevico» non più esisteva: la classe lavoratrice divisa ed esitante, non aveva colta l'occasione presentatasi nella congiuntura del 1919 e non si era impadronita del potere, ed ormai, essa avrebbe dovuto ridursi, come si ridusse, a difendere con le unghie e con i denti lo statuto del 1848, tanto a dire le libertà elementari di parola, di riunione, di stampa, di associazione e simili. La pluto-borghesia italiana, infatti, ancor livida per la paura sofferta nel 1919 e nel 1920 ' allorquando, specie durante l'occupazione delle fabbriche, essa temette di perdere i suoi privilegi, non appena il pericolo scomparve, si gettò ad una cieca e crudele reazione contro gli uomini, i partiti e le istituzioni dei lavoratori, servendosi, per tali sanguinari e bassi servizi, del fascismo. A partire da tale data e sino all'entrata in vigore delle leggi eccezionali (novembre 1926) siffatta attività fu sistematicamente compiuta dalle camice nere con la efficace e diretta complicità della polizia e degli altri organi dello stato monarchico-borghese. Dal settentrione al meridione d'Italia divamparono gli incendi devastatori, e si allargarono e moltiplicarono le distruzioni ed i saccheggi delle camere del lavoro, dei sindacati, delle leghe, delle cooperative di produzione e di consumo, delle case del popolo, dei circoli ricreativi operai, dei giornali, delle biblioteche popolari. Fu quella l'epoca della gioiosa e santa vendetta contro i lavoratori colpevoli di aver soltanto (soltanto, purtroppo per la civilità !) spaventata la classe dominante. In quel torno di tempo, avvenne di udire - ed era sintomatico di un diffuso stato d'animo borghese - che un buon papà chiedesse al tenero figlioletto, armato di rivoltella-giocattolo: Dimmi caro, che ne farai di questa bella arma? Risposta: Me ne servirò per uccidere i socialisti! Al che l'onesto genitore sollevava la testa inorgoglito, riguardando in giro con fiero occhio, mentre alla buona madre splendevan le pupille di celestial felicità. Agli scherani, agli avanzi di galera, si davano, si intende, delle ottime rivoltelle ed ogni sorta di altre armi, opportunamente sottratte ai depositi militari. L'iniquo trattato di Versailles e taluni episodi della pretesa violenza rossa, convenientemente falsati od amplificati, servirono di pretesto ad eccitare gli animi di molti ingenui o di molti altri ex-guerrieri in cerca di lucrosi ma non gravosi impieghi. Se dall'assassinio di Matteotti in poi, numerosi italiani, senza distinzione di parte, a prezzo spesso della loro vita, o popolando le carceri e le isole, ovvero battendo le dure vie dell'esilio, si sono prodigati e si prodigano per un degno riscatto del loro paese, è doveroso e giusto riconoscere che sino a quella terribile e meravigliosa data (10 giugno 1924), la difesa, in Italia, delle elementari libertà e norme di civile convivenza, fu assunta e mantenuta, con eroica fermezza, precipuamente dal partito socialista e dai suoi militanti. Gli altri partiti borghesi ed i loro esponenti, dal 1919 al 1924 almeno, plaudirono al fascismo, lo aiutarono in ogni modo e con ogni mezzo, e gli dettero collaborazione anche governativa (questa, certamente, fino all'aprilel923): cosi i popolari (democratici cristiani), cosi i liberali, cosi i democratici sociali e cosi molti altri ancora. Eppure il fascismo procedeva innanzi sospinto dal capitalismo (gli industriali e i banchieri italiani finanziarono la marcia su Roma versando aldi sangue. Sono dell'epoca le innumeri violazioni di domicilio, le somministrazioni di olio di ricino e le beffe atroci e le violenze corporali di ogni genere agli avversari politici. Sono dell'epoca gli assassini del deputato socialista Di Vagno e del candidato socialista Piccinini e di moltissimi altri, poiché in quaranta mesi di terrore fascista furono commessi in Italia seicento omicidi. A malgrado di tutto ciò i borghesi e i loro partiti, non lesinarono gli appoggi e le approvazioni al fascismo e ai suoi metodi salutari, dimenticando che, siffattamente consentendo lo scempio delle libertà e della legge, essi colpivano al cuore lo stato liberale, e ne consacravano, anche moralmente e politicamente, il fallimento, apprestando alla patria tristi e lunghi giorni di schiavitù, di miseria, di orrori e di lagrime. La situazione va, oggi, riveduta come era in quel tempo, e i comportamenti e le azioni degli uomini, dei partiti e dei governanti, vanno giudicati per quello che furono in realtà, e ciò ai fini di una obbiettiva valutazione della responsabilità storica. Se dal millenovecentoventuno al millenovecentoventidue la monarchia costituzionale e i partiti demoliberali si fossero opposti al fascismo, partorito dagli agrari e dai plutocrati, anziché alimentarlo ed irrobustirlo, gli italiani non dovrebbero, ora, lamentare e soffrire la distruzione del loro paese. E di questa distruzione, morale e fisica, di cui ancor non è dato determinare neppure approssimativamente la estensione e la profondità, ade- ' con il loro assenso più o meno palese, ovvero con cosciente inerzia, voluto o tollerato che dello stato si impadronisse una banda di delinquenti, macchiati di sangue fraterno e comandati da un criminale megalomane. Il compito, onorifico e pericoloso, di lottare contro i nuovi barbari per conservare al popolo italiano le sue libertà e le sue conquiste sociali, nella carenza del liberalismo e della democrazia affiancatesi, in allora, al fascismo, è spettato - ripetiamo - particolar.- mente ai socialisti, ed è proprio contro il Partito Socialista Unitario, di cui Giacomo Matteotti era dall'ottobre 1922 il segretario generale, che si appuntò il rancore e l'odio dei fascisti e del loro capo. Quasi gli eccitamenti generici a delinquere non bastassero, i giornali del regime (1923-1924) insistevano specificatamente contro il partito e la persona di Giacomo Matteotti. Sul Popolo d'Italia del 20 aprile 1923, Benito Mussolini, Capo del Governo scriveva: «Io voglio dimostrare che se un giorno o l'altro i] lupo fascista entrasse nell ' o vi 1 e un i t a - r i o , che è il più sporco di tutti, nessun pastore al mondo avrà il diritto di protestare. l vari Matteotti, Turati, Modigliani e simili devono ricomporsi nel silenzio. Ma se le pecore rognose, la cui malvagia opera quotidiana contro il fascismo abbiamo più volte rilevato, vanno in cerca di dispiaceri, non è escluso che possano averne di molto gravi. Quanto al Matteotti, volgare mistificatore, notissimo vigliacco, e spregievolissimo ruffiano, sarà bene che GIACOMO MATTEOTTI Assassinato dai fascisti i/, )O giugno 1924 B ,¼uooa iliot per ucr Jld' diletto eldliìe-~~~~!"'-----·---------------------------.: egli si guardi, ché se dovesse capitargli di trovarsi un giorno o l'altro con la testa rotta (ma proprio rotta) non sarà certo in diritto di dolersi dopo tanta ignobiltà scritta e sottoscritta.» Tanto accanimento e tali malvagi propositi trovavano causa e spiegazioni nella tempra e nell'opera di Matteotti e dei suoi compagni, infaticabili nel denunciare i misfatti del regime e nel pretendere il rispetto della libertà, della dignità, della vita dei loro concittadini. Matteotti, combattente magnifico, armato di ingegno e di dottrina, era, infatti, l'animatore e il propulsore del suo partito: agiva e spronava gli altri ad agire, ed, occorrendo, ad affrontare a piede fermo, comunque e dovunque, i biechi e prezzolati strumenti della reazione. Egli era un esempio vivente di attività e di coraggio, tenace ed implacabile sempre, nella battaglia contro il fascismo ed i suoi metodi. Matteotti ed i socialisti, uniti dietro a lui e come lui per ogni dove, in Italia, al loro posto di lotta, proclamavano e dimostravano ai lavoratori ed al popolo, come fosse primordiale loro dovere ed interesse di eliminare la tirannia fascista e di riacquistare la libertà essenziale alla loro esistenza spirituale e materiale, dopo di che, e soltanto dopo, ed in altra favorevole :;~t:.1azion~,si '.3a:rebbep0tut0 e voluto iniziare la costruzione dello stato socialista. Difendete le vostre libertà con tutta la vostra energia, egli esclamava, e marciate avanti con la più grande speranza nel socialismo. Questa impostazione, chiara, recisa, intransigente; tali direttive ed incitamenti, proponimenti ed attività, ponevano Matteotti e i socialisti all'avanguardia delle forze antifasciste, e li designavano come i nemici numero uno del tiranno e dei suo sgherri. La battaglia contro il fascismo, per la libertà e la democrazia, fu, quindi, condotta da Matteotti e dai suoi compagni, disciplinati e fidenti, senza soste e senza risparmio di energie, oltre ai pericoli, le minacce e le violenze; ed Egli non venne mai meno al suo compito, cioè a quello che stimava un dovere da compiersi anche a costo del supremo sacrificio. I frutti della diuturna e coraggiosa lotta risultarono evidenti nelle elezioni del 6 aprile 1924, quando, a malgrado delle truffe, delle minacce, e delle violenze ovunque organizzate ed effettuate, le opposizioni riuscirono a totalizzare 2 494 689 voti, pari ad oltre alla metà di quelli arraffati e rubati dal blocco fascistaborghese. Matteotti, che già aveva redatto e diffuso «Un anno di dominazione fascista» elencando e provando, con dati di fatto e cifre alla mano, i delitti e gli imbrogli, le menzogne e le contraddizione e le confusioni ideologico-programmatiche e politiche del regime fascista, il 30 maggio, nell'atto di chiedere alla Camera dei Deputati la invalidazione totale delle elezioni del 6 aprile, come quelle viziate da frode e violenza, aveva denunciato solennemente all'Italia e al mondo la immoralità ed illegalità del regime, ma, nel contempo, aveva segnata, consapevolmente, la sua condanna a morte. Gli italiani sono stati troppe volte ingannati dai capi nei quali essi avevano riposto la propria fiducia. Oggi essi sono disposti a credere soltanto a chi mostra loro il proprio sangue. Cosi Egli aveva parlato, già offrendosi in olocausto perché l'idea di libertà e di giustizia trionfasse nella sua patria. La gloria del suo martirio ha vinto il tempo. Giacomo Matteotti - sintesi e simbolo - è più presente che mai. I suoi carnefici non potevano sospettare questa nuova sua vita di battaglia, alla testa, nell'Italia e nel mondo, delle schiere degli oppressi, marcianti, ormai sicuri, verso una migliore umanità.

I l r Bib La Yita e le opere del IDartire L'uomo d'eccezionale altezza intellettuale e morale, cui la violenza fascista troncò la vita vent'anni fa, era nato a Fratta Polesine. I suoi genitori che esercitavano il commercio di manifatture, col lavoro assiduo e col risparmio erano riusciti a mettere insieme un discreto patrimonio, in modo da poter far percorrere ai tre figlioli, tutti intelligenti e desiderosi di sapere, gli studi medi e·universitari. I due maggiori morirono in giovine età, consunti dal mal sottile, ma avevan già dato per più anni l'opera loro, disinteressata e appassionata, per la difesa degli interessi e diritti dei contadini contro le prepotenze e l'avarizia degli agrari del Polesine. e alle lotte politiche e sociali del suo Polesine, egli potè affrontare, solidamente preparato, i problemi della vita nazionale. Questo avvenne specialmente dopo la prima guerra mondiale, al cui inizio egli aveva, in un comizio a Rovigo, tenuto un vigoroso discorso contro la violenza, con linguaggio e animo di cristiano, suscitando le ire dei bollenti interventisti, specialmente di quelli che preparavano a sé stessi l'imboscamento; e la stessa condanna alla guerra ripetè al Consiglio provinciale di Rovigo, in un discorso che gli procurò un processo per disfattismo e una condanna che fu poi annullata dalla Cassazione. Chiamato in servizio militare, sebbene fosse stato a suo tempo riformato per la stessa malattia di cui erano morti i suoi fratelli, e ora dichiarato abile ai soli servizi sedentari, si tentò di mandarlo al fronte in una di quelle compagnie di sorvegliati che erano mandate al macello con dietro i moschetti spianati dei carabinieri. Fu invece poi internato a Campo Inglese e tenuto sotto una sorveglianza molesta e vessatoria. lfna bimba del popolo depone fiori e una donna prega nel luogo ( Lungotevere Arnaldo da Brescia) ove il 10 giugno fu ravito Giacomo Matteotti. Egli aveva previsto le conseguenze del suo atteggiamento contro la guerra, ma nello scrivere al compagno Guarnieri-Ventimiglia, cui aveva affidato la sua difesa davanti alla Cassazione, egli aveva raccomandato: «Né esitazioni, né ripiegamenti, anche se potessero valere all'assoluzione, ma precisa e decisa riaffermazione dei nostri principi e dei nostri ideali.» Eletto deputato nel 1919, e riconfermato poi nelle elezioni del 1921 e 1924, divenne ben presto una delle colonne del gruppo parlamentare socialista. Si dedicò con particolare fervore allo studio e alla trattazione dei problemi di economia e di finanze e ad un'esame approfondito dei bilanci, che è strumento per conoscere e valutare tutta l'attività dello stato; e scrisse articoli e pronunciò discorsi che si imposero all'attenzione di tutti. Contemporaneamente attendeva anche ad altro compito. Egli non era stato di quelli che nel 1919/20 avevano con retorica incoscienza vellicato le passioni popolari, pur continuando a lottare tenacemente in difesa dei contadini del Polesine; ma quando, dopo l'esito non felice dell'occupazione delle fabbriche, si fecero avanti i fascisti, profittando della temporanea depressione del movimento sindacale operaio, e dettero sfogo alle loro sanguinarie violenze, Matteotti fu tra i pochi che eran disposti ad affrontare il pericolo di conflitti cruenti, perché il Partito Socialista e le leghe operaie mostrassero di saper difendere dignitosamente i propri ideali e non lasciassero travolgere dalla furia reazionaria gli effetti benefici della loro opera. E si che egli aveva sperimentato la bieca violenza degli avversari, da cui era stato più volte minacciato di morte, e la sperimentò anche in seguito, specialmente quel pomeriggio del 12 marzo 1921 in cui, presentatosi da solo nella sede degli agrari di Castelguglielmo, per un contradditorio a cui era stato sfidato, s'era visto circondato da genle imbestialita con le rivoltelle in mano, era stato sputacchiato, bastonato, minacciato di morte se non rinunziava a sostenere la causa dei contadini, e caricato su un camion da cui, dopo un lungo giro per la campagna, lo avevan buttato di notte, in mezzo alla via. Queste avventure non turbarono l'animo di Matteotti, ma gli facevano anzi sentire più imperiosa la necessità della lotta. Dopo la Marcia su Roma, non passò giorno, si può dire, senza che egli nella sua qualità di cittadino, di deputato, di segretario del Partito Socialista unitario riconfermasse la sua accusa contro la sopraffazione fascista e contro il malgoverno sotto cui essa aveva ridotto, e avviliva il paese. Di questa sua ardente quotidiana battaglia sono documenti luminosi gli articoli e i discorsi che egli tenne per svelare la menzogna del risanamento finanziario, onde menava vanto il governo fascista; il documentatissimo volume che fu in gran parte opera sua, che sotto il titolo « U n ' a n n o d i d o m i n a z i o n e fascista»; dimostrava la grossolana incongruenza fra le parole e i fatti, l'incoerenza e la disonestà dell'opera dal regime e il danno economico e morale che da essa veniva al paese. lava, la maggioranza, quasi soggiogata da quello spettacolo di coraggio, si limitava a rumoreggiare con quel sordo brontolio che è come il tuono foriero della prossima tempesta. Il duce assisteva livido, impassibile, colle braccia conserte, collo sguardo cattivo, come meditando. Meditava forse il fatale non lontano epilogo della scena? Poi la muta si scosse, si riprese e il discorso finì tra i clamori, le invettive, le ingiurie della maggioranza che parve voler riscattare così, agli occhi del padrone, la tolleranza concessa in qualche momento all'oratore. Si afferma che Matteotti, a discorso finito, sapendo di aver ferito a morte la belva fascista, abbia detto mentre raccoglieva le sue carte e rivolgendosi con un lieve sorriso ai suoi colleghi più vicini: - Ed ora potete prepararmi l'orazione funebre! - Il giorno dopo il P o p o 1 o d ' I t a 1i a , organo del duce, e forse per la sua stessa penna, commentava cosi: «Mussolini ha trovato fin troppo longanime la condotta della maggioranza perché l'on. Matteotti ha tenuto un discorso mostruosamente provocatorio che avrebbe meritato qua 1 c h e c o sa di più tangi bi 1 e che l'epiteto di ,,masnada" lanciato dall'on. Giunta.» E la G r a n d e I t a 1 i a di Milano faceva eco con queste parole: «Matteotti è una molecola di questa masnada che presto l'ultima ventata di buon senso e un a m o s s a e n e r g i c a d e 1 d u c e penseranno a spezzare.» La m o s s a e n e r g i c a del duce non si è fatta davvero attendere. Sull'esempio dei fratelli, anche Giacomo che era molto più giovane di loro, si iscrisse ancor ragazzo al Partito Socialista, mostrando sin da allora una singolare concretezza di vedute e serietà di pensiero, che andarono crescendo con il maturare degli anni e l'ampiarsi della cultura. Laureatosi in giurisprudenza si dedicò con passione a un'approfondito studio della finanza pubblica, dell'economia e delle questioni sociali tanto da divenire un modello di amministratore pur nell'ambito dal suo piccolo comune e una sicura guida del movimento contadino nell'ubertosa, reazionaria plaga del Polesine. Come e perdté fu ucciso Fu subito la mattina dell'll giugno che gli amici più intimi di Matteotti manifestarono le prime inquietitudini. La signora Velia li aveva già messi a parte delle sue ansie. Matteotti era uscito di casa il giorni prima, alle ore 16, per recarsi alla Camera. Qui non era stato visto. A casa non era più tornato. La Questura, informata dall'on. Modigliani, sebbene fosse perfettamente a giorno dell'accaduto (poiché il direttore generale della P. S. era il quadrunviro gen. De Bono), dovette far mostra di iniziare delle ricerche. Confidava certo di poter concludere con la solita formula della infruttuosità delle indagini. Senonché l'atmosfera nel paese era improvvisamente cambiata. L'enormità del delitto (cosi fu subito definito dalla coscienza di tutti il primo sospetto) aveva aperto le bocche abituate al bavaglio. Ci fu chi aveva visto, e parlò: un'automobile si era fermata verso le ore 16 sul lungotevere Arnaldo da Brescia. Da essa erano discese quattro persone. Quando da via Pisanello sboccò l'on. Mat- Nel Partito Socialista egli fu un realizzatore, un uomo di azione, che, fiso all'ideale, teneva i piedi sulla terra, pur fieramente schivo da accomodamenti e da rinunzie. Odiava il rivoluzionarismo parolaio e inconcludente degli Enrico Ferri e quello irresponsabile e demagogo dei Michelino Bianchi e dei Benito Mussolini. Oratore robusto ed efficace amava agire più che parlare. Meditava nel silenzio per maturare il suo pensiero e prepararsi all'azione; e quando la sua convinzione s'era formata lucida e sicura, e il tradurla in atto si prospettava alla sua coscienza come una necessità e un dovere, non c'era forza che potesse distoglierlo dal perseguire il suo fine. Sdegnoso di tutte le volgarità, fu per questo accusato da alcuni di essere «aristocratico» e tale possiamo definirlo noi pure, nel senso migliore del vocabolo, perché egli cercò di elevare, nella forma e nello spirito, la vita interna e i rapporti esteriori del partito e delle organizzazioni operaie, e non andò demagogicamente «verso il popolo» ma cercò di accostare il popolo a sé, cioè a quella maggior perfezione di pensiero e di vita, che l'educazione e lo studio gli avevano permesso di conseguire. Col patrimonio di esperienza accumulato nella partecipazione alla vita amministrativa 1919 (25 anni addietro) 16 giugno: La segreteria della Confederazione Generale del Lavoro in Italia pubblica un appello per una più salda disciplina e coordinazione delle manifestazioni proletarie e contro la dispersione delle forze. - 11 Partito Socialista svizzero ha dichiarato che motivo della sua uscita dalla II Internazionale è la ripugnanza di fronte alla politica di patteggiamento con la borghesia e la mancanza di un'intenzione decisa di carattere rivoluzionario. - A Zurigo durante un grande comizio socialista in commemorazione di Rosa Luxemburg si sono avuti episodi di violenza con morti e feriti. - A Parigi: consegna ai delegati tedeschi delle condizioni definitive di pace. - Caro-vita in Italia. 17 giugno: Tumulti sanguinosi a Vienna: i giornali borghesi si scagliano contro i comunisti che dichiarano responsabili. - Comizi in varie regioni d'Italia ove si chiedono al governo immediati provvedimenti contro il caro-vita e gli speculatori. - Agitazioni nella Carnia e nel Friuli contro la disoccupazione e per il risarcimento dei danni di guerra. - Persecuzioni contro i socialisti nello stato czeco-slovacco. 18 giugno: L'ordine del giorno socialista per il ritiro delle truppe dalla Russia respinto alla Camera francese. - L'on. Crespi, ministro degli 4})-P '0-VÌg-ÌO ai~ _ti Oei . cwue1i, so ulpi!o dall o\;i.. ag_gI®l o ei:: l:l"r -1U (j Pochi giorni erano passati dalla memorabile seduta parlamentare in cui Matteotti ave~a. pronunciato il suo formidabile atto d'accusa contro le violenze elettorali del fascismo. Fu il 30 maggio 1924. Quella seduta ha ancora, nel ricordo di chi vi ha partecipato, la tragica solennità delle grandi giornate storiche. Giornata storica veramente, poiché segnò la condanna a morte del nostro compagno e per conseguenza la sollevazione di tutte le coscienze contro il regime barbaro e sanguinario del fascismo. Matteotti parlò come lui parlava in queste circostanze. Con un'eloquenza scarna, tagliente, ironica, materiata di cifre e di fatti. Nes~un lenocinio di forma. La sua parola andava diritta al bersaglio. Staffilava in profondità. Era la requisitoria fredda, implacabile, d'un pubblico accusatore che si sentiva investito del suo mandato dal lungo martirio di tutto il proletariato italiano. Matteotti sosteneva la tesi della contestazione in blocco delle elezioni della maggioranza fascista per le inaudite violenze che erano state esercitate dal governo e dai suoi pretoriani. Infatti le elezioni del 6 aprile non erano state quel trionfo di cui la stampa fascista menava vanto: 4 milioni e mezzo di voti ai fascisti contro 2 milioni e mezzo alle 19 giugno: Il ministero Orlando battuto per 184 voti ha rassegnato le proprie dimissioni. - Costituzione di un ente autonomo delle cooperative italiane denominato dstituto Nazionale delle Cooperati ve di produzione e distribuzione>. - All'Assemblea Nazionale tedesca di Weimar: discussioni se accettare o meno le condizioni di pace degli alleati: nel frattempo i piroscafi carichi di viveri per la Germania sono trattenuti nei porti inglesi. - I giornali viennesi hanno definito le condizioni di pace dell'Intesa <una crudele dichiarazione di guerra,. - Al Congresso dei socialisti ungheresi è stala deliberata l'adesione alla III Internazionale per la dittatura del proletariato. 21 giugno: Il re ha incaricato l'on. Nitti della formazione del nuovo ministero. - Gli intelletluali spagnuoli hanno pubblicato un appello auspicante la ripresa delle relazioni internazionali e culturali tra lutti i paesi con esclusione di nessun popolo. - Nella sua risposta a Clemenceau invitante a cessare le osilità in Ungheria Bela Kun si compiace del desiderio ma addossa ogni responsabilità alle azioni aggressive dei rumeni e degli czechi. 22 giugno: Le navi da guerra tedesche internate che dovevano essere consegnate agli alleati a termine del trattato di pace affondale dai loro equipaggi a Scapa Flow. - Al congresso dei Sovieti ungheresi: provvedimenti relativi alla riforma agraria, agli approvigionamenli ~~ttà, alla socializzazione industriale. -: el ~inetto Nitti: questi conserva anche gli opposizioni, die cui 1 milione ai partiti proletari. Per ottenere questo risultato tutte le forze repressive erano state mobilitate, tutte le libertà erano state soppresse. Le squadre avevano avuto piena libertà d'azione contro il corpo elettorale e contro i candidati dei partiti. Non era stato, il martirio di Matteotti preceduto dall'assassinio del candidato massimalista Piccinini, il modesto operaio tipografo di Reggio Emilia, prelevato da casa sua, mentre, dopo una giornata di lavoro, stava insegnando a leggere al suo figlioletto, e ucciso poco dopo a rivoltellate sulla pubblica via? Mentre Matteotti parPer alcim tempo, le autorità non vollero trovare le SJ)oglie dell'ucciso. Fu cosi che i suoi comi;agni vresero l'iniziativa di personali, appassionate ricerche. Qui sopra la f olografia riproduce il luogo detto «La Quart arella» nelle immediate vicinanze di Roma, ove a/fine le spoglie di .Matteotti furono ritrovate. Nella fotografia, un grUJJJJOdi socialisti, è facilmente riconoscibile Filippo Turati. Interni, Tittoni è agli Esteri. - Bauer viene eletto cancelliere della repubblica tedesca. - 23 giugno: L'Assemblea Nazionale germanica di Weimar malgrado l'opposizione di elementi nazionalisti capitanati da von Lettow-Forbeck delibera che sia firmata la pace. - Ha avuto luogo a Torino il VI Congresso nazionale postelegrafonico. - La nuova delegazione italiana a Versailles è composta di Tittoni, Maggiorino Ferraris, Marconi, Scialoia e Crespi. 24 giugno: Forte discorso dell'on. Treves alla Camera: «Il mondo non si ricomporrà che nel socialismo e per il socialismo.> - Manifestazioni contro il caro-vita nel Veneto e nel Modenese. - Vittoria dei contadini e dei mondarisi nel novarese contro le organizzazioni padronali. - Si sta organizzando l'armala rossa della repubblica slovacca. 25 giugno: Alla Camera: attacchi di Tittoni a Sonnino ed alla politica del pallo di Londra. - Prodromi di controrivoluzione in Germania e fermenti nazionalisti. - I giornali si occupano con insistenza della lentezza della smobilitazione. - Il consiglio operaio viennese si è riw1ilo per discutere sul dissidio comunistasocialdemocratico: contegno marcatamente anticomunista di Federico Adler. 26 giugno: L'autorità cantonale di Zurigo ed il Comando Militare hanno proibito un comizio di protesta contro l'intervento in Russia organizzato dal gruppo socialista di estrema sinistra. - A Berlino un gruppo di ufficiali ba fatto un rogo delle bandiere conquistate ai francesi fino al 1871 e che avrebbero dovuto essere restituite in base al trattato di pace. - Il Consiglio dei 4 ba fatto pervenire alla Germania due note di protesta per le mene svolte in Polonia e per l'episodio di Scapa Flow. 27 giugno: Sempre più frequenti torbidi di carattere nazionalista in Germania. - Notizie di conflitti ed insurrezioni nei distretti ceduti dalla Germania alla Polonia. - La Conferenza generale del lavoro inglese unanime per la revisione del trattato di pace. - Ripetuti moti reazionari a Brescia capeggiati dalle autorità militari. - A Berlino e ad Amburgo tumulti per il carovita e saccheggi di negozi. - Il ministro della Reichswehr Noske ha dichiarato che non tollererà i disordini e gli scioperi. 28 giugno: In Italia l'opinione pubblica chiede con insistenza l'acceleramen lo della smo bilitazione, un'amnistia per i reati militari e l'abolizione della censura. - E' stato firmato a Versailles il trattalo di pace. 30 giugno: Partenza di Wilson per l'America. - Viene reso noto che il blocco della Germania durerà fino alla ratifica del trattato di pace. - Ha avuto luogo a Milano il Congresso Nazionale della Lega proletaria mutilati e reduci di guerra. - Il ministro germanico della Reichswehr Noske ha raccomandato l'uso dello armi senza pietà contro i rivoltosi: il generale von Letlow in marcia verso Amburgo.

teotti, senza cappello, con una busta di cuoio sotto il braccio, uno dei quattro mosse rapidamente verso di lui urtandolo con violenza, tanto da farlo cadere. Subito gli altri furono addosso al caduto e presolo per le spalle e per le gambe lo spinsero dentro all'automobile che tosto ripartì. Fu notato che l'on. Matteotti si divincolava violentemente tanto da spezzare con un calcio un cristallo della vettura. Uno dei testimoni della rapida scena aveva però avuto cura di trascrivere il numero dell'automobile e fu questo numero che, comunicato alla Questura, la costrinse ad agire. D'altronde erano in quei giorni ben vivi e battaglieri tutti i giornali d'opposizione - l'Avanti, la Giustizia, l'Unità, la Voce repubblicana, oltre ai fogli dell'opposizione liberale - e tutti si gettarono sulle piste portando ognuno il suo contributo per far luce sul delitto. Cosi non fu difficile l'identificazione degli esecutori materiali del misfatto: l'automobile era di Filippelli, direttore del quotidiano fascista il Corriere italiano; Filippelli l'aveva prestata per qualche giorno a Dumini, losca figura di esecutore di rappresaglie fasciste, che si vantava di avere al suo .. attivo parecchi omicidi, che godeva la fiducia del duce ed aveva ingresso libero tanto al Viminale quanto a Palazzo Chigi, che inoltre era alla testa della «ceka» istituita per volontà del duce, in una riunione tenuta in casa sua, coll'alta finalità di sopprimere con violenza di «stile» gli avversari più temuti. Accertata l'identità dei sicari non fu difficile per l'opinione pubblica risalire ai mandanti. Quelli furono in Roma e in tutta Italia giorni arroventati, di alta passione politica. Il tumulto era alla Camera e sulle piazze. La folla, avida di notizie, non nascondeva la sua indignazione. I distintivi fascisti si diradavano. Era una marea di esecrazione che saliva e pareva dover travolgere il regime ... Quando, nella seduta parlamentare del 12 giugno, dopo le accorate parole di Gonzales denunziante alla Camera ed al paese «l'atroce misfatto senza precedenti» si levò dal più alto banco dell'estrema sinistra la voce squillante di Eugenio Chiesa: Parli il Capo del Governo! ... E g 1i t a c e ! ... E ' c o m p l i c e ! - fu realmen te la voce del paese che pronunciava quella accusa che era nel cuore e nella convinzione di tutti. Nel memoriale di Cesare Rossi è fotografato lo stato d'animo del duce in quei giorni: prima si mostrò cinico e ironico (era quando assicurava la vedova Matteotti che sperava di ridarle vivo il marito, mentre la sera stessa del delitto egli aveva ricevuto dalle mani di Dumini le prove che tutto era stato compiuto secondo gli ordini: il portafoglio e le carte della vittima), poi nervoso e pauroso (e fu il giorno dopo, quando fu denunciato il numero dell'automobile), poi di sori e n t a - to e terrorizzato (dopo la seduta della Camera e l'apostrofe di Eugenio Chiesa). Ma troppa gente era interessata a salvare il regime, perché il delitto Matteotti era solo l'anello di una lunga catena di delitti nei quali erano coinvolte tutte le alte gerarchie e i molti feroci ras delle provincie e con tutti i ceti finanziatori. Cosi Mussolini potè provvedere al proprio salvataggio, sicuro come egli era della docilità e dell'acquiescenza della magistratura. Per appagare l'opinione pubblica buttò a mare i correi facendoli assicurare che la loro fedeltà e il loro silenzio sarebbero stati compensati: furono arrestati Dumini e complici, Filippelli, e Marinelli; furono dimissionati Finzi, Rossi, capo dell'ufficio s~mpa, Fasciolo, segretario particolare del Duce, de Bono (che in seguito veniva premiato con il Governatorato della Libia). In apparenza tutto andava a gonfie vele e la giustizia sembrava in cammino. Il processo beffa Com'è noto, a seguito di una amnistia pensata e promulgata ad hoc, il processo contro i responsabili fu castrato e ridotto ad una beffa. Furono rinviati a giudizio ( davanti alla lontana Corte di Assise di Chieti) soltanto gli esecutori materiali dell'assassinio e solo come responsabili, non già del vero e proprio omicidio premeditato da loro e commesso per mandato dal loro signore e Duce, ma di omicidio improvviso! Come chi dicesse: poco meno che involontario! Ed è noto pure, che per non farsi complice di questa beffa, la vedova Matteotti decise di non partecipare al dibattito in Corte di Assise, ridotto ad una parodia di giustizia, a «rime obbligate»; e di sua iniziativa, mandò una dichiarazione in tal senso al Presidente della Corte di Assise. Ma per legge il ritiro della Parte Civile doveva esser notificato per iscritto al Pubblico Ministero ed agli accusati; e cosi il difensore della vedova Matteotti, l'avvocato G. E. Modigliani, invece di atten13rsi, come d'uso, ad una redazione dell'atto proceduralmente scheletrica, profittò dell'occasione per redigere e notificare l'atto precisamente motivato che abbiamo pensato di ripubblicare: come postumo ma non equivoco atto di accusa contro tutti i responsabli, a cominciare da Mussolini. Anche contro Mussolini: ripetiamo. Ed infatti, se il nome di lui non poteva esser fatto esplicitamento in un atto conclusivo di un giudizio in cui egli non era stato convocato, il lettore vedrà che, fin dal primo inciso di quell'atto, si dice chiarissimamente, che anche contro di lui si sarebbe dovuto procedere «ne i m o d i p r e s c r i t t i d a l l o S t a t u t O:P: rinviandolo, cioè, davanti all'Alta Corte di Giustizia. Ed ecco senz'altro LA DICHIARAZIONE DI REVOCA DELLA COSTITUZIONE DELLA PARTE CIVILE. «Le modalità concrete dell'azione criminosa, culminate nella uccisione di G i a c o m o M a t - t e o t t i , le dichiarazioni subito emesse da chi escì dal governo in seguito al delitto, le immediate parziali ammissioni di qualcuno degli arrestati, la deposizione testimoniale gravissima dell'ex Direttore Generale della P. S., e, da ultimo, i "memoriali,, divulgati dalla pubblica stampa (mai smentiti dagli autori, ma da loro anzi, gravissimamente precisati): avrebbero dovuto imporre che l'accertamento delle responsabilità facenti carico a persone, per qualità o ufficio sottratte alla ordinaria competenza, fossero invece accertate nei modi straordinari previsti dallo Statuto per le responsabilità connesse con azioni di governo. Questa seconda indagine sottratta per sua natura alla iniziativa privata, è mancata del tutto; la Parte Civile non si può dunque occupare né dei resultati che avrebbero potuto dare, né delle ragioni che l'hanno fatta mancare. Ma nessuno potrà negare, e la Parte Civile si sente in diritto di affermare, che quelle stesse ragioni di ambiente e di clima storico, che impedirono radicalmente l'indagine straordinaria, hanno avuto ripercussioni innegabili e gravi, anche sull'indagine ordinaria. Ciò non si verificò subito, anzi, per tutta la prima fase dell'istruttoria ordinaria, l'indagine - pur non essendo ancora stata completata - risultò condotta senza riguardi e con ogni maggiore decisione. Ma in seguito, e dopo gravissime resultanze - sostanzialmente confermate dalla sopravvenuta istruttoria del· l'Alta Corte - l'indagine giudiziaria fu pregiudicata irreparabilmente. Rimossi i magistrati che l'avevano condotta in un primo tempo; trascurate le resultanze dell'istruttoria dell'Alta Corte; omessi i provvedimenti amministrativi e disciplinari che la stessa decisione dell'Alta Corte imponevano; onorato con altissimo incarico chi era stato prosciolto dall'Alta Corte per "non provata reità,,; soffocata ogni libertà di controllo della stampa e della pubblica opinione; accentuata fino al parossismo l'intimidazione, ad opera di tutte le gerarchie ufficiali e non ufficiali del regime; si finì col porre i magistrati ordinari di fronte ad una amnistia sapientemente preordinata a sottrarre alle sanzioni punitive, le responsabilità moralmente più gravi, ed a evitare ogni indagine sui precedenti del fatto materiale dell'uccisione. Ciò nonostante, le resultanze dell'istruttoria erano ormai tali, che tutta questa decisa volontà di soffocazione B . 1 Lq ;alma fj Malleolli vien~lç nel vagonT~r'1viaro che la trasporterà J1•r, nl' o M~taoltinl'lfr,o · J o avrebbe potuto non raggiungere il proprio intento, se le resultanze istruttorie fossero state valutate al loro giusto valore, ed avessero indotto la Sezione di Accusa a completare l'istruttoria e, comunque, a non liberare i mandanti dalle responsabilità, che l'amnistia non aveva coperto, e delle quali avrebbero dovuto render conto - per rispetto ai mai smentiti insegnamenti della giustizia punitiva del nostro paese - in base agli stessi addebiti che la sentenza di rinvio tiene fermi contro di loro, pure amnistiandoli. La Parte Civile non mancò di fare valere davanti alla Sezione di Accusa queste considerazioni, dimostrando, ed esplicitamente affermando, che il non accoglierle, equivaleva a ridurre il giudizio definitivo ad una beffa intollerabile. Ma proprio nel momento conclusivo della procedura istruttoria, dall'alto, fu additata la soluzione meno rispondente a verità e giustizia; e si ebbe il rinvio a giudizio dei soli esecutori materiali dell'uccisione: una formula che preclude ogni possibilità d'indagine sui precedenti e sulle responsabilità moralmente più gravi. E poiché la sentenza di rinvio, pur amnistiando i mandanti, ridonava loro la libertà, uno di essi, Giovanni Marinelli - il più fedele - fu subitissimo ripristinato negli uffici e negli onori, per volere di chi può permettersi impunemente simile sfida al giudicato, e che è anche un'intimazione per i giudici futuri. Ma Roma - ove per legge doveva celebrarsi il dibattimento - è tale città, che avrebbe richiamato tutte le attenzioni sulle mutilazioni del rito giudiziario. Il dibattimento in Roma, avrebbe suscitato di per sé solo, tutte le proteste di tutto il mondo civile contro tale mutilazione, anche se la voce e le capacità dei colpiti dalla ingiustizia, fossero stati inferiori al compito! Ciò non poteva esser permesso. "Eccellenza, L'assassinio di Giacomo Matteotti, tragedia mia e dei miei figli, tragedia dell'Italia libera e civile, mi lasciò credere che giustizia sarebbe stata non invano invocata; era l'unico conforto che mi rimaneva nell'angoscia suprema, e perciò mi costituii Parte Civile. Ma nelle varie vicende giudiziare, e per la recente amnistia, il processo - il vero processo - a mano a mano svaniva. Ciò che oggi ne rimane, non è che l'ombra vana. Non avevo rancori da esprimere né vendette da invocare: volevo solo giustizia. Gli uomini me l'hanno negata: l'avrò dalla storia e da Dio. Chiedo perciò mi sia concesso di straniarmi dall'andamento di un processo che ha cessato di riguardarmi. Ed immediatamente le " i n f o r m a z i o n i u f f i c i a I i ,, (come si legge nella stessa requisitoria per rimessione della causa ad La salma, giunta a Fratta Polesine, è collocata su un camion, per essere avviata al cimitero. un'altra sede) annunziarono "in ci denti f o r s ' a n c h e g r a vi,,, se il dibattito fosse stato celebrato a Roma. E non vi era bisogno di dire da qual parti gl'incidenti sarebbero stati provocati! Nella generale impotenza di tutti gli altri, tali incidenti non avrebbero potuto essere suscitati se non da coloro, contro cui la prevenzione è vietata, tanto quanto la repressione, impossibile! L' "Informazione,, suonava quindi come un'imposizione. Subirla: o assumersi la responsabilità del disordine, certo grave, impunito. Ed il dibattito è stato quindi relegato lontano, fuori di ogni vasto controllo di stampa e di pubblico; alla mercé delle forze che han sempre fatto risolvere, nello stesso modo, in questi ultimi tempi, nel nostro paese, tutti i processi, indarno celebrati contro chi poteva rispondere ad accuse anche tremende e precise, invocando la propria fedeltà al regime. In questa situazione di cose, ragionamento e sentimento imponevano concordemente alla Parte Civile, una sola decisione. Dice il ragionamento, che partecipare alla conclusione del rito giudiziario cosi mutilato e soffocato; nella più assoluta impossibilità di ogni indagine sulle cause vere del delitto e sulle responsabilità prime; ristretto il contradittorio ai dettagli orribili, ma nudamente materiali dell'esecuzione - al come senza il perché -: significherebbe ratificare la mutilazione e la soffocazione del dibattimento, e rendersi complici dei resultati che tale soffocazione e tale mutilazione faciliteranno. Chi accetta, o anche solo subisce, un contradittorio di tal fatta, perde il diritto di denunciarne l'insanabile nullità e morale. Ed il sentimento ha già dettato alla vedova dell'Ucciso questa lettera già spedita al Presidente della Corte di Assise di Chieti: I miei avvocati, solidali con me in quest'ora, provvederanno a dar forma legale alla mia decisione. Io prego Lei, Eccellenza, di dispensarmi dalla pena atroce di comparire: mi parrebbe, accedendo all'invito, di offendere la memoria stessa di Giacomo Matteotti, per il quale la vita era cosa terribilmente seria. Quella memoria nella quale e per la quale, e solo per educare i figli all'esempio ed alla fermezza paterna, vivo ancora appartata e straziata. Con ossequio Velia Matteottti.,, Ma per le stesse ragioni che inducono la Parte Civile a ritirare la propria partecipazione ulteriore ad una procedura capace ormai soltanto di consacrare una tipica denegazione di giustizia, la Parte Civile intende far salve tutte le azioni legali che essa si riserva di spiegare in futuro: in qualsiasi sede, nell'ora e nei modi che appariranno più adatti ad accertare tutta la verità, a denwiziare tutte le responsabilità, a colpire tutti i responsabili. Essa non fa remissione, essa non si associa ad indulgenze ed oblii, essa vuole anzi mantenere aperto il giudizio, vietato oggi, inevitabile, domani. La Parte Civile conclude cosi: La Parte Civile deducente, dichiara di revocare nei confronti di Amerigo Dumini, Augusto Malacria, Amleto Poveromo, la fatta costituzione: pur riservandosi espressamente ogni e qualsiasi azione civile le spetti, e possa spettarle, in dipendenza dei fatti che hanno formato oggetto della Istruttoria penale oggi chiusa, dei precedenti e delle coseguenze dei fatti stessi. Roma, 18 Gennaio 1926. Avv. G. E. MODIGLIANI.» L'orazione di Filippo Turati Noi non «commemoriamo». Noi siamo qui convenuti ad un rito, ad un rito religioso, che è il rito stesso della Patria. Il fratello, quegli ch'io non ho bisogno di nominare, perché il Suo nome è evocato in questo stesso momento da tutti gli uomini di cuore, al di qua e al di là dell'Alpe e dei mari, non è un morto, non è un vinto, non è neppure un assassinato. Egli vive, Egli è qui presente, e pugnante. Egli è un accusatore; Egli è un giudicatore; Egli è un vindice. --------------- E questo vivo, che è qui accanto a me, alla mia destra, ritto nella sua svelta figura di giovine arciere, di cui voi vedete il sorriso, di cui voi scorgete il cipiglio - perché non è un'allucinazione, perché li vedete, perché non vi inganno - questo vivo, questo superstite, questo ormai immortale e invulnerabile, fatto tale dai nemici nostri e d'Italia: questo vivo, nell'odierno rito, è trasfigurato. E' Lui ed è tutti. E' uno ed è l'universale. E' un individuo ed è una gente. Invano gli avranno tagliuzzato le membra, invano (come si narra) lo avranno assoggettato allo scempio più atroce, invano il suo viso, dolce e severo, sarà stato sfigurato. Le membra si sono ricomposte. Il miracolo di Galilea si è rinnovato. A che le vane ricerche, o farisei d'ogni stirpe? A che gli idrovolanti sul lago, a che il perlustrare la macchia, il frugare dei forni? L'avello ci ha reso la salma, il morto si leva. E parla. E ridice le parole sante, strozzategli nella gola, che furono da uno dei sicari tramandate alle genti, che son S u e quand'anche non le avesse pronunciate, che sono vere se anche non fossero realtà, perché sono l'anima Sua; le parole che si incideranno nel bronzo sulla targa che mureremo qui o sul monumento che rizzeremo sulla piazza a mònito dei futuri: «Uccidete me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai ... La mia idea non muore .. . I miei bambini si glorieranno del loro padre ... I lavoratori benediranno il mio cadavere .. . Viva il Socialismo!» . . . Di ciò il mio egoismo si duole, il mio piccolo egoismo di individuo, di fratello maggiore, di anziano, di padre; ché Egli non è più soltanto il mio figliolo prediletto. L'uomo di parte, l'assertore nobile ed alto di un'idea nobilissima, quegli che fu, per noi socialisti, tutto in una volta, il filosofo, il finanziere, l'oratore, l'organizzatore, il commesso viaggiatore, l'animatore sovrattutto, il pensiero insomma e l'azione congiunti - anche l'azione più umile che altri sdegnava - l'unico, l'insostituibile; colui che, come già Leonida Bissolati pel Cremonese, travolto dalla sublime follia dell'amore

Bi dei suoi contadini, del suo proletariato polesano, per esso aveva rinunziato indifferente agli agi e alla tranquillità della vita, alla seduzione degli studi cari in cui più eccelleva, e di sé e della sua giovinezza poteva di.re col poeta della Versilia: e tutto ciò che facile allor prometton gli anni io 'l diedi per un impeto lacrimoso di affanni, per un amplesso aero in faccia a l'avvenir; e per questa sua passione divorante, gelosa, era l'esule in patria, il bandito dalla sua terra, il maledetto dai parassiti della sua terra, il profugo eterno, sempre presente soltanto dove l'ora del periglio battesse la diana; quest'uomo, questa figura così staccata e viva su lo sfondo verde e bigio di questo singolare paesaggio politico, non sparisce, no, non scolora - ma si riaffaccia oggi in troppo più ampia cornice. Quello, che era cosa nostra, è divenuto anche la cosa vostra, l'uomo di tutti, l'uomo della storia. E, ingrandito cosi, quasi è tolto a noi, come alla famiglia dolorante, perché è divenuto un si mb o 1 o. Il simbolo di un oltraggio che riassume ed eterna cento e cento mila altri oltraggi, tutti gli oltraggi fatti ad un popolo; la figura che compendia tutti gli altri trucidati e percossi per lo stesso fine, da Di Vagno a Piccinini, agli infiniti altri oscuri; il simbolo di una stirpe che si riscuote; il simbolo di un passato che si redime, di un presente che si ridesta, di un avvenire che si annunzia ... Il simbolo e la Nemesi: la Nemesi augusta, o signori, che è della storia. Cerchi il Magistrato le colpe e le ferocie secondarie e minori; incalzi gli esecutori codardi e i mandanti immediati; còmpito anche questo altamente rispettabile e necessario. Frughi e tenti di sventare la congiura degli intrighi, di snodare il groviglio dei silenzi comprati o ricattati, le mendicate omertà, e il tagliaborse che si annida nell'assassino. Tutta questa è la cronaca. La Nemesi vola più alto. Essa addita il grande mandato; il mandato che erompe da più anni di violenze volute, di violenze inanellate alla frode, di consenso cercato ed irriso; dal sarcasmo di una pacificazione, proclamata a parole e impedita e violentata nei fatti; dall'incitamento perenne alla soppressione del pensiero libero e di chiunque lo incarni, la quale è soppressione della vita, della Patria, della civiltà. Addita il mandato che scese dall'istrionismo bifronte, che adesca insieme e minaccia, che offre il ramo d'olivo ed affila nell'ombra i pugnali. Addita il mandato che salì dalle viltà incommensurabili, dalle fughe abbiette, dagli obliqui fiancheggiamenti, dai silenzi complici, dalla corruzione demagogica esercitata su anime semplici, talvolta generose ed eroiche, persino di combattenti insigni od oscuri, i quali in buona fede hanno creduto che un regime di minaccia e di prepotenza potesse essere ricostruttore, che la più immonda c u r é e potesse germogliare la rigenerazione del Paese, che gli errori e le colpe fugaci di una massa illusa (e non cerchiamo illusa da chi; e non domandiamoci se veramente esistano le colpe di un popolo) dovessero espiarsi, non col richiamo severo alla ra,gione, ma con la catena dei delitti, con la tregenda delle sopraffazioni esercita su quel popolo; col dileggio di ogni umana dignità; con la tragedia del terrore, accoppiata alla coreografia di vetusti trionfi mal redivivi. Dall'eccidio di Giacomo Matteotti la nuova storia d'Italia incomincia. A noi un solo còmpito: esserne degni. Eppure, neppure questo ci consola. Perché, se un eccidio, e il più brutale degli eccidi, era necessario, una cosa non era necessaria: che colpisse Lui. E, se parve, come ho detto, ch'egli fosse il più designato perché era il più forte e il più degno, dice l'effetto che non sempre è profetessa la malizia dei masnadieri. Lui giovane, Lui forte, Lui armato di tutte le armi civili, Lui temerario nel coraggio, Lui che si fece volontario della morte - questo fanciullo dagli occhi pieni di bontà, che tutti ci rimbrottava ed a tutti indulgeva, perché tutti sapeva comprendere e sapeva la inanità delle prediche contro la umana fralezza; Lui, figlio di una madre antica, che geme; Lui, sposo di una sposa giovine, che paventa di smarrire il senno; Lui, padre di tre teneri bimbi, virgulti inconsci, che un giorno metteranno le spine, verso i quali Egli aveva tenerezze di madre, come, nell'intimità della casa felice, pareva un figlio alla sposa. No! Inferocire su questo idillio non era necessario! Altrove poteva la sorte cieca e maligna eleggere il suo strumento di pace e di giustizia. E questa vecchia carcassa di chi oggi vi parla, che la vita ha tutta ormai spesa e che il proprio inverno avrebbe barattato con gioia per salvarvi la primavera superba del nostro eroe, è oggi dilaniata dal rammarico, direi dal rimorso, di non averlo vigilato abbastanza, di non essersi imposto, col peso della anzianità a cui forse Egli avrebbe obbedito, alle sue gagliarde imprudenze ... Lasciate ch'io cessi queste parole, così impari, e che il singhiozzo minaccia di rompere; ch'io dimentichi dove siamo e donde parliamo; ch'io mi inginocchi idealmente accanto alla salma del figliolo prediletto, e gli carezzi la fronte e gli chieda perdono della mia, della nostra indegnità e gli dica tutta la gratitudine nostra, la gratitudine di tutto un popolo ... Verso gli Stati Uniti del mondo Lapoliticnaternazionale desiocialtiesdtieschi Il rapporto che segue, sulla politica internazionale dei socialisti tedeschi, è stato compilato dalla «Unione delle Organizzazioni socialiste tedesche di Gran Bretagna». Gli scopi cui mirano i socialisti tedeschi, sono identici a quelli perseguiti dai socialisti di tutti gli altri paesi europei: concorrere, oggi, con tutte le forze morali e materiali a disposizione, all'annientamento del nazifascismo, e, domani, fondare in Europa una federazione di liberi popoli, nella democrazia e nel socialismo. Tale federazione, a nostro avviso, dovrà includere anche e principalmente la Gran Bretagna e l'URRS., escludendosi che la federazione, comprendente tutte le nazioni d'Europa, sia sotto il comando e la direzione di un direttorio di grandi potenze. Soltanto cosi eviteremo, a distanza più o meno breve, un altro immane conflitto, il quale - come già insistentemente avvertito - oltre a cagionare ulteriori inenarrabili sof[erenze ed irreparabili rovine, segnerebbe la definitiva decadenza del genere umano. Il popolo tedesco (poiché bisogna distinguere, ad ogni e!fetto, i popoli dalle classi e dai governi dominanti col terrore, e per ciò, esclusivi responsabili) costituito in verace ed effettiva democrazia socialista, e, quindi, reintegrato nel nuovo ordine internazionale, darà, sia alla necessaria riparazione dei mali compiuti dal nazifascismo, sia alla costruzione di una siffatta Europa e di un siffatto mondo migliore, il suo attivo, prezioso contributo. 1° Socialisti internazionalisti noi vogliamo un ordine internazionale che elimini le cause dei conflitti armati. Forze decisive per arrivare a questo risultato sono, a nostro avviso il movimento operaio internazionale e gli altri movimenti democratici, specie quelli dei contadini e degli intellettuali. Noi desideriamo la più stretta collaborazione dei lavoratori organizzati di tutti i paesi in una nuova organizzazione internazionale che dovrà fissare una politica comune del movimento socialista operaio e metterla in pratica. 2° Noi auspichiamo una Federazione di tutti i popoli dell'Europa perché la completa sovranità nazionale non è più compatibile con le con- ~~,eP~ìe t~~;che 8i! :1cj•à socialisti tedeschi quanto per i democratici e i socialisti di tutta l'Europa che la pace dell'Europa venga stabilita su basi stabili dalla cooperazione della comunità britannica, dell'U.R.R.S. e degli Stati Uniti d'America. Un'Europa libera e unita non può svilupparsi che traverso la cooperazione benevole con tutte queste potenze e non con l'appoggiarsi da una parte o dall'altra. Noi non consideriamo le Federazioni composte da gruppi di nazioni come garanzia di pace solo se integrate in una e subordinate ad una organizzazione internazionale. 3° Primo obbiettivo della politica internazionale del dopoguerra dei socialisti tedeschi sarà di integrare una Germania democratica in questo ordine internazionale. E' essenziale per il successo di una tale politica che i principi della «Carta dell'Atlantico» vengano applicati nella loro piena estensione a una Germania democratica. Noi, socialisti tedeschi, riconosciamo la necessità di reali garanzie di sicurezza per le nazioni aggredite e oppresse dagli invasori nazional-socialisti e fascisti. Al tempo stesso siamo convinti che tutte le garanzie tecniche di pace non possono avere eifetto durevole se non partono da un sistema sincero di sicurezza internazionale. Questo sistema deve combinare un esecutivo forte capace di frenare gli aggressori con le possibilità d'arbitrato più estese per la soluzione pacifica dei confitti. Un simile sistema garantirebbe anche la pace e la sicurezza della Germania democratica. Il primo contributo di una Germania democratica a un tale sistema sarebbe il suo immediato disarmo militare. Siamo convinti che non basta distruggere la macchina militare tedesca. Noi siamo decisi a smantellare le fortezze rappresentate dalla potenza sociale delle forze economiche e politiche che stanno dietro il militarismo tedesco espropriando le industrie di guerra e le grandi proprietà terriere, ricostruendo democraticamente l'amministrazione statale dal basso fino all'alto. Noi riconosciamo che un debito d'onore della futura Germania libera sia l'aiutare con tutte le sue forze la riparazione delle ingiustizie in! tille agli altri popoli dalla Germania hitleriana, e la ricostruzione dell'E~ Uno dei nostri principali compiti sarà '.lie~, con una completa riforma della educazione tedesca, le condizioni niorali e mentali per la politica di vace e di comprensione da parte della nuova democrazia tedesca. In quanto alla possibilità che si lascierà al popolo tedesco cli seguire la sua propria iniziativa nella! onnazione della vita interna politica, sociale e colturale, ciò dipenderà in gran parte dal guadagnare in maniera duratura il popolo tedesco a questa pratica. E' sovrattutto, se si imporranno alla Germania delle condizioni che creerebbero una disoccupazione generale <: che impedirebbero una politica e!ficace di sicurezza sociale, ne conseguirebbero delle conseguenze f alali per lo sviluppo della Germania. 4° Anche dopo l'abbattimento della dittatura di Ilitler, per potere applicare questa politica internazionale, dovremo combattere contro potenti forze reazionarie interne. Speriamo che la fiducia e l'aiuto attivo del movimento operaio internazionale e delle forze di pace e cli progresso di tutte le nazioni ci sosterranno in questa lotta. Il nuovo ordine (Chiare parole agli s-vizzeri) In occasione dell"annuale Sinodo della Chiesa del Cantone di Zurigo, il Dr. Max Wolff ha pronunciato un discorso di cui riproduciamo, qui appresso, la parte, per noi, più interessante, ovvero quella riflettente il nuovo ordine internazionale, e la partecipazione del popolo svizzero alla sua affermazione ed al suo consolidamento. Il Dr. Wolf! ha apertamente rilevato come la Svizzera sia in pericolo di perdere ogni ideale, voiché ad altro essa sembra non pensare e non provvedere se non a conchiuder buoni a!f ari, a cogliere profitti ed a godere; e ciò mentre gli altri popoli, nella grande maggioranza, combattono e soffrono, non soltanto per essi, ma per l'intera umanità e, quindi, anche per gli svizzeri. E' vero, in! atti che tutti coloro i quali, nell'Europa e nel mondo, lottando contro i regimi di violenza e di sopraffazione, si sono sacrificati e si sacrificano per ristabilire, o conservare, e, comunque, migliorare, la civile convivenza, e dare agli uomini ef!ettiva giustizia e libertà, hanno concorso a mantenere alla Svizzera la sua indivendenza e gli altri beni, spirituali e materiali, di cui da tempo immemorabile essa gode. «La contemplazione di questa terribile seconda guerra mondiale deve far sorgere in noi il desiderio invincibile di evitare una simile catastrofe per il fiituro. Ed ecco farsi strada di nuovo il pensiero di una grande Unione dei popoli, fondata sul diritto e tale da assicurare la sicurezza collettiva e la pace. Questo compito non può non apparire a tutti coloro che vivono e pensano, come il grande compito politico, sociale ed anche culturale del presente e del prossimo futuro, la sua giusta soluzione per la salvezza del mondo. Anche per la Svizzera è una questione vitale, che essa, nel momento giusto e nel modo migliore, possa dare un attivo contributo al futuro auspicato nuovo ordine dei povoli, che dovrà essere un ordine di pace fondata su di un nuovo diritto dei popoli. Certamente presso di noi esistono circoli ed organizzazioni che da lungo tempo hanno riconosciuto tutta l'importanza di questo compito. Ma la Svizzera ufficiale sembra si voglia tenere lontana da questi tentativi e sembra voglia assumere l'atteggiamento dell'osservatore indifferente. Cosi esiste il pericolo di una deliberata assenza dal nuovo rimaneggiamento del mondo. E tuttavia ogni svizzero non accecato da ristrettezza di vedute, da ambizioni, o da brama di profitti dovrebbe comprendere che il diritto è l"unica arma dei piccoli stati e che nel futuro vi saranno dei piccoli popoli soltanto a due condizioni: in primo luogo, alla condizione di essere protetti da un ordine super-nazionale di diritto e di pace contro i soprusi dei più forti; in secondo luogo, alla condizione di essere essi stessi qualche cosa e di fare qualche cosa per l'umanità. A popoli che vivono soltanto per loro stessi o, tutt'al più, di quello che fanno gli altri, e che vogliono trarre guadagni senza portare un contributo personale si applica il detto: Chi vorrà conservare la propria vita la perderà. Non si dica che la nostra neutralità ci impedisce di prendere parte ad un «ordine supernazionale». La neutralità svizzera ha potuto esistere storicamente ed ha avuto un senso in quanto la Svizzera non ha preso parte alle lotte dei popoli e delle potenze. Rendere impossibili queste lotte imperialistiche, questo è proprio lo scopo della soluzione federalistica dell'Unione dei popoli. Si può dire di essere partigiani della pace allorché ci si rifiuta di fare parte di un'Unione di popoli che si prefigge di garantire la pace? Ma si tratta di cosa più importante ancora, si tratta di quel profondo diritto alla vita che un popolo si conquista allorché esso rimane fedele a sé stesso ed allorché conserva il meglio di quanto c'è stato nella sua storia e di quanto deve ai grandi uomini. Uno dei più fedeli guardiani della Svizzera, Jakob Bosshard, poco prima della sua morte ha espresso il suo timore che la Svizzera f asse sul punto di perdere il suo «ideale». Ed e!f ettivamente esiste oggi il pericolo che la Svizzera si trovi priva di ogni ideale e scorga il senso della propria esistenza soltanto nel presente, anziché porsi degli interrogativi relativamente al futuro ed invece che lottare con tutta la propria anima per degli scopi spirituali non sappia pensare ad altro che a! are a!fari ed a cogliere profitti, e ad occuparsi di sport e di divertimenti. Non esiste soluzione più errata di quella della «propria via» della Svizzera. Come se proprio la federazione mondiale, alla quale tende lo sviluppo delle cose, non rappresentasse proprio la via della Svizzera ed una traduzione in atto, grandiosa e m,ondiale, delle basi stesse del pensiero svizzero. Soltanto in questa cornice la Svizzera potrebbe veramente raggiungere un nuovo diritto alla vita ed un nuovo scopo. E vi è anche un'altra considerazione: gli altri popoli, nella grande maggioranza, stanno j'acendo immensi sacrifici per il loro futuro, ma anche per i grandi beni ed i grandi scopi dell'umanità, ed anche per noi. E tanto più quindi noi siamo tenuti a portare il nostro contributo, con tutte le nostre forze e con tutti i nostri mezzi, affinché da questa terribile lotta esca veramente un nuovo mondo. Soltanto qualche cosa di grandioso come la lotta per un nuovo ordine dei popoli fondato sulla solidarietà, potrà mantenere in vita lo spirito della Svizzera e potrà corrispondere alle tradizioni di cui fin'ora essa ha vissuto. Urge avere questo ben chiaro davanti a sé.» Zurigo Conferenza Verdaro Sabato 28 maggio nella sala verde della Casa del Popolo, per iniziativa del «Circolo culturale socialista di lingua italiana», il compagno prof. Virgilio Verdaro ha parlato sul tema: «Mazzini, Marx e il movimento operaio in Italia.» L'oratore ha trattato l'argomento con l'abituale profondità, che gli viene dall'essere uno specialista degli studi del movimento operaio internazionale, donandoci in rapida sintesi una visione chiara ed efficace di quelle che furono le varie influenze nella storia del movimento operaio in Italia. Posta in evidenza la premessa che egli avrebbe parlato di Mazzini esclusivamente dal punto di vista sociale, dimostrò l'insignificanza del pensiero mazziniano nello sviluppo del movimento operaio che prese corpo inizialmente nell'ambito di quell' «Alleanza della Democrazia Socialista» segretamente sorta per iniziativa di Bakunin, in opposizione alla mazziniana «Alleanza Universale» e combattendone le concezioni religiose e nazionalistiche. «L'Alleanza della Democrazia Socialista» ebbe poi un'influenza decisiva nella propaganda dell' «Associazione Internazionale dei Lavoratori» (la Prima Internazionale) e nel dare alle sezioni latine di questa la direttiva anarchico-socialista. Lo sviluppo di questo movimento venne arrestato con l'introduzione in Italia del partito social-democratico legalitario e parlamentare il quale ebbe a giovarsi soprattutto dell'opera di Andrea Costa, che abbandonava il campo anarchico forse deluso dagli insuccessi degli ultimi moti insurrezionali. L'oratore disegnava poi la storia del movimento operaio che va da Andrea Costa a Costantino Lazzari, da questi al movimento operaio moderno ricollegandolo ai momenti attuali. - Con calorosi applausi il pubblico, numeroso e vivamente interessato, ha espresso il proprio consenso. Sabato, 10 giugno, alle ore 20, nella grande sala della Casa del Popolo, Helvetiaplatz, la luogo la Commemorazione di Giacomo Matteotti organizzata dal Partito Socialista Svizzero ' dalla Gioventù Operaia Socialista di Zurigo e dalla Sezione Ticinese del Partito Socialista di Zurigo PROGRAMMA: 1. Marcia trionfale, dall' «Aida» di Verdi. 2. Discorso del comp. Dr. W. Stocker, segretario del P. S. S. 3. «Der Strom» e «Brause Freiheitssang», cori. 4. Discorso di un compagno italiano. 5. Brani dell'ultimo discorso di Matteotti , detti da Sigfrit Steiner. 6. Ouverture dell' «Alceste» di Gluck. 7. Discorso del comp. Prof. Dr. Valentin Gitermann. 8. Coro della Gioventù Operaia Socialista. 9. «Tord Foleson» di Uthmann, coro. 10. Canto generale: «Avanti Popolo!» Ingresso: Adulti Fr. 1.-, giovani fino ai 18 anni Fr. -.50. Redattore:ERICH VALAR, ZURIGO Druck:GENOSSENSCHAFTS DRUCKEREI zO RICH

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==