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Edmondo De Amicis

Il Primo Maggio

Discorso tenuto all'Associazione generale degli operai la sera del I° maggio 1896

Noi diciamo al lavoratore: "Bada: a questo grande movimento sociale che si svolge in tuo favore non basta che tu assista con animo favorevole; tu lo devi aiutare. Il primo impulso alla redenzione del lavoro deve venire da te. Se vuoi che il mondo ti saluti devi portar alta la fronte; ma per portar alta la fronte bisogna levar l’animo in alto. Se vuoi entrar nell’esercito della nuova Idea, devi sacrificare a questa una parte del tuo riposo e della tua pace; devi compiere con più caldo zelo i tuoi doveri di lavoratore, ma resistere a chi vuoi soggiogare la tua coscienza di cittadino; devi soffocare sotto la disciplina del partito rancori e gelosie; fare uno sforzo intellettuale faticoso per appropriarti gli argomenti ed acquistar la parola con cui si giustificano e si dimostrano appagabili le tue aspirazioni; devi imparare, migliorarti, dare esempio di dignità di vita, di equità, di bontà d’animo, non soltanto in cospetto alle classi superiori, ma fra i tuoi compagni e nella tua famiglia; devi fare quanto è in poter tuo per far rispettare ed amare in te la santa bandiera a cui consacri il tuo cuore e affidi il tuo diritto e la tua speranza”.

(...) Diciamo alla madre del giovane studente: "Perché t’affanni per il tuo figliuolo, come se la via per cui s’è con noi fosse la via della perdizione? Se tu gli leggessi dentro all’animo, saresti lieta ed altera del tesoro ch’egli vi chiude. Il sentimento che lo muove è quello stesso che spinge te a metter l’obolo della carità nella mano del vecchio e del fanciullo abbandonato: è lo stesso sentimento ingrandito, esteso a milioni di creature umane, illu- minato dalla speranza di bandire dalla società tutte quelle miserie e quei mali da cui sei commossa tu pure; ma soltanto quando li vedi personificati in un infelice che mendica. Vedi: il suo ingegno e i suoi studi, prima che utili a lui, sono già utili agli altri. Nella lotta che combatte con noi egli matura precocemente il suo senno, innalza il suo carattere, fortifica le sue facoltà. Lascia che vada fra i lavoratori, dove acquista un concetto austero della vita, e si spoglia del suo egoismo di classe, e impara il rispetto della povertà e del lavoro. Lascia che mescoli il suo soprabito signorile con quelle rozze giacchette, sotto a cui battono dei cuori che lo amano. Non gli contrastare il passo quando va a cercarle; bacialo in fronte e digli: "Va”. È la voce del tuo buon Dio che lo chiama.
Diciamo al modesto borghese, sia egli un piccolo proprietario di terre, oppresse dall’imposta e destinate ad ingrandire prima o poi il latifondo, o un piccolo industriale, ogni giorno più impotente a sostener la concorrenza della grande industria, o un piccolo commerciante, condannato a cader vittima presto o tardi dell’accentramento dei commerci, diciamo a ciascuno di costoro che, per un’ ambizione scusabile nella società presente, avviano con grandi sacrifici i loro figliuoli alle professioni liberali: "O tu, che ti dichiari nostro nemico, considera un lato solo della grande questione: vedi se, perdurando questo furore d’innalzarsi nella gerarchia sociale (effetto delle troppo dure condizioni materiali e morali della vita del lavoratore), vedi se i figli dei tuoi figli non si troveranno ridotti a lottare con una concorrenza così formidabile, da render la lotta disperata. Vedi se per prevenire questo danno ci sia altro modo che quello di stabilire l’equilibrio fra i due fattori, intellettuale e meccanico, della produzione sociale, mettendo il lavoro propriamente detto in tali condizioni da non esser più sfuggite da quanti possono come un castigo di Dio; ciò che è il primo intento del socialismo. Vedi se, non giungendo a questo, la società non sia condannata a morire d’una pletora di laureati famelici e di spostati rabbiosi. Fa tacere per poco la tua ambizione, fissa lo sguardo nell’avvenire e ti persuaderai che, pure avendo l’aspetto di tuoi nemici, siamo veri amici dei tuoi figli e dei figli loro”.

Diciamo allo scienziato e all’artista: "Come puoi tu, uomo di scienza, sospettar nemica tua una dottrina che sopra una fede illimitata nel progresso della scienza in larga parte si fonda, che dal perfezionamento della macchina, dalla prevalenza dell’agricoltura razionale, dallo sfruttamento scientifico di tutte le forze della natura attende ad un tempo e una diminuzione dello sforzo umano e una raddoppiata produzione? Come puoi tu, scrittore ed artista, temere il trionfo d’una dottrina che vuole estendere a tutti, nella maggior misura possibile, i godimenti dello spirito, e centuplicare con questo il numero degli uomini atti a comprendere l’opera tua? E se la società futura chiedesse a te, scienziato, il sacrifizio di volgere la tua scienza a fini più direttamente umani, e a te, artista, quello di scendere più spesso dall’altezza del tuo lavoro libero all’ufficio di educatore delle moltitudini, come non vi parrebbe dolce un tal sacrifizio, ricompensato da una tanto più diffusa ammirazione e più vasta gratitudine? E come non sentite che un più alto dovere di generosità e di sacrifizio è imposto ai privilegiati dell’intelletto, a coloro che portano sulla fronte dalla nascita questo segno luminoso della predilezione del destino?

Diciamo all’umanitario, al filantropo: "O tu che combatti l’opera nostra, perché credi la carità sufficiente a risolver la gran questione che affanna il mondo, disingannati in faccia all’evidenza dei fatti, e vieni con noi. No, non si scioglie la questione con la beneficenza. Non si feconda una vasta terra portandovi l’acqua ad orciòli; ma spandendovi per una rete di larghi canali l’onda inesauribile della montagna. La tua carità non può nulla per i milioni d’uomini a cui è intercettata legalmente, per forza delle cose, una troppa gran parte dei frutti del loro lavoro; è impotente davanti al grande fatto della disoccupazione, prodotto dalle crisi disastrose, che derivano dall’anarchia della produzione; e può far meno ancora per quella grande moltitudine lavoratrice, alla quale il pane non manca, ma che domanda una diminuzione di fatica, un’educazione civile, un posto più onorato nel mondo, a cui non ha meno diritto che al pane. No, i rimedi che ti consiglia il cuore non bastano; occorre che tu dia l’opera della tua ragione. Vieni con noi, poiché il tuo cuore è buono; e senza la- sciar l’opera della carità, domanda con noi la giustizia; solleva i miseri, ma lavora tu pure a sradicar la miseria; conforta i vinti, ma aiutaci a preparare una società, in cui, per quanto lo concedono la natura e la fortuna, non ci siano più né vinti né vincitori”.

Diciamo al ricco: "Se ti dice la ragione che è giusta la nostra causa, e ti trattiene dall’abbracciarla il timore di affrettare per te e pei tuoi figli la perdita della ricchezza, tu vivi in un inganno. Proseguendo così le cose, non sarà il socialismo che ti toglierà il tuo bene, saranno le catastrofi politiche e finanziarie a cui conducono inevitabilmente il militarismo, la guerra, il debito, il disordine, inseparabili dall’ordinamento sociale che difendi. La caduta lontana della tua fortuna non sarà effetto della dottrina socialista, ma delle grandi necessità sociali ed economiche da cui la dottrina è nata, e per cui si diffonde. Tu temi rivoluzioni, sconvolgimenti, rapine! Ma se è tutto questo appunto che il socialismo mira a impedire, contenendo le passioni violente che arrestano il germoglio delle idee feconde, prevedendo, scomponendo e a mano a mano, perché la società non abbia a rimanere mai sconvolta e atterrita in mezzo a un campo di macerie. Come non comprendi che questo movimento immenso tende al bene di tutti? Abbraccia la nostra causa, e combattendo per essa, tu che hai la ricchezza, darai un esempio, tu che hai l’indipendenza, sarai una forza, e ti sentirai libero dai due peggiori tormenti della tua vita, che sono la smania d’acquistare e il terrore di perdere, perché la coscienza d’esser giusto e magnanimo varrà per te il più prezioso dei tesori, sarà la sola, vera felicità che nessun evento, nessuna forza potrà strappar dal tuo cuore”.

E al fanciullo del ricco, finalmente, noi rivolgiamo questo discorso: "Tu sei nato nell’agiatezza. Se vorrai conquistarti un posto onorato nel mondo, ti costerà assai men fatica che agli altri, perché sarai come un uomo armato in una lotta in cui quasi tutti gli altri sono inermi. Sei sicuro fin d’ora che non avrai mai da patir privazioni, mai da umiliarti per non perdere il pane; che potrai essere facilmente buono, onesto, rispettato, contento. Ora, vedi quanta miseria v’è intorno a te, quante dure fatiche che danno appena da vivere, quanti millioni di fanciulli lasciati nell’ignoranza e nell’ abbandono, quante famiglie ridotte all’indigenza senza colpa, quante disuguaglianze ingiuste, quanti dolori senza speranza, e quante ire e quanti odi. Ebbene, se ti dicessero che v’è modo di far sì che tutte queste miserie siano scemate, che il lavo- ro non manchi a nessuno e sia reso men duro a tutti, che tutti i fanciulli possano istruirsi ed educarsi, che le disuguaglianze ingiuste scompaiano, che gli odi di classe si spengano, che la società diventi come una grande famiglia, in cui, se non la felicità, regni almeno la pace; ma che per ottener tutto questo bisogna che tutti i ragazzi come te rinunzino alla loro sorte privilegiata, rientrino nelle condizioni comuni, e si rassegnino a lavorare e a lottare per vivere modestamente come tutti gli altri, consentiresti tu al sacrificio?”. E il fanciullo ci risponde immediatamente, irresistibilmente: "Oh, sì, vi consentirei! E come si potrebbe non consentirvi?”. E noi non gli diciamo più altro: gli abbiamo messo il buon germe nel cuore.

Questi sono i nostri pensieri e i nostri sentimenti. Se non sono ogni giorno dell’anno così benevoli né espressi sempre con parole così miti, non è perché tacciano nel nostro cuore: è perché siamo uomini, ossia per natura deboli, soggetti all’orgoglio, facili a irritarci della calunnia, e anche perché è troppo sovente offesa in noi quella libertà di pensiero e di parola, che è una sacra eredità lasciataci dai nostri padri e dovrebbe essere una condizione inviolabile del nostro patto nazionale. Ma ogni anno, in questo giorno, noi rinnoviamo sinceramente il proposito di mantener sempre 1’animo e la parola alti come la la nostra Idea. Non è questo l’ultimo degli effetti benefici della festa del I° Maggio. E noi confidiamo che questa festa sarà celebrata ogni anno con più serena dignità.
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